ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 46, comma 3, del
 decreto  legislativo  31  dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni sul
 processo tributario in attuazione della delega al  Governo  contenuta
 nell'art.  30  della  legge  30  dicembre 1991, n. 413), promossi con
 ordinanze emesse il  20  giugno  1997  dalla  Commissione  tributaria
 provinciale  di  Cosenza ed il 9 dicembre 1997 (n. 2 ordinanze) dalla
 Commissione  tributaria  provinciale   di   Modena,   rispettivamente
 iscritte  al n.   767 del registro ordinanze 1997 ed ai nn. 294 e 295
 del registro ordinanze 1998 e  pubblicate  nella  Gazzetta  Ufficiale
 della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1997 e n. 28,
 prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 30 settembre  1998  il  giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto  che,  nel corso di diversi procedimenti riuniti, promossi
 da vari contribuenti avverso avvisi di rettifica  e  liquidazione  di
 maggiore imposta, loro notificati dal competente ufficio distrettuale
 imposte  dirette,  la  Commissione tributaria provinciale di Cosenza,
 con ordinanza emessa il 20 giugno 1997,  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  46,  comma  3,  del  decreto
 legislativo 31 dicembre  1992,  n.  546  (Disposizioni  sul  processo
 tributario  in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art.
 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413),  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che, in caso di declaratoria di cessazione della materia del
 contendere che consegua  all'annullamento  da  parte  della  pubblica
 amministrazione   degli   atti   impugnati,   intervenuto   dopo   la
 proposizione del ricorso, questa possa essere condannata al pagamento
 delle spese del giudizio;
     che, secondo la rimettente,  la  denunciata  norma,  si  pone  in
 contrasto:   a) con l'art. 3 della Costituzione, per l'ingiustificata
 disparita' di trattamento tra il cittadino, il quale, rinunciando  al
 ricorso,  deve  rimborsare  le  spese  alle  altre  parti  (ai  sensi
 dell'art. 44 dello stesso decreto legislativo n.  546  del  1992),  e
 l'amministrazione finanziaria, la quale, in un'ipotesi di sostanziale
 rinuncia, resta indenne dal pagamento delle spese di giudizio; b) con
 gli  artt.  24  e 113 della Costituzione, dato che la possibilita' di
 conseguire la ripetizione delle spese processuali, spesso  rilevanti,
 consentirebbe  al  contribuente  di  tutelare  piu'  efficacemente la
 propria posizione e di meglio apprestare le sue difese, potendo  egli
 essere,  viceversa,  indotto  a  desistere  dal  far  valere  le  sue
 legittime pretese; c) con l'art. 97 della  Costituzione,  poiche'  il
 criterio  della  soccombenza  -  esteso  in  via generale al processo
 tributario dall'art. 15 del medesimo testo  normativo  -  costituisce
 anche   per  l'amministrazione  finanziaria  un  elemento  vo'lto  ad
 assicurare il rispetto dei princi'pi di buon  andamento,  correttezza
 ed  imparzialita'  della  pubblica  amministrazione,  ponendosi  come
 limite positivo alla sua attivita' discrezionale;
     che, nel corso  di  analogo  procedimento  e  con  considerazioni
 sostanzialmente  identiche,  la Commissione tributaria provinciale di
 Modena, con ordinanza emessa il 9 dicembre 1997, ha  sollevato  -  in
 riferimento    agli artt.  3, 24, primo e terzo comma, e 113, primo e
 secondo comma, della Costituzione - questione di  legittimita'  dello
 stesso  art.  46,  comma  3,  "nella  parte  in  cui  non consente al
 contribuente   di   potersi   esprimere   sulla   ''rinuncia'',    se
 unilateralmente   decisa   dall'Ufficio   impositore   con   atto  di
 autotutela, al prosieguo della causa,  ne' al giudice di pronunciarsi
 sulla soccombenza delle spese del giudizio";
     che la medesima Commissione tributaria provinciale di Modena, con
 altra  ordinanza  emessa  anch'essa  il 9 dicembre 1997, ha sollevato
 ulteriore identica questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 46, comma 3, per violazione degli artt. 3, 24, primo e terzo comma, e
 97, primo comma, della Costituzione;
     che in tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  concludendo  per  l'inammissibilita'  ovvero per la manifesta
 infondatezza delle sollevate questioni.
   Considerato che i giudizi, concernenti la medesima  norma,  possono
 essere riuniti e congiuntamente decisi;
     che  successivamente alla proposizione degli odierni incidenti di
 costituzionalita' questa  Corte,  chiamata  al  vaglio  di  questioni
 analoghe,  ne  ha dichiarato la non fondatezza con sentenza n. 53 del
 1998;
     che, nella  motivazione  di  tale  sentenza,  la  Corte  ha  dato
 esaurienti   risposte   alle   argomentazioni  svolte  dalle  attuali
 rimettenti onde giustificare  i  prospettati  dubbi  in  ordine  alla
 violazione  del  principio di uguaglianza, del diritto di difesa e di
 tutela giurisdizionale del contribuente,  nonche'  del  principio  di
 buon andamento della pubblica amministrazione;
     che,  in  particolare,  questa  Corte ha ivi sottolineato come il
 legislatore, nell'opera - affidata alla  sua  discrezionalita'  -  di
 conformazione  degli  istituti  del  processo tributario a quelli del
 rito civile, non abbia travalicato il limite della razionalita';  nel
 contempo  affermando  l'inidoneita'  del  richiamo,  quale parametro,
 all'art. 97 Cost., riguardante le sole  leggi  concernenti  in  senso
 proprio   l'ordinamento   ed   il   funzionamento   sotto   l'aspetto
 amministrativo degli uffici giudiziari (v., da  ultimo,  sentenze  n.
 182 e n. 225 del 1996);
     che,   relativamente   a   quanto  ulteriormente  prospettato  in
 riferimento all'asserita violazione  del  principio  di  uguaglianza,
 basta solo rilevare la disomogeneita' - quanto a presupposti, nonche'
 ad  effetti  processuali e sostanziali - fra l'ipotesi di rinuncia al
 ricorso e quella di cessazione della materia del contendere, e dunque
 la  palese   inconfigurabilita'   della   paventata   disparita'   di
 trattamento  emergente  dalla  comparazione tra gli artt. 44 e 46 del
 decreto legislativo n. 546 del 1992;
     che, pertanto, le questioni sono manifestamente infondate.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.