ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 47 del regio
 decreto 17 agosto 1907, n. 642 (Regolamento per la procedura  dinanzi
 al  Consiglio  di  Stato  in sede giurisdizionale) e dell'art. 51 del
 codice di procedura  civile,  promosso  con  ordinanza  emessa  il  6
 novembre  1996  dal  Tribunale amministrativo regionale della Puglia,
 sezione staccata di Lecce, sul ricorso  proposto  da  Airo'  Rosa  ed
 altri  contro  il Ministero dell'interno ed altri, iscritta al n. 395
 del registro ordinanze 1997 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica, n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di  consiglio  del  6  maggio  1998  il  giudice
 relatore Riccardo Chieppa.
   Ritenuto  che,  nel  corso  del giudizio d'impugnazione proposto da
 alcuni consiglieri dimissionari del comune  di  Faggiano,  avente  ad
 oggetto  il  diniego  del  Prefetto  di  Taranto  di scioglimento del
 Consiglio comunale, il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la
 Puglia,   con   ordinanza  del  6  novembre  1996  ha  sollevato,  in
 riferimento agli artt.   3 e  24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  47  del  regio decreto 17
 agosto  1907,  n.  642  (Regolamento  per  la  procedura  dinanzi  al
 Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale)  e  51 del codice di
 procedura civile, nella parte in  cui  non  prevedono  il  regime  di
 incompatibilita'   del   giudice   amministrativo,   che  abbia  gia'
 conosciuto  della  causa  in  fase  cautelare,  a  partecipare   alla
 decisione del merito;
     che  preliminarmente  il  giudice  rimettente  rileva che due dei
 componenti del Collegio investito della  decisione  di  merito  hanno
 gia'  fatto  parte  dell'organo giudicante chiamato a conoscere della
 domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato:  tale
 situazione   apparirebbe   in   contrasto  con  l'avvertita  esigenza
 costituzionale  del  "giusto  processo",  che  ha  quale  ineludibile
 corollario  quella  dell'imparzialita'  del  giudice, garantita dalle
 norme sull'incompatibilita' del giudice;
     che i principi affermati con riferimento  specifico  al  processo
 penale,  sarebbero,  ad  avviso  del  giudice  a  quo  estensibili al
 processo amministrativo sotto un duplice profilo,  in  quanto  da  un
 lato,   la   nozione  di  incompatibilita'  endoprocedimentale,  come
 individuata dalla Corte, postulerebbe una valutazione precedentemente
 compiuta dallo stesso giudice, chiamato a pronunciarsi in una diversa
 fase del processo, di carattere non formale ma di contenuto, in tutto
 assimilabile al giudizio  espresso  in  sede  cautelare  dal  giudice
 amministrativo;   dall'altro  lato,  la  necessaria  autonomia  della
 valutazione    che    determinerebbe    il    successivo    insorgere
 dell'incompatibilita',    si   imporrebbe   altresi'   nel   processo
 amministrativo  che  si  articola  nel  giudizio  cautelare,   avente
 carattere autonomo con distinzione tra merito e fase cautelare;
     che,  d'altra  parte, il giudizio cautelare verterebbe, oltre che
 sul periculum in mora sulla delibazione prima facie della  fondatezza
 della  pretesa fatta valere in giudizio, compendiata nell'espressione
 della sussistenza  del  fumus  boni  iuris;  in  guisa  tale  che  le
 valutazioni  proprie  della  fase  incidentale  sulla sospensione del
 provvedimento,  non  potrebbero  essere  assimilate  a   giudizi   di
 carattere  formale,  non contenutistico, proprie delle determinazioni
 che non presuppongono l'esame del merito della controversia;
     che il riscontro sul piano concreto si troverebbe nella ordinanza
 cautelare  basata  con  sintetica motivazione sulla piena valutazione
 della fondatezza del ricorso nel merito;
     che, poiche'  l'esigenza  di  separazione  tra  le  diverse  fasi
 processuali  non  troverebbe  -  secondo  l'ordinanza di remissione -
 "riscontro nell'attuale strutturazione degli artt. 51 e ss.  c.p.c.",
 che  al n. 4) fa esclusivo riferimento all'intervento del giudice nei
 differenti gradi del  processo,  le  norme  denunciate  sarebbero  in
 contrasto  con gli artt. 3 e 24 della Costituzione nella parte in cui
 non prevedono  l'incompatibilita'  del  magistrato,  che  abbia  gia'
 conosciuto   della  causa  in  fase  cautelare,  a  partecipare  alla
 decisione di merito;
     che  nel  giudizio  ha  spiegato  intervento  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  con il patrocinio dell'Avvocatura generale
 dello Stato, che ha concluso per la inammissibilita'  o  infondatezza
 della questione.
   Considerato  preliminarmente  che  l'art.  51  cod.  proc.  civ.  -
 applicabile,   come   norma   fondamentale,   anche    al    processo
 amministrativo, in base ai principi generali, in mancanza di autonoma
 specifica  disciplina del giudizio amministrativo e rispetto al quale
 l'art. 47 del regolamento per la procedura dinanzi  al  Consiglio  di
 Stato  in  sede  giurisdizionale  assume  il  valore  di  mera  norma
 ricognitiva - regola in maniera compiuta le cause  che  possono  dare
 luogo  alla  ricusazione  o  alla  astensione dei giudici. Sicche' il
 richiesto scrutinio di costituzionalita' deve incentrarsi sul  citato
 art.   51   cod.   proc.   civ.,  nella  parte  in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita' del magistrato, che abbia conosciuto  della  causa
 in fase cautelare, a partecipare alla decisione del merito;
     che  questa  Corte  ha,  peraltro,  gia'  affermato  che non sono
 applicabili al giudizio amministrativo, proprio per le particolarita'
 e  le  diversita'  dei   sistemi   processuali,   le   regole   delle
 incompatibilita'  soggettive  per  precedente  attivita'  (tipizzata)
 svolta nello stesso procedimento penale, cui il giudice remittente fa
 riferimento attraverso il richiamo all'art. 34 cod. proc. pen., e che
 le  insopprimibili  esigenze  di  imparzialita'  del   giudice   sono
 risolvibili  nel  processo amministrativo - per la sua peculiarita' -
 attraverso  gli  istituti  della  astensione  e  della   ricusazione,
 previsti  dal codice di procedura civile (ordinanza n. 356 del 1997 e
 sentenza n. 326 del 1997);
     che con la citata sentenza n.  326  del  1997,  questa  Corte  ha
 chiarito  che  la  previsione  contenuta nell'art. 51, numero 4, cod.
 proc. civ., secondo il quale il giudice ha l'obbligo di astenersi "se
 ha conosciuto (della  causa)  come  magistrato  in  altro  grado  del
 processo" trova fondamento nella "esigenza stessa di garanzia che sta
 alla  base  del  concetto di revisio prioris instantiae", che postula
 l'alterita' del giudice dell'impugnazione, il quale si  trova  -  per
 via  del  carattere  del  mezzo  di  gravame  -  a dover ripercorrere
 l'itinerario logico che e'  stato  gia'  seguito  onde  pervenire  al
 provvedimento  impugnato;  mentre  la stessa esigenza non comporta la
 necessita' costituzionale che l'obbligo di astensione  (nel  processo
 civile)  sia  esteso  anche  all'ipotesi  del  giudice della causa di
 merito che abbia emesso un provvedimento di urgenza  o  cautelare  in
 genere;  che  ben  diversa  (rispetto  alla  pluralita'  di  gradi di
 giudizio)  si  presenta  la  situazione  quando  l'iter   processuale
 semplicemente   si   articoli   attraverso   piu'   fasi  sequenziali
 (necessarie od eventuali poco importa), nelle quali l'interesse posto
 a  base  della domanda impone  l'appagamento di esigenze di carattere
 conservativo, anticipatorio, istruttorio ecc;
     che, con  la  medesima  sentenza  n.  326  del  1997,  e'  stato,
 altresi',  precisato  che  i  provvedimenti  cautelari  adottati  dal
 giudice civile (ed il discorso puo' essere  esteso  integralmente  al
 giudizio  amministrativo)  costituiscono  espressione  del  principio
 secondo il quale ogni situazione giuridica deve poter trovare un  suo
 momento   cautelare,   componente   essenziale  della  stessa  tutela
 giurisdizionale, mentre il  successivo  giudizio  di  merito  non  e'
 descrivibile  quale valutazione operata sulla medesima res iudicanda,
 in modo tale da dover ravvisare,  nella  precedente  pronuncia  sulla
 domanda  cautelare (atteso il contenuto del giudizio sui presupposti:
 periculum in mora e fumus boni  iuris),  la  ragione  degli  asseriti
 condizionamenti    suscettibili   di   minare   l'imparzialita'   del
 giudicante;
     che anche per il processo amministrativo puo' essere  confermato,
 come  rilevato  con  la predetta sentenza n. 326 del 1997 a proposito
 del giudizio civile - e la norma applicabile per i casi di astensione
 e' la stessa - che la cognizione attribuita al  giudice  in  sede  di
 provvedimenti  cautelari  lascia  assolutamente  irrisolto il quesito
 circa l'esito  finale  del  giudizio  e  non  "anticipa"  affatto  la
 decisione  del  merito,  mirando  solo  a tutelare temporaneamente un
 preteso diritto  (o  interesse  legittimo)  onde  salvaguardarlo  dal
 pregiudizio  grave  ed  irreparabile,  ravvisato  sulla  base  di una
 valutazione provvisoria e di semplice verosimiglianza;
     che, d'altro canto, eventuali anormali pronunciamenti del giudice
 in sede cautelare, al di la' di quanto richiesto  dalle  esigenze  di
 motivazione della relativa decisione, in quanto estranei al paradigma
 legale,  non possono dare fondamento ad un vizio di costituzionalita'
 risolvendosi  in  cattiva  applicazione  della  procedura;   e   che,
 piuttosto,  in  casi  del genere, e' "dovere del giudice di valutare,
 nel concreto, se esistono gravi ragioni di  convenienza  legittimanti
 l'astensione", secondo la previsione del medesimo art. 51, cpv., cod.
 proc. civ.
     che,  pertanto,  la  questione  sollevata  deve essere dichiarata
 manifestamente infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.