IL PRETORE
   Letti gli atti del procedimento penale  n.  (Bersini)  6214/1991  -
 5038/1996 a carico di Bersini A. + 2;
                     Osserva in fatto e in diritto
   1. - A seguito di indagini preliminari il p.m. rinviava a giudizio,
 dinanzi  a questo pretore, Bersini A. + 2 per rispondere dei fatti di
 cui alla epigrafe.
   Esperita la  istruttoria  dibattimentale  e  dichiarato  chiuso  il
 dibattimento questo pretore provvedeva con la presente ordinanza.
   2. - Con la medesima viene impugnato l'art. 538 c.p.p. in relazione
 agli  artt.  3  e  24/I  e  II  della  Costituzione nei limiti in cui
 imponga, una volta accertata ex art. 533  c.p.p.  la  responsabilita'
 penale dell'imputato, di accogliere le domande civili anche allorche'
 esse  si  fondino  esclusivamente  sulle  dichiarazioni  della  parte
 civile.
   3. - Come e' evidente dal tenore letterale  dell'art.  538  c.p.p.,
 una  volta  accertata  la  penale  responsabilita'  del prevenuto, il
 giudice penale, nella ipotesi in cui le domande  civili  siano  state
 proposte nel processo penale ex artt. 74 e segg. c.p.p., non puo' non
 accogliere  le  domande  civili  qualunque siano i mezzi di prova sui
 quali si sia fondata la responsabilita' penale. Quelle, proprio  alla
 luce  del  disposto  dell'art. 538 c.p.p., vanno comunque accolte una
 volta accertata la  responsabilita'  penale  dell'imputato  qualunque
 siano  i mezzi di prova sui quali questa sia stata affermata i quali,
 pertanto, automaticamente, consentono l'accoglimento di quelle.
   4. - Dalle disposizioni costituzionali  sopra  indicate  si  desume
 che,  a  parita'  di  situazioni,  deve  corrispondere  identita'  di
 disciplina; in secondo luogo il diritto alla difesa, in tutte le  sue
 facolta' e poteri (compreso il diritto alla prova che costituisce una
 sua estrinsecazione), non puo' assolutamente subire alcuna deminutio,
 o ampliamento, qualunque sia la forma processuale attraverso la quale
 un diritto soggettivo venga esercitato.
   In  altri  termini  allorche'  la giurisdizione venga esercitata su
 richiesta di parte e al  fine  di  tutelare  un  diritto  soggettivo,
 necessariamente le parti del rapporto obbligatorio sotteso al diritto
 soggettivo  devono  essere poste in condizioni di parita' soprattutto
 con riferimento proprio al diritto alla prova che impone ed esige: a)
 di attribuire, sul  punto,  gli  stessi  poteri  alle  parti;  b)  di
 attribuire  lo  stesso  valore  probatorio  alle  dichiarazioni delle
 parti.
   Ne segue che in subiecta materia non  puo'  attribuirsi  valore  di
 testimonianza alle dichiarazioni di una delle parti e non all'altra.
   Cio'  e'  vero  qualunque  sia  la  forma processuale scelta per la
 tutela  del  proprio  diritto  soggettivo;  invero  -  se  essa  puo'
 ragionevolmente   incidere   su   altri  aspetti,  ad  esempio  sulla
 costituzione  del  rapporto  processuale  e   finanche   sul   valore
 probatorio  di  alcuni criteri (si pensi a talune presunzioni in tema
 di responsabilita' civile che,  ovviamente,  non  hanno  "diritto  di
 cittadinanza"  nel  sistema  penale  vigendo  ivi  la  presunzione di
 innocenza)  -  tale  tutela,   proprio   alla   luce   dei   principi
 costituzionali   suddescritti,   non  potra'  mai  svolgersi  ponendo
 l'attore - parte civile in posizione prevalente rispetto al convenuto
 attribuendo alle sue dichiarazioni, con riferimento  all'accertamento
 della  responsabilita' civile, valore probatorio maggiore (essendo la
 sua una testimonianza) rispetto a quello del  convenuto-imputato  (le
 cui dichirazioni sono acquisibili solo mediante l'esame della parte).
   5.  -  E'  alla  luce  delle suesposte premesse che deve ritenersi,
 pertanto, che  l'attuale  disciplina  della  responsabilita'  civile,
 accertata  nel processo penale, e' incostituzionale nei limiti in cui
 imponga di attribuire alle dichiarazioni della p.c., anche per quanto
 afferisce l'illecito civile, valore di mezzo di prova  (testimonianza
 chiaramente  inammissibile  e  inutilizzabile,  proprio alla luce dei
 suesposti principi costituzionali, in quanto tale nella giurisdizione
 civile). Cio' viola il diritto  alla  difesa  dell'imputato-convenuto
 (nel particolare aspetto del diritto alla prova) che vede chiaramente
 diminuita  la sua situazione soggettiva rispetto a quella che sarebbe
 ove il diritto soggettivo venisse tutelato nella  sua  sede  naturale
 che  e'  il  processo  civile  (i cui principi generali costituiscono
 nella specie  tertium comparationis).
   6. - Due precisazioni si impongono. Innanzitutto, come e'  evidente
 dall'analisi   suesposta,   con   la  presente  ordinanza  non  viene
 assolutamente  posta   in   discussione   la   ammissibilita'   della
 testimonianza   della   p.c.,  e  la  sua  utilizzabilita',  ai  fini
 dell'accertamento della responsabilita' penale.
   Invero  la  Corte  si  e'  piu'  volte  pronunciata nel senso della
 ammissibilita'; peraltro con considerazioni che (condivisibili o meno
 che siano) risultano chiaramente utilizzabili anche nella specie.  Si
 dice  che  la  funzione  del  processo  penale  (quale  e'  quella di
 accertare i reati e  irrogare  una  giusta  pena)  e'  tale  che  non
 consente  di  ritenere  rilevanti  limitazioni  probatorie tipiche ed
 esclusive di altra  forma  processuale,  quale  quella  del  processo
 civile. Ma se cio' e' vero, allora, e' evidente che tale criterio non
 puo' valere nella ipotesi in cui si discuta, come nella specie, della
 rilevanza della dichiarazione nell'ambito precipuo ed esclusivo della
 correlata responsabilita' civile ove, giova ribadire, non possono non
 valere  i  principi  fondamentali  (tra  i  quali indubbiamente vi e'
 quello della inammissibilita' e inutilizzabilita' come  testimonianza
 delle     dichiarazioni     della     p.c.-attore)     del    sistema
 processualcivilistico atteso che trattasi  comunque  di  tutelare  un
 diritto soggettivo e non un fine politico.
   Quindi  non  puo'  che  ribadirsi che le ordinanze e sentenze della
 Corte costituzionale sono certamente ultronee nel caso di  specie  in
 quanto  riguardavano  altra questione; ma e' altrettanto evidente che
 argomentando  "a   contrario"   il   criterio   enucleato   in   esse
 implicitamente  impone proprio quanto evidenziato (inammissibilita' e
 inutilizzabilita' della  testimonianza  della  p.c.  con  riferimento
 all'accertamento  della  responsabilita'  civile  correlata  a quella
 penale).
   7. - Si potrebbe obiettare che la suddescritta limitazione, essendo
 dettata non da norme costituzionali, ma da norme di legge  ordinaria,
 non  puo'  ne' costituire parametro di valutazione della legittimita'
 ne' ex se essere estesa in altro sistema.
   Tale eventuale prospettazione non e'  di  pregio.  Innanzitutto  e'
 evidente che l'attuale disciplina comporti di fatto una diversita' di
 trattamento  ove si ponga mente che la tutela della stessa situazione
 soggettiva   subisce   degli   ampliamenti   o   diminuzioni,   nelle
 possibilita'  concrete  di  difesa, a seconda della forma processuale
 scelta.
   Analiticamente se essa fosse tutelata in sede civile  l'attore  non
 potrebbe  fondare  le  sue  domande  solo sulle sue dichiarazioni; se
 cosi' fosse e' chiaro che esse sarebbero da respingere.
   Al  contrario  se  esse  fossero  tutelate  in  sede  penale   tale
 fondamentale limitazione non sussisterebbe; per cui, in tal caso, una
 volta  accertata  la  responsabilita'  penale  (che  giova  ricordare
 potrebbe essere affermata solo sulla base delle  dichiarazioni  della
 p.c.)  le  domande  civili dovranno essere comunque accolte. Una tale
 evidente diversita' ridonda in disparita' ove si ponga mente: a)  che
 essa si fonda esclusivamente sulla forma processuale che, chiaramente
 sul  punto,  non  puo'  giustificare  una tale diversita' trattandosi
 della medesima situazione (tutela di  un  diritto  soggettivo)  e  di
 aspetto in se' non attinente alla finalita' della specifica forma (in
 quanto   il   giudice   non  accerta  la  responsabilita'  penale  ma
 esclusivamente la r.c.); b) che essa e'  espressione  di  una  libera
 scelta  della  p.c.-attore  che  pero',  in  quanto  tale,  non  puo'
 ripercuotersi in peius sull'imputato-convenuto;  analiticamente  tale
 scelta  (proprio  perche' libera e insindacabile) non puo' deminuire,
 sul punto, e con riferimento alla situazione soggettiva azionata,  le
 possibilita'  difensive  del convenuto foss'anche, come nella specie,
 attribuendo diverso e inferiore valore probatorio alle  dichiarazioni
 di questo.
   Quindi  e' chiaro che l'attuale disciplina ridonda in disparita' di
 trattamento.
   8. - Ma v'e' di piu'.
   Le  disposizioni  civilistiche  sulla  base  delle  quali   risulta
 inammissibile  (e quindi inutilizzabile ove sia stata attuata), nella
 specie, la testimonianza della p.c. (99, 101 e 246 c.p.c. nella parte
 nella quale si riferisce all'attore) lungi dall'essere regole proprie
 ed esclusive del processo civile instaurato ex art. 163  c.p.c.,  per
 la   loro   intrinseca  connessione  con  la  situazione  tutelata  e
 soprattutto in quanto trovano i loro referenti proprio  nell'art.  24
 Cost.,  devono  costituire  il  diritto  processuale  "comune"  delle
 situazioni soggettive tutelabili in sede civile.
   Esse, in altri termini, e per le considerazioni suesposte,  debbono
 trovare  applicazione  ogni  qualvolta  sia  azionata  una situazione
 soggettiva civilisticamente rilevante (connessa o non che sia  ad  un
 illecito penale).
   Quindi,  una  diversa  disciplina  comporterebbe  una disparita' di
 trattamento nonche', nella posizione del convenuto, una deminutio dei
 suoi poteri difensivi.
   Si  deve,  pertanto,  concludere  che,  col  ritenere  rilevanti  i
 suddetti principi processuali, non vengono introdotte limitazioni ma,
 stante  la  loro connotazione e i loro referenti costituzionali, cio'
 e' necessario, alla luce  degli  stessi,  per  garantire  parita'  di
 trattamento  a situazioni identiche (trattasi pur sempre di connotare
 le forme di tutela di un diritto soggettivo sia esso azionato in sede
 civilistica sia esso azionato in sede  penale)  nonche',  sul  punto,
 identita'   delle   possibilita'  difensive  dell'imputato-convenuto.
 Situazioni lese proprio dall'attuale disciplina.
   9. - Questo pretore evidenzia alla  Corte  che,  ove  la  questione
 fosse    fondata,    si   dovrebbe   imporre   la   declaratoria   di
 incostituzionalita' anche dell'art. 651  c.p.p.  allorche'  (peraltro
 reiterando   il  meccanismo  delineato  gia'  dall'art.  538  c.p.p.)
 attribuisca efficacia di  cosa  giudicata  alla  sentenza  penale  di
 condanna   nei   giudizi   civili   almeno   per   quanto   afferisce
 all'accertamento della sussistenza del fatto, alla sua  illiceita'  e
 alla  sua  riferibilita'  all'imputato. Invero, anche in tal caso, al
 giudice civile e' preclusa la possibilita' di escludere tale  diretta
 efficacia  della  sentenza  di  condanna ove essa si sia fondata solo
 sulle  dichiarazioni  della   p.c.,   chiaramente   inammissibili   e
 inutilizzabili  nel  giudizio  civile.  Invero,  anche  in  tal caso,
 l'automatismo delineato dall'art.  651  viola  i  succitati  principi
 costituzionali.
   10.  -  Riguardo  alla  rilevanza  della  questione  e' sufficiente
 rilevare che, nella specie, non solo  la  responsabilita'  penale  si
 fonda   sulle   dichiarazioni  della  p.c.,  ma  anche  la  correlata
 responsabilita'  civile  e'  fondata  esclusivamente  sulle  suddette
 dichiarazioni.  A  tal fme e' sufficiente osservare che l'unico mezzo
 di prova richiesto e' stato proprio quello della testimonianza  della
 p.o.  (poi  p.c.).  Quindi,  ove la Corte dovesse ritenere fondata la
 questione, questo pretore si  deve  pronunciare  sulla  responsalita'
 penale  mentre, con riferimento alle domande civili, si deve astenere
 dal pronunciarsi (configurandosi in  tal  caso  una  ipotesi  di  non
 liquet  pienamente  legittima  atteso  che riguarda un ambito diverso
 dalla  giurisdizione  penale)  restando  fermo  all'attore il potere,
 eventualmente, di iniziare l'azione civile senza precludere alcunche'
 al medesimo.
   In caso contrario, invece,  questo  pretore  dovrebbe  pronunciarsi
 sulla responsabilita' penale ma anche sulla correlata responsabilita'
 civile.