Ricorso della provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 13041 del 20 novembre 1998 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del novembre 1998 (n. 22609 di rep.) rogata dai dott. Tommaso Sussarellu in qualita' di ufficiale rogante della provincia stessa (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 7 della legge 23 ottobre 1998, n. 366, norme per il finanziamento della mobilita' ciclistica, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 248 del 23 ottobre 1998, per violazione dell'art. 8, nn. 5), 6), 17) e 18), nonche' dell'art. 16 dello statuto; per i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto e diritto La provincia autonoma di Trento dispone, ai sensi dell'art. 8, nn. 5), 6), 17) e 18) dello statuto di autonomia e delle relative norme di attuazione, di potesta' legislativa primaria in materia di urbanistica, di tutela del paesaggio, di lavori pubblici di interesse provinciale e di comunicazioni di interesse provinciale. Essa dispone inoltre, ai sensi dell'art. 16 dello statuto, delle correlate potesta' amministrative. Nell'esercizio di tali potesta' la provincia ha tra l'altro disciplinato le modalita' di progettazione e di realizzazione dei percorsi ciclabili e ciclopedonali, con la legge provinciale 25 novembre 1988, n. 49. La disciplina riguarda sia gli aspetti progettuali, finanziari ed operativi, sia le caratteristiche tecniche delle piste. In particolare, l'art. 3, comma 1, dispone che "le caratteristiche tecniche dei percorsi ciclabili e ciclopedonali nonche' i criteri generali di utilizzo saranno stabiliti dalla Giunta provinciale con apposita deliberazione". In applicazione della citata legge provinciale e, per quanto qui interessa, dell'art. 3, la provincia autonoma di Trento predisponeva il Piano generale dei percorsi ciclabili e ciclopedonali di interesse provinciale (all. 3). In tale piano (i cui elaborati occupano un complesso di 141 pagine) sono in primo luogo indicate (Parte I, pagg. 15-50) le direttive tecniche relative alle sezioni, alle barriere di protezione, ai raggi di curvatura, alle pendenze (longitudinali e trasversali), ai sottopassi, sovrapassi e passerelle, agli incroci ed attraversamenti, alla segnaletica, alla illuminazione, alla pavimentazione, alle infrastrutture ciclabili nonche' infine alla manutenzione. Quanto al contenuto, le Direttive tecniche sono elaborate tenendo conto "di analoghi studi ed esperienze realizzate in Italia e soprattutto all'estero, in Paesi quali la Germania e l'Olanda, dove da anni il trasporto su bicicletta e' una pratica diffusissima e costituisce una reale alternativa agli spostamenti motorizzati" (p. 15 Piano). Contestualmente venivano individuati i 12 percorsi relativi alle piste delle diverse valli e zone di cui si compone il territorio Trentino, ed i relativi presunti costi di costruzione. Ed accanto a cio' venivano determinate per i diversi percorsi (parte IV del Piano, pp. 99-111) le caratteristiche concrete della pista quanto alle sezioni tipo e particolari costruttivi. Tale Piano, dopo avere riportato il parere favorevole del gruppo di lavoro per l'attuazione del progetto "vivibilita' aree urbane" nella riunione del 5 gennaio 1994, veniva approvato dalla giunta provinciale con deliberazione del 4 febbraio 1994, n. 902 (all. 4). Tale disciplina costituisce oggi la normativa vigente nel Trentino in materia di piste ciclabili, e sulla sua base sono stati realizzati con piena soddisfazione numerosi percorsi o tratti di percorso. Nella materia, cosi' disciplinata fin dal 1988 nella provincia autonoma di Trento, interviene ora la legge statale 1998, n. 366, Norme per il finanziamento della mobilita' ciclistica. Sul piano generale, si tratta di una legge di stampo incomprensibilmente centralistico, che istituisce, in una materia palesemente regionale quale quella dei lavori pubblici - senza che si possa dire, crediamo, che esistono piste ciclabili di interesse nazionale, e dopo che tante volte lo stesso legislatore ha promesso l'eliminazione dei fondi settoriali - nulla di meno che un fondo nazionale per il finanziamento degli interventi a favore della mobilita' ciclistica (art. 3), al cui finanziamento "concorrono" il Ministero dei lavori pubblici ed il Dipartimento per le aree urbane con "proprie risorse" (art. 4, comma 2). Tale fondo ogni anno e' ripartito dal Ministro dei trasporti e della navigazione (non senza il concerto del Ministro dei lavori pubblici) tra le regioni (art. 4, comma 1), le quali a loro volta hanno dalla legge il compito di "redigere i piani regionali di riparto dei finanziamenti per la mobilita' ciclistica e per la realizzazione di reti di percorsi ciclabili integrati" (art. 2, comma 1); e cio' "entro sei mesi" e "sulla base dei progetti presentati dai comuni, limitatamente alla viabilita' comunale, e dalle province, con riguardo alla viabilita' provinciale e al collegamento fra centri appartenenti a diversi comuni" (art. 2, comma 1, secondo periodo). Le regioni sono chiamate all'approvazione tali piani "contestualmente disponendo in merito alla ripartizione tra gli enti locali delle risorse del fondo di cui all'art. 3" (art. 1, comma 2): il che non sara' facile per nulla, dal momento che la stessa ripartizione del fondo tra le regioni dovrebbe essere elaborata anche "sulla base dei piani regionali di riparto per la mobilita' ciclistica di cui all'art. 2 approvati" (sic testualmente l'art. 4, comma 1, e lett. a). Sicche' non si intende bene come possano le regioni ripartire tra i comuni un fondo di cui ancora non possono conoscere l'ammontare. Segue la definizione analitica degli interventi ammessi a contributo, nelle lettere da a) ad l) dell'art. 6. Si tratta di un intervento legislativo ad avviso della provincia ispirato a criteri istituzionali del tutto difformi da quelli che regolano il riparto costituzionale di competenze tra Stato e regioni, oltre che dai criteri ispiratori della pure coeva legislazione, espressi nella legge n. 59 del 1997 ed attuati con il decreto legislativo n. 112 del 1998. L'intervento e' organizzato sulla base di un finanziamento centrale settoriale finanziato da strutture centrali con "risorse proprie", con il ruolo regionale ridotto a quello di un ente approvatore di piani di riparto dei fondi in favore dei comuni e delle province. Tuttavia, la provincia autonoma di Trento ritiene di non avere interesse alla generale impugnazione del sistema istituzionale cosi' descritto, in quanto essa e' di fronte ad esso tutelata dalle proprie norme statutarie e di attuazione, ed in particolare nel caso specifico, dalla disposizione dell'art. 5, comma 2, della legge 30 novembre 1989, n. 386 (Norme per il coordinamento della finanza della regione Trentino-Alto Adige e delle province autonome di Trento e di Bolzano con la riforma tributaria): ai sensi del quale "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore"; essendo poi precisato (comma 3) che "per l'assegnazione e l'erogazione dei finanziamenti di cui al comma 2, si prescinde da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri o delle quote di riparto". In questi termini, le disposizioni della legge qui in questione, per quanto criticabili possano apparire sotto un profilo generale, si traducono per la provincia autonoma di Trento in un finanziamento aggiuntivo dello specifico settore, non accompagnato da ulteriori vincoli: un finanziamento dunque del quale la provincia non ha affatto ragione di lamentarsi. Viene tuttavia qui in contestazione il seguente art. 7 della legge, verso il quale la presente impugnazione e' rivolta. Ai sensi di tale disposizione il Ministro dei lavori pubblici (che stavolta ha il ruolo principale, risultando invece il Ministro dei trasporti nel ruolo di concertato) e' incaricato dell'emanazione di "un regolamento con il quale sono definite le caratteristiche tecniche delle piste ciclabili". Ora, come sopra ricordato, la provincia autonoma di Trento ha gia' compiutamente disciplinato, nell'ambito della propria legislazione e dei propri poteri amministrativi, le caratteristiche tecniche delle piste ciclabili della provincia, tenendo conto delle piu' avanzate esperienze in materia, ed ovviamente anche. della particolare conformita' orografica e delle peculiarita' del territorio provinciale. Un potere ministeriale di definizione delle caratteristiche tecniche delle piste ciclabili difetta di qualunque possibile fondamento in interessi nazionali definiti a anche semplicemente immaginabili, e costituisce una pura e semplice sovrapposizione alla competenza provinciale riconosciuta dallo statuto e gia' esercitata. Inoltre, la stessa forma regolamentare prevista per tale potere costituisce ulteriore invasione della potesta' normativa ed amministrativa provinciale, in violazione palese del principio piu' volte ribadito da codesta ecc.ma Corte costituzionale secondo la quale al regolamento statale - a maggiore ragione a quello semplicemente ministeriale - non puo' essere riconosciuto il compito e l'autorita' di porre vincoli alle regioni nelle materie di loro competenza. E' palese d'altronde che in relazione alla provincia autonoma di Trento lo Stato non ha competenza alcuna in materia di piste ciclabili, come risulta in particolare dall'art. 19 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (ove sono indicate le opere pubbliche che rimangono di competenza statale quali le autostrade, le strade statali, le ferrovie, ecc., senza ovviamente minimamente accennare alle piste ciclabiliº) Se vi fosse bisogno di indicazioni uniformi - il che non risulta - la sola forma appropriata potrebbe essere quella dell'atto di indirizzo, da assumersi secondo le procedure e le garanzie tipiche di tale funzione, e lasciando comunque alle competenti autorita' i necessari margini di flessibilita' e di adattamento in relazione alle caratteristiche del proprio territorio. Ne' puo' dedursi la competenza statale in materia dalla indicazione delle caratteristiche in questione come "tecniche". A parte il fatto che in nessun caso la competenza provinciale e' esclusa dal carattere tecnico della normativa da emanarsi (come mostra la competenza della provincia alla regolamentazione anche dell'aspetto tecnico e dell'esercizio, ad esempio, dell'impianti a fune, riconosciuta dal d.P.R. n. 527 del 1987 in materia di trasporti), qui si tratta semplicemente della descrizione delle caratteristiche costruttive dell'opera di competenza provinciale. La pretesa di disciplinare tali opere con una rigida disciplina ministeriale risulta dunque pienamente illegittima, in quanto comporta la sovrapposizione di prescrizioni ministeriali al sistema istituito dalla legge provinciale, in una materia essenzialmente influenzata dalle caratteristiche territoriali. Senza dire che, nel caso specifico, una simile sovrapposizione sarebbe fonte di confusione amministrativa, data la pacifica vigenza di norme provinciali pienamente soddisfacenti, in base alle quali le piste ciclabili sono state sinora realizzate, e potrebbe persino costituire - se dovessero essere fissati criteri costruttivi inidonei alle particolarita' del territorio Trentino - un ostacolo ed una difficolta' in piu' per la realizzazione di un obbiettivo verso il quale la provincia autonoma e' da tempo indirizzata. Naturalmente, l'interesse della provincia autonoma di Trento all'impugnazione verrebbe meno ove si dovesse intendere che anche la disposizione dell'art. 7, come altre della legge n. 366, non abbia il senso di esercitare un vincolo assoluto sulla realizzazione delle piste ciclabili in quanto speciale tipo di opera pubblica viaria, ma debba essere seguita per la realizzazione delle piste nell'ambito dei piani e delle procedure di finanziamento previste dalla legge stessa. In tale caso, infatti, l'autonomia della ricorrente provincia anche sotto tale profilo sarebbe comunque assicurata dall'art. 5 della legge n. 386 del 1989, nei termini sopra indicati. La presente impugnazione e' percio' proposta per l'ipotesi che tale non sia il senso dell'art. 7, e che esso invece intenda imporsi a tutti i soggetti realizzatori di piste ciclabili, ivi compresa la provincia stessa. Per le ragioni esposte, la ricorrente provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa,