IL TRIBUNALE MILITARE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di Bobovicz Ciabak, meglio generalizzato in atti, imputato del reato militare di: "mancanza alla chiamata". Sulla questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, lett. c), d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, e 16, legge del 5 febbraio 1992, n. 91, sollevata d'ufficio dal tribunale militare di Torino all'udienza del 4 giugno 1998. O s s e r v a Nel presente procedimento al termine dell'istruzione dibattimentale il p.m. chiedeva l'assoluzione dell'imputato ai sensi dell'art. 530, comma 2 c.p.p., in quanto risulta insufficiente agli atti la prova della apolidia dell'imputato. La difesa si associa alla richiesta del p.m. Il tribunale constatato che lo status giuridico di "apolide" dell'imputato risulta comprovato dal certificato anagrafico rilasciato dal comune di Recetto (Novara), ritiene di dover sollevare d'ufficio questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1, lett. c), d.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237, e 16, legge 5 febbraio 1992, n. 91, con riferimento agli artt. 52 e 10 della Costituzione. Analoga questione, pero' solo in riferimento all'art. 52 della Costituzione fu sollevata dal t.m. di Padova con ordinanza 3 dicembre 1965, in quell'occasione la Corte aveva ritenuto di non accoglierla affermando che "... la prestazione del servizio militare ha una sua autonomia concettuale e istituzionale rispetto al dovere patriottico sancito dal primo comma dell'art. 52" (Corte costituzione n. 53/1967). Il t.m. di Torino pur condividendo le premesse esposte dalla Corte nella citata sentenza, e cioe' la distinzione del sacro dovere di difesa della Patria rispetto all'obbligo di prestazione del servizio militare, secondo le modalita' stabilite dalla legge, ritiene pero' che tale obbligo non possa ugualmente essere esteso a soggetti che non sono in possesso della cittadinanza italiana, lasciando alla discrezionalita' del legislatore la concreta individuazione dei destinatari alla leva. Infatti l'art. 52 della Costituzione stabilisce sia il dovere di difesa della Patria sia lo svolgimento del servizio militare per i cittadini. Dal momento che la Costituente ha voluto fare riferimento in entrambi i commi ai cittadini, non appare conforme al dettato costituzionale ritenere che la discrezionalita' del legislatore ordinario possa estendersi fino a ricomprendere tra i destinatari del servizio militare anche i non cittadini e quindi gli apolidi. Il termine "cittadino", presente in entrambi i commi dell'art. 52, sembra indurre, invece, a ritenere che ci sia una stretta e inscindibile connessione tra il possesso o l'acquisizione della cittadinanza italiana con lo status da esso derivante e il conseguente dovere di difesa della patria che si esplica anche con l'obbligatoria prestazione del servizio militare nelle forme di legge. La limitazione della prestazione del servizio militare si desume inoltre da una interpretazione sistematica della Corte costituzionale, la quale, quando vuole tutelare i diritti fondamentali (vedasi art. 2 della Costituzione) o comunque primari dell'individuo (artt. 19, 21, e 24 della Costituzione), estende la prestazione a tutti gli individui senza alcuna limitazione riservando ai soli cittadini la tutela di situazioni soggettive di notevole rilievo civile e giuridico, ma non ritenute dall'Assemblea Costituente di eguale fondamentale valenza (si pensi agli artt. 16, 17, 18 della Costituzione). Questa differenza di tutela e di ricomprensione dell'applicabilita' soggettiva delle singole norme costituzionali, che non puo' certo ritenersi casuale o frutto di una "svista" della Costituente, risalta ancor di piu' se si analizzano tra loro gli artt. 52 e 53. L'art. 53 prevede che "tutti" sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche. E' comune opinione dottrinale e giurisprudenziale che tale precetto si applichi ad ogni individuo, cittadino e non che percepisca un reddito in Italia. Il contributo alle spese pubbliche costituisce sotto questo profilo, il naturale "corrispettivo" per i vari servizi e le prestazioni che lo Stato fornisce e i cui benefici effetti si riverberano nei confronti di chiunque anche dei non cittadini. Differentemente l'Assemblea costituente aveva scelto di limitare ai soli cittadini il compito della difesa della patria e del servizio militare in quanto si tratta di prestazioni a carattere personale e non patrimoniale, e quindiassai piu' coercitive e pregnanti, che si giustificano solo con quel piu' stretto legame che si puo' avere con la propria patria e la propria nazione. Questa sembra essere la ragione giustificatrice che ha condotto i Padri della Repubblica a limitare il dovere di difesa della patria e l'assoggettabilita' al servizio militare per i soli cittadini. Infine occorre tenere presente che se il dovere di difendere la propria "patria" o Stato compete solo al cittadino, solo su costui puo' incombere il dovere di prestare il servizio militare, che nel nostro ordinamento costituzionale ha la precipua funzione di mantenere la liberta' e l'indipendenza del nostro Stato come si desume dall'art. 11 della Costituzione. Si deve quindi ritenere che l'art. 52 della Costituzione abbia tracciato un limite invalicabile al legislatore ordinario in sede di individuazione dei destinatari non solo del dovere di difesa, ma anche nel dovere di prestazione del servizio militare. La legislazione ordinaria, pero', prevede all'art. 1, lett. c), d.P.R. n. 237/l964, l'assoggettamento alla leva degli apolidi che abbiano stabilito la residenza in Italia. Tale disposizione e' stata ribadita dall'art. 16, legge n. 91/1992 che afferma che "l'apolide che risiede legalmente nel territorio della Repubblica e' soggetto alla legge italiana per quanto si riferisce all'esercizio dei diritti civili e all'obbligo del servizio militare". Il legislatore ordinario, evidentemente, ha ritenuto che l'attribuzione dei diritti civili consenta di equiparare gli apolidi ai cittadini anche sotto il profilo dell'assoggettamento al servizio militare. Il tribunale pero', in virtu' dei principi sopra esposti, ritiene che tali disposizioni di legge contrastino con la ratio contenuta nell'art. 52 della Costituzione che sembra riferirsi ai soli cittadini. Tale contrasto appare ancor piu' stridente se si considera il fatto che si discute della legittimita' di un provvedimento ablativo personale che e' quanto di piu' limitativo possa essere emesso nei confronti di una persona. La necessita' di accogliere canoni ermeneutici cosi' rigorosi si desume indirettamente anche dall'art. 51 della Costituzione. Infatti, il fatto che in tale norma la parificazione ai cittadini "degli italiani non appartenenti alla Repubblica" sia prevista solo per l'ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, e non per altri effetti, induce a ritenere come non corretto tale criterio di equiparazione estendendolo al campo delle posizioni sfavorevoli, sia per quanto riguarda gli italiani non appartenenti alla Repubblica sia per quanto riguarda piu' generalmente gli stranieri e gli apolidi. Per questi motivi il Collegio ritiene che entrambe le disposizioni sopra citate vengono a trovarsi in insanabile contrasto con l'art. 52 della Costituzione e pertanto solleva la relativa questione di legittimita'. Tali norme, inoltre, vengono a creare un insanabile contrasto con l'art. 10 della Costituzione il quale afferma che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute" la Costituzione in questo modo consente di adattare automaticamente l'ordinamento italiano alle consuetudini presenti nella maggioranza degli stati europei ed extraeuropei. In questo caso la prassi internazionale dominante, testimoniata da numerosi testi della letteratura internazionalista, induce a ritenere esistente, come ha gia' affermato e riconosciuto la stessa Corte con la sentenza n. 278/1992, una norma generale che vincola gli Stati a non assoggettare agli obblighi militari i non cittadini e quindi conseguentemente gli apolidi. Piu' esattamente per citare le parole dell'Alta Corte "in base alla conformazione dell'ordinamento giuridico italiano alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute e statuite dall'art. 10, primo comma della Costituzione, una normativa che continuasse a richiedere il sevizio militare ai non cittadini contrasterebbe la norma generale internazionale violando la Costituzione". Proprio partendo dall'analisi di tale pronuncia il Tribunale ritiene che le disposizioni di legge ordinarie di cui sopra vengano a trovarsi in insanabile contrasto con l'art. 10 della Costituzione. Entrambe le questioni proposte sono rilevanti, perche', se accolte, consentirebbero al Tribunale Militare di Torino di prosciogliere l'imputato dal reato contestatogli non sussistendo piu', a suo carico, alcun obbligo di presentazione in seguito alla avvenuta chiamata alle armi.