ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 30, comma 1,
 lettera i), della legge 30 dicembre 1991, n.  413  (Disposizioni  per
 ampliare   le  basi  imponibili,  per  razionalizzare,  facilitare  e
 potenziare  l'attivita'  di   accertamento;   disposizioni   per   la
 rivalutazione  obbligatoria  dei beni immobili delle imprese, nonche'
 per riformare il contenzioso  e  per  la  definizione  agevolata  dei
 rapporti  tributari  pendenti;  delega al Presidente della Repubblica
 per la concessione di amnistia per reati tributari;  istituzioni  dei
 centri  di  assistenza  fiscale e del conto fiscale), e dell'art. 12,
 comma  2,  del  decreto  legislativo  31  dicembre   1992,   n.   546
 (Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
 Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),
 promosso con ordinanza emessa il  7  aprile  1997  dalla  Commissione
 tributaria  regionale  di  Roma sul ricorso proposto dall'Ufficio del
 registro di Roma contro Bracaglia Vittorio ed altro, iscritta  al  n.
 532 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  l'atto  di  costituzione di Bracaglia Vittorio e gli atti di
 intervento del Consiglio provinciale dei  consulenti  del  lavoro  di
 Roma e del Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza pubblica del 21 aprile 1998 il giudice relatore
 Annibale Marini;
   Uditi  gli  avvocati  Pietro  Federico  per   Bracaglia   Vittorio,
 Francesco   Saverio  Fortuna  e  Pietro  Federico  per  il  Consiglio
 provinciale dei consulenti del lavoro  di  Roma  e  l'Avvocato  dello
 Stato Carlo Salimei per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di un giudizio di appello, promosso dall'Ufficio del
 registro  -  Atti  pubblici di Roma, nel quale i contribuenti avevano
 nominato  quale  loro  difensore  un  consulente   del   lavoro,   la
 Commissione   tributaria   regionale   di  Roma  ha  sollevato  -  in
 riferimento  agli  artt.    3,  33,  quinto  comma,  4  e  35   della
 Costituzione  -  questione di legittimita' costituzionale degli artt.
 30, comma 1, lettera  i),  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  413
 (Disposizioni  per  ampliare  le basi imponibili, per razionalizzare,
 facilitare e potenziare l'attivita' di accertamento; disposizioni per
 la  rivalutazione  obbligatoria  dei  beni  immobili  delle  imprese,
 nonche'  per  riformare  il contenzioso eper la definizione agevolata
 dei  rapporti  tributari  pendenti;  delega   al   Presidente   della
 Repubblica  per  la  concessione  di  amnistia  per  reati tributari;
 istituzioni dei centri di assistenza fiscale e del conto fiscale),  e
 12,  comma  2,  del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul
 processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
 nell'art.    30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), nella parte in
 cui non riconoscono competenza piena  nella  assistenza  tecnica  dei
 contribuenti   nel  processo  tributario  ai  consulenti  del  lavoro
 iscritti nei rispettivi albi professionali.
   La censura  di  disparita'  di  trattamento  viene  avanzata  dalla
 Commissione  rimettente  in  base  all'assunto  che  le  disposizioni
 denunciate  avrebbero  attribuito  ai  consulenti  del   lavoro   una
 abilitazione  alla  assistenza  tecnica dei contribuenti dinanzi alle
 commissioni tributarie piu' limitata  di  quella  di  altri  soggetti
 (commercialisti,  ragionieri e periti commerciali) che risulterebbero
 invece equiparati ai consulenti del lavoro  nello  svolgimento  della
 attivita' stragiudiziale in materia tributaria.
   L'affermata   incostituzionalita'  risulterebbe,  ad  avviso  della
 Commissione  rimettente,  ancora  piu'  manifesta  per  effetto   del
 riconoscimento di una capacita' difensiva sostanzialmente piena (pari
 al  90% dei tributi) a soggetti che non sarebbero neppure iscritti ad
 albi professionali e che, quindi, risulterebbero privi dei  requisiti
 necessari  a  soddisfare  le  garanzie  pubblicistiche  di  idoneita'
 tecnica,  derivanti  dal  superamento  di  un  esame  di  Stato.   Le
 disposizioni  censurate, contravvenendo ai propositi di potenziamento
 della difesa tecnica nel giudizio tributario, violerebbero, pertanto,
 anche  l'art.  33,  quinto  comma,  della   Costituzione,   che   nel
 prescrivere  l'esame  di Stato per l'abilitazione all'esercizio della
 professione  imporrebbe  un  controllo  pubblicistico  di   idoneita'
 tecnica del difensore.
   La  irragionevolezza delle norme denunciate emergerebbe, poi, dalla
 circostanza che il consulente del lavoro,  qualora  agisca  non  gia'
 quale  libero  professionista, ma quale dipendente di un'associazione
 di  categoria,  godrebbe   di   una   generale   abilitazione   nelle
 controversie tributarie degli iscritti all'associazione.
   In  relazione  ai  parametri  di  cui  agli  artt.  4  e  35  della
 Costituzione, l'autorita' rimettente osserva, infine,  che  da  quasi
 venti  anni  (dal d.P.R. n. 739 del 1981) i consulenti del lavoro e i
 relativi  studi  professionali  svolgono  attivita'   di   assistenza
 tributaria  con  competenza piena e generale e che, conseguentemente,
 la norma denunciata verrebbe a comprimere illegittimamente il reddito
 e l'attivita' di una categoria di lavoratori.
   2. - Nel giudizio innanzi alla  Corte  si  e'  costituito  Vittorio
 Bracaglia,   resistente   nel   giudizio  a  quo  che,  ribadendo  le
 argomentazioni prospettate dalla Commissione rimettente, ha  concluso
 per la fondatezza della questione.
   3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 concludendo   per   l'infondatezza  e  per  l'inammissibilita'  della
 questione.
   In particolare, secondo la difesa  erariale,  dovrebbe  escludersi,
 nella  specie, la violazione del principio di eguaglianza atteso che,
 da un lato, la piena abilitazione  alla  assistenza  tecnica  davanti
 alle  commissioni tributarie sarebbe riconosciuta solo alle categorie
 di soggetti per le quali la materia  tributaria  rappresenta  oggetto
 specifico  della  loro  professione  e  dall'altro  la limitazione di
 abilitazione sarebbe sancita per tutte le categorie per le  quali  la
 suddetta  materia costituisce oggetto solo indiretto delle rispettive
 attivita' professionali.   I criteri  che  sono  a  fondamento  della
 limitazione  di  abilitazione  dettata  per  i  consulenti del lavoro
 sarebbero, pertanto, identici a quelli stabiliti per altre  categorie
 professionali,   quali,   ad   esempio,   gli   ingegneri   ed  altri
 professionisti tecnici i quali trattano la  materia  tributaria  solo
 per gli aspetti della loro attivita' professionale riguardanti i dati
 catastali di terreni e fabbricati.
   Ad  avviso della stessa difesa se e' vero che, a norma del relativo
 ordinamento  professionale,  i  consulenti  del  lavoro,   oltre   ad
 assolvere  per  i datori di lavoro tutti gli adempimenti previsti per
 l'amministrazione del personale  dipendente,  possono  svolgere  ogni
 altra funzione affine, connessa e conseguente a detta attivita', tali
 ulteriori funzioni sarebbero, comunque, limitate a rapporti di lavoro
 e riguarderebbero gli adempimenti dei datori di lavoro.
   Quanto  alla censura di violazione dell'art. 33 della Costituzione,
 la difesa erariale ne sostiene l'infondatezza  per  l'inesistenza  di
 una  previsione  generale  dell'esame  di  Stato  quale  requisito di
 abilitazione all'esercizio della professione e per la possibilita' di
 derogare  alla  necessita'  dell'esame  quando,  come  nella  specie,
 risultino   aliunde   accertate   la  capacita'  e  l'idoneita'  allo
 svolgimento della professione.  Ferma, in ogni caso, restando la  non
 pertinenza del suddetto parametro rispetto al giudizio a quo.
   4.  -  Nel  giudizio  ha  spiegato altresi' intervento il Consiglio
 provinciale  dei  consulenti  del  lavoro  di  Roma  nella  veste  di
 portatore  dell'interesse collettivo della categoria e rappresentante
 necessario della stessa.
   L'interveniente ricorda come, secondo la giurisprudenza  di  questa
 Corte,  l'intervento  di  chi  non sia stato parte nel giudizio a quo
 deve basarsi sulla configurazione di una situazione individualizzata,
 riconoscibile solo quando l'esito del giudizio  di  costituzionalita'
 sia  destinato  ad  incidere  direttamente su una posizione giuridica
 specificamente propria dell'interveniente.
   Nel caso di  specie,  ad  avviso  dell'interveniente,  troverebbero
 applicazione  le  stesse  considerazioni  svolte nell'ordinanza del 2
 novembre 1993 con cui questa Corte ha affermato l'ammissibilita',  in
 un  giudizio  analogo  a  quello  in  oggetto,  dell'intervento della
 Federazione nazionale degli ordini dei medici, dei chirurgi  e  degli
 odontoiatri.
                         Considerato in diritto
   1.  -  La  Commissione  tributaria  regionale  di  Roma dubita - in
 riferimento agli artt. 3, 33, quinto comma, 4 e 35 della Costituzione
 - della legittimita' degli artt. 30, comma 1, lettera i), della legge
 30  dicembre  1991,  n.  413  (Disposizioni  per  ampliare  le   basi
 imponibili,  per  razionalizzare, facilitare e potenziare l'attivita'
 di accertamento; disposizioni per la rivalutazione  obbligatoria  dei
 beni  immobili  delle imprese, nonche' per riformare il contenzioso e
 per la definizione agevolata dei rapporti tributari pendenti;  delega
 al  Presidente  della  Repubblica  per la concessione di amnistia per
 reati tributari; istituzioni dei centri di assistenza fiscale  e  del
 conto  fiscale),  e  12, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546
 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della  delega  al
 Governo  contenuta  nell'art.    30  della legge 30 dicembre 1991, n.
 413), "nella parte in cui  non  riconoscono  competenza  piena  nella
 assistenza  tecnica  dei  contribuenti  nel  processo  tributario  ai
 consulenti del lavoro iscritti nei rispettivi albi professionali".
   2.  -  In  via   preliminare   va   dichiarata   l'inammissibilita'
 dell'intervento  che  il  Consiglio  provinciale  dei  consulenti del
 lavoro  di  Roma   ha   spiegato   nella   qualita'   di   "portatore
 dell'interesse collettivo della categoria (dei consulenti del lavoro)
 e  rappresentante  necessario  della  categoria stessa". E' indubbio,
 infatti, che la funzione rappresentativa dei Consigli provinciali dei
 consulenti del lavoro, essendo limitata agli iscritti nei  rispettivi
 albi,  non  puo'  estendersi  alla  categoria professionale nella sua
 interezza.  Sicche',  ed   impregiudicata   restando   la   questione
 dell'ammissibilita' dell'intervento nel giudizio di costituzionalita'
 di  parti  non costituite nel giudizio a quo deve comunque escludersi
 in capo all'interveniente quella veste di ente  funzionalizzato  alla
 tutela  dell'interesse  della categoria professionale che, secondo la
 sua stessa prospettazione, ne dovrebbe legittimare l'intervento.
   3. - Nel merito la questione non e' fondata.
   3.1. - La non omogeneita' della categoria dei consulenti del lavoro
 rispetto  alle  categorie  professionali alle quali e' attribuita una
 generale abilitazione difensiva dinanzi alle  commissioni  tributarie
 esclude di per se' la violazione del principio di eguaglianza dedotta
 dalla Commissione rimettente.
   La  limitazione  della  abilitazione  difensiva  dei consulenti del
 lavoro alle materie concernenti le ritenute alla fonte sui redditi di
 lavoro dipendente ed assimilabili e  gli  obblighi  di  sostituto  di
 imposta  relativi  alle  ritenute  medesime  costituisce, infatti, il
 riflesso della competenza professionale  riconosciuta  ai  consulenti
 del  lavoro,  nella  materia  tributaria,  dalla  disciplina vigente.
 Competenza    circoscritta    agli    "adempimenti    previsti    per
 l'amministrazione del personale dipendente" e ad "ogni altra funzione
 che  sia affine, connessa e conseguente" a siffatti adempimenti (art.
 2 della legge 11 gennaio 1979, n. 12) e  percio'  diversa  da  quella
 generale  attribuita  nella stessa materia ai dottori commercialisti,
 ragionieri  e   periti   commerciali   dai   rispettivi   ordinamenti
 professionali (v. art. 1 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1067 e art. 1
 del d.P.R. 27 ottobre 1953, n. 1068).
   La  violazione  del  principio  di  eguaglianza  non  puo'  nemmeno
 ravvisarsi  con  riferimento   alla   attribuzione   di   una   piena
 abilitazione   difensiva  nel  giudizio  tributario  a  soggetti  non
 iscritti in  alcun  albo  professionale.    Si  tratta,  infatti,  di
 soggetti  (ritenuti  dal  legislatore)  in  possesso  di una generale
 competenza in materia tributaria, derivante da specifiche  esperienze
 professionali  o  da  un  determinato  titolo  di studio ovvero dalla
 combinazione di entrambi i suddetti requisiti e, dunque, di categorie
 non omogenee a quella dei consulenti del lavoro.
   Mentre, riguardo alle categorie  professionali  comparabili  con  i
 consulenti  del  lavoro, in quanto dotate di competenza professionale
 in materia tributaria  di  tipo  settoriale  (ingegneri,  architetti,
 geometri,  periti  edili,  dottori  in  agraria,  agronomi  e  periti
 agrari), la norma denunciata dispone una abilitazione  all'assistenza
 tecnica  dinanzi  alle  commissioni  tributarie  limitata  alla  loro
 specifica competenza professionale ed analoga, sotto tale aspetto,  a
 quella stabilita per i consulenti del lavoro.
   3.2.  - Non pertinente risulta, poi, il riferimento al parametro di
 cui all'art. 33, quinto comma, della Costituzione, che  prescrive  un
 esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio professionale.
   Nella  prospettazione  della  Commissione rimettente tale parametro
 viene, infatti, evocato al solo fine di confortare  la  tesi  di  una
 irragionevole  disparita' di trattamento tra i consulenti del lavoro,
 abilitati ad un patrocinio limitato, e coloro  che,  pur  non  avendo
 superato l'esame di Stato, godono dinanzi alle commissioni tributarie
 di piena capacita' difensiva.
   E' evidente, pertanto, che la censura va ricondotta alla violazione
 del  principio  di eguaglianza, di cui all'art. 3 della Costituzione.
 Censura, quest'ultima, gia' sottoposta ad esame e  della  quale  deve
 ribadirsi la non fondatezza.
   3.3.  - Le norme denunciate non possono infine ritenersi lesive dei
 parametri di cui agli artt. 4 e 35 della Costituzione,  i  quali  non
 comportano  una generale ed indistinta liberta' di svolgere qualsiasi
 attivita'  professionale,  rientrando  invece  nella  competenza  del
 legislatore   fissare   i   requisiti  di  preparazione  e  capacita'
 occorrenti  per  l'esercizio   professionale   nell'interesse   della
 collettivita' e dei committenti.
   La  scelta  del  legislatore di circoscrivere a determinate materie
 l'attivita' di assistenza tecnica che i consulenti del lavoro possono
 svolgere dinanzi alle commissioni tributarie - scelta  dettata,  come
 si  e'  visto,  dalla competenza professionale propria dei consulenti
 del lavoro - non  puo',  pertanto,  ritenersi  in  contrasto  con  la
 Costituzione  in  riferimento  ad  entrambi i parametri evocati dalla
 Commissione rimettente.