IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 2519 del 1998, proposto dalla Federazione nazionale trasporti pubblici locali, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dall'avvocato Paolo Tesauro ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi in Roma, largo Messico n. 7; Contro il Ministero del tesoro e la Direzione generale servizio secondo, in persona del legale rappresentante pro-tempore rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, via dei Portoghesi n. 12, Roma, nonche' contro la Banca d'Italia, in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Pier Luigi Lorenti e Vincenza Profeta dell'Avvocatura della stessa Banca; Per l'esecuzione della sentenza del 24 luglio 1997 n. 1747 e provvedimento di correzione dell'8 ottobre 1997, n. 2522, gravata dalla parte soccombente, con istanza respinta dal giudice dell'appello il 2 dicembre 1997, n. 2255; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Vista la memoria prodotta dalle ricorrenti; Visti gli atti della causa; Uditi, nella camera di consiglio del 21 maggio 1998 l'avv. Tesauro per la parte ricorrente e l'avv. Profeta per la Banca d'Italia; Udita la relazione del consigliere Linda Sandulli; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue: F a t t o La Federazione nazionale trasporti pubblici locali (ora Federtrasporti) chiede l'esecuzione della sentenza con la quale questa sezione, in accoglimento della richiesta avanzata dalla medesima Federazione, ha annullato il provvedimento del Ministero del tesoro di diniego di svincolo delle aziende consociate dal sistema di tesoreria unica. Avverso tale sentenza il Ministero del tesoro ha presentato appello avanti al Consiglio di Stato ed il relativo giudizio e' tuttora pendente mentre l'istanza cautelare, gia' esaminata, risulta respinta. Prima di proporre l'odierno ricorso la Federazione ha chiesto alla Banca d'Italia ed al Ministero del tesoro l'esecuzione della sentenza di merito, vale a dire lo svincolo dall'assoggettamento al sistema di tesoreria unica ed ha ottenuto soltanto una lettera di disponibilita' ad eseguire, da parte della prima, che ha pero' subordinato l'esecuzione alla previa formulazione di indicazioni da parte del Ministero del tesoro. Non e' pertanto riuscita a realizzare un risultato concreto. La conferma dell'esecutivita' della sentenza di primo grado, proveniente dal giudice di appello, sia pure limitatamente alla sede cautelare, a causa del rigetto dell'istanza di sospensione di essa presentata dal Ministero del tesoro, e le esigenze di riconoscere effettivita' alla sentenza esecutiva ed alla pronuncia cautelare, consentono, secondo la ricorrente, di richiedere i provvedimenti necessari ad una tutela effettiva, in particolare sia pure in via subordinata: l'ottemperanza alla decisione gia' assunta e, per il caso di ulteriore inerzia, la nomina di un commissario ad acta. Rileva a tale proposito che se e' pacifico che il giudice puo' ordinare l'esecuzione di un giudicato formatosi su una sentenza o di un'ordinanza adottata in sede cautelare, non puo' non ammettersi la possibilita' di un provvedimento giurisdizionale capace di assicurare ad una sentenza di merito, confermata almeno sotto il profilo del fumus boni juris dalla mancata concessione della sospensione cautelare da parte del giudice dell'appello, lo scopo perseguito con l'originaria impugnativa. Nel merito rileva che la tesoreria unica trova il suo presupposto normativo nella legge 720 del 1984, legge che e' stata ritenuta non applicabile alle aziende consociate dell'ATVO rispetto alle quali, pertanto, afferma che e' venuto meno qualunque titolo normativo legittimante. D i r i t t o Va dato atto della carenza di legittimazione passiva della Banca d'Italia che deve pertanto essere estromessa dal presente giudizio. Il collegio condivide, invero, l'argomentazione svolta dalla medesima sulla sua mancata autonomia decisionale nell'apertura e chiusura delle contabilita' speciali intestate agli enti pubblici che partecipano al sistema di "tesoreria unica". Secondo gli artt. 585 e seguenti del r.c.g.s. dalla stessa richiamati l'azione della Banca d'Italia, in casi quali quello di specie, e' subordinata alla previa autorizzazione del Ministero del tesoro sicche' la mancata autorizzazione da parte di quest'ultimo non consente di richiedere l'esecuzione della sentenza nei confronti di quest'ultima. La Federazione ha chiesto, con le formalita' dell'ordinario giudizio di cognizione, l'adozione di provvedimenti idonei ad assicurare l'esecuzione della sentenza di questo tribunale, sez. III, 24 luglio 1997, n. 1747, gravata di appello, tuttora pendente, mentre l'istanza di sospensione proposta dall'appellante e' stata respinta. La questione e' certamente estranea all'ambito del giudizio di ottemperanza, difettando il necessario presupposto dell'avvenuta formazione del giudicato formale tra le parti (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 23 marzo 1979, n. 12; id., 10 aprile 1980, n. 10), e quindi parte ricorrente invoca correttamente, a sostegno della propria domanda, l'art. 33 della legge 5 dicembre 1971, n. 1034, ai sensi del quale le sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive, richiamando altresi' la sentenza n. 190 del 28 giugno 1985 della Corte costituzionale e la giurisprudenza della Corte di giustizia CE. Ritiene il collegio che la questione non possa essere risolta alla luce del principio dell'effettivita' della tutela giurisdizionale espressamente enunciato nella citata sentenza della Corte costituzionale (artt. 24, 103 e 113 della Costituzione) in quanto si tratta di questione che presenta profili di maggiore complessita' dovendosi, al riguardo, valutare se, in ossequio a tale principio, esiste, nella vigente disciplina del processo amministrativo, un procedimento che consente di riconoscere quanto richiesto dalla parte ricorrente e cioe' l'esecuzione di un sentenza non passata in giudicato. La giurisprudenza amministrativa, in tema di esecuzione delle sentenze di primo grado gravate da appello, offre una risposta chiara sull'inesistenza di un procedimento di esecuzione capace di dare concretezza al principio di effettivita' della tutela giurisdizionale dopo una pronuncia di un giudice di primo grado. Tale giurisprudenza ha rilevato che l'esecuzione coattiva delle statuizioni giudiziali alle quali l'Amministrazione non ha inteso uniformarsi puo' realizzarsi solo mediante il giudizio di ottemperanza, disciplinato dall'art. 37, legge n. 1034 del 1971; art. 27, primo comma, n. 4, r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 e dagli artt. 90 e 91 del r.d. 17 agosto 1907, n. 642, che presuppone definito e concluso l'iter giudiziale con il passaggio in giudicato della sentenza, mentre nessun procedimento e' previsto per l'esecuzione di una statuizione giurisdizionale non dotata dell'autorita' di cosa giudicata. Pertanto il carattere esecutivo delle sentenze di primo grado, fissato dall'art. 33 della legge n. 1034 del 1971 e conseguente obbligo della stessa amministrazione di uniformarsi al comando impartito dal giudice di primo grado, non trovano possibilita' di diretta attuazione mediante la realizzazione in concreto, sia pure a titolo provvisorio, della pretesa del ricorrente riconosciuta fondata in primo grado, ritenendosi, di conseguenza, che l'esecutivita' e' limitata all'effetto cadutorio della pronuncia giurisdizionale e a quello preclusivo per l'amministrazione di adottare ulteriori provvedimenti che nell'atto annullato trovino fondamento e giustificazione ovvero provvedimenti contrari alle statuizioni contenute nella sentenza, con esclusione dell'effetto conformativo della successiva attivita' dell'amministrazione (Cons. Stato, sez. IV, 4 luglio 1990, n. 548; id., sez. VI, 12 marzo 1994, n. 332). Al di la' di questi limitati ed angusti confini non e' stata rinvenuta altra possibilita' di esecuzione, nel diritto positivo, sicche' ove l'amministrazione non intenda assumere le determinazioni necessarie per assicurare la realizzazione dell'interesse sostanziale per cui il ricorso e' stato proposto, l'art. 33 della legge prima citata, in quanto non assistito da alcuna regola processuale per la sua attuazione, non consente di assicurare il bene richiesto. Ne consegue che la domanda di esecuzione proposta dall'ATVO - alla luce delle considerazioni che precedono dovrebbe essere ritenuta inammissibile in quanto preordinata ad un risultato per il quale non esiste alcun procedimento all'interno del nostro ordinamento positivo. Prima di intervenire a tale risultato occorre pero' farsi carico della costituzionalita' o meno delle norme che impediscono il raggiungimento di tale risultato, soprattutto alla luce delle considerazioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 419, dell'8 settembre 1995, riguardante l'attuazione dei provvedimenti cautelari adottati dal giudice amministrativo. Dopo aver precisato che il principio di legalita' dell'azione amministrativa unitamente a quello di effettivita' della tutela giurisdizionale, "se da un lato affermano l'indipendenza dell'amministrazione dall'altro comportano esplicitamente l'assoggettamento dell'amministrazione medesima a tutti i vincoli posti dagli organi legittimati a creare diritto, fra i quali evidentemente, gli, organi giurisdizionali" il giudice delle leggi ha precisato che "una volta intervenuta una pronuncia giurisdizionale la quale riconosca come ingiustamente lesivo dell'interesse del cittadino un determinato comportamento dell'amministrazione, o che detti le misure cautelari ritenute opportune e strumentali all'effettivita' della tutela giurisdizionale, incombe sull'amministrazione l'obbligo di conformarsi ad essa; ed il contenuto di tale obbligo consiste appunto nell'attuazione di quel risultato pratico, tangibile, riconosciuto come giusto e necessario dal giudice". Ha affermato altresi', alla luce di un preciso criterio che deve assistere la funzione giurisdizionale come funzione caratterizzata da imprescindibile esigenza di credibilita' collegata al suo esercizio anche coattivo, che "la previsione di una fase di esecuzione coattiva delle decisioni di giustizia, in quanto connotato intrinseco ed essenziale della stessa funzione giurisdizionale, deve ritenersi costituzionalmente necessaria". Ora se il potere riconosciuto al giudice amministrativo con la sentenza surriferita riguarda la possibilita' di portare ad esecuzione le ordinanze cautelari adottate da quest'ultimo - a seguito di una sommaria delibazione - anche mediante la nomina di un commissario ad acta, non puo' non ritenersi necessario un, almeno pari, potere, in capo allo stesso giudice, nei riguardi di statuizioni contenute in una sentenza di merito, anche se non ancora passata in giudicato. Basta, a tale riguardo, porre mente al fatto che la sentenza costituisce un provvedimento giurisdizionale pronunciato a conclusione di una approfondita valutazione della questione sottoposta a giudizio e non una pronuncia adottata, come quelle proprie della fase cautelare, sulla base di una sommaria delibazione. E d'altro canto non riconoscere un potere di esecuzione delle sentenze del giudice amministrativo significa consentire un diverso trattamento di queste ultime rispetto alle pronunce del giudice ordinario, le quali se sono assistite da un giudizio di ottemperanza solo nel caso di un loro passaggio in giudicato sono pero' assoggettabili all'esecuzione forzata nelle forme stabilite dalla legge processuale civile. Una ulteriore disparita' di trattamento va ravvisata fra ricorrenti che abbiano fatto valere in giudizio un interesse di natura meramente oppositiva, per la cui realizzazione e' sufficiente l'efficacia demolitaria e ripristinatoria delle sentenze del giudice amministrativo di primo grado, non occorrendo al riguardo alcun ulteriore intervento dell'amministrazione o del giudice, e coloro i quali, essendo titolari di un interesse di tipo pretensivo, non possono ottenere effettiva tutela, in caso di inerzia dell'amministrazione soccombente, in mancanza di uno strumento processuale ad hoc. Il riconoscimento di un potere di esecuzione, e per suo tramite, della effettivita' della tutela giurisdizionale garantita dagli artt. 24 e 113 della Costituzione, serve del resto a salvaguardare quell'imprescindibile esigenza di credibilita' che deve assistere l'esercizio della funzione giurisdizionale, richiamata espressamente nella sentenza della Corte costituzionale n. 419 del 1995, prima citata, senza che da cio' derivi necessariamente un contestuale sacrificio del definitivo assetto degli interessi coinvolti, quale risultera' al momento della formazione del giudicato. Non va, infatti, dimenticato che la sentenza del giudice di primo grado, secondo l'espressa statuizione contenuta nel terzo comma dell'art. 33 della legge n. 1034 del 1971, puo' essere sospesa dal giudice dell'appello nel caso in cui dalla sua esecuzione possa derivare alla pubblica amministrazione, un danno grave ed irreparabile. Sicche' accertata l'assenza di tale possibile evento e' difficile comprendere le ragioni di un rinvio dell'esecuzione con sacrificio, certo dell'interesse riconosciuto come fondato e sussistente in sede giurisdizionale e perdita di quella imprescindibile esigenza di credibilita' della funzione giurisdizionale, prima riferita. Dalle argomentazioni svolte, riconosciuta la rilevanza, ai fini della decisione del ricorso, e la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale nei sensi prima espressi, in riferimento agli artt. 3, 24, 103 e 113 della Costituzione, deve, conseguentemente, disporsi la sospensione del presente giudizio e la remissione della citata questione all'esame della Corte costituzionale, ai sensi dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Tale questione va sollevata sia nei confronti dell'art. 33 della legge n. 1034 del 1971, che stabilisce l'esecutivita' delle sentenze dei tribunali amministrativi regionali e ne disciplina la possibile sospensione dell'efficacia, senza peraltro prevedere alcuno strumento processuale capace di rendere concreta la statuizione introdotta, sia nei confronti dell'art. 37 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 e dell'art. 27, primo comma, n. 4, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054, nella parte in cui limitano alle sentenze passate in giudicato la possibilita' di ricorsi diretti ad ottenere l'adempimento dell'obbligo dell'autorita' amministrativa di conformarsi alle decisioni giurisdizionali.