LA CORTE DI APPELLO Ha pronunziato la seguente ordinanza nel procedimento penale nei confronti di Mauro Pierluigi nato a Teor il 25 marzo 1944, Stramare Giacomo nato a Gallarate il 6 febbraio 1941, Stramare Vincenzo nato a Gallarate il 18 luglio 1936, imputati del delitto di cui agli artt. 319 e 321 c.p.; Rilevato: che l'art. 157 c.p. rapporta i termini di prescrizione al massimo della pena astrattamente prevista per ciascun reato, che il delitto per cui si procede e' punito nel massimo con la pena di 5 anni di reclusione cui corrisponde il termine di prescrizione di 10 anni, destinati a diventare 15 per effetto dell'interruzione; che per i reati puniti con pena inferiore ai 5 anni e' invece previsto un termine di prescrizione di 5 anni, destinati a diventare 7 anni e 6 mesi per effetto dell'interruzione; che l'art. 157, comma secondo, c.p., prevede un meccanismo di riduzione convenzionale di un giorno in caso di applicazione di circostanze attenuanti, che talune circostanze sono del tutto generiche o facoltative e non possono comunque essere fatte valere nella fase delle indagini sino alla celebrazione del giudizio; che, in caso di conferma della condanna, la gia' avvenuta concessione ex art. 62-bis c.p., delle attenuanti generiche, comporta la riduzione dei termini prescrizionali dai 15 anni a 7 anni e 6 mesi, gia' interamente decorsi; che, a fronte di una fattispecie di reato rimasta immutata nei suoi elementi oggettivi, il termine di prescrizione del reato de quo nella fase iniziale del processo era fissato in 10 anni, senza alcuna possibilita' di variazione se non in aumento dell'effetto dell'interruzione, mentre riduce nella fase terminale; che questa situazione contrasta con il principio di ragionevolezza secondo cui le valutazioni di merito del giudice presuppongono la procedibilita' e non possono costituire il presupposto per negare la stessa legittimita' della loro espressione; che non risulta che la Corte costituzionale abbia mai esaminato in passato la presente questione sotto il profilo che viene evidenziato, avendo esaminato con la sentenza n. 431/1990, con riferimento all'art. 425 c.p.p., solo le questioni relative alla non valutabilita' all'udienza preliminare ai fini della prescrizione delle questioni di merito sottese all'applicazione degli artt. 62-bis e 69 c.p., sentenza nella quale ha riconosciuto che l'intento di semplificazione presente nel nuovo codice e' disatteso dalle esigenze di accertamento nel merito che accompagnano la valutazione delle circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 69 c.p.; che con le sentenze n. 175/1971 e 202/1971 la Corte costituzionale affrontando la questione della rinunziabilita' dell'amnistia e della prescrizione aveva riconosciuto la rilevanza dell'arbitrarieta' delle cause estintive escludendo in quel caso per la prescrizione la rinunziabilita' nella considerazione che essa e' legata ad un evento, il decorso del tempo, sottratto ad ogni discrezionalita' (sent. n. 202/1971); che con la sentenza n. 275/1990 la Corte costituzionale, introducendo il principio della rinunziabilita' della prescrizione, ha affermato che essa si identifica "nella valutazione astratta del tempo necessario a prescrivere a seconda del tipo di reato" e, sia pure al diverso fine di consentirne la rinunciabilita', che "e' privo di ragionevolezza, rispetto a una situazione processuale improntata a discrescionalita', che quell'interesse a non piu' perseguire (sorto a causa di circostanze eterogenee e comunque non dominabili dalle parti) debba prevalere su quello dell'imputato, con la conseguenza di privarlo di un diritto fondamentale"; che e', dunque, necessario sottoporre all'attenzione della Corte se i principi incidentalmente affermati nelle citate sentenze rendano l'art. 157, comma secondo, c.p., compatibile con l'art. 112 della Costituzione al diverso fine di assicurare che la potesta' punitiva dello stato, dopo che si sia legittimamente esplicata, non sia vanificata con riferimento a quelle situazioni in cui si manifestano margini di discrezionalita' influenti sulla determinazione del termine di prescrizione. O s s e r v a L'istituto della prescrizione, che determina l'estinzione di un reato per effetto del decorso del tempo, e' ispirato al principio di civilta' giuridica secondo il quale non e' tollerabile che una accusa rimanga in piedi a lungo senza che si pervenga in un tempo ragionevole alla verifica della sua sussistenza. Essa e' improntata al massimo di automaticita' e si impernia su dati essenzialmente obiettivi per cui non dovrebbe esservi spazio per un esame caso per caso della personalita' del reo ne' di aspetti che attengono ad esigenze rieducative, alla cui valutazione sono destinati istituti diversi ed in particolare quelli disciplinati dal nuovo ordinamento penitenziario. La prescrizione e' destinata ad incidere su posizioni precostituite ed astrattamente disciplinate dal diritto penale sostanziale e ad essere regolata dai principi propri di questa branca del diritto, compreso quello relativo alla irretroattivita' della legge penale piu' sfavorevole. Allorche' invece si esamini la fattispecie penale con riferimento al caso concreto la questione sostanziale si trasforma in questione processuale e coinvolge il diverso principio del tempus regit actum, in quanto la norma processuale si distingue rispetto a quella penale perche' e' norma strumentale diretta ad ottenere la pronunzia nel merito, con la possibilita' di introduzione di tutta una serie di valutazioni che, per quanto sottoposte all'obbligo di motivazione, sono pur sempre discrezionali. E' in questa sede che, oltre all'accertamento del fatto, vengono compiute le valutazioni sulla personalita' dell'imputato ex artt. 62-bis e 69 c.p., che costituiscono valutazioni discrezionali integrative di quelle dirette alla determinazione della pena. L'ordinamento processuale penale prevede la estinzione del reato per prescrizione tra le cause di improcedibilita', la cui declaratoria e' obbligatoria in ogni stato o grado del processo, non appena ne vengano riconosciuti i presupposti di applicabilita' (art. 129 c.p.p.). Tale obbligo puo' essere vinto solo dalla esigenza di esame nel merito in contraddittorio tra le parti al fine del prevalente interesse al riconoscimento di una formula assolutoria nel merito con riguardo alla insussistenza del fatto, alla estraneita' dell'imputato, alla non previsione dello stesso come reato, all'esistenza di una causa di giustificazione (diritto alla prova sul merito della regiudicanda). Non sussiste sul piano processuale altra possibilita' di entrare nel merito del processo in presenza di una causa di estinzione del reato. Dunque, salvo possibilita' di un giudizio di merito diretto solo alla applicazione di una formula piu' favorevole ovvero di diversa qualificazione giuridica del fatto, i requisiti di applicabilita' della prescrizione devono essere identificabili in tutti i loro estremi nella fase predibattimentale ed a prescindere dell'esame del merito del processo. E difatti, in armonia con questo principio - ritenuto nella sentenza della Corte n. 431/1990 costituzionalmente legittimo - che nel momento in cui in sede di rinvio a giudizio vengono fissati i termini della regiudicanda, non e' prevista la possibilita' di compiere valutazioni in ordine alla concedibilita' delle attenuanti generiche ed al giudizio di valenza di cui all'art. 69 c.p. al fine di applicare la prescrizione (art. 425 c.p.p.). Cio' nonostante l'art. 157, comma secondo c.p., prevede che il giudice possa tener conto delle attenuanti generiche e compiere un giudizio di comparazione tra attenuanti ed aggravanti ai fini della determinazione del termine di prescrizione e le relative valutazioni presuppongono un esame del merito del processo. Sussiste, dunque, una comtraddizione nel sistema nella parte in cui attraverso il meccanismo di cui all'art. 157, comma secondo c.p., si preveda la possibilita' della applicazione della prescrizione non gia' a posizioni sostanziali astrattamente prefigurate, bensi' al giudizio che viene dato nei confronti del loro autore. I parametri costituzionali entro i quali dal punto di vista processuale l'istituto puo' trovare applicazione sono quello dell'obbligatorieta' dell'azione penale sancito dall'art. 112 della Costituzione e quello previsto dall'art. 6, comma primo, della Convezione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che subordina i tempi di celebrazione dei processi al principio di ragionevolezza, mitigando in tal modo il principio di obbligatorieta' dell'azione penale. Il principio sancito dal citato art. 6 afferma che la durata del processo deve essere rapportata alla convocazione in giudizio, il che rende chiaro che i termini di prescrizione devono essere indipendenti dalla soluzione del merito del processo e devono essere valutati in base alla sua complessita' da definire preventivamente ed oggettivamente al momento del rinvio a giudizio. Nell'attuale sistema processuale le norme concernenti la prescrizione dei reati vanno applicate - come si e' gia' posto in evidenza - non al reato come fattispecie criminosa astrattamente prevista dalla norma, ma al reato nella sua configurazione finale, come delineato ed accertato dai giudici di merito e cosi' come risultante a seguito della applicazione delle circostanze aggravanti ed attenuanti e del relativo giudizio di comparazione (Cass. sez. 6, sent. n. 15463 del 10 novembre 1989, ud. 29 aprile 1989). L'interpretazione giurisprudenziale consolidatasi e' probabilmente andata al di la' della volonta' del legislatore che introducendo le attenuanti generiche con l'art. 2 del d.l.l. 14 settembre 1944, n. 288, non aveva considerato tutte le implicazioni sistematiche che ne sarebbero potute conseguire, tant'e' che in alcuni primitivi commenti e originarie applicazioni ne fu categoricamente esclusa la rilevanza agli effetti della prescrizione (Vannini Ottorino, "In materia di circostanze attenuanti" in Rivista penale, 1945, pag. 481 tribunale di Roma sent. 8 febbraio 1958, in Riv. it. dir. proc. pen. 1958, 824 ss.). L'applicazione della prescrizione secondo i citati principi di rilievo costituzionale deve invece avere riguardo agli estremi oggettivi di configurazione dell'imputazione (anche se messa a fuoco nei suoi termini reali al termine del processo) e non alla valutazione che sulla figura dell'imputato si fa nella sede cognitiva del processo. A tale principio e' ispirata la restante disciplina dell'istituto della prescrizione, tant'e' che essa e' tendenzialmente destinata a regolare in modo conforme tutti i rapporti processuali relativi al medesimo reato (art. 161 c.p.). Ne consegue che per essere conformi ai principi richiamati i parametri temporali di applicazione della prescrizione devono essere necessariamente predeterminati, devono cioe' precedere e prescindere dalla valutazione delle condizioni personali dell'autore cui il reato sia stato addebitato, ed a tale fine devono essere predefiniti nel loro contenuto. Non risulta essere conforme a tali principi il disposto dell'art. 157, comma secondo c.p., nella parte in cui prevede che abbiano invece effetto ai fini della determinazione del termine della prescrizione circostanze soggettive assolutamente indeterminate e circostanze la cui applicazione sia facoltativa come la recidiva, non valutabili preventivamente ma solo all'esito del complessivo esame di tutto il merito del processo (in particolare quelle di cui all'art. 62-bis c.p., che non riguarda all'art. 133 c.p. possono far riferimento alla personalita' dell'imputato, al suo carattere, alla condotta di vita successiva al reato ed alle condizioni di vita individuale, familiare e sociale e quelle ex art. 69 che presuppongongo un giudizio comparativo di valenza tra aggravanti ed attenuanti riferito alla loro concreta esplicazione). Questi elementi, che rappresentano esercizio del potere discrezionale del giudice intimamente connesso a quello relativo alla determinazione della pena, sono estranei alla struttura del reato e, dunque, l'estensione ad essi operata surrettiziamente a mezzo degli artt. 62-bis e 69 c.p., del metodo di determinazione del termine prescrizionale presenta aspetti che collidono con l'interesse punitivo dello stato che e' stabilito dall'art. 112 Cost. e con il principio di ragionevolezza nella misura in cui incidono sul termine di prescrizione. Gli stessi argomenti valgono anche in relazione a qualsiasi altra circostanza non oggettiva, non preventivamente definibile nei suoi contenuti, facoltativa e solo eventualmente ritenuta dal giudice all'esito dell'esame del merito del processo. Per effetto del mecanismo consentito dall'art. 157, comma secondo c.p., la riconoscibilita' di fattori che incidono sulla prescrizione e' possibile solo al termine del processo nel momento di valutazione complessiva della condotta dell'autore del reato, sicche' ne consegue l'effetto perverso per cui, anche in presenza di accertata sussistenza del reato, l'attivita' giurisdizionale, pur correttamente esercitata in relazione ad un termine prescrizionale che si prefigurava oggettivamente di una determinata durata, puo' essere dichiarata a posteriori priva di effetto per il rilievo dato in una successiva fase di giudizio ad una circostanza che originariamente non sarebbe stato possibile prendere in considerazione o fu addirittura esclusa. Questa situazione contrasta con il principio di ragionevolezza secondo cui le valutazioni di merito del giudice presuppongono la procedibilita' e non possono costituire il presupposto per negare la stessa legittimita' della loro espressione. II. - L'art. 157, comma secondo c.p., stabilisce che la prescrizione va applicata al reato nella sua configurazione finale tenendo conto delle attenuanti generiche nella misura della riduzione minima di un giorno. Da tale meccanismo deriva una ulteriore valutazione di irragionevolezza, dal momento che per definizione le attenuanti generiche sono riferibili ad una prospettazione di assenza di gravita' concreta del reato e dunque alla esigenza di riduzione della soglia minima e non di quella massima della pena. Dunque il meccanismo previsto non risponde alla realta' pratica, rimanendo per definizione il termine di riferimento della entita' della pena nel massimo, previsto come parametro di riferimento dall'art. 157 c.p., sempre identico a se stesso e non destinato a mutare pur nel caso di concessione di attenuanti. III. - I meccanismi regolatori della applicazione della prescrizione devono essere ispirati alla ragionevolezza anche sotto il profilo che essi non devono essere strutturati in modo da influire negativamente sul mantenimento di un livello minimo di efficienza dell'amministrazione della giustizia. L'art. 6, comma primo, della Convenzione impone di modellare il sistema processuale alla esigenza di celebrazione dei processi in tempi ragionevoli. Ne consegue l'esigenza di una strategia organizzativa complessiva intesa a ridurre i tempi di celebrazione dei processi mediante la eliminazione di tutti gli adempimenti processuali non assolutamente necessari per la preservazione dei principi di correttezza costituzionale del processo, la eliminazione di occasioni di spreco di attivita' giurisdizionale vanificabile a posteriori e la concentrazione delle energie complessive dell'organizzazione giudiziaria alla celebrazione di processi destinati a sfociare in un provvedimento che abbia la possibilita' di dare una soluzione, quale esso sia, alla situazione sostanziale esaminata. Il meccanismo previsto dall'art. 157, comma secondo, nella misura in cui e' riferibile alle attenuanti generiche ed al giudizio di valenza di cui all'art. 69, consente di vanificare l'attivita' giudiziaria precedentemente svolta e, quindi, di accumulare uno spreco di impegno giudiziario che e' destinato a diventare tanto maggiore quanto piu' si manifesti l'opportunita' di applicazione di meccanismi di mitigazione della asprezza della pena riferita al caso concreto, obiettivo che, se ritenuto rilevante, deve essere perseguito secondo meccanismi piu' ragionevoli. In un sistema giudiziario gia' gravato da notevoli ritardi nella celebrazione dei processi - evidenziati dai numerosi richiami da parte delle istituzioni comunitarie europee - tutti i meccanismi destinati ad incidere negativamente sulla celebrazione dei processi in tempi rapidi devono essere necessariamente eliminati, per restituire possibilita' di impiego proficuo delle risorse giudiziarie. Il solo fatto che gli organismi europei abbiano ripetutamente richiamato il nostro paese al rispetto di tempi ragionevoli nella celebrazione dei processi costituisce la dimostrazione della irragionevolezza e, dunque, della incostituzionalita' del meccanismo che si intende censurare. Tale censura coinvolge indirettamente la struttura stessa dell'art. 157 c.p., non piu' adeguata alla esigenza - irrinunciabile in una societa' profondamente diversa rispetto a quella del legislatore del 1930 - di accertamento in tempi rapidi delle situazioni giuridiche, dal momento che, per effetto dello sbarramento della prescrizione complessivamente calcolata, sono molteplici le possibilita' di attivita' giudiziaria destinata a posteriori ad essere dichiarata improduttiva, mentre sarebbe piu' proficuo un sistema che prevedesse degli sbarramenti temporali adeguati a ciascuna fase di giudizio, in modo analogo alla disciplina gia' positivamente sperimentata in materia di carcerazione preventiva.