ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, lettera  t),
 della  legge  13  giugno  1991,  n.  190  (Delega  al  Governo per la
 revisione delle norme concernenti la  disciplina  della  circolazione
 stradale) e dell'art. 120, comma 1, del decreto legislativo 30 aprile
 1992,  n.  285  (Nuovo  codice della strada), sia nel testo anteriore
 all'entrata in vigore del d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575  (Regolamento
 recante   la  disciplina  dei  procedimenti  per  il  rilascio  e  la
 duplicazione della patente  di  guida  di  veicoli),  che  nel  testo
 sostituito  dall'art.  5, comma 1, del citato d.P.R. n. 575 del 1994,
 promosso con  ordinanza  emessa  il  24  giugno  1997  dal  Tribunale
 amministrativo  regionale  della  Campania  sul  ricorso  proposto da
 Gioacchino De Rosa contro il  prefetto  della  provincia  di  Napoli,
 iscritta  al  n.  680  del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42,  prima  serie    speciale,
 dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  22  aprile  1998  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Il Tribunale amministrativo regionale della Campania solleva,
 con ordinanza del 24  giugno  1997,  questione  di  costituzionalita'
 dell'art.  2,  lettera t), della legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega
 al Governo per la revisione delle  norme  concernenti  la  disciplina
 della  circolazione stradale) e dell'art. 120 del decreto legislativo
 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) -  sia  nel  testo
 anteriore  che  in  quello  successivo  alla sostituzione operata con
 l'art. 5, comma 1, del d.P.R. 19 aprile  1994,  n.  575  (Regolamento
 recante   la  disciplina  dei  procedimenti  per  il  rilascio  e  la
 duplicazione della patente di guida di  veicoli)  -,  in  riferimento
 agli  artt.  3,  4  e 76 della Costituzione, secondo i profili che si
 espongono di seguito.
   2. - Il Tribunale amministrativo rimettente e' chiamato a  decidere
 sul  ricorso,  proposto  dall'interessato,  per  l'annullamento di un
 provvedimento prefettizio di revoca della patente di guida,  adottato
 in  conseguenza  della  sottoposizione  del  titolare  alla misura di
 sicurezza della liberta' vigilata, misura disposta con  provvedimento
 del competente magistrato di sorveglianza.
   Il  giudice  a  quo  riferisce innanzitutto la sequenza cronologica
 delle vicende che interessano il procedimento: con  sentenza  dell'11
 novembre  1986  della  Corte  d'Appello di Napoli, il soggetto veniva
 condannato e contestualmente era disposta la sua sottoposizione  alla
 misura  di  sicurezza  della  liberta' vigilata, per la durata di due
 anni (successivamente ridotta a  un  anno  con  provvedimento  del  3
 dicembre 1992 del magistrato di sorveglianza di Napoli); la misura di
 sicurezza era applicata fino al 26 ottobre 1994, quando il competente
 ufficio  di  sorveglianza  ne  disponeva la revoca, per il venir meno
 della  pericolosita'  sociale   del   prevenuto   anche   alla   luce
 dell'attivita'   lavorativa   di   autotrasportatore   nel  frattempo
 intrapresa;   successivamente,   peraltro,   all'interessato   veniva
 notificato  (in  data 13 novembre 1996) il provvedimento, adottato il
 12 aprile 1995, con il quale il prefetto di  Napoli,  riscontrato  il
 venir  meno  di  un  requisito  morale  stabilito  dalla legge, aveva
 revocato la patente di guida nel frattempo rilasciata.
   Osserva al riguardo il rimettente che  il  provvedimento  impugnato
 risulta   adottato,  ratione  temporis  in  applicazione  dell'allora
 vigente art. 130 del  decreto  legislativo  n.  285  del  1992  (cod.
 strada), che, al comma 1, lettera b), prescriveva che la revoca della
 patente  conseguisse,  vincolativamente,  al venir meno dei requisiti
 morali previsti dall'art.  120; quest'ultimo a sua volta escludeva il
 possesso dei requisiti anzidetti in coloro che "... sono o sono stati
 sottoposti a misure  di  sicurezza  personali  ...  fatti  salvi  gli
 effetti di provvedimenti riabilitativi".
   Questa   disciplina  -  prosegue  il  rimettente  -  e'  stata  poi
 aggiornata con il d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, entrato in vigore  a
 partire dal 1 ottobre 1995 (ex art. 2, comma 2, del d.-l. 25 novembre
 1995,  n.  501,  convertito  in legge 5 gennaio 1996, n. 11) e dunque
 prima della data di  notifica  del  provvedimento  del  prefetto;  ma
 l'art.      120  cod.  strada  e'  rimasto  sostanzialmente  immutato
 relativamente  alla  parte  che  rileva  ai  fini   della   questione
 sollevata,  giacche'  esso  continua  a  ritenere privo dei requisiti
 "morali" per il valido possesso del titolo di abilitazione alla guida
 chi sia, o sia stato, sottoposto a  misure  di  sicurezza  personali,
 fatti  sempre  salvi  gli  effetti  di provvedimenti riabilitativi, e
 continua dunque a prescrivere la revoca della patente in presenza  di
 dette circostanze.
   3.  - Il giudice a quo effettua quindi una disamina del complessivo
 sistema  normativo  che  viene  in  rilievo  nella  fattispecie,   in
 particolare   dell'art.   120   cod.   strada,   osservando   che  la
 sottoposizione a una misura di sicurezza, in atto o  anche  esaurita,
 fa  scattare  il  dovere  di  revocare la patente di guida, senza che
 risulti  influente  il  fatto  che,  a  seguito  di   riesame   della
 pericolosita', la misura di sicurezza sia stata a sua volta revocata.
   La  revoca  della  misura  di  sicurezza (art. 207 cod. pen.) ha lo
 scopo, infatti, di delimitare il principio  di  indeterminatezza  nel
 tempo  delle  misure  di  sicurezza,  applicabili in concreto fino al
 venir meno dello stato di pericolosita',  e  vale  a  contenere,  nel
 concorso  delle  regole dettate dal codice penale e da quello di rito
 sulla durata minima  della  misura  e  sui  modi  del  riesame  della
 pericolosita',  l'efficacia della misura rispetto al tempo. La revoca
 in argomento, quindi, "lascia impregiudicata" la circostanza  che  la
 misura  sia stata eseguita con provvedimento non piu' impugnabile. Se
 cio'  sia  avvenuto,  come  e'  nella  specie,  la  possibilita'  per
 l'interessato  di ottenere una nuova patente di guida e' condizionata
 all'intervento di un provvedimento di riabilitazione (art.  178  cod.
 pen.),  che  non puo' certamente farsi coincidere con la revoca della
 misura di sicurezza ex  art.  207  cod.  pen.,  quella  presupponendo
 questa (art. 179, quarto comma, numero 1), cod. pen.).
   Dunque,   la   misura   di   sicurezza,  sia  essa  fondata  su  un
 provvedimento definitivo o ancora soggetto a rimedi, va  eseguita,  e
 tale  esecuzione  integra  la  circostanza  sufficiente  al  doveroso
 intervento del prefetto, che puo' essere  contrastato  o  puo'  venir
 meno solo a seguito di riabilitazione.
   Tale  e' il senso del disposto letterale dell'art. 120 cod. strada,
 che include nella propria previsione coloro che "sono o  sono  stati"
 sottoposti  a  una misura di sicurezza, innovando sul punto, in senso
 rigoristico, il precedente codice (d.P.R. 15 giugno  1959,  n.  393),
 che,   all'art.  82,  considerava  solo  la  misura  in  atto  ("sono
 sottoposti").
   Deriva,   da   quanto  detto,  la  legittimita'  del  provvedimento
 prefettizio impugnato e dunque  la  necessita'  di  una  verifica  di
 costituzionalita' delle norme sulla cui base esso e' stato emanato.
   4.  -  Il  Tribunale amministrativo prospetta tre censure: le prime
 due, definite "formali", entrambe riferite al parametro dell'art.  76
 della Costituzione, in  relazione  di  subordinazione  tra  loro;  la
 terza, definita "sostanziale", sollevata in riferimento agli artt.  3
 e 4 della Costituzione.
   4.1.  -  Per  un primo aspetto, e' rimessa all'esame della Corte la
 verifica della  conformita'  all'art.  76  della  Costituzione  della
 normativa di delegazione, assumendosi dal giudice a quo il difetto di
 indicazione  dei principi e criteri direttivi necessari ai fini della
 valida delega al Governo della funzione legislativa.
   Dalla norma generale dell'art. 1 della legge n. 190 del  1991  (con
 la  quale  il  Governo e' stato delegato a "...rivedere e riordinare,
 apportandovi le modifiche opportune o necessarie in  conformita'  dei
 principi  e  criteri  direttivi  di  cui  all'art. 2, la legislazione
 vigente  concernente  la  disciplina  della  motorizzazione  e  della
 circolazione  stradale,  comprese le disposizioni dei testi unici..."
 recanti le codificazioni precedenti) e dal successivo art. 2, lettera
 t), che indica i principi e criteri  relativi  alla  disciplina  "del
 ritiro,  della  sospensione  e  della  revoca della patente di guida,
 anche con riferimento ai soggetti sottoposti a  misure  di  sicurezza
 personale" o di prevenzione, si desume, ad avviso del rimettente, una
 portata  estremamente  ampia  della  delega,  che  riguarda  tutta la
 preesistente disciplina della motorizzazione e della circolazione; la
 seconda norma, in particolare, sembra attribuire al Governo una sorta
 di delega in bianco, in  cui  i  limiti  della  funzione  legislativa
 conferita  sono  rappresentati  solo dalla materia e, al suo interno,
 dal solo parametro dell'esigenza di tutela della  sicurezza  stradale
 che  rappresenta,  ex  art.  2, primo periodo, della legge-delega, il
 minimo comune denominatore che  si  associa  ai  diversi  principi  e
 criteri  direttivi,  elencati  nelle  diverse  lettere che seguono ma
 assenti proprio nella lettera t) oggetto di impugnativa.
   Una  delega  cosi'  configurata  viola,  ad  avviso  del  Tribunale
 amministrativo, i principi costituzionali in tema di delegazione, che
 prescrivono direttive vincolanti e limitatrici della discrezionalita'
 del Governo.
   E'  vero  -  prosegue il giudice a quo - che, anche alla luce della
 giurisprudenza costituzionale, non puo' eliminarsi  ogni  margine  di
 discrezionalita',   poiche'   il   Governo  deve  poter  valutare  le
 specifiche fattispecie da regolare, ma non  puo'  comunque  ritenersi
 conforme  a Costituzione il conferimento di una delega cosi' generica
 e tale da far assurgere proprio il libero apprezzamento  del  Governo
 quale   criterio   direttivo,   cio'   che  e'  agli  antipodi  della
 legislazione vincolata.
   Neppure e' invocabile il principio, elaborato dalla  giurisprudenza
 costituzionale,  che  ammette  il  ricorso  a  deleghe per relationem
 rispetto all'intero contesto della legge ovvero  ad  altri  specifici
 atti  normativi;  nella  specie, infatti, da un lato il richiamo agli
 atti normativi concerne i precedenti codici della strada del  1933  e
 del  1959  che  sono  l'oggetto  della  revisione, dall'altro l'esame
 dell'intero  testo   della   legge-delega   rafforza   i   dubbi   di
 costituzionalita',  perche'  tutti i diversi punti dell'art. 2 paiono
 assistiti, in diverso grado, dall'indicazione dei principi e  criteri
 direttivi,  con  l'eccezione  proprio  e soltanto del punto collocato
 alla lettera t).
   Ne', infine, varrebbe in contrario a  giustificare  una  delega  di
 carattere   cosi'   generico   la   eventuale   considerazione  della
 limitatezza delle finalita' che essa deve raggiungere. Al  contrario:
 la delega si configura come legge di revisione e riordino dell'intera
 materia  della  circolazione stradale, e coinvolge pertanto obiettivi
 certamente non circoscritti.
   Relativamente a questo primo profilo della  censura,  il  Tribunale
 amministrativo  richiede  una  dichiarazione  di  incostituzionalita'
 della norma delegante (art. 2, lettera t), della  legge  n.  190  del
 1991),  nonche',  conseguentemente,  dell'art.  120  cod. strada, sia
 nella versione anteriore al d.P.R. n. 575 del 1994  (nella  parte  in
 cui  negava,  per  difetto  dei  requisiti morali, la possibilita' di
 rilascio della patente a coloro che sono stati sottoposti a misure di
 sicurezza), sia nella versione successiva a detto d.P.R. (nella parte
 in cui, sempre per difetto dei requisiti morali, prescrive la  revoca
 della patente nei confronti dei soggetti che versano nella situazione
 anzidetta).
   4.2.   -  Una  seconda  censura,  riferita  al  medesimo  parametro
 dell'art.    76  della  Costituzione,  e'  sollevata  dal   Tribunale
 amministrativo,  subordinatamente a quella detta al punto precedente,
 nei riguardi della sola normativa delegata.
   Per l'ipotesi, infatti, che la norma di  delegazione  sia  ritenuta
 conforme  a  Costituzione,  il  giudice  a quo reputa l'art. 120 cod.
 strada - nelle due  versioni  e  con  i  contenuti  gia'  indicati  -
 incostituzionale   per  eccesso  di  delega.  Una  volta  ammessa  la
 possibilita' di una delega ampia e non caratterizzata da  principi  e
 criteri  specifici,  la  valutazione  del rispetto dell'art. 76 della
 Costituzione  si  sposta  sul  terreno  della  ratio  della   delega,
 dovendosi  verificare  se  vi sia rispondenza tra la norma delegata e
 gli obiettivi che hanno ispirato il delegante, secondo la logica  del
 naturale "rapporto di riempimento" tra i due piani normativi.
   Non   risultando   espresse   nell'art.   2,   lettera   t),  della
 legge-delega, per quanto si e' detto, direttive  specifiche,  l'unica
 ratio  che il Tribunale amministrativo ritiene desumibile dalla norma
 e' quella di una generica valutazione non positiva  della  disciplina
 anteriore;  ma allora il legislatore delegato non poteva estendere la
 disciplina in argomento anche a soggetti diversi da quelli che  erano
 considerati dal precedente codice e dalla stessa norma di delega, che
 avevano  e hanno entrambi riguardo - rispettivamente, negli artt. 82,
 primo comma e 91, dodicesimo comma, del codice della strada del 1959;
 e nell'art. 2, lettera t), piu' volte citato - soltanto a coloro  che
 "sono"  sottoposti  a  misure  di sicurezza, e non anche a coloro che
 "sono stati" sottoposti ad esse.
   Questa estensione  dell'ambito  soggettivo  di  applicazione  della
 disciplina  non  puo' essere ritenuta un completamento e uno sviluppo
 delle scelte del delegante, poiche' nessun  elemento  in  tale  senso
 puo'  ravvisarsi  nel  testo  della  delega.  Del  resto,  lo  schema
 originario  del  testo  regolamentare  proposto  per  il  parere  del
 Consiglio  di  Stato e poi divenuto il d.P.R. n. 575 del 1994, cui si
 deve  l'attuale  versione  dell'art.  120  cod.  strada,   prevedeva,
 radicalmente,  l'eliminazione  dei  casi  di diniego della patente ai
 sottoposti - in atto o in precedenza - alle  misure  di  sicurezza  e
 finanche  ai  delinquenti  abituali,  professionali  o  per  tendenza
 nonche' ai condannati a pena detentiva non inferiore a tre anni.
   La seconda censura e', conclusivamente, rivolta a una dichiarazione
 di   incostituzionalita',   per   violazione   dell'art.   76   della
 Costituzione,  dell'art.  120  cod.  strada, anche in questo caso sia
 nella versione antecedente all'entrata in vigore del  d.P.R.  n.  575
 del  1994 (in cui il difetto del requisito morale consistente nel non
 essere stati sottoposti a misura di sicurezza vale come  ostacolo  al
 rilascio  della patente) che nella versione conseguente a tale d.P.R.
 (in cui la stessa circostanza  vale  come  ragione  di  revoca  della
 patente).
   4.3.  -  La terza censura dedotta e' di carattere "sostanziale", ed
 e' riferita agli artt. 3 e 4 della Costituzione.
   Come si e' gia' accennato, il d.P.R. n. 575 del 1994  era  diretto,
 nello  schema  originario,  a  eliminare ogni incidenza delle vicende
 penali e preventive dell'interessato sul titolo abilitativo, con cio'
 mirando a  "livellarsi  con  le  tendenze  da  tempo  in  atto  nella
 maggioranza dei paesi comunitari", prevedendo altresi' l'eliminazione
 del  valore  di  documento  identificativo  e  la semplificazione del
 procedimento di rilascio. E' stato il Consiglio di Stato, in sede  di
 parere, a rilevare che l'eliminazione delle disposizioni in parola si
 collocava al di fuori dell'area consentita dalla delega regolamentare
 (art.  2, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537), trattandosi
 di   innovazioni  sostanziali  e  non  solamente  procedimentali.  In
 particolare, il Consiglio di Stato ha sottolineato il  persistere  di
 ineludibili  esigenze  di tutela delle ragioni di pubblica sicurezza,
 che  devono  essere  contemperate  con  quelle   di   snellimento   e
 semplificazione  del  rilascio  del titolo, ma che non possono essere
 soppresse.
   Ne e'  risultato  -  prosegue  il  giudice  a  quo  -  un  evidente
 compromesso  nel  testo  attuale  dell'art.  120  cod. strada, la cui
 rubrica e' rimasta immutata e continua a essere riferita ai requisiti
 morali per il "rilascio" della patente, mentre la norma configura una
 ipotesi di revoca obbligatoria  di  un  titolo  gia'  rilasciato,  in
 presenza  dei  presupposti ivi indicati, secondo uno schema analogo a
 quello previsto dall'art. 19 del d.P.R. n. 616 del 1977  in  tema  di
 revoca delle licenze di polizia amministrativa.
   In  tal  modo,  la  soluzione  che  e'  prevalsa e' stata quella di
 lasciare complessivamente inalterata la disciplina di maggior  rigore
 del  nuovo  codice,  rispetto al precedente testo unico del 1959, che
 precludeva il rilascio - e imponeva la revoca -  della  patente  solo
 nei   confronti  di  coloro  che  "sono  sottoposti",  implicitamente
 escludendo dal proprio  ambito  coloro  che  avessero  gia'  esaurito
 l'applicazione della misura.
   Ma  questa  scelta  del  legislatore,  anteriore come successiva al
 d.P.R. n. 575 del 1994, e', ad avviso del rimettente, irragionevole e
 percio' lesiva dell'art. 3 della Costituzione.
   L'indiscutibile riserva  alla  discrezionalita'  legislativa  delle
 scelte di carattere sanzionatorio deve infatti comunque rispettare il
 limite  della  ragionevolezza, giacche' il legislatore non e' arbitro
 assoluto di tali scelte  ma  deve  collegare  ogni  previsione  a  un
 effettivo interesse da tutelare, bilanciandolo col sacrificio imposto
 al destinatario della previsione sanzionatoria.
   Un  siffatto  equilibrio  non  e', per il Tribunale amministrativo,
 ravvisabile nella specie, poiche' l'equiparazione tra chi e' in  atto
 persona  socialmente pericolosa (ed e' percio' sottoposto a misura di
 sicurezza) e chi non lo e' piu', essendovi stato sottoposto, accomuna
 irragionevolmente condizioni differenti, affievolisce l'interesse del
 soggetto che non sia  piu'  pericoloso  a  un  pieno  recupero  della
 socialita'  anche  attraverso  il  lavoro  e  privilegia,  sempre non
 ragionevolmente, l'interesse generale al controllo della persona,  in
 vista  della  prevenzione  di possibili ulteriori attivita' illegali,
 rispetto alla posizione del singolo.
   Inoltre,  tali  obiettivi  generali  sono  tutelati  in  modo  piu'
 apparente   che   reale,   poiche',   mentre  le  norme  in  discorso
 compromettono effettivamente la posizione dell'ex-prevenuto  che  sia
 motivato  a  mutare  condotta,  esse risultano per converso di dubbia
 efficacia nei riguardi di chi sia intenzionato a  delinquere:  questi
 non   esitera'   a  guidare  pure  senza  titolo  abilitante,  ovvero
 ricorrera'  a  espedienti  diversi  per  aggirare  il   divieto.   In
 definitiva, il sacrificio imposto a chi sia stato sottoposto a misura
 di  sicurezza  appare  eccessivo e sbilanciato rispetto all'interesse
 pubblico  alla  sicurezza,  il  quale  poi,  a  ben  vedere,  finisce
 anch'esso  per risultare poco tutelato, se si considera che in genere
 le occasioni di lavoro lecito  che  sono  offerte  dal  mercato  alle
 categorie  di  persone  in discorso richiedono, di fatto, il possesso
 della patente.
   Si  profila,  quindi,  anche  la  violazione  dell'art.   4   della
 Costituzione,  per  irragionevole limitazione nell'accesso al lavoro,
 quale   aspetto   del   diritto   garantito   dalla   citata    norma
 costituzionale,  sovente  qualificato  dalla  Corte come fondamentale
 diritto di liberta' della persona.
   Anche sotto questo aspetto, le limitazioni che la legge puo'  porre
 a  tutela  di  altri interessi aventi protezione costituzionale - nel
 caso, la sicurezza della collettivita'  -  non  possono  giungere  al
 punto  di  determinare  la  pratica  soppressione o comunque la grave
 compromissione del diritto individuale.
   Tale evenienza e' ravvisabile, conclude  il  giudice  a  quo  nella
 situazione  descritta,  in  cui, facendosi applicazione dell'art. 120
 cod. strada e privandosi cosi' del titolo di guida chi gia' ne sia in
 possesso, si impone al soggetto una limitazione dei propri diritti  e
 in  particolare di quello alla ricerca e al mantenimento di un lavoro
 che non e' giustificata ed e' eccessiva rispetto alle  finalita'  che
 la norma vuole raggiungere.
   Per  questo  terzo profilo, la censura ha per oggetto ancora l'art.
 120 cod. strada e ancora una volta secondo  la  bipartizione  ratione
 temporis  (prima e dopo il d.P.R. n. 575 del 1994) sopra riferita per
 i due precedenti profili.
   5. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, secondo il quale la questione e' infondata sotto ogni profilo.
   5.1. - Quanto alla  prospettata  genericita'  della  legge  delega,
 l'Avvocatura  ricorda  che  il  requisito  della  determinazione  dei
 principi e criteri direttivi  non  puo'  estendersi  fino  a  coprire
 interamente  l'area  riservata  al legislatore delegato, ma deve solo
 rispettare un coefficiente di adeguatezza in vista dell'indirizzo nei
 riguardi dell'attivita' normativa  del  Governo,  e  inoltre  che  il
 sindacato  sulla  posizione  dei  principi  e  criteri  esorbita  dal
 controllo  di  costituzionalita'  la'  dove  perviene  a investire il
 merito e l'opportunita' delle linee direttive prescelte.
   Benche'  vincolato  ai  prescritti  parametri,  poi,  al   Governo,
 nell'adozione  della  normazione delegata, deve comunque riconoscersi
 un  margine   di   discrezionalita'   tecnica,   indispensabile   per
 disciplinare in dettaglio la materia, poiche' altrimenti, se la legge
 delegante raggiungesse un eccessivo grado di puntualita', non sarebbe
 piu' neppure utile il ricorso allo schema della delegazione. Non puo'
 dunque  condividersi  la censura circa l'asserita "delega in bianco",
 poiche' il criterio direttivo impugnato circoscrive  sufficientemente
 la  materia,  i  soggetti  e  gli  obiettivi  sui quali e' chiamato a
 legiferare il Governo delegato.
   5.2. -   Del pari  infondata  e',  per  l'Avvocatura  erariale,  la
 censura di eccesso di delega.
   In primo luogo, la norma delegante (art. 2, lettera t), della legge
 n.  190 del 1991) considera, con un riferimento generale, i "soggetti
 sottoposti" a  determinate  misure  e  dunque  non  esclude  affatto,
 neppure dal punto di vista dell'interpretazione letterale, coloro che
 "sono stati" sottoposti in precedenza a dette misure.
   In  secondo luogo, proprio le piu' generali ragioni di tutela della
 sicurezza e di revisione della disciplina  tutta  della  circolazione
 fondano   l'esigenza   di  innovare,  legittimamente,  rispetto  alla
 precedente normativa, comprendendo ora anche coloro che "sono  stati"
 sottoposti  alle  misure di sicurezza (o di prevenzione), in vista di
 una  piu'  marcata  tutela  delle  anzidette  ragioni  di   carattere
 obiettivo.
   5.3.  - Ad avviso dell'interveniente, infine, e' infondata anche la
 censura "sostanziale".
   Non e' corretta - osserva l'Avvocatura - la  distinzione  radicale,
 prospettata dal rimettente, tra coloro che siano sottoposti in atto a
 misura  di  sicurezza  e coloro che lo siano stati in precedenza, nel
 senso che solo i primi e non i secondi sarebbero  qualificabili  come
 pericolosi.  Inoltre,  non  e' neppure sostenibile che la titolarita'
 della patente di guida costituisca sempre un  presupposto  necessario
 per  svolgere una qualsiasi attivita' lavorativa. Il legislatore, nel
 comprendere anche la pregressa sottoposizione a misura  ai  fini  che
 interessano,  ha  inteso accentuare l'azione di contrasto a fronte di
 fenomeni  di  criminalita'  che  sono  sicuramente  agevolati   dalla
 possibilita' di condurre veicoli; esso ha dunque valorizzato esigenze
 di  prevenzione  di  carattere  piu'  generale, secondo una linea che
 ispira  anche  altre  disposizioni  contenute  in   diversi   settori
 normativi, come l'art. 28, comma 1, della legge 19 marzo 1990, n. 55,
 o  come l'art. 2, comma 4, lettera e), della legge 15 agosto 1991, n.
 287.
   D'altra parte, la  scelta  del  legislatore  tiene  ragionevolmente
 conto  dell'impossibilita', a partire dal 1988, di negare il rilascio
 della patente di guida alle persone diffidate ai sensi dell'art.    1
 della  legge  n.  1423  del  1956,  come  invece  era possibile nella
 precedente disciplina della circolazione stradale (art.  82,  secondo
 comma,  del  T.U.  n.  393  del 1959). A seguito della legge 3 agosto
 1988,  n.  327,  infatti,  detta  possibilita'  e'  venuta  meno,  in
 conseguenza della soppressione dell'istituto della diffida.
   Resasi  impossibile  una  valutazione  caso  per caso dei motivi di
 pubblica sicurezza ostativi al rilascio della patente, in  precedenza
 effettuabile  attraverso  l'istituto della diffida, il legislatore ha
 ritenuto di trasferire la preclusione  al  possesso  del  titolo  sul
 piano  degli  effetti  dell'applicazione  di una piu' grave misura di
 sicurezza o di  prevenzione,  adottata  dal  giudice,  garantendo  al
 contempo l'eliminazione di tali effetti sfavorevoli al sopraggiungere
 della riabilitazione, penale o di prevenzione.
   Una  scelta,  questa,  ragionevole e di contemperamento tra opposte
 esigenze, che appare immune da censure di incostituzionalita'.
                         Considerato in diritto
   1. - Il Tribunale amministrativo regionale della Campania, chiamato
 a decidere su un  ricorso  per  l'annullamento  di  un  provvedimento
 prefettizio  di revoca della patente di guida, adottato nei confronti
 di persona gia' sottoposta alla misura di  sicurezza  della  liberta'
 vigilata,  misura  successivamente  revocata  prima  del  momento  di
 adozione  del  provvedimento,  dubita  sotto  diversi  aspetti  della
 legittimita'  costituzionale  della  disciplina  vigente  in materia,
 dalla cui applicazione dipende l'esito del giudizio  innanzi  a  esso
 pendente.
   Innanzitutto, il giudice rimettente solleva dubbi sulla conformita'
 alle  regole costituzionali concernenti la delegazione legislativa al
 Governo (art.  76)  del  procedimento  legislativo  delegato  che  ha
 portato  all'approvazione  della  norma  che  prevede la revoca della
 patente di guida nei confronti di coloro che siano "stati  sottoposti
 a misure di sicurezza personali" (combinato disposto degli artt.  120
 e  130  del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 - Nuovo codice
 della strada).
   Ad avviso del rimettente, l'art. 2,  lettera  t),  della  legge  13
 giugno  1991,  n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme
 concernenti la disciplina della circolazione stradale), nel  disporre
 il  "riesame  della  disciplina del ritiro, della sospensione e della
 revoca della patente di  guida,  anche  con  riferimento  a  soggetti
 sottoposti   a   misure   di   sicurezza  personale  e  a  misure  di
 prevenzione", senza indicazione di principi o criteri direttivi  alla
 cui  stregua  tale  revisione  dovesse  avvenire,  sarebbe di per se'
 lesivo del procedimento di delegazione legislativa previsto dall'art.
 76 della Costituzione.  Esso, infatti, non contempla la  possibilita'
 di  abbandonare  alle determinazioni del Governo, tramite deleghe "in
 bianco", le scelte legislative fondamentali e di  indirizzo  relative
 alle  materie  regolate,  esigendo al contrario che, in proposito, si
 manifesti la valutazione politica preminente del Parlamento.
   All'incostituzionalita'   della   norma   legislativa   di   delega
 conseguirebbe  l'illegittimita'  della  norma del decreto legislativo
 adottata su tale base, risultante dagli artt. 120 e 130  del  decreto
 legislativo  n.  285  del  1992  che, tra i "requisiti morali" la cui
 perdita comporta la revoca della  patente  di  guida,  prevedono  per
 l'appunto,  oltre  al  "non  essere",  anche  il  "non  essere stati"
 sottoposti a misure di sicurezza  personali  (salvi  gli  effetti  di
 eventuali  provvedimenti  riabilitativi). L'illegittimita' denunciata
 si estenderebbe poi, ad avviso del  rimettente,  anche  all'art.  120
 nella  versione  che  risulta  dal  d.P.R. 19 aprile 1994, n. 575, un
 regolamento  di  delegificazione  adottato  dal  Governo,  ai   sensi
 dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla base
 dell'art. 2, comma 7, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, il quale,
 "sostituendo"  con  il suo art.  5 l'art. 120 del decreto legislativo
 n. 285 del 1992, ha pero' ribadito la norma  che  prevede  la  revoca
 della  patente  di guida a coloro che "sono stati sottoposti a misure
 di sicurezza personali".
   In via gradata, il giudice  rimettente  dubita  della  legittimita'
 costituzionale  del  procedimento  di  legislazione delegata sotto un
 differente  aspetto.  Sulla  base  di   un'interpretazione   rigorosa
 dell'ambito  della delega conferita al Governo nella materia indicata
 dall'art.    2,  lettera  t),  della  legge  n.  190   del   1991   -
 un'interpretazione  che,  in mancanza di diverse espresse indicazioni
 innovative da parte del legislatore delegante, comporterebbe  per  il
 legislatore  delegato  la  necessita' di non discostarsi dalle scelte
 sostanziali della legislazione previgente - lo stesso  art.  120  del
 codice  della  strada,  nelle  due  versioni  anteriore  e posteriore
 all'intervento di "delegificazione" operato con il menzionato  d.P.R.
 n.  575  del 1994, risulterebbe lesivo della legge di delega e quindi
 incostituzionale per violazione dell'art.  76 della  Costituzione  in
 quanto prevede un caso di indegnita' morale, e quindi di revoca della
 patente, non riscontrabile nella legislazione preesistente.
   Infine,  lasciato  il  terreno  dell'art. 76 della Costituzione, il
 giudice rimettente solleva questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  120  del  codice  della  strada,  nelle due versioni sopra
 indicate, per violazione degli artt. 3 e 4 della Costituzione,  sotto
 il  profilo  sia dell'irragionevolezza della determinazione normativa
 rispetto   al   principio   costituzionale   di   uguaglianza,    sia
 dell'irrazionalita'  dell'equiparazione,  rispetto  alla revoca della
 patente, di chi "sia stato" sottoposto a misura di sicurezza e quindi
 non sia piu' "socialmente pericoloso" a chi "sia" in atto  sottoposto
 a tale misura e quindi sia ancora "socialmente pericoloso".
   2.   -  Preliminarmente  all'esame  del  merito  delle  censure  di
 incostituzionalita' cosi' proposte dal  giudice  rimettente,  occorre
 escludere  dal presente giudizio di costituzionalita' la disposizione
 contenuta nell'art.   5 del d.P.R. n.  575  del  1994,  "sostitutiva"
 dell'originario  art.    120 del codice della strada, in seguito alla
 "delegificazione" prevista dall'art. 2, comma 7, della legge  n.  537
 del 1993.
   Indipendentemente dai problemi nascenti dalla successione nel tempo
 delle  due  versioni  dell'art.  120,  contenute,  la  prima,  in una
 disposizione avente valore  di  legge  e,  la  seconda,  in  un  atto
 regolamentare; in particolare: indipendentemente dal valore normativo
 da  attribuirsi  alla  disposizione  contenuta nel regolamento, nella
 parte in cui indica le  condizioni  sostanziali  della  revoca  della
 patente  (materia  non soggetta a "delegificazione" a norma dell'art.
 2, comma 7, della legge n. 537  del  1993);  indipendentemente  dalla
 operativita',   in   relazione   a  tale  parte  "sostanziale"  della
 disposizione    "delegificata",     della     clausola     abrogativa
 dell'originario art. 120 del codice della strada, contenuta nell'art.
 2,  comma  8,  della  legge  n.  537  del 1993; indipendentemente dal
 problema della sindacabilita'  in  sede  di  giudizio  costituzionale
 delle  norme,  gia'  legislative, conferite tramite "delegificazione"
 all'ambito di competenza  dell'esecutivo  (problema  adombrato  nella
 sentenza  n. 23 del 1989 di questa Corte); indipendentemente, infine,
 da ogni valutazione circa l'eventualita' di una disposizione composta
 da elementi risultanti da atti legislativi o aventi valore di legge e
 da  atti  aventi  valore secondario; indipendentemente da tutto cio',
 risulta dai fatti di causa, secondo l'esposizione  dell'ordinanza  di
 rimessione,  che  l'unica  disposizione  di cui il giudice rimettente
 deve fare applicazione e' l'art. 120 del codice  della  strada  nella
 sua versione anteriore all'intervento di  "delegificazione".
   Infatti,  il  provvedimento di revoca della patente di guida, sulla
 cui legittimita' il Tribunale amministrativo ha da  pronunciarsi,  e'
 del   12   aprile   1995,  mentre  il  d.P.R.  n.  575  del  1994  di
 delegificazione - per effetto del suo art. 16 e della modifica a esso
 apportata con l'art. 2, comma 2, del d.-l. 25 novembre 1995, n.  501,
 convertito in legge 5 gennaio 1996, n. 11 - e' entrato in vigore solo
 successivamente,  il  1  ottobre 1995. Non risultando, d'altra parte,
 alcun motivo che induca a discostarsi, nella specie, dalle  ordinarie
 regole  circa  la  determinazione  del  diritto  da  applicarsi  alla
 fattispecie concreta, formatasi sotto la vigenza dell'originario art.
 120 del codice della strada, e' di questo che il  giudice  rimettente
 deve  fare  applicazione  ed e' ugualmente di questo, esclusivamente,
 che questa Corte puo' essere  chiamata  a  vagliare  la  legittimita'
 costituzionale.
   Pertanto,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale relativa
 all'art. 5 del d.P.R. n. 575 del 1994, "sostitutivo"  dell'originario
 art.   120   del   codice   della   strada,  deve  essere  dichiarata
 inammissibile.
   3. - La questione ritualmente proposta, circoscritta all'art.  120,
 da intendersi, alla stregua dell'ordinanza di rinvio, in relazione di
 combinato  disposto con l'art. 130 del codice della strada, anch'esso
 nella sua formulazione originaria, e' fondata sotto il profilo  della
 violazione  dell'art.  76  della  Costituzione  per  contrasto tra il
 decreto delegato e la legge di delegazione.
   3.1. - La legge 13 giugno 1991,  n.  190,  contiene  la  delega  al
 Governo  per la revisione delle norme concernenti la disciplina della
 circolazione stradale. A norma  dell'art.  1,  il  Governo  e'  stato
 delegato  ad  adottare  disposizioni  aventi valore di legge intese a
 "rivedere  e  riordinare"  la  legislazione  vigente  concernente  la
 disciplina   della  motorizzazione  e  della  circolazione  stradale,
 "apportandovi le modifiche opportune o necessarie in conformita'  dei
 principi  e  criteri  direttivi di cui all'articolo 2". Tale articolo
 stabilisce innanzitutto e in generale che  "il  codice  della  strada
 dovra'  essere  informato  alle  esigenze  di  tutela della sicurezza
 stradale" e poi  ai  principi  e  criteri  direttivi  previsti  nelle
 seguenti  lettere  da  a)  a gg). La lettera a) prevede, anch'essa in
 generale, l'adeguamento alla normativa comunitaria e  internazionale,
 nonche'  all'evoluzione  tecnica  e  all'aumentata  complessita'  del
 traffico, specialmente nei centri urbani, anche per mezzo di piani di
 circolazione e di traffico. Nelle lettere successive, da  b)  a  gg),
 vengono  poi indicati numerosi specifici aspetti della materia che il
 nuovo codice della  strada  deve  regolare,  per  lo  piu'  corredati
 dall'indicazione  del  senso  da  imprimere  alla  nuova  disciplina,
 attraverso criteri e principi  ad hoc.
   La lettera t)  dell'art.  2,  che  qui  interessa  in  particolare,
 prevede  il  "riesame della disciplina ... della revoca della patente
 di guida, anche con riferimento ai soggetti sottoposti  a  misure  di
 sicurezza   personale",  nonche'  a  misure  di  prevenzione.  Questa
 indicazione, tuttavia, indubitabilmente - contrariamente a quanto  il
 legislatore  delegante  ha  inteso  nell'incipit  dell'art. 2, ove le
 lettere da a) a  gg)  sono  qualificate  quali  "criteri  e  principi
 direttivi"  -  ha  a  che  vedere  piuttosto  con la definizione e la
 specificazione della  materia  oggetto  di  delegazione,  nell'ambito
 della   generica   materia   della   "disciplina  della  circolazione
 stradale".
   Il giudice rimettente ritiene questa essere  quindi  una  norma  di
 delegazione  indeterminata,  quanto  al  modo  di  svolgimento  della
 disciplina da parte del  Governo,  e  la  sottopone  al  giudizio  di
 costituzionalita' per violazione dell'art. 76 della Costituzione, la'
 dove   esso   impone   al   legislatore  di  circostanziare,  tramite
 l'apprestamento di principi e criteri direttivi, il potere  normativo
 il cui esercizio viene consentito al Governo.
   Una considerazione complessiva della legge di delega in questione e
 del  suo  significato  di  riforma del codice della strada anteriore,
 induce tuttavia a superare questo dubbio.
   Innanzitutto, pur mancando principi  e  criteri  direttivi  ad  hoc
 nella  disposizione  contenuta  nella lettera t) dell'art. 2, valgono
 indubbiamente anche rispetto alla materia ivi indicata le  previsioni
 orientatrici  poste  in  generale  dall'art. 2 della legge di delega,
 vale a dire la tutela della sicurezza stradale e  l'adeguamento  alla
 normativa  comunitaria  e  internazionale  (oltre alla considerazione
 dell'evoluzione tecnica e dell'aumentata complessita'  del  traffico,
 nella specie evidentemente priva di rilevanza).
   In  secondo  luogo,  come  gia'  affermato  da  questa  Corte nella
 sentenza n. 305 del 1996, l'art. 1, comma 1, della legge n.  190  del
 1991, delegando il Governo all'adozione di disposizioni aventi valore
 di  legge intese a "rivedere e riordinare" la legislazione vigente in
 materia di  disciplina  della  motorizzazione  e  della  circolazione
 stradale,  ha  identificato  direttamente,  quale  "base  di partenza
 dell'attivita'  delegata",  il  codice   della   strada   previgente.
 Nell'ambito  di una delega avente questo carattere, la revisione e il
 riordino - l'innovazione dunque - ma non gia' la sostanziale conferma
 della  normativa  previgente,  necessitano  di  principi  e   criteri
 direttivi,  idonei  a  circoscrivere  le  nuove  scelte discrezionali
 dell'esecutivo. Cosicche', la lettera t) dell'art. 2, che  delega  il
 Governo a operare un "riesame" della disciplina concernente la revoca
 della  patente  di guida, in mancanza di principi e criteri direttivi
 che  giustifichino  la  riforma,  deve  essere  intesa  in  un  senso
 minimale,  tale  da  non  consentire, di per se', l'adozione di norme
 delegate sostanzialmente innovative rispetto al  sistema  legislativo
 previgente  o,  se  del  caso,  richieste dal coordinamento con nuove
 norme apprestate dal legislatore delegato.
   3.2. - Ma proprio la ricostruzione  anzidetta  della  normativa  di
 delegazione induce a ritenere che l'art. 120 del codice della strada,
 nella  parte  in  cui  (in  combinazione  con  l'art.  130 del codice
 medesimo) comporta  la  revoca  della  patente  nei  confronti  delle
 persone  che  "sono  state"  sottoposte  a misure di sicurezza, violi
 l'art. 2,  lettera t), della legge n. 190 del 1991 e quindi l'art. 76
 della Costituzione.
   La previsione del nuovo  codice  della  strada  non  trova  infatti
 riscontro  nella legislazione previgente, nella quale (art. 82, primo
 comma, e art. 91, tredicesimo comma, numero 2, del d.P.R.  15  giugno
 1959,  n.  393) la revoca della patente era prevista nei confronti di
 coloro  che  fossero, ma non "fossero stati", sottoposti a misure  di
 sicurezza.
   Trattandosi  dunque  di  una  innovazione,  la  si  dovrebbe  poter
 giustificare  alla  stregua dei principi e criteri direttivi posti in
 generale dalla legge di delegazione. Ma cio' non e'.
   La norma impugnata prevede una  misura  amministrativa  accessoria,
 rimuovibile  soltanto  per  effetto  di  provvedimenti riabilitativi,
 conseguente alla circostanza di essere stati sottoposti a  misura  di
 sicurezza  personale.  Il  che presuppone (artt. 202 e 203 cod. pen.)
 la commissione di un reato (o il compimento di un fatto non  previsto
 come  reato, ma considerato dalla legge, ai fini che qui interessano,
 equivalente)  e  un  giudizio  di  pericolosita'  sociale,  cioe'  di
 probabilita'  rispetto  alla commissione di nuovi illeciti penali. La
 misura della revoca della patente si puo' spiegare,  allora,  in  una
 luce  o  sanzionatoria  o  preventiva, in ogni caso in una logica, in
 senso lato,  penalistica.
   Ma,  indipendentemente   dalla   ragionevolezza   di   una   simile
 determinazione legislativa, nessun principio o criterio direttivo, in
 tale  logica,  risulta  dalla  legge  delega,  ne'  direttamente, ne'
 indirettamente per il tramite del riferimento agli impegni comunitari
 o  internazionali  assunti  dallo  Stato  italiano.  Cosicche'   deve
 concludersi   che   il  legislatore  delegato  non  era  abilitato  a
 modificare in senso innovativo e restrittivo la disciplina dettata in
 proposito dalla precedente legislazione, con la  conseguenza  che  la
 norma  denunciata  d'illegittimita'  costituzionale viola la legge di
 delegazione e, per essa, l'art. 76 della Costituzione.
   4.  -  La  dichiarazione   d'incostituzionalita'   per   violazione
 dell'art.    76 della Costituzione assorbe le ulteriori censure mosse
 all'art.  120, per violazione degli artt. 3 e 4 della Costituzione.