IL GIUDICE DI PACE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al
 n. 1360 Ruolo Gen. dell'anno 1997, promossa da Rossi Giovanni,  quale
 titolare  della  farmacia  Flaminia,  residente a Torrette di Ancona,
 rappresentato e difeso dall'avv. Flavio Barigelletti e presso di  lui
 domiciliato  in  Ancona  P.zza Stamira n. 5, come da mandato in calce
 dell'atto di citazione attore opponente;
   Contro  Marche  Impianti,  s.a.s.  in  persona   del   suo   legale
 rappresentante  con  sede  in  Senigallia  (AN)  via  Tiziano  n. 19,
 rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Bortoluzzi  e  presso  di  lui
 domiciliato  in  Ancona, p.zza Cavour n. 29 come da mandato a margine
 del ricorso per Decreto Ingiuntivo convenuta opposta;
   Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Domanda  rincovenzionale
 eccedente  la  competenza  per valore del giudice di pace. Rimessione
 avanti il giudice Togato ex art. 40,  comma 6, c.p.c. come  novellato
 dall'art.  19  della  legge  21  novembre  1991, n. 374. Questione di
 legittimita' costituzionale per  contrasto  agli  artt.  107,  quarto
 comma e 25, primo comma della Costituzione.
                               F a t t o
   1.  -  Con  atto di citazione notificato il 5 maggio 1997, l'attore
 esponeva quanto appresso.
   Il dott. Rossi G. aveva commissionato alla Marche I.  -  s.a.s.  la
 realizzazione  di  un  impianto  elettrico  per l'alimentazione delle
 insegne e lavori aggiuntivi di completamento dell'impianto  elettrico
 della  Farmacia  Flaminia di Ancona di cui e' titolare. A fine lavori
 chiedeva piu' volte il certificato  di  conformita'  ai  sensi  della
 legge   n.   46/1990,   che  pero'  non  veniva  rilasciato;  percio'
 interrompeva i pagamenti.
   La sera del 6 aprile 1997 in farmacia si verificava un principio di
 incendio che portava al black out totale per circa tre  giorni.    Di
 cio'  veniva  subito  avvertito  il tecnico Sauro Angeletti che aveva
 eseguito i lavori successivamente anche il titolare della Marche I. -
 s.a.s., sig. Verzoni; ma nessuno  interveniva  per  prendere  visione
 della situazione.
   Onde eliminare il black out il dott. Rossi G. si rivolgeva ad altra
 ditta,  la  ''Tecnologie  Elettriche'' di Bertini Giuseppe. Questi in
 data 10 aprile 1997 individuava i guasti che addebitava a  precedente
 errato  montaggio  dei  congegni tecnici, ed eseguiva le riparazioni.
 Percio' l'attore sborsava L. 354.025. Del fatto veniva  informata  la
 convenuta Marche I. - s.a.s., senza suo riscontro.
   E'  evidente  che  la  Marche  I.  -  s.a.s.,  non  consegnando  la
 certificazione di conformita' necessaria, non aveva ultimato i lavori
 in una parte essenziale e quindi deve rispondere  per  inadempimento.
 Deve  anche  rispondere per danni cagionati da imperizia e negligenza
 nella esecuzione dell'opera. Nel danno e' da comprendere non solo  la
 spesa  per  le riparazioni ma anche il mancato guadagno per diminuito
 lavoro della farmacia dal 6  al  10  aprile,  nonche'  il  discredito
 all'immagine nei confronti della clientela; il risarcimento domandato
 e'  di L. 7.000.000.  Inoltre, il mancato adempimento dell'obbligo di
 consegnare il certificato di conformita' per un verso  dimostra  come
 non esista il diritto di credito della Marche I. - s.a.s. e per altro
 da'  luogo  ad  un'altra  situazione  di  danno  per  cui  chiede  il
 risarcimento di L. 2.000.000.
   2. - Si costituiva la convenuta con comparsa depositata in  udienza
 il 30 giugno 1997 ed eccepiva quanto appresso.
   Contrastava la pregiudiziale di parte avversa perche' la competenza
 funzionale  ed  inderogabile per decidere sul giudizio di opposizione
 spetta  all'ufficio  giudiziario  che  ha  emesso  l'ingiunzione:  il
 giudice  dell'opposizione  non  puo'  rimettere  al giudice superiore
 tutta la causa ma soltanto la domanda relativa alla riconvenzione.
   Nel merito  eccepiva  l'infondatezza  e  tardivita'  della  domanda
 riconvenzionale  perche'  effettuava  per la prima volta a seguito di
 richiesta di pagamento.
   In fatto esponeva la Marche I. - s.a.s. in data  16  dicembre  1996
 inviava  estratto  conto  a  copertura  dei  lavori eseguiti a regola
 d'arte ultimati e non contestati, e poi  in  data  23  dicembre  1996
 inviava  fattura. Soltanto a seguito di diffida rivoltagli tramite il
 legale ed a distanza di tre mesi dalla consegna dei lavori, il  Rossi
 G.    faceva  sapere di non voler pagare adducendo pretesti in ordine
 alla esattezza dei lavori ed alle ore impiegate; inoltre, in sede  di
 opposizione   a  decreto  ingiuntivo  inventava  nuove  contestazioni
 ipotizzando un principio di incendio e  lamentando  la  mancanza  del
 certificato  di conformita'. A causa del mancato rispetto del termine
 di cui all'art.    2226  c.c.  e'  preclusa  all'attore-opponente  la
 possibilita' di far valere i vizi dell'opera.
   3. - L'attore Rossi G. ha rassegnato le seguenti conclusioni:
   In  via pregiudiziale: preso atto della riconvenzionale, dichiarare
 la propria incompetenza per valore, sospendere il giudizio  avanti  a
 se',  ex  art.  295  c.p.c.,  e  rimettere  la causa av/il pretore di
 Ancona. Nel merito: dichiarare che nulla e' dovuto a revocare il D.I.
 opposto. In riconvenzione: condannare la convenuta per  danni  patiti
 dall'attore  per  L.  7.000.000  piu' interessi e rivalutazione.   In
 subordine e nel merito: accertata l'inadeguatezza dell'opera rispetto
 al corrispettivo pattuito, ridurre il prezzo in ragione  dei  vizi  e
 dichiarare  la  compensazione  tra  l'eventuale  somma  ancora dovuta
 dall'attore e con quella che la convenuta sara' condannata a pagare a
 titolo risarcitorio, e per l'effetto condannare la Marche I. - s.a.s.
 a pagare la differenza al  dott.  Rossi  G.;  oltre  ad  interessi  e
 maggior danno per svalutazione. Con vittoria di spese.
   4.  -  La  convenuta  Marche  I. - s.a.s. ha rassegnato le seguenti
 conclusioni: dichiarare la competenza funzionale ed inderogabile  del
 Gdp  adito  a  decidere  sull'opposizione come sancito dall'art.  645
 c.p.c. . Confermare il decreto ingiuntivo opposto.  Con  vittoria  di
 spese.
                             D i r i t t o
   5. - Sulla pregiudiziale di incompetenza per valore.
   5.1.  - La difesa dell'attore-opponente, nella memoria autorizzata,
 depositata all'udienza del 6 ottobre 1997, sostiene la seguente tesi.
   L'art. 36 stabilisce che quando  sia  stata  proposta  una  domanda
 riconvenzionale  che  dipenda  dal  titolo  gia'  dedotto in giudizio
 dall'attore o  che  appartenga  dalla  stessa  causa  come  mezzo  di
 eccezione  il  giudice  della  causa  principale  conosce anche della
 domanda   riconvenzionale,  purche'  la  stessa  non  ecceda  la  sua
 competenza  per  valore;  in  questo  caso  il  giudice  applica   le
 disposizioni  dei  due  articoli  precedenti  (art.  34, accertamenti
 incidentali, art. 35, eccezione di compensazione)  che  prevedono  la
 scissione  delle due cause o l'intera rimessione, anche della domanda
 principale,  davanti  al  giudice  dichiarato  competente.    Ma,  il
 successivo  art.  40,  comma 7 stabilisce che se le cause connesse ai
 sensi  del  comma  6  (che  ricomprende   l'ipotesi   della   domanda
 riconvenzionale  citando  l'art.  36  c.p.c.) sono proposte avanti il
 giudice di pace e avanti il pretore o tribunale, il giudice  di  pace
 deve  pronunciare,  anche  d'ufficio,  la  connessione  a  favore del
 pretore o del tribunale.   Qui non si e'  in  presenza  di  una  mero
 potere del giudice, ma di un vero dovere.
   5.1.1. - Di contro, la difesa della convenuta-opposta nella memoria
 depositata il 15 aprile 1998 sostiene la seguente tesi.
   L'art.   645   c.p.c.,   stabilendo  che  l'opposizione  a  decreto
 ingiuntivo va proposta davanti all'ufficio giudiziario cui appartiene
 il giudice che ha emesso il decreto, ha istituito una sua  competenza
 funzionale  inderogabile  che non puo' essere derogata per ragioni di
 connessione, sia che questa presenti i caratteri ampi e  generici  di
 cui  all'art.  40 c.p.c., sia che si tratti delle speciali ipotesi di
 connessione previste dagli artt.  34,  35,  36,  c.p.c.  .  Pertanto,
 quando nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sia proposta
 domanda  riconvenzionale  che  ecceda  la  competenza  per valore del
 giudice adito, questi non puo' rimettere tutta la  causa  al  giudice
 superiore  ma  deve rimettergli soltanto la domanda riconvenzionale e
 trattenere quella di opposizione che e' di sua esclusiva  competenza.
 Il  giudice  del procedimento monitorio puo' eventualmente sospendere
 il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo qualora ne  ricorrano
 i  presupposti  di  cui all'art. 295 c.p.c., ossia quando la legge lo
 imponga  ovvero  quando  sorga  la  necessita'   di   risolvere   una
 controversia avente carattere pregiudiziale.
   5.1.2.  -  Nella  fattispecie che ne occupa, questo g.d.p. osserva.
 Ove le eccezioni del dell'ingiunto-opponente  fossero  limitate  alla
 semplice  doglianza  di  inadempimento,  la  causa  rimarrebbe  nella
 competenza  per  valore  del  GdP  che  ha  pronunciato  il   decreto
 ingiuntivo.   Ma   quegli   ha  proposto,  altresi',  riconvenzionale
 lamentando un  danno  di  L.    7.000.000.  Trattasi  di  connessione
 sopravvenuta   per  via  di  eccezione  con  tendenziale  effetto  di
 scardinare la competenza di  questo  GdP  preventivamente  adito  nel
 procedimento monitorio.
   Qui   l'accertamento  di  esistenza  del  maggior  danno  lamentato
 dall'attore si pone come antecedente logico-giuridico al giudizio  di
 opposizione,  perche'  influisce  sulla  esistenza  del  credito  del
 ricorrente-opposto, ovvero sulla parziale o totale sua  compensazione
 col risarcimento del danno come domandato dall'opponente.
   Donde  si  conclude  che  l'accertamento  del danno del giudizio di
 riconvenzione e' rilevante  nonche'  pregiudiziale  sull'accertamento
 del credito del ricorrente nel giudizio di opposizione.
   5.2.  -  Sul  conflitto tra l'art. 40, comma 7 e gli artt. 645 e 36
 c.p.c. .
   5.2.1.  -  La  convenuta  sostiene  le  proprie tesi richiamando la
 statuizione della Cassazione n. 10984/1992 e precedenti.
   Invero, successivamente ad esse, la Cassazione  s.u.  n.  1835/1996
 (cui si rimanda) ha ancora riaffermato quello stesso principio.
   Nella  motivazioni  di quest'ultima sentenza si leggono le seguenti
 precisazioni. "Occorre premettere che il quesito va  risolto  con  la
 disciplina  previgente  alla riforma del processo civile, di cui alla
 legge 26 novembre 1990, n. 353 che ha modificato, con  l'art.  4,  il
 vecchio   testo   dell'art.  38  c.p.c.,  incidendo  non  solo  sulla
 tralaticia distinzione tra criteri  forti  di  competenza  e  criteri
 deboli,   ma   anche   sui   tempi   e   sui   modi   di  rivelazione
 dell'incompetenza. Il nuovo tessuto normativo, ... una volta  portato
 a  regime,  ...  portera'  inevitabilmente alla revisione dell'intera
 problematica che tenga conto, mediante un visione globale  supportata
 da una interpretazione sistematica, sia le norme novellate sia quelle
 preesistenti che formano insieme il nuovo corpo del processo civile".
   Cosi'  leggendo,  appare  che  la  suprema Corte non abbia preso in
 considerazione (e comunque non ne  ha  fatto  menzione)  che  tra  le
 novelle  in  modifica  del  processo civile, e' sopravvenuta anche la
 legge 21 novembre 1991, n. 374,  istitutiva  del  g.d.p.  Questa  con
 l'art. 19, ha aggiunto i commi 6 e 7, all'art. 40 c.p.c. .
   Tuttavia  le citate precisazioni rimangono attuali e condivisibili.
 E  pero',  debbono  essere  lette  anche  alla  luce  della   novella
 modificatrice  citata.  Cio'  significa  che  i commi 6 e 7, aggiunti
 all'art. 40 sono entrati nel nuovo tessuto  normativo  del  c.p.c.  .
 Essi   debbono  indurre  ad  ulteriore  approfondimento  sulla  nuova
 disciplina della connessione di cause av/il g.d.p.
   A dirla con le stesse parole della Cassazione: la problematica  che
 ne  occupa  deve  essere  riveduta  tenendo conto, mediante una nuova
 visione globale supportata da una  interpretazione  sistematica,  sia
 della norma novellata all'art. 40, comma 6 e 7 c.p.c. sia degli artt.
 645  e 36 c.p.c. preesistenti, che formano insieme il nuovo corpo del
 processo civile.
   5.2.2. - Torna, dunque, in  rilievo  il  conflitto  espresso  nelle
 opposte  tesi  dell'attore  e  del convenuto. Per la cui soluzione e'
 necessario riesaminare se, ed entro quali limiti, il novellato  comma
 7,   art.   40   c.p.c.,   possa   o   debba  modificare  l'indirizzo
 giurisprudenziale alla interpretazione degli artt. 645  e  36  c.p.c.
 dato  dalla  sentenza  n.  1835/1996  della  Cassazione s.u. ed altre
 precedenti conformi.
   In breve. Questo g.d.p. deve decidere se, ai  sensi  dell'art.  40,
 comma  7 c.p.c., la presente causa debba essere rimessa in toto av/il
 pretore,  ovvero  se  debba  essere  rimessa  soltanto   la   domanda
 riconvenzionale   eccedente   la  propria  competenza  per  valore  e
 trattenere avanti a se' il giudizio di opposizione,  con  sospensione
 ex art. 295 c.p.c.  in attesa della decisione sulla pregiudiziale.
   5.2.3.  -  Una  prima  sommaria  lettura  porterebbe a ritenere che
 l'applicazione   dell'art.   40,    comma    7    c.p.c.,    prevalga
 sull'applicazione del combinato disposto degli artt. 36 e 645 c.p.c.,
 cosi'  come  interpretati  dalla cit. Cassazione s.u. n. 1835/1996 ed
 altre precedenti conformi.
   Cio' per due ordine di ragioni.
   Un primo ordine di ragioni e'  ravvisabile  nella  regola  generale
 della  successione  delle  leggi  nel tempo ex art. 15 delle preleggi
 (regio decreto  n.  262/1942).  La  novella  sopravvenuta  (legge  n.
 374/1991, art. 19), introducendo i commi 6 e 7, all'art. 40 c.p.c. in
 punto  di  rimessione per concessione, ha espressamente modificato la
 preesistente struttura normativa in tema di connessione av/il g.d.p.
   Un secondo ordine di ragioni e'  ravvisabile  nella  considerazione
 che  le norme dei commi 6 e 7 del citato art. 40 c.p.c. si pongono in
 rapporto di specialita': sia rispetto alla normativa generale dettata
 per il giudice dell'opposizione degli artt.  645  e  36  c.p.c.,  sia
 rispetto  alla  norma generale dettata per le connessioni dal comma 1
 dello stesso art. 40  c.p.c.;  e  quindi  non  sono  suscettibili  di
 interpretazione estensiva ne' analogica.
   Cosi'  interpretando, appare obsoleta l'esaminata giurisprudenza n.
 1839/1996 del supremo collegio s.u.
   Cio' porterebbe  a  concludere  che  in  caso  di  connessione  per
 riconvenzione  di  cause  ai  sensi degli artt. 645, 36 e 40, comma 7
 c.p.c.,  dovrebbe  essere  superato  il  principio  della  competenza
 inderogabile  del g.d.p.  quale giudice dell'ingiunzione, e di contro
 essere  affermato  il  principio  della  rimessione   di   tutta   la
 controversia  (giudizio  di  opposizione  e  domanda di riconvenzione
 successivamente rassegnata) av/il giudice togato.
   5.2.4. - Ma siffatta conclusione non sembra convincente.
   Se cosi' fosse verrebbe aperta  una  facile  via  all'ingiunto  che
 voglia  percorrere  una  difesa  artificiosa.  Egli potrebbe proporre
 (piu' o meno fondatamente) una riconvenzione eccedente il valore  del
 g.d.p. e cosi': paralizzare il procedimento monitorio, rinviare tutta
 la causa av/il giudice togato con finalita' dilatorie sine die, per i
 lunghi  tempi  della risposta giudiziaria avanti quella magistratura;
 vanificare oltre che le aspettative del creditore, anche buona  parte
 della  utilita'  e  dell'effetto deflattivo per cui il legislatore ha
 creato la magistratura onoraria del g.d.p.
   Percorrendo  siffatta   facile   via,   le   parti,   con   domande
 riconvenzionali    ovvero    con   cause   accessorie   connesse   ma
 successivamente  adite   av/il   giudice   togato   rispetto   quelle
 preventivamente  adite av/il giudice di pace, potrebbero manipolare a
 piacimento la scelta del giudice di cognizione, violando il principio
 costituzionale del giudice precostituito per legge  (art.  25,  primo
 comma della Costituzione).
   5.2.5.  -  Questo  giudicante  ritiene  che, con l'entrata a regime
 dell'ufficio del g.d.p., che chiude i procedimenti con tempi medi  di
 3/4   mesi,  debbano  essere  ripensati  i  canoni  tradizionali  che
 definivano  l'economia  processuale.  I   quali   giustificavano   il
 "simultaneo  processo" facendo perno sulla opportunita' di evitare la
 difformita' di giudicati e  di  evitare  il  dispendio  di  attivita'
 processuali  per  la  contemporanea trattazione della causa davanti a
 piu' giudici.
   Invece, considerati gli attuali tempi di durata (che normalmente si
 contano in termini di parecchi anni) dei processi pendenti davanti ai
 giudici togati (con la conseguente conclamata crisi della  giustizia)
 rapportati  ai  tempi  di  risposta  giudiziale  (che  normalmente si
 contano in termini di pochi mesi) del g.d.p., deve essere  ridefinito
 il  concetto  di "economia processuale". Il quale deve fare perno non
 sulla opportunita', ma sulla necessita' di conseguire  la  "celerita'
 dei  giudizi". Giacche' la celerita' della risposta giudiziale e' uno
 dei requisiti essenziali della giustizia che prevale ed assorbe  ogni
 altro  tradizionale  motivo  di economia processuale; senza sottacere
 che  anche  il  "costo  economico"  dell'attivita'  processuale av/il
 g.d.p. e' di certo inferiore di quello avanti il giudice togato.
   5.3. - Questioni di legittimita' costituzionale del comma  6  e  7,
 art. 40 c.p.c. .
   5.3.1.  - Si potrebbe osservare che le considerazioni sopra esposte
 sono soltanto motivi di opportunita' o di politica giudiziaria.
   Ma la percorribilita' dei commi 6 e 7 c.p.c. non appare convincente
 neanche ad una piu'  approfondita  analisi  giuridica  della  novella
 aggiunta con l'art. 19 della legge n. 374/1991.
   Sul  punto  non vi sono precedenti giurisdizionali di legittimita',
 ma  sovviene  dottrina:  vd.  Coppari  in  Giur.  It.  1992-IV-168  e
 Consolo-Luiso-Sassani  in  Commentario  Rif. Proc. Civ. Giuffre' 1996
 pag. 47.
   5.3.2. - Nella scia della citata  dottrina  questo  g.d.p.  osserva
 quanto appresso.
   La  novella  della  legge  n.  374/1991,  aggiungendo i commi 6 e 7
 all'art.  40 c.p.c., ha regolato la  modificazione  della  competenza
 per  connessione  tra  cause  di  competenza del g.d.p. e del giudice
 togato, distinguendo le ipotesi in cui il  simultaneus  processus  si
 realizza   per   "cumulo  iniziale"  (ex  comma  6  o  per  "riunione
 successiva" ex comma 7). La "ragione della connessione" non e'  stata
 richiamata  facendo  riferimento  alla  "regola generale" dettata dal
 comma 1, dell'art. 40, c.p.c.  ma con espresso riferimento agli artt.
 31, 32, 34, 35, e  anche  (per  quanto  qui  interessa)  all'art.  36
 c.p.c.;   cioe'   alle   fattispecie  che  la  dottrina  indica  come
 connessione  "per  subordinazione".  In  particolare  non  e'   stato
 richiamato  l'art.  33  c.p.c.,  cioe'  il  cumulo  soggettivo che la
 dottrina indica come connessione "per coordinazione".  Ne deriva  che
 non tutte le fattispecie di connessione astrattamente ipotizzabili ex
 comma  1,  art.  40 cit. sono soggette alla "disciplina speciale" dei
 commi 6 e 7, ma soltanto  quelle  ivi  richiamate;  mentre  le  altre
 rimangono soggette alla disciplina "generale" di cui al comma 1, art.
 40 c.p.c. .
   E'  indubbio  che  il  giudizio  di  opposizione  che  ne occupa e'
 connesso per "subordinazione" a motivo di riconvenzione  ex  art.  36
 c.p.c.
   In approfondimento di analisi.
   Neanche puo' essere avanzata la possibilita' di una interpretazione
 lata  della  norma  in esame: cioe' non puo' dirsi che il legislatore
 abbia affermato il  principio  generale  per  cui  in  ogni  casi  di
 connessione  di  cause,  sia  per  cumulo originario (comma 6 che per
 cumulo successivo, comma 7), proponibili o proposte nella doppia sede
 di magistratura togata e magistratura onoraria la causa debba  essere
 sempre e comunque conosciuta dalla magistratura togata. E cio' per un
 doppio  ordine  di ragioni; a) Perche' (come gia' osservato) la norma
 dei commi 6 e 7 del cit. art.  40  c.p.c.  si  pone  in  rapporto  di
 specialita'  con  la norma generale del comma 1, dello stesso art. 40
 c.p.c. e del combinato disposto degli artt.  645  e  36  c.p.c.,    e
 quindi   non   e'   suscettibile  di  interpretazione  estensiva  ne'
 analogica; b) Perche' i commi 6 e 7, art.  40  c.p.c.  pongono  forti
 perplessita' di legittimita' costituzionale.
   Il  supplemento  della  legittimita'  costituzionale della norma in
 esame viene ravvisato con duplice riferimento: a) all'art. 107, terzo
 comma della Costituzione per cui i magistrati si distinguono tra loro
 soltanto  per  funzioni,  e  b)  all'art.  25,  primo   comma   della
 Costituzione  per  cui  nessuno  puo'  essere  distolto  dal  giudice
 naturale precostituito per legge.
   Cio' per motivi che seguono.
   5.3.3. - Eccezione di illegittimita' ex art. 107, terzo comma della
 Costituzione.
   I commi 6 e 7 dell'art. 40 c.p.c. sono formalmente codificati sotto
 il titolo di connessione. Ma il loro sostanziale contenuto non e'  la
 riunione  davanti allo stesso giudice di piu' procedimenti variamente
 connessi e variamente  pendenti  nel  medesimo  ufficio  giudiziario,
 bensi'  lo  spostamento di competenza tra giudici e uffici giudiziari
 diversi: dal g.d.p. al  giudice  togato.  Si  noti,  pero',  che  nel
 processo simultaneo; la "regola generale" del comma 1, art. 40 c.p.c.
 fa  riferimento  a  criteri obbiettivi, e vuole che la riunione delle
 cause  connesse  avvenga  sempre  davanti  al  giudice  della   causa
 principale   nei   casi   di  accessorieta',  e  davanti  al  giudice
 preventivamente adito negli altri casi; invece "la  regola  speciale"
 dei  commi 6 e 7 fa riferimento a criteri soggettivi, e vuole che sia
 sempre competente il giudice togato, non  solo  quando  esso  risulti
 inizialmente  competente per una causa accessoria ma anche quando sia
 stato successivamente  adito  in  riconvenzione.  Deriva  che,  nelle
 fattispecie  dei commi 6 e 7, art. 40 c.p.c. una volta individuata la
 sussistenza della connessione ex artt. 31, 32, 34, 35  e  36  c.p.c.,
 viene  meno la rilevanza dell'indagine sul carattere accessorio della
 causa connessa ovvero della prevenzione  dell'atto  introduttivo  del
 giudizio  giacche' in ogni caso la competenza sara' comunque devoluta
 al giudice togato.
   E vengono meno anche le motivazioni delle sezioni unite del supremo
 collegio  della  citata  statuizione  (n.  1835/1993)  in  punto   di
 inderogabilita' della competenza del giudice dell'ingiunzione.
   Questa disciplina e' anomala rispetto alla sistematica generale del
 c.p.c.  .  Dove,  le  norme  che  nelle  varie ipotesi di connessione
 fissano le regole generali per individuare il  giudice  del  processo
 simultaneo   sono   dettate   da   criteri  tecnici  che  si  fondano
 esclusivamente  sulle  caratteristiche  oggettive  dei  procedimenti,
 senza  che  possa  assumere  rilievo la qualificazione soggettiva dei
 vari giudici o uffici giudiziari. Invece  nei  rapporti  tra  giudice
 togato   e   giudice  di  pace  quelle  regole  sono  superate  dalla
 disposizione speciale dei commi  6  e  7,  dell'art.  40  c.p.c.  che
 radicano  la competenza del simultaneo processo soltanto in base alla
 caratteristica soggettiva del giudice.  Viene cosi' ufficializzato un
 atteggiamento di  favore  nei  confronti  del  giudice  togato  e  di
 disfavore  nei  confronti  del giudice onorario, certamente originato
 dalla presunzione di minore affidabilita' di quest'ultimo,  il  quale
 percio' e' posto in posizione di minus habens.  Quasi che la funzione
 giurisdizionale  del  giudice  onorario  debba  essere qualificata di
 gradino inferiore alla funzione giurisdizionale del  giudice  togato.
 Qui  la  dottrina  parla  di competenza recessiva del giudice di pace
 rispetto al giudice togato.
   A questo punto viene  naturale  osservare  che:  se  con  la  legge
 istitutiva  del  g.d.p.  n.  374/1991 l'operazione del legislatore e'
 stata quella  di  affiancare  al  giudice  togato  il  g.d.p.,  e  se
 quest'ultimo  e'  magistrato  ordinario  a  pieno  titolo nell'ordine
 giudiziario con  le  medesime  garanzie  costituzionali  del  giudice
 togato   (vd   artt.   1   e  45  legge  istitutiva)  puo'  risultare
 costituzionalmente   illegittima   la   disparita'   di   trattamento
 nell'esercizio  della  medesima funzione giurisdizionale.  L'art. 107
 della Costituzione autorizza a distinguere i magistrati soltanto  per
 la diversita' delle funzioni e non per capacita' di funzioni, ne' per
 loro  diversita'  delle funzioni e non per capacita' di funzioni, ne'
 per loro affidabilita'. Il legislatore con la  novella  in  esame  ha
 tradito  in modo scoperto un atteggiamento di sospetto e di disfavore
 nei  confronti  del  g.d.p.  discriminandolo   nell'esercizio   della
 funzione   giurisdizionale,   e   venendo   cosi'   ad  incidere  sul
 fondamentale principio di parita' tra  magistrati  appartenenti  allo
 stesso ordine (art. 107, terzo comma della Costituzione).
   5.3.4.  - Eccezione di illegittimita' ex art. 25, primo comma della
 Costituzione.
   Per altro verso ancora porge motivi di perplessita' la  regola  del
 comma 7, art. 40 c.p.c., in punto in cui detta che il giudice togato,
 sebbene   successivamente   adito  per  la  causa  accessoria  o  per
 riconvenzionale  debba  attrarre  senz'altro  la  causa  connessa  di
 competenza del g.d.p.  pur preventivamente adito. La norma (come gia'
 e'  stato  osservato) lascia aperta la facile via per successivamente
 introdurre  avanti  il  giudice  togato  altre   cause   connesse   o
 connettibili  artificiosamente  per  accessorieta' e/o riconvenzione;
 qui il rischio di serie manipolazioni  del  criterio  obbiettivo  che
 deve  presidiare  la  garanzia del giudice naturale precostituito per
 legge e' troppo evidente. Sicche' non appare infondato il  dubbio  di
 sua  illegittimita'  costituzionale  sotto  il  profilo dell'art. 25,
 primo comma della Costituzione.