IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del  procedimento penale n. 2182/1995 a carico di
 Zanagnolo Duilio;
                     Osserva in fatto e in diritto
   1. - A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio,
 dinanzi a questo pretore, Zanagnolo Duilio per rispondere  dei  fatti
 di cui alla epigrafe.
   Esperita  la  istruttoria  dibattimentale  e  dichiarato  chiuso il
 dibattimento questo pretore provvedeva con la presente ordinanza.
   2. - Con la medesima viene impugnato l'art. 538 c.p.p. in relazione
 agli artt. 3 e 24, primo  e  secondo  comma  della  Costituzione  nei
 limiti  in  cui  imponga,  una  volta accertata ex art. 533 c.p.p. la
 responsabilita' penale dell'imputato, di accogliere le domande civili
 anche allorche' esse si fondino  esclusivamente  sulle  dichiarazioni
 della parte civile.
   3.  -  Come  e' evidente dal tenore letterale dell'art. 538 c.p.p.,
 una volta accertata  la  penale  responsabilita'  del  prevenuto,  il
 giudice  penale,  nella  ipotesi in cui le domande civili siano state
 proposte nel processo penale ex artt. 74 e segg. c.p.p., non puo' non
 accogliere le domande civili qualunque siano i  mezzi  di  prova  sui
 quali  si sia fondata la responsabilita' penale. Quelle, proprio alla
 luce del disposto dell'art. 538 c.p.p., vanno  comunque  accolte  una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale dell'imputato qualunque
 siano i mezzi di prova sui quali questa sia stata affermata i  quali,
 pertanto, automaticamente, consentono l'accoglimento di quelle.
   4.  -  Dalle  disposizioni  costituzionali sopra indicate si desume
 che,  a  parita'  di  situazioni,  deve  corrispondere  identita'  di
 disciplina;  in secondo luogo il diritto alla difesa, in tutte le sue
 facolta' e poteri (compreso il diritto alla prova che costituisce una
 sua estrinsecazione), non puo' assolutamente subire alcuna deminutio,
 o ampliamento, qualunque sia la forma processuale attraverso la quale
 un diritto soggettivo venga esercitato.
   In altri termini allorche' la  giurisdizione  venga  esercitata  su
 richiesta  di  parte  e  al  fine  di tutelare un diritto soggettivo,
 necessariamente le parti del rapporto obbligatorio sotteso al diritto
 soggettivo devono essere poste in condizioni di  parita'  soprattutto
 con riferimento proprio al diritto alla prova che impone ed esige: a)
 di  attribuire,  sul  punto,  gli  stessi  poteri  alle  parti; b) di
 attribuire lo  stesso  valore  probatorio  alle  dichiarazioni  delle
 parti.
   Ne  segue  che  in  subiecta materia non puo' attribuirsi valore di
 testimonianza alle dichiarazioni di una delle parti e non all'altra.
   Cio' e' vero qualunque sia  la  forma  processuale  scelta  per  la
 tutela  del  proprio  diritto  soggettivo;  invero  -  se  essa  puo'
 ragionevolmente  incidere  su  altri  aspetti,   ad   esempio   sulla
 costituzione   del   rapporto   processuale  e  finanche  sul  valore
 probatorio di alcuni criteri (si pensi a talune presunzioni  in  tema
 di  responsabilita'  civile  che,  ovviamente,  non hanno "diritto di
 cittadinanza" nel  sistema  penale  vigendo  ivi  la  presunzione  di
 innocenza)   -   tale   tutela,   proprio   alla  luce  dei  principi
 costituzionali  suddescritti,  non  potra'  mai   svolgersi   ponendo
 l'attore - parte civile in posizione prevalente rispetto al convenuto
 attribuendo  alle sue dichiarazioni, con riferimento all'accertamento
 della responsabilita' civile, valore probatorio maggiore (essendo  la
 sua  una  testimonianza) rispetto a quello del convenuto-imputato (le
 cui dichirazioni sono acquisibili solo mediante l'esame della parte).
   5. - E' alla luce delle  suesposte  premesse  che  deve  ritenersi,
 pertanto,  che  l'attuale  disciplina  della  responsabilita' civile,
 accertata nel processo penale, e' incostituzionale nei limiti in  cui
 imponga di attribuire alle dichiarazioni della p.c., anche per quanto
 afferisce  l'illecito civile, valore di mezzo di prova (testimonianza
 chiaramente inammissibile e inutilizzabile,  proprio  alla  luce  dei
 suesposti principi costituzionali, in quanto tale nella giurisdizione
 civile).  Cio'  viola  il diritto alla difesa dell'imputato-convenuto
 (nel particolare aspetto del diritto alla prova) che vede chiaramente
 diminuita la sua situazione soggettiva rispetto a quella che  sarebbe
 ove  il  diritto  soggettivo venisse tutelato nella sua sede naturale
 che e' il processo civile  (i  cui  principi  generali  costituiscono
 nella specie  tertium comparationis).
   6.  - Due precisazioni si impongono. Innanzitutto, come e' evidente
 dall'analisi  suesposta,  con  la  presente   ordinanza   non   viene
 assolutamente   posta   in   discussione   la   ammissibilita'  della
 testimonianza  della  p.c.,  e  la  sua  utilizzabilita',   ai   fini
 dell'accertamento della responsabilita' penale. Invero la Corte si e'
 piu'  volte  pronunciata nel senso della ammissibilita'; peraltro con
 considerazioni  che  (condivisibili  o  meno  che  siano)   risultano
 chiaramente utilizzabili anche nella specie.  Si dice che la funzione
 del  processo penale (quale e' quella di accertare i reati e irrogare
 una giusta pena) e' tale  che  non  consente  di  ritenere  rilevanti
 limitazioni   probatorie   tipiche   ed   esclusive  di  altra  forma
 processuale, quale quella del processo civile. Ma se  cio'  e'  vero,
 allora,  e'  evidente che tale criterio non puo' valere nella ipotesi
 in  cui  si  discuta,  come  nella  specie,  della  rilevanza   della
 dichiarazione  nell'ambito  precipuo  ed  esclusivo  della  correlata
 responsabilita' civile ove, giova ribadire, non possono non valere  i
 principi  fondamentali  (tra i quali indubbiamente vi e' quello della
 inammissibilita'  e  inutilizzabilita'   come   testimonianza   delle
 dichiarazioni della p.c.  - attore) del sistema processualcivilistico
 atteso  che trattasi comunque di tutelare un diritto soggettivo e non
 un fine politico.
   Quindi non puo' che ribadirsi che le  ordinanze  e  sentenze  della
 Corte  costituzionale  sono certamente ultronee nel caso di specie in
 quanto riguardavano altra questione; ma e' altrettanto  evidente  che
 argomentando   "a   contrario"   il   criterio   enucleato   in  esse
 implicitamente impone proprio quanto evidenziato (inammissibilita'  e
 inutilizzabilita'  della  testimonianza  della  p.c.  con riferimento
 all'accertamento della  responsabilita'  civile  correlata  a  quella
 penale).
   7. - Si potrebbe obiettare che la suddescritta limitazione, essendo
 dettata  non da norme costituzionali, ma da norme di legge ordinaria,
 non puo' ne' costituire parametro di valutazione  della  legittimita'
 ne' ex se essere estesa in altro sistema.
   Tale  eventuale  prospettazione  non  e' di pregio. Innanzitutto e'
 evidente che l'attuale disciplina comporti di fatto una diversita' di
 trattamento ove si ponga mente che la tutela della stessa  situazione
 soggettiva   subisce   degli   ampliamenti   o   diminuzioni,   nelle
 possibilita' concrete di difesa, a seconda  della  forma  processuale
 scelta.
   Analiticamente  se  essa fosse tutelata in sede civile l'attore non
 potrebbe fondare le sue domande  solo  sulle  sue  dichiarazioni;  se
 cosi' fosse e' chiaro che esse sarebbero da respingere.
   Al   contrario  se  esse  fossero  tutelate  in  sede  penale  tale
 fondamentale limitazione non sussisterebbe; per cui, in tal caso, una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale  (che  giova  ricordare
 potrebbe  essere  affermata solo sulla base delle dichiarazioni della
 p.c.) le domande civili dovranno essere comunque  accolte.  Una  tale
 evidente  diversita' ridonda in disparita' ove si ponga mente: a) che
 essa si fonda esclusivamente sulla forma processuale che, chiaramente
 sul punto, non puo'  giustificare  una  tale  diversita'  trattandosi
 della  medesima  situazione  (tutela  di  un diritto soggettivo) e di
 aspetto in se' non attinente alla finalita' della specifica forma (in
 quanto  il  giudice  non  accerta  la   responsabilita'   penale   ma
 esclusivamente  la  r.c.);  d)  che essa e' espressione di una libera
 scelta  della  p.c.-attore  che  pero',  in  quanto  tale,  non  puo'
 ripercuotersi  in  peius sull'imputato-convenuto; analiticamente tale
 scelta (proprio perche' libera e insindacabile) non  puo'  deminuire,
 sul  punto, e con riferimento alla situazione soggettiva azionata, le
 possibilita' difensive del convenuto foss'anche, come  nella  specie,
 attribuendo  diverso e inferiore valore probatorio alle dichiarazioni
 di questo.
   Quindi e' chiaro che l'attuale disciplina ridonda in disparita'  di
 trattamento.
   8. - Ma v'e' di piu'.
   Le   disposizioni  civilistiche  sulla  base  delle  quali  risulta
 inammissibile (e quindi inutilizzabile ove sia stata attuata),  nella
 specie, la testimonianza della p.c. (99, 101 e 246 c.p.c. nella parte
 nella quale si riferisce all'attore) lungi dall'essere regole proprie
 ed  esclusive  del processo civile instaurato ex art. 163 c.p.c., per
 la  loro  intrinseca  connessione  con  la  situazione   tutelata   e
 soprattutto  in  quanto trovano i loro referenti proprio nell'art. 24
 Cost.,  devono  costituire  il  diritto  processuale  "comune"  delle
 situazioni soggettive tutelabili in sede civile.
   Esse,  in altri termini, e per le considerazioni suesposte, debbono
 trovare applicazione  ogni  qualvolta  sia  azionata  una  situazione
 soggettiva  civilisticamente  rilevante (connessa o non che sia ad un
 illecito penale).
   Quindi, una diversa  disciplina  comporterebbe  una  disparita'  di
 trattamento nonche', nella posizione del convenuto, una deminutio dei
 suoi poteri difensivi.
   Si  deve,  pertanto,  concludere  che,  col  ritenere  rilevanti  i
 suddetti principi processuali, non vengono introdotte limitazioni ma,
 stante la loro connotazione e i loro referenti  costituzionali,  cio'
 e'  necessario,  alla  luce  degli  stessi,  per garantire parita' di
 trattamento a situazioni identiche (trattasi pur sempre di  connotare
 le forme di tutela di un diritto soggettivo sia esso azionato in sede
 civilistica  sia  esso  azionato  in sede penale) nonche', sul punto,
 identita'  delle  possibilita'   difensive   dell'imputato-convenuto.
 Situazioni lese proprio dall'attuale disciplina.
   9.  -  Questo  pretore  evidenzia  alla Corte che, ove la questione
 fosse   fondata,   si   dovrebbe   imporre   la    declaratoria    di
 incostituzionalita'  anche  dell'art.  651 c.p.p. allorche' (peraltro
 reiterando  il  meccanismo  delineato  gia'  dall'art.  538   c.p.p.)
 attribuisca  efficacia  di  cosa  giudicata  alla  sentenza penale di
 condanna   nei   giudizi   civili   almeno   per   quanto   afferisce
 all'accertamento  della  sussistenza del fatto, alla sua illiceita' e
 alla sua riferibilita' all'imputato. Invero, anche in  tal  caso,  al
 giudice  civile e' preclusa la possibilita' di escludere tale diretta
 efficacia della sentenza di condanna ove essa  si  sia  fondata  solo
 sulle   dichiarazioni   della   p.c.,   chiaramente  inammissibili  e
 inutilizzabili nel  giudizio  civile.  Invero,  anche  in  tal  caso,
 l'automatismo  delineato  dall'art.  651  viola  i succitati principi
 costituzionali.
   10. -  Riguardo  alla  rilevanza  della  questione  e'  sufficiente
 rilevare  che,  nella  specie,  non solo la responsabilita' penale si
 fonda  sulle  dichiarazioni  della  p.c.,  ma  anche   la   correlata
 responsabilita'  civile  e'  fondata  esclusivamente  sulle  suddette
 dichiarazioni. A tal fine e' sufficiente osservare che l'unico  mezzo
 di  prova richiesto e' stato proprio quello della testimonianza della
 p.o.  (poi  p.c.).  Quindi,  ove la Corte dovesse ritenere fondata la
 questione, questo pretore si deve pronunciare  sulla  responsabilita'
 penale  mentre, con riferimento alle domande civili, si deve astenere
 dal pronunciarsi (configurandosi in  tal  caso  una  ipotesi  di  non
 liquet  pienamente  legittima  atteso  che riguarda un ambito diverso
 dalla giurisdizione penale)  restando  fermo  all'attore  il  potere,
 eventualmente, di iniziare l'azione civile senza precludere alcunche'
 al medesimo.
   In  caso  contrario,  invece,  questo pretore dovrebbe pronunciarsi
 sulla responsabilita' penale ma anche sulla correlata responsabilita'
 civile.