ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 177 del  codice
 penale, promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1997 dal Tribunale
 di  sorveglianza  di  Firenze,  nel  procedimento di sorveglianza nei
 confronti di Stracuzzi Luciano,  iscritta  al  n.  792  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Udito  nella  camera  di consiglio del 30 settembre 1998 il giudice
 relatore Giuliano Vassalli.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Il Tribunale di sorveglianza di Firenze, chiamato a  decidere
 sulla  revoca del beneficio della liberazione condizionale, concesso,
 dopo un lungo periodo  di  semiliberta',  con  provvedimento  del  28
 aprile  1994, avendo il condannato riportato una condanna per delitto
 divenuta definitiva, ha denunciato, in  riferimento  agli  artt.  27,
 terzo  comma,  e 3 della Costituzione, l'illegittimita' dell'art. 177
 del codice penale, nella parte in cui dispone che "la liberazione  e'
 revocata   se   la   persona  liberata  commette  un  delitto  o  una
 contravvenzione della stessa indole". Nucleo essenziale delle censure
 del ricorrente e' il rigido automatismo che contrassegna  le  ipotesi
 di  revoca  dei  benefici  penitenziari,  un  automatismo  piu' volte
 dichiarato illegittimo dalla Corte a far tempo dalla sentenza n.  186
 del  1995  che  ebbe  a  pronunciare "l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 54, terzo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354,  nella
 parte  in cui prevede la revoca della liberazione anticipata nel caso
 di  condanna   per   delitto   non   colposo   commesso   nel   corso
 dell'esecuzione   successivamente   alla  concessione  del  beneficio
 anziche' stabilire che la liberazione anticipata e'  revocata  se  la
 condotta  del  soggetto,  in  relazione  alla condanna subita, appare
 incompatibile con il mantenimento del beneficio", e secondo una linea
 ribadita, da ultimo,  con  la  sentenza  n.  173  del  1997,  che  ha
 dichiarato  "l'illegittimita' costituzionale dell'art.  47-ter ultimo
 comma,  della  legge  n. 354 del 1975, nella parte in cui fa derivare
 automaticamente la sospensione  della  detenzione  domiciliare  dalla
 presentazione  di  una  denuncia  per  il reato di allontanamento del
 detenuto dalla propria abitazione".
   Dopo aver trascritto gran parte  dell'ordinanza  con  la  quale  lo
 stesso  Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze  aveva  sollevato la
 questione di legittimita' decisa con sentenza di questa Corte n.  186
 del  1995,  segnalando  l'analogia  della  ratio  sottostante a detta
 ordinanza rispetto a  quella  posta  alla  base  della  questione  di
 legittimita'  ora  sollevata, il giudice a quo segnala come i criteri
 della revoca della liberazione condizionale contenuti  nell'art.  177
 del  codice  penale  "hanno  caratteristiche  completamente opposte a
 quelle che dovrebbero avere secondo la Corte costituzionale" essendo,
 in effetti, informati ad un rigoroso automatismo.
   L'ordinanza si sofferma poi sul caso  di  specie  per  rilevare  le
 caratteristiche  del delitto per cui il liberato condizionalmente era
 stato condannato, sottolineando che non si tratta di un  reato  della
 stessa  indole  di quello per il quale il detenuto scontava la pena e
 che in ogni caso la nuova pena inflitta (di anni uno e  mesi  quattro
 di   reclusione)   sarebbe   stata   scontata   per  intero,  mentre,
 all'opposto, dal coinvolgimento del detenuto nel  nuovo  delitto  non
 potrebbero di per se' stesso trarsi conseguenze negative sul piano di
 una utile prosecuzione del periodo di prova in liberta' vigilata.
   Cio'  premesso,  l'ordinanza del tribunale di sorveglianza denuncia
 il contrasto dell'art. 177, primo comma, del codice penale, la'  dove
 questo  pone alla base della revoca della liberazione condizionale la
 condanna per qualsiasi delitto, con l'art.  27,  terzo  comma,  della
 Costituzione, perche' il mancato collegamento di tale norma fra cause
 di  revoca e incompatibilita' con la prosecuzione del regime di prova
 controllata, nonche' gli elementi di  automatismo  della  revoca  che
 contrassegnano   il  detto  regime  precludono  di  valutare  "se  il
 soggetto, che ha posto in  essere  una  possibile  causa  di  revoca,
 nonostante  cio', non abbia abbandonato, voglia proseguire e prosegua
 in effetti il percorso rieducativo, cui e' finalizzata la  esecuzione
 della  pena".    L'intervento della revoca frustrerebbe, pertanto, lo
 svolgimento  di  quel  percorso,  impedendo,  quindi,   la   concreta
 attuazione  della  finalita'  rieducativa  della pena. Ma a risultare
 vulnerato sarebbe pure l'art. 3  della  Costituzione,  in  quanto  le
 caratteristiche  della  normativa  in  esame,  "possono consentire il
 realizzarsi   di   una   disparita'   di   trattamento,   priva    di
 ragionevolezza,   fra   casi   di   compatibilita'   o  fra  casi  di
 incompatibilita' con la prosecuzione della prova controllata:  cosi',
 secondo il tipo di reato commesso durante la prova e non  secondo  il
 rilievo  e  il significato dello stesso (in termini di compatibilita'
 con la prosecuzione della prova), si potrebbe configurare o meno  una
 causa di revoca della liberazione condizionale".
   2.  -  Nel  giudizio  non  si e' costituita la parte privata ne' ha
 spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1. -    Il  Tribunale  di  sorveglianza  di  Firenze  dubita  della
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  177, primo comma, del codice
 penale, nella parte in cui  pone  a  fondamento  della  revoca  della
 liberazione  condizionale  la  condanna  per  qualsiasi delitto senza
 operare in proposito distinzione alcuna e  senza  tener  conto  della
 concreta  compatibilita'  o  meno  del  fatto  di aver riportato tale
 condanna con la  prosecuzione  della  prova  in  regime  di  liberta'
 vigilata.
   La  questione  di legittimita' costituzionale viene sottoposta alla
 Corte  costituzionale  sotto  un  duplice  parametro:  anzitutto,  in
 riferimento  al  contrasto  della  disposizione citata con l'art. 27,
 terzo comma, della Costituzione, in quanto  la  genericita'  di  tale
 disposizione,   il   mancato  collegamento  fra  cause  di  revoca  e
 incompatibilita' con la prosecuzione del regime di prova controllata,
 nonche' gli elementi di automatismo della revoca  nella  disposizione
 stessa  contenuti,  non consentono di valutare se il soggetto, che ha
 posto in essere una possibile causa di revoca,  nonostante  cio'  non
 abbia  abbandonato ed effettivamente prosegua il percorso rieducativo
 cui e' finalizzata l'esecuzione della pena. A causa di detto  mancato
 collegamento  l'intervento  della  revoca frustrerebbe lo svolgimento
 dell'anzidetto "percorso" e impedirebbe la concreta attuazione  della
 finalita' rieducativa della pena.
   In  secondo luogo l'art. 177, primo comma, del codice penale, nella
 parte sottoposta a scrutinio di  costituzionalita',  si  porrebbe  in
 contrasto   con   l'art.   3   della   Costituzione,   in  quanto  le
 caratteristiche  della  normativa  in  esame,  piu'  sopra  rilevate,
 possono  consentire  il realizzarsi di una disparita' di trattamento,
 priva di  ragionevolezza,  fra  casi  di  compatibilita'  e  casi  di
 incompatibilita' con la prosecuzione della prova controllata.
   2. - La questione e' fondata.
   L'eccessivo  rigore  dal quale il codice del 1930 appariva ispirato
 nel disciplinare le ipotesi di revoca della liberazione  condizionale
 fu rilevato dalla dottrina sin dai primi anni successivi alla entrata
 in  vigore  della  Costituzione,  e  cio' anche in considerazione del
 principio enunciato nell'art. 27, terzo comma, secondo il  quale  "le
 pene... devono tendere alla rieducazione del condannato". Tale rigore
 veniva  rilevato sia con riferimento al presupposto consistente nella
 commissione, da parte della persona liberata condizionalmente, di  un
 qualsiasi  delitto  o  contravvenzione (anche se, quest'ultima, della
 stessa indole: v. art. 101 del codice penale), sia in relazione  alla
 disposizione che includeva tra i presupposti obbligatori della revoca
 qualsiasi trasgressione agli obblighi inerenti alla liberta' vigilata
 disposta,  nei  confronti  del soggetto liberato condizionalmente, a'
 termini dell'art. 230, numero 2. Senonche',  mentre  ad  evitare  gli
 eccessi prodotti dalla formulazione dell'art. 177, primo comma, sotto
 questo  secondo  profilo, ha potuto provvedere oramai da vari anni la
 giurisprudenza   ordinaria,   segnatamente   la   giurisprudenza   di
 legittimita'  -  esigendo  che  le  trasgressioni  siano  tali da far
 ritenere il mancato ravvedimento della persona cui sia stata concessa
 la liberazione condizionale, nel senso che il giudice  deve  compiere
 una  penetrante indagine diretta ad accertare, senza ombra di dubbio,
 se l'addebito possa concretare, o non,  una  grave  trasgressione  al
 regime  di  vita  cui  il liberato e' sottoposto, e se costituisca un
 sicuro elemento rivelatore della mancanza di ravvedimento e della non
 meritevolezza dell'anticipato reinserimento  nella  vita  sociale  -,
 nulla   di  simile  e'  stato  possibile  disporre  a  proposito  dei
 presupposti della revoca quando questi consistano in una condanna per
 delitto o per contravvenzione.   La  stessa  giurisprudenza  pone  in
 rilievo  il rigido automatismo di questa ipotesi, operare sulla quale
 in    linea   interpretativa   appare   impossibile.   Secondo   tale
 giurisprudenza il presupposto consistente  nella  commissione  di  un
 delitto  (ovviamente  ritenuto  da  sentenza  di  condanna passata in
 giudicato) non subisce nella legge alcuna limitazione,  il  requisito
 della  stessa  indole del reato dovendosi ritenere riferito alle sole
 contravvenzioni. Ne' altra interpretazione  restrittiva  e'  comunque
 proponibile vuoi, ad esempio, con riferimento all'elemento soggettivo
 vuoi  con riferimento alla natura o alla gravita' della pena prevista
 dalla legge o della pena inflitta.
   Ne', d'altra parte, tra le varie riforme  legislative  susseguitesi
 negli ultimi decenni in materia di liberazione condizionale, ve ne e'
 stata   alcuna   che   concerna  i  presupposti  della  revoca  della
 liberazione stessa. Il  problema  proposto  non  puo'  quindi  essere
 risolto se non in riferimento ai parametri costituzionali.
   3. - Assorbente si rivela in proposito il profilo di illegittimita'
 costituzionale  fatto valere dal giudice rimettente in riferimento al
 principio rieducativo.
     che  l'istituto  della  liberazione  condizionale  si   inserisca
 decisamente  nell'ambito  della  finalita'  rieducativa della pena e'
 stato affermato da questa Corte sin dalla sentenza n. 204 del 1974, i
 cui principi sono stati  richiamati  in  varie  sentenze  degli  anni
 successivi. Secondo tale giurisprudenza "l'istituto della liberazione
 condizionale  si  inserisce  nel fine ultimo e risolutivo della pena,
 quello, cioe', di tendere al recupero sociale del condannato"; e "con
 l'art. 27, terzo comma, della Costituzione, l'istituto ha assunto  un
 peso  e un valore piu' incisivo di quello che non avesse in origine",
 si'  che  "il  suo  ambito  di  applicazione  presuppone  un  obbligo
 tassativo per il legislatore di tenere non solo presenti le finalita'
 rieducative  della pena, ma anche di predisporre tutti i mezzi idonei
 a realizzarle e le forme atte a garantirle".
   E' alla luce di tale  principio  che  va  esaminata  la  disciplina
 legale  della  revoca,  con  particolare  riguardo al modo di operare
 automatico di taluno dei suoi presupposti.
   Del   carattere   automatico   della   revoca   della   liberazione
 condizionale   questa   Corte   ebbe  gia'  ad  occuparsi,  sia  pure
 incidentalmente.  Nella  sentenza  n.  282  del  1989,   dopo   avere
 riaffermato   che   "con  la  liberazione  condizionale  la  funzione
 rieducativa della pena prevale, oggi, ai sensi  dell'art.  27,  terzo
 comma, Cost., sull'esigenza retribuzionistica", la Corte stessa prese
 ad  esaminare  analiticamente  quei  passi che la Relazione al re sul
 codice penale del 1930 dedica al tema della revoca della  liberazione
 condizionale  e  al  suo  modo  automatico  di  operare,  inteso come
 risposta a chi non si sia  dimostrato  degno  della  fiducia  in  lui
 riposta  al  momento  della  concessione  del  beneficio;  e concluse
 dicendo che le affermazioni del  ministro  dell'epoca  non  erano  in
 armonia  con  la natura della liberazione condizionale emersa dopo la
 Costituzione repubblicana (n. 7 del  Considerato  in  diritto).    In
 quella  circostanza  la  critica della opzione ideologica espressa al
 momento dell'emanazione del codice venne utilizzata per negare quella
 che la citata sentenza chiama "rigidita' repressiva della  revoca"  e
 per   dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  del  primo  comma
 dell'art. 177 nella parte in cui esso non  consentiva,  nel  caso  di
 avvenuta revoca, di tener conto, per determinare la residua quantita'
 della  pena  detentiva  ancora  da  espiare,  del  tempo trascorso in
 liberta'  condizionale  nonche'  delle restrizioni di liberta' subite
 dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. Oggi  la
 Corte  si  trova  a dover esaminare, alla luce degli stessi caratteri
 attribuibili   in   forza   della   Costituzione   alla   liberazione
 condizionale, i casi di revoca automatica della liberazione stessa.
   4.  - Ora non v'e' dubbio che il carattere automatico di quello che
 e' il primo gruppo di ipotesi in cui per legge deve farsi luogo  alla
 revoca  ("delitti"  e  "contravvenzioni  della  stessa indole") e' in
 contrasto con una ragionevole applicazione del principio rieducativo.
   Come ricorda il giudice rimettente, questa Corte ha gia' avuto modo
 di dichiarare l'illegittimita'  costituzionale  di  disposizioni  che
 prevedevano  casi  di  revoca  automatica  di  benefici  concessi  in
 relazione  alle  esigenze  proprie  dei  percorsi   rieducativi   del
 condannato:  cosi', a proposito della revoca delle misure alternative
 alla  detenzione  disposte  dall'art.  15, comma 2, del d.l. 8 giugno
 1992, n. 306 (convertito dalla legge 7 agosto 1992, n. 356), la Corte
 ebbe a statuire che l'effetto della  revoca  di  tali  benefici  deve
 essere   proporzionato  alla  gravita'  oggettiva  e  soggettiva  del
 comportamento che lo ha determinato (sentenza n. 306 del 1993, n.  13
 del  Considerato  in  diritto);  cosi'  a  proposito della revoca del
 beneficio della liberazione anticipata  a  seguito  di  condanna  per
 delitto  non  colposo  commesso  nel corso dell'esecuzione della pena
 successivamente alla concessione del beneficio (art. 54, terzo comma,
 della legge 26 luglio  1975,  n.  354),  la  Corte  ebbe  a  rilevare
 l'illegittimita'  costituzionale  di  un  meccanismo  improntato a un
 rigido automatismo sanzionatorio che "relega nell'ombra  la  funzione
 di   impulso   e  di  stimolo  ad  una  efficace  collaborazione  nel
 trattamento rieducativo" ed esclude  ogni  apprezzamento  "in  ordine
 alla  compatibilita'  o  meno  degli  effetti  che scaturiscono dalla
 liberazione anticipata rispetto al valore sintomatico che in concreto
 puo' assumere l'intervenuta condanna" (sentenza n. 186 del  1995);  e
 cosi',  ancora,  ha  usato  lo  stesso  filone  di pensiero quando ha
 escluso che la sola presentazione di una  denuncia,  non  seguita  da
 accertamento  sia  pure  incidentale e limitato sulla esistenza di un
 reato, possa determinare la sospensione automatica  della  detenzione
 domiciliare  di  cui all'art.   47-ter della suddetta legge 26 luglio
 1975, n. 354 (sentenza n. 173 del 1997). Ed anche dove  la  Corte  ha
 dovuto    dichiarare    non   fondate   censure   di   illegittimita'
 costituzionale pur riferite agli artt.   27, terzo comma,  3  e  101,
 secondo   comma,   della   Costituzione,  nelle  quali  si  lamentava
 l'eccessivo rigore del  regime  vigente  in  tema  di  ammissione  ai
 permessi-premio,   la   Corte  non  ha  mancato  di  raccomandare  al
 legislatore di rivedere "l'impiego dell'assoluto automatismo  di  cui
 al quarto comma dell'art. 30-ter (della legge 26 luglio 1975, n. 354)
 non tanto in relazione al momento processuale che determina l'effetto
 preclusivo,  quanto  in relazione alle tipologie di delitti dolosi la
 cui  commissione  effettivamente  comprometta   il   giudizio   sulla
 regolarita'  della  condotta e, conseguentemente, faccia presumere la
 pericolosita' del condannato" (sentenza n. 296 del 1997).
   Alla stregua dei ricordati precedenti l'automatismo denunciato  dal
 giudice   rimettente  a  proposito  della  revoca  della  liberazione
 condizionale non puo' considerarsi costituzionalmente legittimo.
   Anche  se  non puo' dirsi preclusa in senso assoluto al legislatore
 la potesta'  di  assumere  determinate  condanne  come  criterio  per
 escludere  l'ammissione  del  condannato a determinati benefici o per
 sancire la revoca di benefici gia'  ottenuti,  occorre  tuttavia  che
 tali  criteri siano sufficientemente circoscritti, in modo da non dar
 luogo a  irragionevoli  parificazioni  e  da  non  precludere,  nelle
 ipotesi   meno   gravi,   la  funzione  rieducativa  della  pena.  Il
 parificare, come fa l'art. 177, primo comma, del codice penale, tutti
 i delitti, senza operare nel seno di questa  vastissima  categoria  -
 comprensiva  sia  di  delitti  dolosi  che di delitti colposi, sia di
 delitti puniti con pena restrittiva della liberta' personale  che  di
 delitti  puniti  con  la  sola pena della multa, sia di delitti della
 stessa indole di quello per cui il soggetto stava espiando la pena al
 momento dell'intervenuta liberazione condizionale che di  delitti  di
 natura affatto diversa - alcuna selezione, e' criterio che, collegato
 con  l'automatica derivazione della revoca dalla condanna, rende tale
 disposizione manifestamente illegittima, perche' in essa sono violati
 congiuntamente il principio rieducativo e quello  di  ragionevolezza.
 Ed  altrettanto  deve  dirsi  per  la contestuale parificazione delle
 contravvenzioni ai delitti, ancorche' tale parificazione sia limitata
 alle contravvenzioni della stessa indole del reato  in  relazione  al
 quale il detenuto stava scontando la pena.
   5. - A sottolineare, ad un tempo, la irragionevolezza della assenza
 di  ogni  selezione  e il contrasto di questa assenza con le esigenze
 imposte dal principio rieducativo,  basterebbe  del  resto  esaminare
 altre  disposizioni  di  legge  prese variamente in considerazione da
 questa Corte  in  altre  sentenze,  sempre  in  collegamento  con  le
 esigenze     della    funzione    rieducativa.    Nell'art.    30-ter
 dell'ordinamento penitenziario, pocanzi ricordato, la concessione dei
 permessi-premio e' ammessa entro tempi  proporzionati  alla  gravita'
 delle  condanne  inflitte  ed  anche  al quantum di pena gia' espiata
 (comma 4 del suddetto articolo); quando si tratta (come nel  comma  5
 dell'articolo)  di  soggetti  che  hanno  riportato  condanna  o sono
 imputati di  reati  commessi  durante  l'espiazione  della  pena,  la
 esclusione  ivi contemplata e' limitata ai delitti dolosi. Egualmente
 l'art. 58-quater al comma 5, prevede  l'esclusione  dell'assegnazione
 del   lavoro   all'esterno,   dei   permessi-premio  e  delle  misure
 alternative alla detenzione  per  quegli  autori  dei  gravi  delitti
 contemplati  nel comma 1 dell'art. 4-bis ancorche' "collaboratori con
 la giustizia" quando gli  stessi  siano  imputati  o  condannati  per
 delitti  dolosi puniti con la pena della reclusione non inferiore nel
 massimo a tre anni. E quando preclusioni del genere  non  sussistano,
 il  criterio  per  la revoca d'altri benefici e' quello dettato dalla
 constatazione giudiziale di un comportamento, contrario alla legge  o
 alle  prescrizioni  dettate,  incompatibile con la prosecuzione delle
 misure (v. art. 47, undicesimo comma, per l'affidamento in  prova  al
 servizio  sociale  e  art.  47-ter  sesto  comma,  per  la detenzione
 domiciliare) o, piu' semplicemente,  dalla  constatazione  della  non
 idoneita'  del  soggetto al trattamento (v. art. 51, primo comma, per
 il regime di semiliberta'). Questi ultimi sono senza dubbio i criteri
 piu' consoni alle misure alternative alla detenzione  introdotte  con
 la  legge  26  luglio  1975,  n. 354, e dalle integrazioni successive
 della stessa legge avutesi nel corso  degli  ultimi  decenni,  quando
 gia'  da tempo la finalita' rieducativa della pena era stata iscritta
 nella  Costituzione.  Tale  criterio,  la  cui  applicazione nei casi
 concreti e' rimessa alla Magistratura di sorveglianza, non  puo'  non
 valere,  in  osservanza  dello stesso principio costituzionale, anche
 per la revoca della liberazione condizionale.
   6. - L'accoglimento della questione sotto il profilo dell'art.  27,
 terzo comma, della Costituzione, assorbe la questione  sollevata  dal
 giudice rimettente in riferimento all'art. 3 della Costituzione sotto
 il  profilo della ingiustificata disparita' di trattamento tra i casi
 di compatibilita' della condanna riportata con la prosecuzione  della
 prova  in  stato  di liberta' vigilata e casi di incompatibilita' con
 tale  prosecuzione.  Del  resto  la  prospettazione  del  dubbio   di
 costituzionalita'   cosi'   formulata  non  fa  che  riprodurre,  con
 specifico richiamo alla  varieta'  dei  casi  che  si  presentano  al
 giudice  chiamato  a  disporre  la  revoca, il dubbio poi espresso in
 riferimento all'art.  27, terzo comma, della Costituzione.