ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 30-ter comma 4,
 lettera  c della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento
 penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative  e  limitative
 della  liberta'),  promosso con ordinanza emessa il 26 marzo 1998 dal
 Magistrato di sorveglianza presso il Tribunale per i minorenni di
  L'Aquila,  iscritta  al  n.  422  del  registro  ordinanze  1998   e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 24, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di consiglio dell'11 novembre  1998  il  giudice
 relatore Valerio Onida.
                           Ritenuto in fatto
   1. -  Chiamato a decidere su di un'istanza di permesso premio di un
 detenuto,  minorenne  all'epoca del fatto, condannato a quindici anni
 di reclusione  per  rapina  pluriaggravata,  detenzione  di  armi  ed
 omicidio   volontario,   il  Magistrato  di  sorveglianza  presso  il
 Tribunale per i minorenni di L'Aquila, con  ordinanza  emessa  il  26
 marzo  1998, pervenuta a questa Corte il 27 maggio 1998, ha sollevato
 questione  di  legittimita'  costituzionale,  in   riferimento   agli
 articoli 3 e 31, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 30-ter,
 comma  4,  lettera  c)  della  legge  26  luglio  1975, n. 354 (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario  e   sull'esecuzione   delle   misure
 privative e limitative della liberta'), nella parte in cui si applica
 ai minorenni.
   Il  remittente  premette che, in relazione alla concreta situazione
 del condannato, avrebbe concesso il permesso richiesto se non  glielo
 avesse  impedito  l'art.  30-ter comma 4, lettera c) dell'ordinamento
 penitenziario, che condiziona, nei  riguardi  dei  condannati  per  i
 delitti   di   cui   all'art.  4-bis  dello  stesso  ordinamento,  la
 concessione di permessi  premio  all'avvenuta  espiazione  di  almeno
 meta' della pena e comunque di non oltre dieci anni.
   Affermata la rilevanza della questione, dalla cui soluzione dipende
 la  possibilita'  per  il  richiedente  di  fruire  del  permesso,  e
 richiamata la sentenza di questa Corte n. 227  del  1995  per  quanto
 riguarda  la legittimazione delMagistrato di sorveglianza a sollevare
 questioni di legittimita' costituzionale in sede di  decisione  sulla
 istanza  di permesso premio, il remittente osserva che l'applicazione
 della disposizione denunciata anche ai detenuti  di  eta'  minore  e'
 conseguente  all'inerzia  del  legislatore, che non ha ancora dettato
 una disciplina specifica per l'esecuzione delle  pene  nei  confronti
 dei  minori,  onde  continua  ad  estendersi  ai  minorenni, in forza
 dell'art. 79 della legge n. 354  del  1975,  la  disciplina  prevista
 dall'ordinamento penitenziario generale.
   Il  giudice  a  quo richiama poi la giurisprudenza di questa Corte,
 secondo cui l'assoluta  parificazione  tra  minorenni  e  adulti,  in
 materia  di  ordinamento  penitenziario,  contrasta con l'esigenza di
 flessibilita' del trattamento del detenuto minorenne; ed afferma  che
 anche l'art.  30-ter comma 4, lettera c), della legge n. 354 del 1975
 contrasta  con  detta  esigenza.  Infatti esso impedirebbe al giudice
 qualsiasi valutazione della  condotta  del  minore  e,  quindi,  ogni
 previsione    individualizzata    riguardo    alla    capacita'    di
 risocializzazione della pena, in concreto.
   L'impossibilita' di fruire di permessi premio per un periodo,  come
 nella  specie,  eccessivamente  lungo  precluderebbe  al  minore  uno
 strumento  indispensabile  per  la  cura  di   interessi   affettivi,
 culturali e di lavoro. Lo stesso legislatore osserva il remittente ha
 previsto,  a  favore dei minorenni, disposizioni specifiche dirette a
 raggiungere  le   finalita'   rieducative   particolari   e   tipiche
 dell'esecuzione penale minorile.
   Da  ultimo  il  giudice  a  quo  osserva  che  il  venir meno della
 preclusione  automatica,  oggi  prevista,  non  escluderebbe  che  il
 giudice  possa valutare la richiesta di concessione del permesso alla
 luce del presupposto di carattere generale  della  regolarita'  della
 condotta del detenuto.
   2.  -  Non  vi  e'  stata costituzione di parti, ne' intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri.
                         Considerato in diritto
   1.  -    La  questione  sollevata  investe  il  comma 4, lettera c)
 dell'art.    30-ter  della  legge  26  luglio  1975,  n.  354  (Norme
 sull'ordinamento  penitenziario e sulle misure privative e limitative
 della liberta'), a cui tenore la concessione di  permessi  premio  ai
 condannati  per  i  delitti  previsti  dall'art.  4-bis  dello stesso
 ordinamento penitenziario e' preclusa prima che essi abbiano scontato
 almeno la meta' della pena, con un massimo di dieci anni: laddove  lo
 stesso  comma  4, alle lettere a) e b) consente detta concessione, in
 generale, nei confronti dei condannati all'arresto o alla  reclusione
 fino  a  tre  anni,  ovvero,  nei  confronti  dei  condannati  a pene
 superiori, dopo l'espiazione di almeno un quarto della pena.
   Il dubbio di costituzionalita' riguarda tale norma nella sola parte
 in cui si applica  ai  minorenni.  Esso  si  fonda  sul  richiamo  al
 principio  di  eguaglianza (art. 3 della Costituzione) e al principio
 di protezione dell'infanzia  e  della  gioventu'  (art.  31,  secondo
 comma,  della  Costituzione), che sarebbero violati dall'applicazione
 indiscriminata della norma ai condannati minori  come  ai  condannati
 adulti, in contrasto con la necessita' di una disciplina che consenta
 al  giudice  una  valutazione individualizzata, al di fuori di rigidi
 automatismi, riguardo  alla  idoneita'  della  misura  rispetto  alle
 esigenze di recupero sociale del minore.
   2. - La questione e' fondata.
   Nella perdurante inerzia del legislatore, che non ha ancora dettato
 una  disciplina  differenziata dell'esecuzione penale minorile, cosi'
 protraendo nel tempo l'estensione provvisoria  ai  condannati  minori
 dell'ordinamento  penitenziario  generale, sancita dall'art. 79 della
 legge n. 354 del 1975, questa Corte ha censurato piu' volte norme  di
 tale  ordinamento,  o altre norme, che stabilivano preclusioni rigide
 ed automatiche alla concessione di  misure  premiali,  o  alternative
 alla  detenzione,  o  di  altri  benefici, in quanto, applicandosi ai
 minori, impedivano quelle valutazioni flessibili ed  individualizzate
 sulla idoneita' ed opportunita' delle misure o dei benefici medesimi,
 che  sono  invece  necessarie  perche'  l'esecuzione  della pena e in
 genere la disciplina delle restrizioni alla liberta' personale  siano
 conformi   alle   esigenze   costituzionali   di   protezione   della
 personalita' del minore (cfr. sentenze n. 46 del  1978,  n.  125  del
 1992).
   Cosi'  la  Corte  ha  escluso,  in  via interpretativa, che potesse
 applicarsi ai minori una  norma  che  vietava  la  concessione  della
 liberta'  provvisoria  (sentenza  n.  46  del 1978); ha censurato una
 norma che precludeva l'applicazione dell'istituto  della  messa  alla
 prova,  nell'ambito  del  processo minorile, quando l'imputato avesse
 chiesto il  giudizio  abbreviato  (sentenza  n.  125  del  1995);  ha
 dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale,  nei  soli riguardi dei
 condannati minorenni, del divieto di disporre misure alternative alla
 detenzione  per  l'esecuzione  di   pene   detentive   derivanti   da
 conversione  di  pena  sostitutiva  (sentenza  n.  109  del 1997); ha
 giudicato parimenti illegittima, ancora una  voltanei  soli  riguardi
 dei  condannati  minorenni,  la  norma  dell'art.    30-ter  comma 5,
 dell'ordinamento penitenziario, che vieta la concessione di  permessi
 premio nei due anni successivi alla commissione, durante l'espiazione
 della  pena  o l'esecuzione di una misura restrittiva della liberta',
 di un delitto doloso (sentenza n.  403  del  1997);  ha,  da  ultimo,
 escluso la legittimita' costituzionale della estensione agli imputati
 minorenni  delle  condizioni  soggettive che precludono l'adozione di
 pene sostitutive (sentenza n. 16 del 1998).
   3. - La stessa ratio decidendi non puo'  non  valere  nei  riguardi
 della  presente  questione.  La  norma  impugnata  e'  stata  dettata
 dall'art.  1 del d.l. n. 152 del 1991, in via di successiva  modifica
 dell'art.      30-ter   (a   sua   volta   inserito  nell'ordinamento
 penitenziario dall'art.   9 della legge n.  663  del  1986),  che  ha
 introdotto  l'istituto  del permesso premio, al quale questa Corte ha
 riconosciuto  natura   di   misura   premiale   di   incentivo   alla
 collaborazione  del  detenuto  con  l'istituzione  carceraria,  e  di
 strumento cruciale di rieducazione (sentenze n.  227  e  n.  504  del
 1995,  n.  235  del 1996, n. 296 del 1997; e cfr. gia' la sentenza n.
 188 del 1990).
   La rigida preclusione alla concessione di  permessi  premio,  prima
 dell'espiazione di meta' della pena, nei confronti dei condannati per
 i  delitti  di  cui  all'art.  4-bis  dell'ordinamento penitenziario,
 introdotta nel quadro di un piu'  generale  e  drastico  inasprimento
 delle  condizioni  per  la concessione a tali condannati dei benefici
 carcerari, e' stata dettata dal legislatore in  modo  indiscriminato,
 senza   riguardo,   ancora   una  volta,  alle  specifiche  esigenze,
 costituzionalmente imposte, dell'esecuzione minorile.  Essa  viene  a
 contrastare   con  tali  esigenze,  risolvendosi  in  un  automatismo
 incompatibile  con  la  necessita'  di   valutazioni   flessibili   e
 individualizzate,  in ordine all'impiego di un istituto - il permesso
 premio  -  inteso  a  consentire  a  condannati,  che  non  risultino
 socialmente  pericolosi, di "coltivare interessi affettivi, culturali
 o di lavoro" (art. 30-ter comma 1,  dell'ordinamento  penitenziario):
 strumento  essenziale  per  perseguire  efficacemente  il progressivo
 reinserimento della persona detenuta nella societa', e dunque  quella
 finalita'  rieducativa,  che  deve  essere  assolutamente  preminente
 nell'esecuzione penale minorile (cfr. sentenze n. 168  del  1994,  n.
 109 e n. 403 del 1997). Tanto piu' che, trattandosi di condannati per
 gravi  delitti, e dunque a pene di non breve durata, tale preclusione
 viene ad irrigidire per lunghi periodi il regime di esecuzione  della
 pena.
   E'  d'altronde  evidente che sopprimere la preclusione in esame nei
 confronti dei condannati per delitti  commessi  in  eta'  minore  non
 significa per cio' stesso mettere in pericolo gli interessi generali,
 relativi  al  contrasto  della  criminalita',  che  hanno  spinto  il
 legislatore ad introdurre siffatta disciplina. Infatti la concessione
 dei permessi premio resta pur sempre  condizionata,  oltre  che  agli
 altri  requisiti,  non solo alla "regolare condotta" dei detenuti, ma
 anche alla circostanza che essi non risultino socialmente  pericolosi
 (art.  30-ter  comma  1),  e  che  non  vi siano elementi tali da far
 ritenere sussistenti collegamenti con la criminalita' organizzata  od
 eversiva    (art.   4-bis   comma   1,   dello   stesso   ordinamento
 penitenziario): resta dunque affidata al  prudente  apprezzamento  di
 tali condizioni da parte del magistrato di sorveglianza.