IL CONSIGLIO DI STATO
   Ha pronunciato la seguente ordinanza  sul  ricorso  in  appello  n.
 4777  del 1997, proposto dal Ministero della pubblica istruzione, dal
 Provveditorato agli studi di Reggio Calabria; dal Consiglio nazionale
 della pubblica istruzione; dal Consiglio di disciplina del  personale
 docente;  dall'Istituto  d'arte  di  Locri; in persona dei rispettivi
 legali   rappresentanti   pro-tempore;   rappresentati    e    difesi
 (dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale sono per legge
 domiciliati, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
   Contro  Cataldo Francesco, rappresentato e difeso dall'avv.to Carlo
 Rienzi, elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, viale
 delle Milizie n 9, per l'annullamento della  sentenza  del  tribunale
 amministrativo  regionale  del  Lazio,  sez.  III-bis,  n. 433 del 20
 febbraio 1997;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto l'atto di costituzione in giudizio di Cataldo Francesco;
   Vista la memoria difensiva dell'appellato;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore alla pubblica udienza del 28 aprile 1998 il cons. Giuseppe
 Minicone e uditi l'avv. dello Stato Giacobbe e l'avv. Rienzi;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F a t t o
   Con ricorso  innanzi  al  tribunale  amministrativo  regionale  del
 Lazio,  notificato  il  14  novembre 1995, il prof. Francesco Cataldo
 insegnante di xilografia presso l'Istituto statale d'arte  di  Locri,
 impugnava  il  d.m. 19 luglio 1995, con cui gli era stata inflitta, a
 seguito di procedimento disciplinare, la sanzione della  destituzione
 dal  servizio,  in  relazione alla condanna penale irrevocabile a tre
 anni di reclusione, alla multa di lire 2 milioni  e  alla  temporanea
 interdizione dai pubblici uffici (di cui condonati due anni, la multa
 e la pena accessoria) per il delitto di estorsione.
   Avverso tale provvedimento il ricorrente deduceva:
     1)  violazione,  errata e falsa applicazione dell'art. 9, legge 7
 febbralo 1990, n. 19; violazione errata e  falsa  applicazione  degli
 artt.  107,  111  e  120 del t.u. n. 3/1957; violazione art. 97 della
 Costituzione e principi generali;  illegittimita'  del  provvedimento
 impugnato per sopravvenuta estinzione del procedimento disciplinare e
 per  omessa conclusione dello stesso nel termine di 90 giorni dal suo
 avvio; eccesso di potere.
     2)  violazione,  errata  e  falsa  applicazione  del  d.P.R.   n.
 384/1990;  violazione  art.  653  cod.  proc.  pen. e dei principi in
 materia  di  rapporti  tra   procedimento   penale   e   procedimento
 disciplinare;  violazione,  errata e falsa applicazione dell'art. 498
 del t.u. n. 297/1994; eccesso  di  potere,  difetto  di  presupposti,
 errata  valutazione  di  circostanze  rilevanti ai fini del decidere;
 violazione art. 3 della legge n.  241/1990; difetto  di  motivazione;
 violazione, errata e falsa applicazione dell'art. 114,  quarto comma,
 del t.u. n. 3/1957.
   Con  sentenza  n.  433  del  20  febbraio 1997, il giudice adito ha
 accolto il ricorso, considerando fondata ed assorbente  la  doglianza
 circa  la  protrazione del procedimento disciplinare oltre il termine
 di 90 giorni dalla data della contestazione degli  addebiti,  fissato
 dall'art.  9  della  legge  7  febbraio  1990,  n.  19, in assenza di
 giustificazioni relative a necessita' istruttorie.
   Avverso  tale  decisione  ha  proposto  appello   l'amministrazione
 deducendo:
     contraddittorieta'  delle  argomentazioni  del  primo giudice, il
 quale, da un lato,  avrebbe  negato  agli  atti  infra-procedimentali
 succedutisi,  l'idoneita'  ad  interrompere il termine di conclusione
 del  procedimento  stabilito  dal  legislatore;  dall'altro,  avrebbe
 parzialmente  ammesso  la idoneita' di alcuni atti, escludendola solo
 per il tempo intercorso tra la ricezione del parere del Consiglio  di
 disciplina  da parte del Provveditorato agli studi di Reggio Calabria
 e la trasmissione al Ministero;
     b) mancata considerazione della non perentorieta' del termine  e,
 comunque,  della  imputabilita'  all'inquisito  dell'inosservanza  di
 taluni dei termini infra-procedimentali nonche' della  necessita'  di
 coordinamento  fra  la  procedura  disciplinare  in  questione ed una
 diversa vicenda penale a carico del prof. Cataldo.
   Quest'ultimo si e' costituito in  giudizio,  chiedendo  il  rigetto
 dell'appello.
   Alla  pubblica  udienza  del  28  aprile  1998  il ricorso e' stato
 trattenuto in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  L'impugnata  sentenza  ha  annullato  il  provvedimento   di
 destituzione  dal servizio del prof. Francesco Cataldo, ricorrente in
 primo grado, sul rilievo che esso e' stato adottato oltre il  termine
 di  novanta  giorni,  previsto  dall'art.  9,  comma 2, della legge 7
 febbraio  1990,  n.  19,  per   la   conclusione   del   procedimento
 disciplinare,  senza  neppure  idonea  giustificazione correlata alla
 necessita'     dell'espletamento     di     specifici     adempimenti
 endoprocedimentali, in ottemperanza alle disposizioni recate dal t.u.
 n. 3/1957.
   Tale censura e' stata ritenuta dal primo giudice assorbente di ogni
 altro  profilo  di  illegittimita' dedotto in prime cure. Ne consegue
 che, in sede di gravame,  il  motivo  di  appello  con  il  quale  si
 contesta,  nel merito, la statuizione del tribunale amministrativo va
 necessariamente  esaminato  con  priorita',   potendo   eventualmente
 trovare   ingresso   nel   giudizio   la   altre   censure  contenute
 nell'originario ricorso (riproposte in memoria dall'appellato),  solo
 subordinatamente all'eventuale accoglimento di tale motivo di appello
 e di riforma in parte qua della sentenza impugnata.
   2.   -   Va,   innanzi  tutto,  disatteso  il  profilo  di  censura
 dell'amministrazione appellante, volto a porre in luce  una  asserita
 contraddittorieta'  delle argomentazioni svolte del primo giudice, il
 quale, da un lato,  avrebbe  negato  agli  atti  infra-procedimentali
 succedutisi,  l'idoneita'  ad  interrompere il termine di conclusione
 del  procedimento  stabilito  dal  legislatore;  dall'altro,  avrebbe
 ritenuto  giustificabili  taluni  ritardi, escludendo, pero', da tale
 giustificazione, quelli relativi al periodo di tempo  intercorso  tra
 la  ricezione  del  parere  del  Consiglio di disciplina da parte del
 Provveditorato  agii  studi  di  Reggio Calabria e la trasmissione al
 Ministero, con conseguente indecifrabilita' dell'iter logico  seguito
 per  pervenire  alla declaratoria di illegittimita' del provvedimento
 di destituzione.
   2.1. - Ed invero, le ragioni dell'annullamento dell'atto sono,  nel
 contesto  della  motivazione  della decisione, chiaramente ricondotte
 all'obiettivo   superamento   del   termine   di   conclusione    del
 procedimento,  in assenza della manifestazione di esigenze specifiche
 istruttorie.
   La successiva distinzione operata dal primo  giudice,  fra  ritardi
 ascrivibili  a  possibili difficolta' operative o al carico di lavoro
 dell'organo disciplinare e ritardi non altrimenti giustificabili,  e'
 rivolta,   invece,   esclusivamente   a   sorreggere   la  accessoria
 determinazione del tribunale di inviare  gli  atti  del  procedimento
 alle  competenti  procure  della  Repubblica e alla procura regionale
 della Corte dei conti, per la verifica di ipotesi di  responsabilita'
 penale o contabile.
   3.  -  Quanto al profilo sostanziale dell'appello - con il quale si
 sostiene  la  ordinatorieta'  del  termine  per  la  conclusione  del
 procedimento  disciplinare  e,  comunque,  la  sussistenza,  nel caso
 concreto, di circostanze idonee  a  consentire  il  suo  superamento,
 ascrivibili  al  comportamento dell'interessato e all'intersecarsi di
 due vicende  penali  riguardanti  quest'ultimo,  che  avrebbero  reso
 necessario  un  coordinamento  anche in sede disciplinare - lo stesso
 non puo' ugualmente, stante il dettato dell'art. 9 della legge n.  19
 del 1990, essere condiviso.
   3.1.  -  Va  ricordato  al  riguardo  che  l'adunanza  plenaria  (3
 settembre 1997, n.  16),  risolvendo  le  incertezze,  interpretative
 prospettate  anche da questa sezione (ord. 19 febbraio 1997, n. 295),
 ha ritenuto che il superamento del termine di cui al menzionato  art.
 9,  comma 2, della legge n. 19 del 1990 comporti l'illegittimita' del
 provvedimento sanzionatorio, senza che possa tenersi conto di ragioni
 giustificatrici connesse alle fasi endoprocedimentali.
   3.2.  -  La  norma, cosi' interpretata, e' stata, pero' ritenuta di
 dubbia   costituzionalita'   e   tale   questione   di   legittimita'
 costituzionale il collegio ritiene di dover sollevare d'ufficio anche
 nel  presente  giudizio,  in quanto non manifestamente infondata alla
 luce delle seguenti considerazioni, che recepiscono le argomentazioni
 gia' svolte dalla citata ordinanza dell'adunanza plenaria.
   3.3. - In  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione  e'  stato
 osservato  che  la  fissazione  di  un  termine  breve puo' risultare
 illogica, perche' incompatibile con  quelli  posti  dalla  precedente
 normativa  a  difesa  della  posizione  dell'incolpato  e  al fine di
 garantire l'accertamento e l'adeguata  valutazione  dei  fatti  sulla
 base   di  un  articolato  procedimento,  caratterizzato  dalle  fasi
 endoprocedimentali di cui al t.u. n. 3 del 1957.
   Deve, inoltre, osservarsi che puo' apparire  irragionevole  fissare
 il   medesimo   termine   per   la  conclusione  di  un  procedimento
 disciplinare gia' avviato e successivamente sospeso in  pendenza  del
 giudizio  penale e per la conclusione di un procedimento disciplinare
 promosso, come nella specie, dopo  la  conclusione  del  procedimento
 penale.
   3.4.  -  In  riferimento all'art. 97 della Costituzione va rilevato
 che la ristrettezza del termine di novanta giorni  puo'  in  concreto
 non  consentire  l'adeguata  ponderazione  dei  fatti, in una materia
 delicata, in cui l'ordinamento mira al giusto  contemperamento  delle
 esigenze dell'amministrazione con la posizione dell'incolpato.
   Ne'  la previsione di un termine assai breve per la conclusione del
 procedimento  appare  imposta  dalla   giurisprudenza   della   Corte
 costituzionale, la quale, nel ritenere illegittima la destituzione di
 diritto,   ha,   anzi,   chiarito  la  necessita'  di  una  specifica
 valutazione, in sede amministrativa, degli elementi  considerati  dal
 giudice  penale,  che, ancorche' riconosciuti idonei ad integrare gli
 estremi di un reato, debbono essere apprezzati  sotto  il  diverso  e
 autonomo  profilo  disciplinare (Corte cost. 14 ottobre 1988, n. 971;
 id. 2 febbraio 1990, n. 40; id. 24 ottobre 1995, n. 447).
   Va, inoltre, osservato che la previsione  del  termine  di  novanta
 giorni non appare indispensabile neppure per soddisfare l'esigenza di
 una  rapida  definizione della posizione dell'incolpato, che sarebbe,
 comunque, assicurata dal termine di centottanta giorni per promuovere
 o proseguire il procedimento disciplinare e  dalle  cadenze  previste
 dalle norme generali per le varie fasi di tale procedimento.
    4.  -  La rilevanza della questione, ai fini della definizione del
 presente giudizio, risulta evidente, ove si consideri che  dalla  sua
 soluzione  discende, in apice, l'apprezzabilita' o meno delle ragioni
 addotte dall'amministrazione  per  giustificare  il  superamento  del
 termine   di  conclusione  del  procedimento  disciplinare  nel  caso
 specifico.