ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
  nei  giudizi  di  legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 2,
 del decreto legislativo 19 dicembre 1994, n. 758 (Modificazioni  alla
 disciplina  sanzionatoria  in  materia di lavoro), promossi con n. 18
 ordinanze emesse il 5, il 19e il 5 dicembre (n. 2 ordinanze),  il  26
 novembre, il 17, il 19 (n. 2 ordinanze), il 17 (n. 2 ordinanze) ed il
 5  dicembre,  il 6 novembre ed il 17 dicembre 1997, l'8 gennaio (n. 2
 ordinanze), il 2 ed il 20 febbraio e l'8 aprile 1998 dal giudice  per
 le  indagini  preliminari  della  Pretura di Pistoia, rispettivamente
 iscritte ai nn. da 114 a 123, da 137  a  141,  375,  376  e  493  del
 registro  ordinanze  1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica nn. 10, 11, 22 e 28, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre  1998  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che con diciotto ordinanze di analogo tenore - pronunciate
 in  altrettanti  procedimenti  nei  quali  il  pubblico ministero, in
 mancanza  di  apposite  prescrizioni  impartite   al   contravventore
 dall'organo  di  vigilanza,  aveva  chiesto  l'emissione  del decreto
 penale di condanna - il giudice per  le  indagini  preliminari  della
 Pretura   circondariale   di   Pistoia   ha  sollevato  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  21,  comma  2,  del  decreto
 legislativo  19 dicembre 1994, n. 758, nella parte in cui non prevede
 l'obbligo dell'organo di vigilanza di ammettere obbligatoriamente  il
 contravventore  al pagamento in sede amministrativa di una somma pari
 al quarto del massimo dell'ammenda stabilita per la violazione  anche
 nel  caso  in  cui  non  venga  impartita  alcuna prescrizione per la
 materiale impossibilita' della sua emanazione,  in  riferimento  agli
 artt.  3  e  76  della Costituzione in relazione all'art. 1, comma 1,
 lettera b), della legge n. 499 del 1993 (Delega  al  Governo  per  la
 riforma dell'apparato sanzionatorio in materia di lavoro);
     che  nella maggior parte delle ordinanze di rimessione il giudice
 a quo precisa  che  l'organo  di  vigilanza  aveva  ritenuto  di  non
 impartire alcuna prescrizione a norma dell'art. 20 del citato decreto
 legislativo,  in  quanto  si  trattava di "reato gia' consumato e non
 ottemperabile" mentre in altre ipotesi l'impossibilita' di  impartire
 la prescrizione era stata ricollegata al tipo di violazione di natura
 procedurale,   per   la   quale  non  poteva  essere  adottato  alcun
 provvedimento atto a rimuovere la  violazione  contestata,  ovvero  a
 reati  nei  cui  confronti  era  comunque  venuta  meno la situazione
 antigiuridica che aveva dato origine alla violazione contestata;
     che, al riguardo, il rimettente rileva che  nella fattispecie  in
 esame   era  materialmente  impossibile  per  l'organo  di  vigilanza
 impartire  una  prescrizione   finalizzata   all'eliminazione   della
 contravvenzione   accertata,   "trattandosi   di   reato   istantaneo
 caratterizzato da un'offesa del bene protetto che si perfeziona e  si
 esaurisce  nel  momento  della commissione del fatto, senza protrarsi
 nel  tempo,  sicche'  risulta  ontologicamente   impedita   qualsiasi
 possibilita'  di  regolarizzazione e la conseguente emanazione di una
 prescrizione non avrebbe alcuna  utilita',  in  considerazione  della
 oggettiva  impossibilita'  di  ripristinare una situazione conforme a
 diritto";
     che, ad avviso del giudice rimettente, la  disciplina  denunciata
 si  porrebbe  in  contrasto:  con  l'art.  3 Cost., in quanto farebbe
 irragionevolmente  dipendere  la  possibilita'  di  definire  in  via
 amministrativa  il  procedimento dalla natura della violazione, ossia
 da un elemento estraneo  alla  volonta'  del  contravventore,  ovvero
 dalla  insindacabile  discrezionalita'  dell'organo  di  vigilanza di
 impartire la prescrizione, e determinerebbe disparita' di trattamento
 tra il contravventore a cui venga imposta una  prescrizione  che  gli
 consente  di  definire  la  violazione  contestata  avvalendosi della
 procedura amministrativa prevista dalla legge, e il contravventore al
 quale non  venga  impartita  alcuna  prescrizione,  che  si  vedrebbe
 preclusa  la  possibilita'  di  definire  in  via  amministrativa  il
 procedimento penale a suo carico, con l'art. 76 Cost., per violazione
 della direttiva contenuta nell'art. 1, comma  1,  lettera  b),  della
 legge  6 dicembre 1993, n. 499, che delega il Governo a stabilire una
 causa di estinzione dei reati in materia di tutela della sicurezza  e
 dell'igiene   del  lavoro  "consistente  nell'adempimento,  entro  un
 termine  non  superiore  al  limite   fissato   dalla   legge,   alle
 prescrizioni  impartite  dagli  organi  di  vigilanza  allo  scopo di
 eliminare la violazione  accertata,  nonche'  al  pagamento  in  sede
 amministrativa   di   una   somma  pari  ad  un  quarto  del  massimo
 dell'ammenda  comminata  per  ciascuna  infrazione"  in   quanto   la
 direttiva  non lascia alcun margine di discrezionalita' all'organo di
 vigilanza, mentre nella disciplina emanata dal  legislatore  delegato
 l'obbligatorieta'   della  prescrizione  risulta  condizionata  dalla
 natura della violazione accertata.
   Considerato che, stante  il  contenuto  pressoche'  identico  delle
 diciotto  ordinanze,  deve  essere  disposta la riunione dei relativi
 giudizi;
     che  le  censure  di  legittimita'   costituzionale   si   basano
 sull'erroneo  presupposto  che,  ove  si  tratti di reato per cui sia
 "ontologicamente" impossibile impartire  qualsiasi  prescrizione  per
 eliminare  le  conseguenze dannose o pericolose della contravvenzione
 accertata,  la  natura  del  reato  costituisca  elemento  idoneo  ad
 incidere   in   termini   di  irragionevolezza  e  di  ingiustificata
 disparita' di trattamento sulla disciplina del decreto legislativo n.
 758 del 1994;
     che l'obiettiva diversita' della  struttura  dei  diversi  reati,
 quale  risulta  dagli  elementi  costitutivi  della  fattispecie,  e,
 conseguentemente, il momento in cui si realizzano la commissione e la
 consumazione  del  reato  stesso,  nonche'  la  natura  istantanea  o
 permanente  del  reato,  appartengono  a  scelte del legislatore, che
 nella costruzione delle fattispecie incriminatrici traduce le proprie
 opzioni di politica  criminale,  ovvero  sono  imposte  dalla  stessa
 natura  degli obblighi e dei comportamenti di cui si vuole assicurare
 l'osservanza mediante il ricorso alla sanzione penale;
     che  pertanto  eventuali  trattamenti   differenziati   risultano
 giustificati    dalla    diversa    struttura    delle    fattispecie
 incriminatrici;
     che sotto  questo  profilo  non  ha  pregio  neppure  la  censura
 sollevata  in  riferimento all'art. 76 Cost., in quanto la disciplina
 impugnata  in  realta'  non   riconosce   alcuna   "discrezionalita'"
 dell'organo   di   vigilanza:   l'impossibilita'   di   impartire  la
 prescrizione - secondo la prospettazione del rimettente - e'  infatti
 una  conseguenza  obbligata  della  struttura  della  contravvenzione
 contestata, sicche' non puo' configurarsi alcun eccesso di delega  da
 parte del legislatore delegato;
     che  questa  Corte,  prendendo in esame con la sentenza n. 19 del
 1998 la situazione del  contravventore  che  aveva  regolarizzato  la
 violazione  prima  che  l'organo  di  vigilanza  avesse  impartito la
 prescrizione, ovvero nonostante la prescrizione fosse stata omessa  o
 fosse  stata  impartita  senza  osservare  le forme prescritte, aveva
 precisato che esistono soluzioni interpretative  tali  da  consentire
 egualmente  l'applicazione  della causa estintiva del reato, idonee a
 "ricondurre   situazioni   sostanzialmente    omogenee    a    quelle
 espressamente   previste   dalla  legge  nell'alveo  della  procedura
 disciplinata dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo  in
 esame";
     che  tale  conclusione  trova  il  suo fondamento nella ratio del
 decreto legislativo n. 758  del  1994,  che  si  propone  il  duplice
 obiettivo   di   favorire  l'effettiva  osservanza  delle  misure  di
 prevenzione e di protezione in tema di  sicurezza  e  di  igiene  del
 lavoro  -  materia  in  cui  l'interesse  alla regolarizzazione delle
 violazioni e alla conseguente tutela  dei  lavoratori  e'  prevalente
 rispetto  all'applicazione  della  sanzione penale - e di attuare una
 consistente deflazione processuale;
     che,  sulla  base di tale ratio ove risultasse che le conseguenze
 dannose o pericolose sono venute  meno  grazie  ad  un  comportamento
 volontario dell'autore dell'infrazione, o che il medesimo vi ha posto
 comunque  rimedio,  anche  successivamente al momento di consumazione
 del  reato,  valutate  la  natura  e   le   concrete   modalita'   di
 realizzazione  della  contravvenzione  contestata,  il contravventore
 potrebbe  comunque  essere  ammesso,  previo  pagamento  della  somma
 dovuta, al procedimento di definizione in via amministrativa previsto
 dagli articoli 20 e seguenti del decreto legislativo n. 758 del 1994;
     che pertanto la questione va dichiarata manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.