IL PRETORE
   Ha  emesso  la  seguente ordinanza sciogliendo la riserva formulata
 all'udienza  dell  10  giugno  1998  ed  esaminati   gli   atti   del
 procedimento iscritto al n. 828/1998 r.g.a.c.;
                             O s s e r v a
   Con  atto  di  intimazione  di  sfratto per morosita' e contestuale
 citazione per  la  convalida  dello  stesso,  Lo  Prestino  Domenica,
 rappresentata e difesa dall'avv. Francesco Quattrone giusta procura a
 margine  dell'atto  introduttivo, conveniva in giudizio certo Bosurgi
 Basilio.
    La notificazione - dopo un primo tentativo presso l'abitazione del
 convenuto, al n. 142/E della via Nazionale in  localita'  Pellaro  di
 Reggio   Calabria   ed  attestando  l'ufficiale  giudiziario  che  il
 destinatario dell'atto "non risulta piu' a tale domicilio da circa un
 mese. Se  ne  disconosce  l'esatto  recapito"  (cfr.  relata  del  13
 febbraio  1998)  -  veniva  effettuata ai sensi dell'art. 143 c.p.c.,
 previa acquisizione del certificato anagrafico del comune  di  Reggio
 Calabria  comprovante la corrispondenza tra l'abitazione ivi indicata
 ed il luogo presso  cui  era  stato  cercato  il  Bosurgi  (potendosi
 ritenere  che  la "SS.  106 III Tr.  Pellaro" sia la via Nazionale di
 cui sopra).
   All'udienza   di   comparizione,   non  costituitosi  ne'  comparso
 personalmente l'intimato, parte  attrice  dichiarava  la  persistenza
 della   morosita'   e   chiedeva   convalidarsi  lo  sfratto,  previa
 declaratoria di contumacia del convenuto.
   La notificazione dell'atto  si  e'  svolta  secondo  le  previsioni
 dell'art.   143 cit., previa constatazione della non individuabilita'
 del recapito del convenuto e con il rispetto del termine a  comparire
 dal  momento  di perfezionamento della notifica disposto dalla norma:
 il compimento delle formalita' e' avvenuto infatti il 27 aprile  1998
 e    l'udienza  di  comparizione indicata nell'atto era quella del 10
 giugno 1998, successiva, pertanto,  al  compimento  del  quarantesimo
 giorno   dall'esecuzione   degli   adempimenti   di  pubblicizzazione
 dell'atto previsti dal ridetto art. 143 (venti per il perfezionamento
 della notifica nei confronti del notificato e  altri  venti  ex  art.
 660,  comma  4,  c.p.c.).  Deve  ora  esaminarsi  la  validita' della
 notificazione in parola ai fini della particolare domanda  introdotta
 dall'attrice,  e  cioe'  della  convalida dello sfratto per morosita'
 dalla stessa intimato al Bosurgi.
   Ebbene, il tenore letterale della norma di cui all'art. 660  c.p.c.
 sembra   escludere  che  la  notifica  in  parola  possa  ritualmente
 introdurre la richiesta di convalida  ex  artt.  657  e  ss.  c.p.c.:
 l'ultimo   comma   dell'articolo   sopra   citato,  infatti,  prevede
 espressamente che "se l'intimazione non e' stata notificata  in  mani
 proprie,  l'ufficiale  giudiziario deve spedire avviso all'intimato a
 mezzo di lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto  la
 ricevuta   di   spedizione".  Non  v'e'  dubbio  che  l'ignoranza  di
 residenza,  dimora  e  domicilio  del   notificando   -   presupposto
 necessario  e  determinante dell'adozione delle modalita' di notifica
 ex  art.  143  c.p.c.  -  impedisca  la  spedizione  di  qualsivoglia
 raccomandata  e, quindi, il perfezionamento della particolare vocatio
 in ius prevista dal ricordato art. 660 c.p.c.
   La conseguenza  indefettibile  della  corretta  applicazione  della
 norma  e'  dunque  l'esclusione  della possibilita' di ricorrere allo
 speciale procedimento "della  convalida"  laddove  la  domanda  debba
 essere  notificata  ai  sensi  dell'art.  143  c.p.c. Cio' non appare
 armonico  con  l'ordinamento  processuale  e  sembra   generare   una
 situazione   di   disparita'  che  non  trova  giustificazione  nella
 diversita' di posizioni sostanziali sottostanti.
   E' bensi' vero che la rapidita'  del  procedimento  sommario  della
 convalida  e  la  particolare rilevanza del comportamento processuale
 dell'intimato debbono muovere l'interprete ad  una  speciale  cautela
 nella  valutazione  della  ritualita' della sua chiamata in giudizio,
 tanto che e' lo stesso legislatore ad onerare il giudice  del  dovere
 di  "ordinare  che  sia  rinnovata  la citazione, se risulta o appare
 probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza  della  citazione
 stessa o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza maggiore"
 (art.  663,  comma 1, ultimo periodo). Una differenza sostanziale tra
 le posizioni dell'intimato di cui si conosce il recapito e quello  da
 notificare  ai  sensi  dell'art.  143,  dunque,  potrebbe prima facie
 ravvisarsi  proprio  nella  valutazione  di  conoscibilita'  concreta
 dell'atto  da  parte  dell'un  soggetto rispetto all'altro. Una cosa,
 infatti, e' potere recapitare l'intimazione a persona che intrattiene
 rapporti qualificati con  il  destinatario,  ovvero  lasciare  presso
 l'abitazione (o ufficio o azienda) di quest'ultimo l'avviso che detta
 intimazione  e'  depositata  presso  il  comune  e dargliene altresi'
 avviso per lettera raccomandata;  altra  cosa  e'  dare  all'atto  da
 notificare  una  pubblicita'  virtualmente  svincolata dall'effettivo
 ambito di azione e diretta  percezione  del  suo  destinatario,  come
 accade  laddove  copia  dell'atto  viene  depositata  presso  la casa
 comunale dell'ultima residenza del convenuto  ed  altra  copia  viene
 affissa nell'albo dell'ufficio presso cui si procede.
   Tuttavia,   procedendo   nell'esame   della   questione,  non  puo'
 trascurarsi che anche nello speciale procedimento di  convalida  cio'
 che  rileva  ai  fini  della valida instaurazione del processo, e' la
 conoscenza  "legale"  dell'atto   introduttivo,   non   gia'   quella
 effettiva.   Non   sussiste   problema   alcuno,   infatti,   laddove
 l'intimazione sia stata notificata ai sensi dell'art.  140  c.p.c.  e
 l'iter postale della raccomandata che completa il tipo di notifica si
 sia  perfezionato mediante la restituzione al mittente del piego "per
 compiuta giacenza", non avendone il destinatario curato il ritiro nei
 dieci giorni successivi al suo deposito presso l'ufficio postale. Ne'
 le risultanze in questione debbono di per se' indurre  il  magistrato
 ad  ordinare  la  rinnovazione  della  notificazione,  ai  sensi  del
 ricordato art. 663, comma 1 c.p.c., dovendo risultare  -  o  apparire
 probabile  -  la  ricorrenza  delle ragioni di forza maggiore (o caso
 fortuito) che rendano incolpevole la mancata conoscenza  in  concreto
 dell'atto di cui sarebbe lecito presumere la conoscenza legale.
   Appare  fuor  di  luogo precisare che la limitazione all'ipotesi di
 caso  fortuito  e  forza  maggiore  investe   entrambe   le   ipotesi
 contemplate  dalla norma, sia quella di mancata conoscenza dell'atto,
 sia quella di impossibilita' a comparire dell'intimato.  Ove  infatti
 fosse  sufficiente  la  mera  probabilita'  della  mancata conoscenza
 dell'intimazione,  senza  che  fosse  necessario  dare  rilievo  alle
 ragioni  di  siffatta  ignoranza,  facile  sarebbe  per il conduttore
 inadempiente sottrarsi alla celerita' del rito speciale potendo  egli
 omettere con malizia di curare il ritiro della corrispondenza che gli
 perviene.
   Sulla   base  della  considerazione  che  precede,  sembra  doversi
 concludere che non vi  sono  ragioni  "interne"  alla  posizione  del
 notificando  tali  da differenziare l'ipotesi dell'art. 140 da quella
 dell'art.  143 c.p.c.: imputet sibi il  destinatario  dell'atto,  nel
 primo  caso,  di  non  avere  curato  la  corrispondenza  (e le altre
 comunicazioni)  pervenute  presso  la  sua  abitazione,   ovvero   di
 essersene allontanato per lungo tempo; nel secondo caso, di non avere
 provveduto ad offrire ai competenti uffici anagrafici le informazioni
 che  avrebbero  consentito l'aggiornamento delle loro risultanze, con
 la  conseguente  inesperibilita'  della  particolare   modalita'   di
 notifica di cui al ridetto art. 143 c.p.c.
   Perche',  dunque, inibire al locatore che incolpevolmente ignori il
 luogo  di  abitazione  (o,  comunque,  recapito)  del  conduttore  la
 possibilita'  di  avvalersi  della procedura semplificata di cui agli
 artt. 657 e ss. c.p.c.?
   Delle  due  l'una:  o  si  dubita  dell'effettiva   diligenza   del
 locatore-intimante nell'individuare il recapito del proprio convenuto
 (ma  e'  problema  di valutazione in concreto della correttezza nella
 scelta della modalita' di notifica e della  puntuale  ricorrenza  dei
 suoi  presupposti  di  fatto  e  di  diritto),  oppure si finisce per
 differenziare due  ipotesi  di  "presunzione  di  conoscenza  legale"
 (quella  ex  art.  140 e compiuta giacenza dell'atto e quella ex art.
 143 c.p.c.) che non presentano invece alcun elemento di  effettiva  e
 sostanziale  differenza,  tanto  che  il  legislatore  le ha previste
 entrambe agli ordinari fini del processo civile.
   Questione analoga e' stata gia' esaminata e risolta dalla Consulta,
 con riferimento all'ipotesi di cui al combinato disposto degli  artt.
 202,  comma  2,  169 u.c. e 175 c.p.p. E' stato infatti affermato che
 "non  e'  ragionevole  la  differenziazione   di   disciplina   delle
 notificazioni  delle  impugnazioni previste dall'art. 140 c.p.c., che
 considera  perfezionata  la  notificazione   nel   momento   in   cui
 l'ufficiale  giudiziario  spedisce la lettera raccomandata con avviso
 di ricevimento recante l'avviso di deposito nella  casa  comunale  di
 copia  dell'atto,  e delle notificazioni, da eseguirsi ai sensi degli
 artt.  202,  comma  2,  169,  ultimo  comma  e  175   c.p.p.,   delle
 impugnazioni  di sentenze o provvedimenti penali per i soli interessi
 civili, che si intendono perfezionate solo nel momento  del  recapito
 al destinatario della raccomandata di cui sopra, stante l'omogeneita'
 dell'azione  civile  proposta in sede civile e di quella inserita nel
 processo penale; pertanto il combinato disposto dei citati artt. 169,
 ultimo comma, 175 e 209, c.p.p. del  1930  e'  incostituzionale,  per
 violazione  dell'art. 3 Cost." (Corte costituzionale 16 ottobre 1990,
 n.  461).  Anche  nel  caso  appena   citato   e'   stata   ravvisata
 un'incongruenza  nella  previsione normativa di modalita' diverse per
 introdurre   azioni   giudiziarie   caratterizzate   da   sostanziale
 omogeneita'  ed  e'  stata  esclusa  la  ricorrenza di quelle ragioni
 (interessi   da   tutelare)   che   legittimano   l'esercizio   della
 discrezionalita' legislativa.
   Ancora,  con riferimento al procedimento di convalida del sequestro
 autorizzato ante causam secondo  la  normativa  vigente  fino  al  31
 dicembre  1992,  sempre  il  giudice  delle  leggi  ha  provveduto ad
 eliminare la discriminazione esistente tra l'ipotesi di notifica  del
 decreto  di  sequestro  da  effettuarsi all'estero e quella per cosi'
 dire ordinaria, affermando che "gli art. 142, comma 3, 143, comma  3,
 e  680,  comma 1, c.p.c., gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui,
 imponendo a pena di  inefficacia  la  notificazione  del  decreto  di
 sequestro  conservativo  entro  quindici  giorni  dal  primo  atto di
 esecuzione,  anche  quando  tale  adempimento  debba  essere  seguito
 all'estero,  nei  modi  previsti  dalle  convenzioni internazionali e
 dagli artt. 30 e 75,  d.P.R.  5  gennaio  1967,  n.  200,  comportano
 un'irragionevole  limitazione  del  diritto  di agire, facendo carico
 alla parte istante di comportamenti  rimessi  invece  alle  autorita'
 straniere,  ed  una  disparita'  di  trattamento  rispetto  al  caso,
 previsto  nei  primi  due  commi  dell'art.   142,   nel   quale   la
 notificazione  si  ha  per perfezionata nei confronti del notificante
 con il solo compimento delle formalita' ivi  prescritte;  pertanto  i
 citati  articoli vanno dichiarati costituzionalmente illegittimi, per
 violazione degli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui non prevedono
 che  la  notificazione  all'estero  del  sequestro  conservativo   si
 perfezioni,  ai  fini  dell'osservanza del prescritto termine, con il
 tempestivo compimento delle formalita' imposte al  notificante  delle
 convenzioni  internazionali  e  dagli  artt. 30 e 75 d.P.R. 5 gennaio
 1967, n. 200" (Corte costituzionale 3 marzo 1994, n. 69).
   Un'ultima  considerazione. E' bensi' vero che taluna giurisprudenza
 di merito ritiene la  compatibilita'  dell'art.  143  c.p.c.  con  le
 modalita' di notifica ex art. 660 c.p.c. (cfr. in tal senso, sia pure
 senza  specifica  motivazione  al riguardo, pretura Verona, 19 aprile
 1989), verosimilmente assumendo  la  possibilita'  di  effettuare  la
 spedizione  dell'avviso  di  cui all'ultimo comma del citato art. 660
 cit. presso i due luoghi cui fa riferimento l'art. 143 c.p.c.,  cioe'
 la casa comunale e l'ufficio giudiziario davanti al quale si procede.
 L'interpretazione  non  convince  e sembra forzare il contenuto della
 norma al di la'  delle  sue  possibilita'  ermeneutiche.  Lo  spedire
 l'avviso presso i due uffici appena citati concretizza una fictio non
 consentita  da  norma  alcuna  ed  equivale  -  per  cosi'  dire - ad
 individuare  una  sorta  di  domiciliazione  elettiva  di   carattere
 residuale  ed  automatico  che  confligge  sia  con  la  ratio  della
 specifica  normativa  in  materia  -  che  esclude  espressamente  la
 notifica  presso  il  domicilio  eletto  (art.  660,  comma 1, ultimo
 inciso) - sia con quella della  stessa  elezione  di  domicilio,  che
 presuppone  una volonta' del destinatario (per l'appunto la scelta di
 detto domicilio) che nell'ipotesi in esame e' in re ipsa impossibile.
   Ebbene, sia che si  abbia  riguardo  al  profilo  della  necessaria
 parita' di trattamento di situazioni omogenee (art. 3 Cost.), sia che
 si  consideri  quello  del diritto di agire (art. 24 Cost.), la norma
 dell'art.    660,  ultimo  comma  c.p.c.  appare   costituzionalmente
 illegittima  nella  parte  in  cui non esclude la necessita' da parte
 dell'ufficiale giudiziario di "spedire avviso all'intimato a mezzo di
 lettera raccomandata, e allegare all'originale dell'atto la  ricevuta
 di   spedizione"   nell'ipotesi  in  cui  la  notifica  dell'atto  di
 intimazione sia avvenuta ai sensi dell'art. 143 c.p.c.
   La necessaria pregiudizialita' della questione  in  esame  rispetto
 alla pronunzia sul caso concreto sottoposto alla cognizione di questo
 giudice  impone  la  sospensione del processo e la trasmissione degli
 atti alla Corte costituzionale per le determinazioni di competenza.