IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 3990/1997, proposto dall'avv. Giuseppe Di Gesu, rappresentato e difeso dall'avv. Donatella Mirabile e dall'avv. Vincenzo Reina presso il cui studio e' domiciliato elettivamente in Catania, viale XX Settembre n. 45; Contro l'I.N.P.D.A.P., in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Danilo La Piana, domiciliato in Catania, via Ventimiglia n. 119; Per l'annullamento: a) della nota prot. 1242 del 18 giugno 1997, con cui l'I.N.P.D.A.P., sede di Catania, ha rigettato la richiesta di anticipazione del 70% sul trattamento di buonuscita; b) di ogni altro atto presupposto, connesso e conseguenziale; E per il riconoscimento del diritto alla detta anticipazione, con la conseguente condanna alla corresponsione della relativa somma maggiorata di interessi legali e rivalutazione monetaria dal 18 giugno 1997 al pagamento e dell'eventuale maggior danno che venga indicato e comprovato in corso di causa, in relazione ad eventuali operazioni di prestito che il ricorrente dovesse effettuare medio tempore per l'acquisto di cui infra. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti tutti gli atti di causa; Designato relatore per la pubblica udienza del 26 maggio 1998 il primo referendario dott.ssa Paola Puliatti; Uditi l'avv. Reina Vincenzo per il ricorrente e l'avv. La Piana Danilo per l'amministrazione intimata; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Il ricorrente impugna il diniego oppostogli dall'I.N.P.D.A.P. sull'istanza del 13 giugno 1997, tendente ad ottenere la liquidazione di una anticipazione sul trattamento di fine rapporto, pari alla misura del 70%, ai sensi dell'art. 2120 del Codice civile. Il ricorrente deduce di aver fondato la propria richiesta sul presupposto del possesso di una anzianita' di iscrizione presso l'ENPAS (ora I.N.P.D.A.P., gestione ex ENPAS) dal 4 giugno 1972, ed una analoga anzianita' di servizio presso la stessa amministrazione (Avvocatura dello Stato), di gran lunga superiore al minimo (anni otto) necessario ai sensi dell'art. 2120 Codice civile, nonche' sul presuoosto che l'importo richiesto andava destinato all'acquisto della prima casa di abitazione per la figlia Viviana, studentessa universitaria, giusta preliminare di vendita gia' stipulato (ipotesi prevista dall'art. 2120, comma ottavo, Codice civile). Il rigetto impugnato e' motivato assumendo che la disposizione codicistica non si applicherebbe ai pubblici dipendenti, sia per l'espresso divieto contenuto all'art. 4 della legge n. 297/1982, norma la cui questione di legittimita' costituzionale e' stata dichiarata inammissibile, sia in applicazione dell'art. 26 del d.P.R. n. 1032/1973, che non prevede la corresponsione di acconti sulla buonuscita. Il ricorso e' affidato ai seguenti motivi: 1. - Violazione ed errata interpretazione ed applicazione della legge n. 297 del 1982, in relazione a quanto disposto dall'art. 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335. L'applicabilita' della norma codicistica al settore del pubblico impiego discenderebbe dall'art. 2 della legge n. 335/1995, che concerne l'armonizzazione dei trattamenti previdenziali del settore pubblico e di quello privato, con conseguente superamento delle disposizioni di settore incompatibili, cui fa appello l'Ente previdenziale. In particolare, deduce il ricorrente l'immediata applicazione agli avvocati e procuratori dello Stato, cui non si applica la contrattazione collettiva, alla quale rinvia l'art. 2 della legge n. 335/1995, e considerata la non necessita' di ulteriore normativa di attuazione, essendo gia' di per se' dettagliata la disciplina di cui all'art. 2120 del Codice civile. Non appare, inoltre, al ricorrente che sia pertinente il richiamo alla sentenza della Corte costituzi'onale n. 243/1993, fatto dall'I.N.P.D.A.P, sia perche' la questione di costituzionalita' affrontata riguardava il problema del computo dell'indennita' integrativa speciale, sia perche' concernente la situazione giuridica anteriore alla entrata in vigore della legge n. 335/1993. 2. - In via subordinata, illegittimita' costituzionale dell'art. 2120 del Codice civile, dell'art. 4 della legge n. 297 del 1982, dell'art. 2 della legge 8 agosto 1995 n. 335, dell'art. 26 del d.P.R. n. 1032/1973 e di ogni altra disposizione di legge limitativa, nella parte in cui in atto escludano la concessione di anticipazione sul trattamento di fine rapporto nel settore del pubblico impiego nei casi previsti dall'art. 2120 del Codice civile, per disparita' di trattamento, in relazione ai principi costituzionali di eguaglianza e di tutela del lavoratore, dei principi costituzionali in materia di diritto all'abitazione, sanciti negli artt. 2, 3, 36, 47, secondo comma della Costituzione e del principio di ragionevolezza al quale non si sottrae il legislatore ordinario. La finalita' perseguita dall'art. 2120 del Codice civile corrisponde ad esigenze di eguale natura nel pubblico e nel privato impiego e analoghi sono gli istituti del trattamento di fine rapporto, per cui non risulta giustificata una disciplina che subordini ad ulteriori interventi legislativi la concessione dell'anticipazione in argomento, specie con riguardo alla tipologia d'impiego del ricorrente, o che diversifichi per il settore pubblico i casi stabiliti dall'art. 2120 del Codice civile per la concessione dell'anticipazione. Allo stesso modo, il diritto all'abitazione assume una posizione di garanzia nella Costituzione che non ammette limiti o discriminazioni. Si e' costituito in giudizio l'Istituto previdenziale, eccependo l'infondatezza in merito del ricorso. All'udienza del 26 maggio 1998 il ricorso e' stato assunto in decisione. D i r i t t o 1. - Ritiene il collegio che il divieto posto dall'art. 4 della legge n. 297/1982, secondo cui "resta ferma la disciplina del trattamento di fine servizio dei dipendenti pubblici" letto in combinato disposto con l'art. 26, settimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032 che, per il settore del pubblico impiego, recita "non si fa luogo alla corresponsione di acconti" sulla buonuscita, non consente di ritenere fondate le doglianze mosse col primo motivo di ricorso e di ritenere che l'istanza del ricorrente possa essere accolta, allo stato della legislazione. Ne' a diversa conclusione conduce la lettura dell'art. 2 della legge 8 agosto 1995, n. 335 che, al quinto comma, per quanto riguarda i dipendenti pubblici in servizio alla data del 1 gennaio 1996, demanda alla contrattazione collettiva dei comparti pubblici le modalita' di omogeneizzazione con i privati del trattamento di fine rapporto. Vero e' che la disciplina del rapporto d'impiego della categoria degli Avvocati dello Stato (cui appartiene il ricorrente e' sottratta alla contrattazione collettiva e che la disciplina dell'anticipazione sul T.F.R., cosi' come risultante dal testo novellato dell'art. 2120 del Codice civile, non appare necessitante di ulteriore normativa di dettaglio, ne' dovrebbe o potrebbe essere diversa per i pubblici dipendenti, se si vuol rispettare il canone dell'omogeneizzazione ed il principio costituzionale di uguaglianza; tuttavia, e' pur vero che il rinvio alla ulteriore disciplina (che per gli Avvocati dello Stato e' da intendersi, come di consueto, affidata alla fonte legislativa), che leggesi chiaramente nel testo dell'art. 2, comma settimo, della legge n. 335/1997, rappresenta ostacolo insormontabile all'accoglimento del ricorso, non superabile facendo appello agli ordinari canoni ermeneutici. 2. - Appare, allora, rilevante la questione di legittimita' costituzionale sollevata con il secondo motivo di ricorso. La questione appare, anche, al collegio, non manifestamente infondata. Infatti, si appalesa di portata consistente il dubbio di costituzionalita' concernente l'art. 2120 del Codice civile, l'art. 4, sesto comma della legge 29 maggio 1982, n. 297, l'art. 26, settimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nella parte in cui escludono i pubblici dipendenti dal beneficio della concessione dell'anticipazione nella misura massima del 70% sul trattamento di fine rapporto, ricorrendo i casi tipici individuati dall'art. 2120 del Codice civile, ed in particolare dal comma 8, lett. b), beneficio riconosciuto ai soli lavoratori dipendenti del settore privato, i quali, peraltro, godono di analogo trattamento di fine rapporto, ispirato alle medesime finalita', al di la' delle diversita' di approntamento della provvista. Ad avviso del collegio, l'esclusione dal detto beneficio dei pubblici dipendenti appare discriminatoria e non piu' giustificabile, tanto piu' nell'attuale momento, caratterizzato dalla linea di tendenza della "privatizzazione del pubblico impiego", che, nella materia previdenziale e' resa evidente dall'enunciato dell'art. 2, comma 5, della legge n. 335/1995, il quale equipara il trattamento di fine rapporto per i dipendenti pubblici assunti a partire dal 1 gennaio 1996 a quello previsto per i lavoratori privati (art. 2120 del Codice civile). Il rinvio ad una ulteriore disciplina, qualunque sia lo strumento normativo (autonomia contrattuale o fonte legislativa) esclusivamente per i dipendenti pubblici in servizio alla predetta data del 1 gennaio 1996, perche' si pervenga alla detta omogeneizzazione, appare ingiustificatamente discriminatorio e privo di ragionevolezza. Cosicche' tutte le norme denunciate, ivi compreso l'art. 2, comma 7, della legge n. 335/l993, appaiono in contrasto con gli artt. 2, 3 e 36 della Costituzione, dai quali discende, per la pari dignita' di tutti i cittadini-lavoratori la necessita' di un trattamento retributivo e previdenziale, che non sia ingiustificatamente discriminatorio. Ne', ad avviso del collegio, la ragionevolezza della diversita' di trattamento puo' oggi, come avvenuto in passato per numerosi istituti, farsi derivare dalle diversita' strutturali (meglio, dalla specialita') del pubblico impiego rispetto all'impiego privato, diversita' che sono andate progressivamente scemando e che non hanno piu' ragion d'essere nel processo di privatizzazione in atto. Neppure puo' ricercarsi la ragionevolezza del diverso trattamento riservato a pubblici e privati dipendenti, rispetto all'istituto dell'anticipazione del T.F.R. in questione, in presunte esigenze di bilancio o finanziarie, che appaiono valori recessivi rispetto alla garanzia della parita' di trattamento dei lavoratori. 3. - Infine, le norme denunciate sembrano non conformi all'art. 47, secondo comma, della Costituzione, laddove consentono di dare rilevanza e attuazione concreta alla garanzia costituzionale del diritto all'abitazione solo nei confronti dei lavoratori privati, ai quali e' assicurata una chance in piu' rispetto al dipendente pubblico, potendo solo i primi usufruire della detta anticipazione allo scopo di conseguire la proprieta' dell'abitazione, con ulteriore frustrazione delle garanzie del medesimo diritto, astrattamente riconosciuto dal testo costituzionale a tutti i cittadini. Per tali profili tutte le norme denunciate sono sospettate di contrasto anche con l'art. 47, secondo comma, della Costituzione. 4. - Pertanto, ritenutane la rilevanza e non manifesta infondatezza, il collegio solleva la questione di costituzionalita' dell'art. 2120 del Codice civile, comma 8, lett. b), dell'art. 4. sesto comma, della legge 29 maggio 1982 n. 297, dell'art. 2, comma 7, della legge 8 agosto 1995, n. 335, dell'art. 26, settimo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, nella parte in cui escludono la concessione di anticipazione sul trattamento di fine rapporto nel settore del pubblico impiego, nei casi previsti dall'art. 2120, comma 8, lett. b), del Codice civile, con riferimento agli artt. 2, 3, 36 e 47, secondo comma, della Costituzione e rimette gli atti alla Corte costituzionale per la relativa decisione. Sospende il giudizio in attesa della definizione della questione incidentale di costituzionalita' e fino alla comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, riservando ogni altra decisione in rito, nel merito e sulle spese.