IL TRIBUNALE Ha pronunciato d'ufficio la seguente ordinanza ex artt. 1, legge 9 febbraio 1948, n. 1, e 23, terzo comma, legge 11 marzo 1953, n. 87, nella procedura fallimentare (Reg. Fall. 924/1996) a carico di Alvaro Vincenzo; P r e m e s s o 1. - Questo tribunale con sentenza del 12 dicembre 1996 ha dichiarato il fallimento di Alvaro Vincenzo titolare dell'omonima ditta individuale e poi con sentenza del 19 febbraio 1998, accogliendo l'opposizione proposta ex art. 18 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, ha revocato il fallimento predetto; il dispositivo della sentenza di revoca, passata in giudicato, non contiene alcuna statuizione circa il soggetto che con il proprio comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di fallimento. 2. - Tra la data di dichiarazione e quella di revoca del fallimento sono state affrontate delle spese di procedura ed il curatore ha espletato l'attivita' di sua competenza, sicche' questo tribunale ai sensi dell'art. 21, secondo comma 1.f. - su istanza del curatore depositata l'8 ottobre 1998 - con decreto dell'8 ottobre 1998 ha liquidato le spese ed il compenso teste' indicati rispettivamente in L. 2.538.000 ed in L. 5.565.000 oltre c.a.p. ed i.v.a.; si precisa che le spese liquidate si riferiscono ad atti interni necessari a far andare avanti la procedura fallimentare e, pertanto, sono state prenotate a debito ex art. 91 1.f. Attualmente la procedura sul proprio conto bancario ha un saldo attivo di L. 11.866.577. O s s e r v a Va sollevata d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 21, primo comma del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, in riferimento: agli artt. 3, primo comma e 97, primo comma della Carta costituzionale nella parte in cui non prevede che, qualora il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora in tale sentenza non sia individuato il soggetto che con il suo comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di fallimento, le spese di procedura debbano essere pagate mediante prelievo dall'attivo acquito al fallimento prima della sua restituzione all'avente diritto; agli artt. 3, primo comma, 24, primo comma e 35, primo comma della Costituzione nella parte in cui non prevede che, qualora il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato e qualora in tale sentenza non sia individuato il soggetto che con il suo comportamento abbia dato causa alla dichiarazione di fallimento, il compenso al curatore debba essere pagato mediante prelievo dall'attivo acquisito al fallimento prima della sua restituzione all'avente diritto. 1. - Rilevanza della questione nella procedura fallimentare. La questione appare rilevante nell'ambito della procedura fallimentare in parola. Invero, l'art. 21, 1.f. sancisce che, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, le spese di procedura ed il compenso al curatore sono liquidati dal tribunale e sono posti a carico del creditore istante che e' stato condannato ai danni per aver colposamente chiesto il fallimento ovvero a carico di colui, che ha subito la dichiarazione di fallimento e che ha dato causa alla stessa con il proprio comportamento. Inoltre, la norma richiamata prevede che, qualora il giudice della revoca del fallimento non statuisca in ordine alla responsabilita' della dichiarazione di fallimento, il compenso al curatore va corrisposto secondo la legge speciale n. 995, del 10 luglio 1930; tuttavia, si rileva che tale normativa e' stata abrogata dal D.L.C.P.S. 23 agosto 1946, n. 153, e non e' stata sostituita da altra legge ad hoc. Orbene, nel caso di specie il tribunale con decreto dell'8 ottobre 1998 ha provveduto a liquidare le spese di procedura e, su istanza del curatore, il compenso di costui senza poter indicare il soggetto obbligato al pagamento dei relativi importi, in quanto nella sentenza di revoca del 19 febbraio 1998 non e' stato individuato il soggetto (creditori istanti e/o debitore) che con il proprio comportamento ha colposamente dato causa alla dichiarazione di fallimento. Ne consegue che lo Stato per il recupero delle spese di procedura prenotate a debito ex art. 91, 1.f. ed il curatore per il pagamento del suo compenso non possono agire nei confronti di alcuno, in quanto manca del tutto il soggetto obbligato. E' appena il caso di evidenziare che per il pagamento del compenso al curatore non si puo' far ricorso all'art. 91, 1.f., in quanto tale norma e' costantemente interpretata dalla giurisprudenza nel senso che sull'erario possono gravare solo ed esclusivamente le spese relative al compimento degli atti necessari a far andare avanti la procedura fallimentare e non anche gli importi di natura retributiva, fra i quali senza dubbio e' compreso il compenso al curatore. Ne' si puo' ritenere che il tribunale, in sede di liquidazione delle spese di procedura e del compenso al curatore ex art. 21, secondo comma legge fallimentare, abbia il potere di individuare il soggetto colposamente responsabile della dichiarazione del fallimento, in quanto per orientamento giurisprudenziale costante il giudice dell'opposizione ex art. 18, l.f. ha competenza funzionale esclusiva in ordine alla cognizione e dichiarazione della responsabilita' in parola (ex multis: Cass. 23 ottobre 1993, n. 10556, Cass. 8 febbraio 1990, n. 875, Cass. 1 giugno 1989, n. 2663, Cass. 26 febbraio 1979, n. 1254). 2. - Non manifesta infondatezza della questione. La questione appare non manifestamente infondata per quanto riguarda sia le spese di procedura che il compenso al curatore. a) Spese di procedura. L'art. 21, primo comma legge fallimentare si pone in contrasto con gli artt. 3, primo comma e 97, primo comma della Costituzione. La violazione dell'art. 3, primo comma risulta dal fatto che la norma censurata disciplina in modo differente gli effetti degli atti legalmente compiuti dagli organi del fallimento e le spese occorse per porre in essere tali atti; infatti, in caso di revoca del fallimento, l'art. 21, primo comma, l.f sancisce l'intangibilita' solo degli effetti degli atti e non anche delle spese incontrate per il loro compimento. Tale disparita' di trattamento risulta del tutto irragionevole ed ingiustificata, in quanto gli effetti e le spese in questione si riferiscono agli stessi atti di procedura e sono fenomeni strettamente legati fra loro da un rapporto di interdipendenza reciproca: al riguardo e' sufficiente evidenziare che da un lato gli effetti di un atto non possono esplicarsi se mancano i fondi necessari a far nascere giuridicamente l'atto stesso; dall'altro lato le spese sono un elemento essenziale per compiere un atto che esplichi effetti nella procedura fallimentare. Inoltre, si ritiene che tale ingiustificata disparita' di disciplina normativa emerga in tutta la sua evidenza sol se si consideri che, in caso di revoca della dichiarazione di fallimento, l'ex fallito da un canto "sopporta" gli effetti degli atti legalmente adottati e dall'altro canto non e' "gravato" degli esborsi impiegati per compiere tali atti. La violazione dell'art. 97, primo comma si concretizza nel fatto che in caso di revoca del fallimento e di mancata pronuncia in ordine alla responsabilita' della sua dichiarazione, poiche' l'attivo acquisito dev'essere restituito immediatamente all'avente diritto, gli importi anticipati e/o prenotati a debito a mente dell'art. 91, l.f. non possono essere recuperati e gravano definitivamente sull'erario. Al contrario il principio costituzionale del buon andamento dell'attivita' della pubblica amministrazione impone di far gravare sullo Stato solo le spese necessarie a mandare avanti la procedura fallimentare verso il suo fine naturale rappresentato dalla liquidazione dell'attivo e dalla soddisfazione dei creditori concorsuali; opinare diversamente significa ritenere che lo Stato debba sopportare le spese di una procedura divenuta in concreto priva di rilevanza pubblica, in quanto la stessa e' stata attinta da giudizio positivo di revoca ex art. 18, l.f. b) Compenso al curatore. L'art. 21, l.f. si pone in contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, primo comma e 35, primo comma della Costituzione. (La violazione dell'art. 3, primo comma Costituzione si concretizza nel fatto che il provvedimento di liquidazione del compenso al curatore, qualora venga adottato prima del passaggio in giudicato della sentenza di revoca che non contenga alcuna statuizione sulla responsabilita' della dichiarazione di fallimento, esplica in pieno i suoi effetti giuridici e, pertanto, l'importo liquidato viene materialmente corrisposto al curatore; invece, tale provvedimento di liquidazione, qualora venga emesso dopo il passaggio in giudicato della sentenza di revoca che non dichiari la responsabilita' per colpa di alcuno circa l'intervenuto fallimento, non puo' esplicare alcun effetto giuridico ed e' inutiliter dato in quanto manca il soggetto obbligato al pagamento del compenso e ne' tale soggetto puo' essere individuato dal collegio in sede di liquidazione ex art. 21, secondo comma l.f., atteso che al riguardo sussiste la competenza funzionale esclusiva del giudice della revoca del fallimento. In altre parole, si riscontra una palese, ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento tra il curatore, che veda liquidato il proprio compenso prima del passaggio in giudicato della sentenza di revoca priva della statuizione di responsabilita', ed il curatore il cui compenso venga liquidato dopo tale momento, in quanto solo nella prima ipotesi e non anche nella seconda il curatore percepisce il proprio compenso mediante prelievo dall'attivo acquisito alla procedura; eppure non v'e' chi non veda che in entrambi i casi il curatore ha espletato la propria attivita' d'ufficio ed ha compiuto gli atti di procedura volti a soddisfare i creditori concorsuali. In ogni caso si rimarca che il compenso al curatore non puo' essere posto a carico dell'erario ai sensi dell'art. 91, l.f., in quanto tale norma consente di effettuare anticipazioni solo per le spese relative all'adozione di atti interni necessari a far camminare la procedura. Il contrasto con l'art. 24, primo comma, Costituzione risulta dal fatto che il curatore, qualora il fallimento venga revocato con sentenza passata in giudicato senza alcuna statuizione in ordine alla responsabilita' della sua dichiarazione, non puo' conseguire il pagamento del proprio compenso, in quanto non e' stato individuato il soggetto obbligato e neppure puo' instaurare un autonomo giudizio ordinario volto ad individuarlo; infatti, l'accertamento della responsabilita' in ordine alla dichiarazione di fallimento e' di competenza esclusiva del giudice della revoca. Ne consegue che il diritto del curatore a percepire il compenso resta privo di tutela giuridica e non puo' essere in alcun modo azionato. La violazione dell'art. 35, primo comma Costituzione emerge dal fatto che nella fattispecie concreta sub iudice il curatore, benche' abbia svolto l'attivita' d'ufficio nell'ambito della procedura fallimentare sino al passaggio in giudicato della sentenza di revoca, non vede in alcun modo tutelato il proprio diritto di percepire il compenso; eppure il lavoro svolto dal curatore dovrebbe essere riguardato e considerato alla stregua di qualsiasi altra attivita' lavorativa, in quanto in base al parametro costituzionale richiamato il lavoro e' tutelato "... in tutte le sue forme ed applicazioni ..." e, cioe', sia esso autonomo che subordinato.