IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 742/1994, proposto da Minonne Salvatore, rappresentato e difeso dagli avv.ti V. Romeo, poi G. Carbone, e quindi G. Spata e F. Guariglia, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato in Lecce, v. S. Trinchese n. 87; Contro la U.S.L. LE/12, non costituita, per l'accertamento della illegittimita' del silenzio rifiuto formatosi sulla istanza diffida notificata il 22 novembre 1993 e per l'accertamento della costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato tra il ricorrente e l'intimata U.S.L. a decorrere dal 1 agosto 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991 o comunque dall'entrata in vigore dell'art. 4-bis della legge n. 236/1993; in via ulteriormente gradata per l'accertamento del diritto a percepire le differenze tra le retribuzioni erogate e quelle spettanti in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro svolto; il tutto con rivalutazione e interessi; Visto il ricorso con i relativi allegati; Viste le memorie prodotte dalla parte ricorrente a sostegno della rispettiva difesa; Visti gli atti tutti della causa; Udito alla pubblica udienza del 25 marzo 1998 il giudice relatore dott. Gerardo Mastrandrea; Udito altresi' l'avv. G. Spata per il ricorrente; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o Il ricorrente afferma di aver prestato servizio presso la U.S.L. LE/12 in base alla convenzione stipulata il 21 dicembre 1988, valida dal 1 gennaio 1988 al 31 dicembre 1988, rinnovata di anno in anno tacitamente, in mancanza di formale disdetta. Tale attivita' e' stata prestata dal 1 gennaio 1988 al 31 dicembre 1990 come ausiliario socio-sanitario nel servizio di integrazione scolastica degli handicappati; dal 1 gennaio 1991 presso l'ufficio ragioneria della U.S.L. con mansioni di addetto al computer, per la gestione e l'immagazzinamento dei dati relativi alle fatture per le forniture ed alle delibere di liquidazione. In data 22 novembre 1993 ha diffidato la U.S.L. ad inquadrarlo come impiegato a tempo indeterminato, con la qualifica ed il trattamento economico spettanti in base ai compiti svolti, a decorrere dal 1 gennaio 1988 o comunque dal 1 gennaio 1991, ed a corrispondergli le connesse differenze retributive, oltre a rivalutazione ed interessi. Propone ricorso per l'accertamento della illegittimita' del silenzio-rifiuto formatosi sulla diffida notificata il 22 novembre 1993 e per l'accertamento della costituzione di un rapporto di pubblico impiego a tempo indeterminato con la U.S.L. LE/12 a decorrere dal 1 gennaio 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991 o comunque dall'entrata in vigore dell'art. 4-bis della legge n. 236/1993; in via ulteriormente gradata per l'accertamento del diritto a percepire le differenze tra le retribuzioni erogate e quelle spettanti in relazione alla quantita' e qualita' del lavoro svolto; il tutto con rivalutazione e interessi. Deduce i seguenti motivi: 1. - Violazione artt. 4 e 36 della Costituzione. Nella specie sussisterebbero tutti gli elementi che rivelano l'esistenza di un rapporto di pubblico impiego; alla costituzione di questo non ostano la mancanza di un atto formale di nomina e l'apposizione di un termine alla convenzione. 2. - Violazione art. 4-bis, legge n. 236/1993. Il ricorrente ha prestato servizio presso la U.S.L. LE/12 con mansioni di ausiliario socio-sanitario ed addetto al computer, per le quali non e' richiesto un titolo di studio superiore a quello di scuola secondaria. In relazione alle vacanze esistenti, sia nell'una che nell'altra qualifica, l'amministrazione avrebbe dovuto trasformare il rapporto a tempo determinato in rapporto a tempo indeterminato. 3. - Eccesso di potere per difetto assoluto di motivazione. Il comportamento dell'amministrazione, che utilizza il ricorrente come impiegato a tempo indeterminato senza inquadrarlo come tale e senza corrispondergli la retribuzione dovuta in relazione ai compiti svolti, sarebbe viziato da eccesso di potere. Conclude per l'accoglimento del gravame. La U.S.L. intimata non si e' costituita in giudizio. Con sentenza interlocutoria n. 198/1996 sono stati disposti incombenti istruttori, relativamente ai compiti svolti dal ricorrente a partire dal 1 gennaio 1988 fino all'8 febbraio 1994. L'amministrazione onerata ha provveduto. Con sentenza parziale n. 870/1996 questo tribunale ha poi dichiarato inammissibile il ricorso in epigrafe quanto alla pretesa relativa all'accertamento della costituzione di un rapporto impiegatizio a tempo indeterminato a decorrere dal 1 gennaio 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991, e lo ha rigettato quanto al silenzio rifiuto. Mentre in ordine all'accertamento del diritto ad ottenere le differenze retributive in considerazione delle mansioni svolte ha disposto l'acquisizione di elementi istruttori circa la sussistenza, dal 25 gennaio 1991 alla data di proposizione del ricorso, di un posto vacante di coadiutore amministrativo nell'organico del Servizio economico-finanziario della U.S.L. LE/12. Anche in questo caso l'Azienda sanitaria onerata ha provveduto, inviando un'attestazione da cui risulta che in pianta organica per il Servizio interessato (economico-finanziario) non e' mai esistito un posto vacante di coadiutore amministrativo, a differenza peraltro di altri servizi, come quello di amministrazione del personale (ove un simile posto e' vacante dal 1 ottobre 1991). Il ricorrente ha depositato varie memorie, tra cui da ultimo una memoria conclusiva in data 21 marzo 1998. Alla pubblica udienza del 25 marzo 1998 la causa e' stata trattenuta per la decisione. D i r i t t o Occorre premettere che l'ambito decisorio della presente pronuncia deve intendersi necessariamente limitato alle parti del ricorso che non sono state definite con la sentenza parziale n. 870/1996. Con tale pronuncia questo tribunale ha dichiarato inammissibile il ricorso in epigrafe quanto alla pretesa relativa all'accertamento della costituzione di un rapporto impiegatizio a tempo indeterminato a decorrere dal 1 gennaio 1988 o, in subordine, dal 1 gennaio 1991, e lo ha rigettato quanto al silenzio rifiuto. Mentre, in ordine all'accertamento del diritto ad ottenere le differenze retributive in considerazione delle mansioni svolte, ha disposto l'acquisizione di elementi istruttori circa la sussistenza, dal 25 gennaio 1991 alla data di proposizione del ricorso, di un posto vacante di coadiutore amministrativo nell'organico del servizio economico-finanziario della U.S.L. LE/12. Cio' premesso, rileva il collegio che il giudizio sul ricorso in esame deve essere sospeso con trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. L'azione di accertamento esperita dal ricorrente Minonne e' volta ad ottenere, previa qualificazione del rapporto come pubblico impiego, il riconoscimento del proprio diritto alle differenze retributive, oltre interessi e rivalutazione, nonche' alla regolarizzazione del rapporto sotto il profilo contributivo e previdenziale. A seguito della acquisizione degli atti, in esecuzione della citata sentenza parziale n. 870/1996, e' emerso, in disparte ogni altra considerazione in ordine alla sussistenza dei cosi' detti indici rivelatori (di cui all'acquisizione di elementi disposta con l'interlocutoria n. 198/1986, che non e' mai esistito un posto vacante di coadiutore amministrativo nella pianta organica del servizio di appartenenza (economico-finanziario) della disciolta U.S.L. LE/12 di Tricase, confluita nell'attuale A.U.S.L. LE/2 (cfr. nota A.U.S.L. LE/2 n. 250 del 10 gennaio 1997). Orbene ritiene il Collegio che l'assenza di tale presupposto precluda l'applicabilita' della norma di cui all'art. 2126 c.c., atteso che la previsione e vacanza del posto in pianta organica deve riguardarsi alla stregua di necessario presupposto, con priorita' logica rispetto alla verifica degli indici rivelatori del rapporto di lavoro subordinato solitamente considerati, che comunque per il triennio interessato sembrano ricorrere nel caso di specie. Occorre premettere che la norma di cui al secondo comma dell'art. 2126 c.c. non sembra applicabile alla fattispecie in esame; tale norma sancisce come e' noto il diritto del prestatore di lavoro alla retribuzione se il lavoro e' stato prestato con violazione di norme poste a tutela del lavoratore. Ed invero nel caso in esame il lavoro risulterebbe prestato in violazione di norme diverse, poste a tutela dell'interesse della p.a. e dell'interesse generale della collettivita', tale essendo la ratio delle norme che prevedono l'assunzione nel pubblico impiego esclusivamente mediante concorso, sanzionando di nullita' assoluta (in senso proprio) gli atti di costituzione di un rapporto di pubblico impiego in assenza di pubblico concorso (fatte salve le deroghe espressamente previste dalla legge). Come autorevolmente rilevato dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, deve escludersi che la violazione delle norme che prevedono il divieto di assunzioni possa integrare illiceita' dell'oggetto o della causa, nei termini e nei limiti ivi precisati (Cons. Stato, A.P., 29 febbraio 1992, n. 2). Conseguentemente la norma a cui occorre fare riferimento e' esclusivamente quella di cui al comma primo del citato art. 2126 c.c.; tale norma prevede che la nullita' o l'annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione. Ad avviso del collegio la norma appena citata null'altro costituisce se non una specificazione del generale principio dell'arricchimento senza causa di cui all'art. 2041 c.c. (con un elemento tuttavia specializzante, che verra' di seguito evidenziato); ove infatti la norma di cui all'art. 2126, comma 1, non esistesse, ugualmente risulterebbe attribuita tutela al prestatore di lavoro ai sensi dell'art. 2041 c.c., che prevede in via residuale l'azione generale di indebito arricchimento (in questo caso tuttavia con onere della prova dell'utilitas a carico del ricorrente). La norma di cui all'art. 2126, comma 1, trova infatti la sua evidente ratio non gia' nella astratta esigenza di fare salvi gli effetti medio tempore prodotti in esecuzione del contratto di lavoro nullo, bensi' nell'esigenza di salvaguardare il sinallagma prestazione-controprestazione, realilzzando contemporaneamente e in termini di complementarieta', da un lato, la tutela del lavoratore, dall'altro l'esclusione dell'ingiustificato arricchimento da parte del datore di lavoro. L'elemento specializzante dell'art. 2126 rispetto alla norma di cui all'art. 2041 e' costituito dalla presunzione assoluta di utilitas della prestazione per il datore di lavoro; da quanto sopra discende l'esonero del ricorrente dal relativo onere della prova. La presunzione iuris et de iure di utilita' economica della prestazione di lavoro resa dal lavoratore trova applicazione, qualora il datore di lavoro sia una pubblica amministrazione, vista l'esigenza, tutelata a piu livelli, di programmazione del fabbisogno di personale e di correlativa puntuale previsione delle risorse umane, sempre ai soli fini dell'applicazione dell'art. 2126, solo in caso di attivita' prestata su un posto previsto nella pianta organica, vacante e disponibile. Tale circostanza dunque, contrariamente all'orientamento giurisprudenziale prevalentemente seguito, peraltro finora anche da questo tribunale, deve considerarsi necessario e imprescindibile presupposto per l'applicazione dell'art. 2126 c.c. Occorre infatti considerare che l'indebito arricchimento della p.a. (che e' presunto in via assoluta ex art. 2126 c.c.) in danno del dipendente, a differenza di quanto accade in caso di datore di lavoro privato, deve necessariamente raggiungere un adeguato livello di rilevanza giuridico-formale. Tale arricchimento ingiustificato per la p.a., sempre ai limitati fini dell'applicazione dell'art. 2126 c.c., non puo' che consistere, infatti, nella fruizione di determinate prestazioni lavorative, riferibili qualitativamente e quantitativamente ad una determinata qualifica funzionale, retribuita o con un trattamento economico previsto per un dipendente di qualifica inferiore (come accade in tema di retribuzione differenziale per lo svolgimento di mansioni superiori) ovvero con un corrispettivo di fonte convenzionale, comunque inferiore al parametro economico costituito astrattamente dalla qualifica di riferimento delle mansioni svolte (come accade per il caso della domanda di accertamento della qualificabilita' di un rapporto precario come rapporto di pubblico impiego). Occorre infatti considerare che, per poter fruire di una siffatta prestazione lavorativa, la p.a., dovrebbe poter coprire il posto vacante (e ovviamente previsto nella pianta organica) mediante una regolare assunzione (concorso, mobilita', ecc.), con la conseguenza di dover corrispondere al dipendente in tal modo assunto un trattamento economico corrispondente alla qualifica di riferimento; l'assenza di previsione e/o vacanza del posto nella pianta organica, per quanto sopra evidenziato, precluderebbe alla p.a. ogni possibilita' di ricorrere ad una regolare assunzione. Conseguentemente nessuna utilita' in termini economici e nessun indebito arricchimento possono presumersi, ex art. 2126, derivare alla p.a. dall'espletamento di mansioni superiori o di attivita' da parte di personale in rapporto di incarico convenzionale, per il caso in cui il posto non risulti previsto nella pianta organica ovvero per il caso in cui lo stesso non risulti vacante. In realta', la ratio di fondo che giustifica la retribuibilita' delle mansioni superiori non e' dissimile da quella posta a giustificazione della retribuzione secondo il parametro dei contratti collettivi di un rapporto di incarico o a convenzione: in un caso e nell'altro si e' in presenza di una rivendicazione da parte del prestatore di lavoro, rivendicazione che presuppone che lo stesso abbia sostanzialmente, e anche in via di mero fatto, ricoperto uno specifico posto della pianta organica, vacante e disponibile. Diversamente opinando non appare giustificato, ne' conforme al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost., il ritenere inapplicabili le norme di cui agli artt. 36 Cost. e 2126 c.c. per il caso del dipendente che abbia svolto mansioni superiori in assenza della previsione o della vacanza dello specifico posto e, per contro, il ritenere tali norme applicabili nei confronti di un soggetto che, sempre in assenza di previsione e di vacanza del posto, abbia prestato una attivita' in favore della p.a. in virtu' di atti deliberativi di incarico; in un caso o nell'altro infatti la retribuzione differenziale presuppone l'accertamento della copertura in via di fatto di un posto vacante nella pianta organica. E' noto infatti che l'esigenza del perseguimento dell'interesse generale e dei fini istituzionali da parte dell'Ente pubblico condiziona l'intera organizzazione delle risorse umane e delle energie lavorative (cfr. da ultimo anche l'art. 5 del d.lgs. n. 80/1998 di modifica dell'art. 6 del d.lgs. n. 29/1993). La pianta organica costituisce peraltro un evidente limite anche per l'amministrazione, in considerazione dell'esigenza di garantire l'osservanza dei principi di cui all'art. 97 Cost. e una corretta gestione delle risorse finanziarie. Conseguentemente risulta precluso all'Amministrazione di costituire rapporti impiegatizi su posti non previsti e vacanti in pianta organica. Le esigenze che non risultino tradotte in una previsione di pianta organica risultano pertanto entita' non immediatamente e presuntivamente apprezzabili in termini economico-patrimoniali per l'Amministrazione, salvo prova contraria, nei termini di seguito indicati (art. 2041 c.c.). Se la previsione e la vacanza dello specifico posto costituisce necessario presupposto per la retribuibilita' delle asserite mansioni superiori espletate (Cons. Stato, A.P., 2/91; C. cost. n. 101/1995; t.a.r. Marche, n. 553/1996; t.a.r. Lecce II, n. 46/1997), cosi', anche in relazione all'asserita qualificabilita' di un rapporto ad incarico come rapporto di pubblico impiego, tale elemento deve necessariamente costituire altrettanto imprescindibile presupposto per l'attribuzione di retribuzione differenziale rispetto al corrispettivo fissato nell'atto di incarico o nella convenzione, atteso che in un caso come nell'altro la previsione e la vacanza del posto condizionano in concreto la qualificabilita' della fattispecie come ipotesi di arricchimento ingiustificato presunto (ex art. 2126 c.c.). Deve pertanto ritenersi che l'assenza della previsione e/o della vacanza del posto costituisca circostanza idonea e sufficiente ad escludere l'applicabilita' alla fattispecie della previsione di cui all'art. 2126, comma 1. Cio' non vuol dire che in tal caso il prestatore d'opera resti privo di tutela giurisdizionale, per quanto di seguito si dira'. Preme qui sottolineare ancora una volta che l'assenza di previsione e/o vacanza del posto non viene in rilievo ai fini della sussistenza o meno di un rapporto di un pubblico impiego (ancorche' costituito con atti sanzionati di nullita') ovvero di un obiettivo ingiustificato arricchimento della p.a., bensi' solo ai fini del ritenere applicabile o meno la norma di cui all'art. 2126 c.c., tenuto conto che l'evidente agevolazione del ricorrente sul piano dell'onere della prova trova fondamento in una presunzione assoluta dell'utilitas della prestazione per il datore di lavoro, presunzione configurabile anche nei confronti della p.a., ma solo nel caso di previsione e vacanza del posto e fatta salva l'ipotesi dell'espresso riconoscimento di tale utilitas da parte della p.a. Ai sensi dell'art. 1414 c.c., il contratto simulato non produce effetto tra le parti e, se le parti hanno voluto concludere un contratto diverso da quello apparente, ha effetto tra esse il contratto dissimulato, purche' ne sussistano i requisiti di sostanza e di forma. Cio' premesso, come gia' sopra anticipato, non puo' ritenersi che, secondo la tesi interpretativa adottata dal collegio, il prestatore di lavoro, privato in tal modo di tutela giurisdizionale ex art. 2126, comma 1, in relazione al rapporto dissimulato, resti anche privo di azione con riferimento al rapporto apparente per effetto del citato art. 1414, comma 1, c.c. Occorre infatti considerare che spetta al giudice il compito di qualificare la fattispecie sul piano giuridico; conseguentemente: 1) se, in presenza dei presupposti di legge, tra cui vacanza del posto e degli indici rivelatori, il rapporto sara' qualificato come rapporto di pubblico impiego, cio' stesso comprovera' che il contratto o rapporto apparente e' simulato, trovando di conseguenza applicazione l'art. 2126, comma 1, e l'art. 1414, comma 1; 2) se viceversa, in difetto delle necessarie condizioni, la norma di cui all'art. 2126 non possa applicarsi (ad esempio per difetto del presupposto della previsione e/o vacanza del posto corrispondente nella pianta organica), delle due l'una: a) o deve ritenersi esclusa la simulazione, essendo evidente in tal caso che non sono ravvisabili un rapporto apparente convenzionale ed un rapporto dissimulato di pubblico impiego, sussistendo viceversa unicamente il rapporto convenzionale, da ritenersi quindi non apparente, bensi' reale e ed effettivo sotto ogni profilo (quando dunque il rapporto si sia concretamente articolato in conformita' delle previsioni convenzionali, riconducibili oggettivamente nell'ambito applicativo di cui all'art. 2222 c.c.), avendo in tal caso il lavoratore, a disposizione ovviamente le azioni nascenti dal contratto; b) ovvero, ricorrendo comunque la simulazione (essendosi il rapporto concretamente articolato secondo il modello del rapporto di lavoro subordinato), deve ritenersi che il contratto dissimulato abbia effetto tra le parti, ove ricorrano i necessari requisiti di forma e di sostanza, e che il lavoratore, esclusa l'applicabilita' dell'art. 2126 per difetto del presupposto della vacanza del posto, riceva tutela giurisdizionale ai sensi dell'art. 2041 c.c. Nell'ipotesi di cui sub 2 a) (assimilabile all'ipotesi di accertata insussistenza in fatto degli indici rilevatori della subordinazione), in particolare quando il rapporto si sia concretamente articolato secondo le modalita' e le previsioni contenute nella convenzione, il prestatore di lavoro avra' a sua disposizione l'azione nascente dalla convenzione-contratto, da esercitarsi davanti al giudice ordinario. In tal caso il prestatore, oltre all'azione nascente dal contratto, avra' a disposizione in via residuale l'azione generale di cui all'art. 2041 c.c., da esercitarsi sempre davanti al giudice ordinario (in caso ad esempio di decadenza dall'azione contrattuale, mancanza dei necessari requisiti formali, nullita', annullamento del contratto). Nell'ipotesi di cui sub 2 b), viceversa, sempre nella ritenuta assenza o mancata vacanza del posto in pianta organica, il lavoratore potra' agire, davanti al giudice amministrativo, nei confronti della p.a., avvalendosi della generale e residuale azione ai sensi dell'art. 2041 c.c. L'azione ai sensi dell'art. 2041, con conseguente onere della prova dell'utilitas della prestazione a carico del ricorrente, va comunque riconosciuta ad esempio qualora il rapporto siasi in concreto articolato in termini differenti rispetto alle previsioni contrattuali (prova di simulazione), concernendo ad esempio l'esecuzione di prestazioni ulteriori e non previste convenzionalmente, secondo il modello del rapporto di lavoro subordinato. In tale ipotesi, in presenza degli indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego, da valutarsi ex ante ed in relazione al petitum, resta per cio' stessa radicata la giurisdizione del g.a.; non potendo tuttavia applicarsi, in difetto della vacanza del posto o dell'esplicito riconoscimento dell'utilitas, l'art. 2126, il ricorrente ha l'onere di fornire prova della utilita' economica della prestazione per la p.a., avvalendosi di tutti i mezzi di prova a sua disposizione (anche in relazione a quanto statuito da C. cost. n. 146/1987 e all'orientamento consolidato in tema di riconoscimento implicito dell'utilita'). Siffatto onere probatorio risulta peraltro temperato dalla possibilita', prevista unicamente per il giudizio davanti al giudice ordinario, di chiedere e di ottenere una pronuncia secondo equita', atteso il tenore da un lato dell'art. 113 c.p.c. e dall'altro del combinato disposto di cui agli artt. 112 e 432 c.p.c. Tale ultima disposizione prevede, infatti, espressamente (e indipendentemente da una richiesta di parte in tal senso) che nelle controversie di lavoro rientranti nella competenza del giudice del lavoro ai sensi dell'art. 409 c.p.c, quando sia certo il diritto ma non sia possibile determinare la somma dovuta, la valutazione delle prestazioni rese dal lavoratore venga liquidata dal giudice con valutazione equitativa (cfr. anche art. 1226 c.c.). Orbene il ricorso da parte della giurisprudenza amministrativa, nei casi di applicazione dell'art. 2126 c.c., ai parametri retributivi previsti dalla contrattazione collettiva per il dipendente di ruolo con mansioni similari ha costituito un escamotage, o comunque un surrogato del potere di liquidazione equitativa della prestazione, attribuito al solo giudice ordinario (atteso che il riferimento ai parametri retributivi fissati dai CC.CC.NN.LL. per i dipendenti di ruolo appare praticabile solo per l'ipotesi di copertura di fatto di un posto vacante e disponibile). La possibilita' comunque di ottenere una liquidazione equitativa attenua, come gia' evidenziato, l'onere della prova che incombe sull'attore ex art. 2041 c.c., potendosi agevolmente ravvisare in cio', alla stregua della previsione specifica per le controversie di lavoro di cui all'art. 432 c.p.c., un evidente favor per il prestatore di lavoro, in perfetto parallelo con quello per altro verso assicurato dall'art. 2126 c.c. Correlativamente si puo' ritenere che la posizione di favor per il prestatore di lavoro, che trae fondamento dai principi sanciti nella Carta costituzionale, risulti comunque garantita anche per l'ipotesi di azione ex art. 2041, ove esercitata dal lavoratore; la liquidazione equitativa, anche d'ufficio, esclude infatti complicazioni probatorie sull'utilitas, abbastanza ardue in taluni casi (investendo valutazioni gestionali difficilmente apprezzabili dall'attore). Conclusivamente deve ritenersi che come le azioni ai sensi dell'art. 2041 c.c. proposte dal prestatore d'opera, ai sensi dell'art. 409, comma 3, c.p.c., rientrano nella competenza del giudice del lavoro, cosi' analogamente l'azione ex art. 2041 c.c. proposta dal prestatore nei confronti della p.a. non puo' che rientrare nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo qualora nel rapporto e alla luce della domanda siano ravvisabili gli indici rivelatori del rapporto di pubblico impiego. Considerato che, ove manchi il presupposto della previsione e della vacanza del posto in p.o., non puo' trovare applicazione, pure in presenza degli indici rivelatori, l'art. 2126 c.c. e tenuto conto che in tal caso non puo' assumersi a parametro retributivo di riferimento il trattamento economico previsto per i dipendenti di ruolo della contrattazione collettiva (anche in relazione alla correlazione della retribuzione non solo alla oggettivita' della prestazione resa, ma anche alle condizioni soggettive e qualitative del prestatore), appare discriminatorio il ritenere non applicabile da parte del g.a. la norma di cui all'art. 432 c.p.c. Tale norma infatti, in quanto facente parte del rito speciale del lavoro innanzi al g.o., non sembra immediatamente applicabile nel giudizio in tema di pubblico impiego dinanzi al giudice amministrativo. Tale omessa previsione appare in contrasto con l'art. 3 Cost., differenziando sul piano della tutela giurisdizionale situazioni sostanzialmente identiche; nonche' in contrasto con l'art. 36 Cost. nella parte in cui, esclusa per l'assenza della vacanza del posto l'applicabilita' dell'art. 2126 e, conseguentemente, la possibilita' del riferimento ai parametri retributivi della contrattazione collettiva, preclude al lavoratore una liquidazione secondo equita' che risulti comunque conforme ai principi fissati nella citata norma della Carta costituzionale; nonche' infine in contrasto con l'art. 113 Cost., in quanto tale omessa previsione limita la tutela giurisdizionale del diritto soggettivo alla giusta retribuzione, qualora, non trovando applicazione i parametri della contrattazione collettiva, il ricorrente non sia in grado di provare anche il quantum. La questione di costituzionalita', come sopra esposta, appare non manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere. Non essendo applicabile, per quanto sopra evidenziato, l'art. 2126 c.c. e sembrando ricorrere gli indici rivelatori della subordinazione per il periodo triennale interessato, nel caso di specie non appare possibile definire la controversia se non previa definizione della questione di costituzionalita' nei termini sopra esposti. Riservata ogni altra decisione, il giudizio va pertanto immediatamente sospeso, in attesa della decisione della Corte costituzionale, cui vanno rimessi gli atti.