IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  8264/1996
 proposto  dalla Cassa di Risparmio di Bolzano S.p.a., rappresentata e
 difesa  dagli  avv.ti  M.  Dona'  e  F.  Lorenzoni  ed  elettivamente
 domiciliata presso il secondo in Roma, via Alessandria n. 130;
   Contro   l'Ente   Poste   italiane,   in   persona  del  Presidente
 pro-tempore, rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato e presso la stessa domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;
 il  Ministero  delle PP.TT., in persona del Ministro pro-tempore,  la
 Presidenza  del   Consiglio   dei   Ministri   -   Dipartimento   per
 l'informazione e l'editoria, non costituiti in giudizio;
   Per  l'annullamento della delibera n. 14/1996, con cui il consiglio
 di amministrazione dell'Ente Poste ha determinato le nuove tariffe di
 spedizione  delle  stampe  periodiche  in  abbonamento  postale,  con
 decorrenza  1  aprile 1996, nonche' della circolare del medesimo Ente
 DS/PPT/1996 del 29 marzo 1996  e  di  ogni  altro  atto  presupposto,
 connesso o conseguente, fra cui la nota n. prot. 2121/ASP/FC/1996;
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visto  l'atto  di costituzione in giudizio dell'Avvocatura generale
 dello Stato;
   Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno  delle  rispettive
 difese;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Relatore,  alla  pubblica udienza del 12 marzo 1998, il consigliere
 G. De Michele  e  uditi,  altresi',  l'avv.  L.  Mattarella  delegato
 dall'avv.  F. Lorenzoni per la parte ricorrente e l'avv. Basilica per
 l'amministrazione resistente;
   Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F a t t o
   Attraverso  il  ricorso  in  esame, notificato il 4 aprile 1996, la
 Cassa di risparmio di Bolzano S.p.a. - interessata  alla  diffusione,
 in  circa  28.000 copie, di una propria rivista periodica - impugnava
 la delibera n. 14/1996 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 1
 aprile 1996) con cui l'Ente Poste italiane aveva determinato le nuove
 tariffe di spedizione delle stampe periodiche in abbonamento postale,
 con  decorrenza  1  aprile  1996,  nonche'  la   relativa   circolare
 esplicativa  DSP/PPT/1996 del 29 marzo 1996 ed ogni atto presupposto,
 connesso o conseguente, fra cui la nota n. 212/IASP/FC/1996, con  cui
 il citato ente comunicava di voler continuare ad applicare la tabella
 C,  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  in  data  1  aprile 1996,
 nonostante l'intervenuta sospensione  della  medesima  da  parte  del
 giudice amministrativo.
   Nell'impugnativa erano prospettati i seguenti motivi di gravame:
     1)  violazione  dell'art. 2, comma 34 della legge n. 549/1995, in
 quanto la nuova tariffa - cosiddetta ordinaria  o  libera  -  avrebbe
 comportato  un  incremento  superiore  al  20%  annuo  del  costo  di
 spedizione in abbonamento postale, in contrasto con il dettato  della
 citata legge;
     2)  violazione della misura cautelare, imposta con l'ordinanza n.
 1097/1996 della II sezione del tribunale amministrativo regionale del
 Lazio, che aveva sospeso la  tabella  contenente  le  nuove  tariffe,
 nella  parte  eccedente  l'incremento annuo legislativamente previsto
 del 20%.
   Delle parti  intimate,  si  costituiva  in  giudizio  l'Ente  Poste
 italiane,  che pregiudizialmente eccepiva il difetto di giurisdizione
 di  questo  tribunale,  in  rapporto  a  quella  che  avrebbe  dovuto
 considerarsi autonoma determinazione delle proprie tariffe - da parte
 di  un imprenditore - per un'attivita' posta "nel mercato alla stessa
 stregua dell'attivita' dei concorrenti".
   Nel  merito,  il  citato   ente   ricostruiva   le   modalita'   di
 determinazione  e  la  corretta  applicazione  delle  nuove  tariffe,
 nonche'  le  pregresse  vicende  giudiziali  relative  alle  medesime
 (parziale sospensione della tabella impugnata con ordinanza di questo
 tribunale   n.  1098/1996,  annullata  dal  Consiglio  di  Stato  con
 ordinanza n. 725/1996).
   Successivamente, con legge 23 dicembre 1996, n. 662 (art. 2,  commi
 19  e  29), il regime tariffario di cui trattasi e' stato modificato,
 con piu' ampia liberalizzazione e previsione di apposite convenzioni,
 da stipulare con l'Ente.
   L'attuale ricorrente, tuttavia, sottolineava il proprio  perdurante
 interesse  alla decisione, per le tariffe di spedizione applicate nel
 periodo 1 aprile 1996-1 aprile 1997.
                             D i r i t t o
   Deve essere valutata, in via pregiudiziale,  la  sussistenza  della
 giurisdizione  di  questo tribunale, per una controversia che investe
 le tariffe di spedizione  in  abbonamento  postale  di  pubblicazioni
 periodiche, da parte di un ente pubblico economico quale l'Ente Poste
 italiane,  nella  configurazione  giuridica susseguente alla legge n.
 71/1994.
   Ad  avviso  del  collegio,  detta   giurisdizione   sussiste,   con
 riferimento  al  pacifico indirizzo giurisprudenziale, che assegna al
 giudice amministrativo la cognizione in materia contenziosa su  atti,
 emanati   da   enti   pubblici  economici  nell'esercizio  di  poteri
 pubblicistici di auto-organizzazione (cfr. fra le  tante  Cass.  civ.
 ss.uu.  28  gennaio 1988, n. 747 e 15 luglio 1993, n. 7841; tribunale
 amministrativo regionale del Lazio, Roma, sez. III, 18 gennaio  1989,
 n.  47;  tribunale  amministrativo  regionale del Veneto, sez. II, 28
 novembre 1990, n. 1137).
   Nella fattispecie, l'Ente Poste non ha fissato le  proprie  tariffe
 liberamente,  come  qualsiasi  imprenditore  inserito in un regime di
 concorrenza, ma  ha  strutturato  -  sotto  il  profilo  in  esame  -
 l'organizzazione  del proprio servizio, in forma autoritativa benche'
 vincolata, sulla base dei parametri fissati dall'art. 2, commi 26, 27
 e 34 della legge n. 549/1995.
   Tale legge - contenente la disciplina della manovra finanziaria del
 Governo per il 1996 - si poneva nelle norme sopra citate il  problema
 di  riformare  la  disciplina agevolata, vigente per la spedizione di
 pubblicazioni  periodiche  in   abbonamento   postale,   in   termini
 compatibili  con  criteri  di  economicita'  di  gestione,  ma  senza
 integrale abbandono di qualsiasi forma di sostegno dell'editoria.
   In  tale  ottica,  le  misure  assunte  dall'Ente  Poste   sembrano
 rientrare  pienamente nel concetto di auto-organizzazione, per il cui
 espletamento   l'ente   pubblico   economico   dispone   di    poteri
 autoritativi,  in  quanto il prevalente espletamento di un'attivita',
 per la quale si impongono parametri  di  efficienza  imprenditoriale,
 non  sottrae  del  tutto  l'ente  stesso  - per la propria intrinseca
 natura - al quadro di finalita' pubblicistiche, che  tradizionalmente
 giustificano l'attribuzione in via legislativa dei poteri stessi.
   Posto, dunque, che nella materia in questione appare sussistente la
 giurisdizione   di   questo  tribunale,  deve  anche  preliminarmente
 ammettersi  la  permanenza  di  interesse  a  ricorrere,   nonostante
 l'intervenuta  abrogazione - con legge 23 dicembre 1996, n. 662 (art.
 19) - dei commi 26, 27 e 28 dell'art. 2 della legge n. 549/1995.
   Nella nuova disciplina - "con decorrenza dal 1 aprile  1997"  -  e'
 stato  soppresso  "ogni forma di obbligo tariffario o sociale posto a
 carico dell'Ente Poste italiane, nonche' ogni forma  di  agevolazione
 tariffaria,  relativa  ad utenti che si avvalgono del predetto ente";
 al tempo stesso si prevede (legge n. 662 cit., art. 20) che "i prezzi
 dei servizi" siano stabiliti "anche tramite convenzione  ...  tenendo
 conto  delle  esigenze  della clientela e delle caratteristiche della
 domanda", tariffe agevolate - con sovvenzione  della  Presidenza  del
 Consiglio dei Ministri - Dipartimento per l'informazione e l'editoria
 -    sono   determinate   dal   Ministero   delle   poste   e   delle
 telecomunicazioni, per "a) libri; b) giornali  quotidiani  e  riviste
 con  qualsiasi  periodicita',  editi da soggetti iscritti al registro
 nazionale della stampa; c) pubblicazioni informative  di  enti,  enti
 locali,  associazioni  ed  altre  organizzazioni senza fini di lucro,
 anche in lingua estera da spedire all'estero".
   La  decorrenza  sopra  citata,  tuttavia,  rende  sempre attuali le
 doglianze, che  nel  ricorso  in  esame  si  indirizzano  avverso  la
 disciplina  non  piu' in vigore, per il periodo in cui la medesima ha
 avuto efficacia e dunque per gli esborsi che - in base alla  medesima
 - sono stati richiesti nel periodo 1 aprile 1996-1 aprile 1997.
   Detta  disciplina  seguiva  la  precedente fissazione (con d.-l. n.
 155/1993; convertito in legge n. 243/1993) di  riduzioni  tariffarie,
 in  relazione  alla  quantita'  impostata  per  ciascuna  spedizione,
 indistintamente per tutte le stampe spedite in  abbonamento  postale;
 nel   nuovo   sistema,   invece,  si  prevedevano  tre  categorie  di
 pubblicazioni,  con  differente  regolamentazione,  nei  termini   di
 seguito sintetizzati:
     a)  regime  sovvenzionato ex comma 26, art. 2, legge n. 549 cit.:
 rimborso di lire 200 fisse per ogni  copia  impostata  per  giornali,
 quotidiani  e  periodici  editi da imprese editrici, a condizione che
 non contenessero inserzioni pubblicitarie per  un'area  superiore  al
 45%  e  che  i  relativi abbonamenti fossero stati stipulati a titolo
 oneroso;
     b) regime agevolato ex comma 27, art. 2, legge cit.: tariffa pari
 al 25% di quella prevista al comma 34 per pubblicazioni di  qualsiasi
 natura,  anche  non  poste  in  vendita  e  postulatorie, spedite dai
 soggetti di cui ai capi II e III,  titolo  II,  libro  I  del  codice
 civile,  soggetti  che  non  avessero  fini  di lucro e perseguissero
 finalita' sindacali, religiose, di  interesse  scientifico,  sociale,
 sanitario,  ambientale,  assistenziale,  politico  o  culturale,  che
 fossero editori di periodici e sempre che le pubblicazioni stesse non
 contenessero inserzioni pubblicitarie, anche di tipo redazionale, per
 un'area superiore al 40% su base annua;
     c) regime libero, senza agevolazioni tariffarie, per le rimanenti
 pubblicazioni.
   Nel  comma  34  del  citato  art.  2,  legge  n.  549,  infine,  si
 prevedevano  limiti di aumento per le nuove tariffe, da fissare entro
 il 31 marzo 1996: non piu' del tasso di inflazione programmata per le
 "imprese editrici" di cui ai commi 26 e 27, per le quali si  lasciava
 altrimenti  "inalterato  il  costo sostenuto" nel sistema previgente;
 non piu' del "venti per  cento  annuo  del  costo  di  spedizione  in
 abbonamento  postale" per le "testate non ammesse ai benefici, di cui
 ai commi 26 e 27".
   Attraverso la delibera impugnata, l'Ente Poste  -  nel  fissare  le
 nuove tariffe - determinava il costo di spedizione, per il cosiddetto
 regime   libero,   in   misura  pari  alla  tariffa-base  precedente,
 incrementata del 7,1%: secondo il medesimo Ente, dunque, l'incremento
 sarebbe stato minore a quello massimo consentito del 20%,  mentre  la
 banca  ricorrente  -  che  per  la  propria pubblicazione aveva visto
 lievitare il prezzo di spedizione da  L.  90  a  L.  425  a  copia  -
 prospettava  nel  primo  motivo di gravame la violazione della citata
 normativa, in quanto  l'incremento  di  cui  trattasi  sarebbe  stato
 superiore al 200%.
   Tenuto  conto  di  tale  prospettazione,  con  ordinanza  di questo
 tribunale (sez. II-bis) n. 1097/1996,  la  tabella  di  cui  trattasi
 veniva  sospesa  "limitatamente alla determinazione tariffaria di cui
 all'art. 2, comma 34, della legge 28 dicembre  1995,  n.  549,  nella
 parte  eccedente  il  20%  di  aumento  del  costo  di spedizione, in
 precedenza sostenuto dai soggetti interessati".
   Col  secondo  motivo  di gravame, pertanto, la ricorrente lamentava
 l'intervenuta "violazione della misura cautelare",  in  quanto  -  su
 specifica  richiesta della Cassa di Risparmio - la filiale di Bolzano
 dell'Ente Poste, con  l'impugnata  nota  n.  prot.  2121/ASP/FC/1996,
 comunicava   la   propria  intenzione  di  applicare  la  tabella  C,
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 1 aprile 1996, in  misura
 intera.
   Ad   avviso  del  collegio,  i  due  ordini  di  censure  non  sono
 condivisibili, in rapporto al dettato dell'art. 2, commi 26, 27 e 34,
 legge n. 549/1995 e all'intervenuto annullamento dell'ordinanza sopra
 citata.
   Sotto il  primo  profilo,  va  sottolineato  che  le  maggiorazioni
 tariffarie  ammesse risultavano disciplinate dal predetto comma 34 in
 modo  differenziato  non  solo  nel  quantum  (tasso  di   inflazione
 programmata   per   le   testate  rientranti  nel  regime  cosiddetto
 sovvenzionato o agevolato,  20%  per  quelle  del  cosiddetto  regime
 libero),  ma anche nella "base di calcolo", cui applicare le previste
 percentuali di aumento tariffario: per le imprese  editrici  "ammesse
 ai  benefici  di  cui  ai  commi  26  e  27", infatti, si imponeva di
 lasciare "inalterato il costo sostenuto ...  fatto salvo il tasso  di
 inflazione  programmata";  "per le testate non ammesse ai benefici di
 cui ai commi 26  e  27",  invece,  si  prescriveva  un  aumento  "non
 superiore  al  20%  annuo  del  costo  di  spedizione  in abbonamento
 postale".
   Nella fattispecie,  dunque,  la  maggiorazione  prevista  dall'Ente
 Poste  era  non superiore, ma anzi molto inferiore (7,1%) rispetto al
 "tetto" legislativamente imposto; il costo di spedizione effettivo  -
 depurato delle agevolazioni, non piu' previste, in rapporto al numero
 di  copie  spedite  - veniva tuttavia a subire un incremento notevole
 rispetto al passato.
   Non si vede, d'altra parte, come l'ente avrebbe  potuto  continuare
 ad  applicare  le  precedenti  agevolazioni, anche per le testate del
 cosiddetto regime libero:  il  riferimento  ai  costi  effettivi,  in
 precedenza  sostenuti  per  effetto  di  altre  agevolazioni, avrebbe
 infatti praticamente reiterato le agevolazioni stesse.
   Tale sostanziale reiterazione, in effetti,  non  risultava  esclusa
 dal  legislatore,  cui  pero'  doveva nella fattispecie applicarsi il
 principio  ubi  voluit,  dixit:  al  precedente  "costo   sostenuto",
 infatti,  il  legislatore  stesso  faceva rinvio solo per "le imprese
 editrici ammesse ai benefici di cui ai commi 26 e 27", mentre per  le
 altre il riferimento era al "costo di spedizione", da intendersi come
 rinvio alla tariffa-base.
   Sostengono   tale  interpretazione  argomenti  testuali,  logici  e
 sistematici, in  quanto  alla  sostanziale  ambivalenza  del  termine
 "costo"  suppliva  nel  caso  di  specie  la  contrappposizione - nel
 medesimo comma - fra "costo sostenuto" e "costo di spedizione", in un
 contesto che, investendo trattamenti eccezionali di favore,  imponeva
 la piu' stretta e non estensiva lettura della norma.
   In  sede  cautelare,  il giudice di primo grado aveva equiparato le
 due  posizioni,  sospendendo  le  maggiorazioni  tariffarie  che   si
 traducessero  in  un aumento superiore al 20% del costo in precedenza
 sostenuto anche per le  testate,  rientranti  nel  cosiddetto  regime
 libero,  ma  il  Consiglio  di  Stato - come ricordato nella parte in
 fatto della presente decisione - ha annullato l'ordinanza, di cui non
 si puo' pertanto assumere la violazione  -  prospettata  nel  secondo
 motivo di gravame - solo per effetto della non immediata ottemperanza
 alla  medesima,  in  pendenza  del  giudizio  di  appello  (giudizio,
 peraltro, in materia cautelare di rapidissima conclusione).
   Il ricorso dovrebbe pertanto essere respinto, risultando  gli  atti
 impugnati  frutto  di una corretta applicazione del piu' volte citato
 art. 2, commi 26, 27 e 34, legge n. 549/1995.
   Il   collegio   solleva   d'ufficio,   tuttavia,    questione    di
 costituzionalita'   delle   medesime   norme,  questione  che  appare
 rilevante e non manifestamente infondata.
   La rilevanza appare evidente: solo se la disparita' di  trattamento
 delle   testate,  rientranti  nel  cosiddetto  regime  libero,  fosse
 ritenuta non conforme a costituzione,  le  maggiorazioni  corrisposte
 per  il periodo di vigenza della legge potrebbero essere ridotte, nei
 modi  previsti  in  presenza  di  disposizioni  attuative  di  norme,
 dichiarate incostituzionali.
   La  non  manifesta  infondatezza  discende,  ad avviso del collegio
 stesso, da quella che sembra una  intrinseca  irragionevolezza  delle
 disposizioni  legislative  in  esame, in contrasto con gli art. 3, 9,
 primo comma e 21, della Costituzione.
   Non c'e' dubbio, infatti, che la libera manifestazione del pensiero
 - di cui la liberta' di stampa e' espressione  -  non  implica  alcun
 diritto  a  ricevere sovvenzioni, gravanti sul pubblico erario, cosi'
 come non c'e' dubbio che dette sovvenzioni  possano  essere  previste
 dal legislatore con ampi margini di discrezionalita'.
   Nel caso di specie, tuttavia, la legge di cui trattasi sembra avere
 operato al di fuori di ogni possibile logica ispiratrice: se la nuova
 imprenditorialita'   dell'Ente   Poste   imponeva   restrizioni  alla
 previsione di tariffe agevolate, da una parte, non  si  comprende  la
 cospicua  incrementazione  di benefici tariffari per alcune categorie
 di stampe periodiche; se, d'altra parte,  si  voleva  introdurre  una
 selezione   qualitativa,   la  penalizzazione  di  una  categoria  di
 pubblicazioni - anche di valore scientifico e culturale - non  appare
 sorretta  da  criteri  di  ragionevolezza,  nei  termini  di  seguito
 precisati.
   Come gia' accennato, lasciando inalterato  il  costo  sostenuto  da
 alcune  imprese  editrici,  interessate  al  servizio di cui trattasi
 (fatto salvo il tasso di inflazione programmata), il  legislatore  ha
 applicato  i  nuovi  benefici  tariffari (L. 200 di rimborso per ogni
 copia,  ovvero  pagamento   pari   solo   al   25%   della   tariffa,
 rispettivamente  per  le  pubblicazioni di cui ai commi 26 e 27 sopra
 riportati) su  una  base  di  costo  gia'  "abbattuta"  dai  benefici
 previgenti  (riduzioni  tariffarie,  proporzionate al numero di copie
 spedite):  benefici,  dunque,  non  piu'  previsti,   ma   di   fatto
 reintrodotti,  con  discriminazione  pero' di alcuni dei soggetti, in
 passato ammessi ad usufruirne.
   Nel sistema che si commenta, dunque, alcuni continuavano  a  fruire
 degli  "sconti" connessi alle quantita' spedite (tanto e' vero che il
 comma 28 del medesimo art. 2 prevede,  al  riguardo,  una  erogazione
 compensativa   all'Ente   Poste,   da   parte  del  Dipartimento  per
 l'informazione  e  l'editoria  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
 Ministri);  in  piu', i medesimi soggetti ottenevano un rimborso o un
 ulteriore "sconto" percentuale.
   Solo  l'inequivocabile richiamo al "costo sostenuto", d'altra parte
 - richiamo espressamente riferito alle imprese  editrici  ammesse  ai
 benefici,  di  cui  ai  commi  26  e  27 del medesimo articolo - puo'
 determinare l'indiretta reintroduzione dei benefici previgenti.
   Quando, dunque, si parla di "costo di spedizione", per imprese  non
 nominate  nei  commi  precedenti,  ed  a  cui  viene  sottratto  ogni
 beneficio, sarebbe illogico (e non conforme alle puntuali  diversita'
 terminologiche,  fatte  proprie  dal  legislatore)  ritenere  che, in
 realta', anche per tali imprese "tutto continuasse come prima" -  sul
 piano  dei  costi/base - visto che il previgente sistema di riduzioni
 era al riguardo esplicitamente abrogato (art. 2 cit., comma 34).
   Resta da vedere dunque se  non  solo  la  diversificazione,  ma  la
 totale   divaricazione   di   regime  tariffario,  per  categorie  di
 pubblicazioni prima (ed ora nuovamente, ex legge n. 662  cit.)  poste
 esattamente   sullo  stesso  piano,  fosse  sorretta  da  criteri  di
 ragionevolezza.
   Le imprese escluse - ovvero rientranti nel cosiddetto regime libero
 - erano prive dei seguenti requisiti  (rispettivamente  previsti  nei
 commi  26  e  27  della  legge  cit.): abbonamenti stipulati a titolo
 oneroso dai destinatari, ovvero identificazione con  i  soggetti,  di
 cui  ai  capi  II  e  III del titolo II del libro I del codice civile
 (associazioni  e  fondazioni,   associazioni   non   riconosciute   e
 comitati), senza scopo di lucro e perseguenti le finalita' gia' sopra
 ricordate.
   Sono state dunque discriminate numerosissime pubblicazioni, edite a
 cura di Banche (come nel caso di specie), Ordini e  rappresentanze di
 categorie  professionali  e lavorative, o altri privati imprenditori,
 intenzionati a diffondere gratuitamente informazioni di interesse per
 il  settore  di  appartenenza,  e  quindi   di   carattere   tecnico,
 scientifico, culturale, economico e cosi' via.
   La mancanza di abbonamenti stipulati a titolo oneroso non e' - come
 risulta  per dati di comune esperienza - elemento discriminante circa
 la serieta' della pubblicazione, a volte meno "commerciabile" proprio
 perche'  monotematica  e  impegnata,  con  peculiare   indirizzo   di
 aggiornamento su temi settoriali, e quindi diffusa gratuitamente, non
 senza   qualche   utilita'   -   di   pubblico  interesse  -  per  la
 qualificazione degli addetti ai settori stessi  e/o per gli utenti di
 determinati servizi.
   L'assenza di introiti legati agli abbonamenti, d'altra parte, rende
 piu' fragile la posizione delle pubblicazioni in questione, alla  cui
 vera  e  propria  crisi  economica,  per insostenibilita' delle nuove
 tariffe,  ha  plausibilmente  posto  rimedio  la  nuova   disciplina,
 contenuta nella legge n. 662 gia' sopra ricordata.
   Il  criterio  sopra  commentato,  dunque,  non  appare ragionevole,
 poiche' discrimina pubblicazioni, i cui costi sono gia' ad  integrale
 carico di chi effettua la spedizione.
   Sul  piano  qualitativo,  anche  la piu' ampia discrezionalita' non
 esime il legislatore dal rendere conto - sul  piano  logico  -  delle
 ragioni che inducono a provocare la chiusura o comunque a penalizzare
 pubblicazioni  informative  (ad  esempio  a  carattere medico o, come
 nella  fattispecie,  bancario)   rispetto   a   riviste,   contenenti
 fotoromanzi o notizie di cronaca anche futili, che trovino abbonati a
 pagamento  per  una  -  pur  talvolta  apprezzabile - lettura di pura
 ricreazione.
   Ugualmente  poco  comprensibile  appare  -  in  retrospettiva  - il
 fortissimo beneficio (75% di riduzione della tariffa  gia'  scontata)
 previsto  sia per il bollettino parrocchiale a carattere postulatorio
 che per la ricca  fondazione,  mentre  su  istituti  bancari,  ordini
 professionali   e  piccole  case  editrici  ricadevano  maggiorazioni
 superiori al 200% rispetto al passato, per l'invio  di  pubblicazioni
 di contenuto non dissimile, in molti casi, da quello di cui al citato
 comma 27 della normativa in esame.
   Per  quanto  sopra,  e  con  riferimento  al  periodo  in cui detta
 normativa - ora abrogata - ha prodotto effetti lesivi  per  l'attuale
 ricorrente,  in  conclusione, il collegio ritiene di dover sottoporre
 la normativa stessa (art. 2, commi 26, 27 e 34 della legge 2 dicembre
 1995, n.  549) al vaglio della suprema Corte,  con  riferimento  agli
 artt. 3, 9, primo comma e 21 della Costituzione.