IL GIUDICE DI PACE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta al n. 1360 Ruolo Gen. dell'anno 1997, promossa da Rossi Giovanni, quale titolare della farmacia Flaminia, residente a Torrette di Ancona, rappresentato e difeso dall'avv. Flavio Barigelletti e presso di lui domiciliato in Ancona P.zza Stamira n. 5, come da mandato in calce dell'atto di citazione attore opponente; Contro Marche Impianti, s.a.s. in persona del suo legale rappresentante con sede in Senigallia (AN) via Tiziano n. 19, rappresentato e difeso dall'avv. Paolo Bortoluzzi e presso di lui domiciliato in Ancona, p.zza Cavour n. 29 come da mandato a margine del ricorso per Decreto Ingiuntivo convenuta opposta; Oggetto: opposizione a decreto ingiuntivo. Domanda rincovenzionale eccedente la competenza per valore del giudice di pace. Rimessione avanti il giudice Togato ex art. 40, comma 6, c.p.c. come novellato dall'art. 19 della legge 21 novembre 1991, n. 374. Questione di legittimita' costituzionale per contrasto agli artt. 107, quarto comma e 25, primo comma della Costituzione. F a t t o 1. - Con atto di citazione notificato il 5 maggio 1997, l'attore esponeva quanto appresso. Il dott. Rossi G. aveva commissionato alla Marche I. - s.a.s. la realizzazione di un impianto elettrico per l'alimentazione delle insegne e lavori aggiuntivi di completamento dell'impianto elettrico della Farmacia Flaminia di Ancona di cui e' titolare. A fine lavori chiedeva piu' volte il certificato di conformita' ai sensi della legge n. 46/1990, che pero' non veniva rilasciato; percio' interrompeva i pagamenti. La sera del 6 aprile 1997 in farmacia si verificava un principio di incendio che portava al black out totale per circa tre giorni. Di cio' veniva subito avvertito il tecnico Sauro Angeletti che aveva eseguito i lavori successivamente anche il titolare della Marche I. - s.a.s., sig. Verzoni; ma nessuno interveniva per prendere visione della situazione. Onde eliminare il black out il dott. Rossi G. si rivolgeva ad altra ditta, la ''Tecnologie Elettriche'' di Bertini Giuseppe. Questi in data 10 aprile 1997 individuava i guasti che addebitava a precedente errato montaggio dei congegni tecnici, ed eseguiva le riparazioni. Percio' l'attore sborsava L. 354.025. Del fatto veniva informata la convenuta Marche I. - s.a.s., senza suo riscontro. E' evidente che la Marche I. - s.a.s., non consegnando la certificazione di conformita' necessaria, non aveva ultimato i lavori in una parte essenziale e quindi deve rispondere per inadempimento. Deve anche rispondere per danni cagionati da imperizia e negligenza nella esecuzione dell'opera. Nel danno e' da comprendere non solo la spesa per le riparazioni ma anche il mancato guadagno per diminuito lavoro della farmacia dal 6 al 10 aprile, nonche' il discredito all'immagine nei confronti della clientela; il risarcimento domandato e' di L. 7.000.000. Inoltre, il mancato adempimento dell'obbligo di consegnare il certificato di conformita' per un verso dimostra come non esista il diritto di credito della Marche I. - s.a.s. e per altro da' luogo ad un'altra situazione di danno per cui chiede il risarcimento di L. 2.000.000. 2. - Si costituiva la convenuta con comparsa depositata in udienza il 30 giugno 1997 ed eccepiva quanto appresso. Contrastava la pregiudiziale di parte avversa perche' la competenza funzionale ed inderogabile per decidere sul giudizio di opposizione spetta all'ufficio giudiziario che ha emesso l'ingiunzione: il giudice dell'opposizione non puo' rimettere al giudice superiore tutta la causa ma soltanto la domanda relativa alla riconvenzione. Nel merito eccepiva l'infondatezza e tardivita' della domanda riconvenzionale perche' effettuava per la prima volta a seguito di richiesta di pagamento. In fatto esponeva la Marche I. - s.a.s. in data 16 dicembre 1996 inviava estratto conto a copertura dei lavori eseguiti a regola d'arte ultimati e non contestati, e poi in data 23 dicembre 1996 inviava fattura. Soltanto a seguito di diffida rivoltagli tramite il legale ed a distanza di tre mesi dalla consegna dei lavori, il Rossi G. faceva sapere di non voler pagare adducendo pretesti in ordine alla esattezza dei lavori ed alle ore impiegate; inoltre, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo inventava nuove contestazioni ipotizzando un principio di incendio e lamentando la mancanza del certificato di conformita'. A causa del mancato rispetto del termine di cui all'art. 2226 c.c. e' preclusa all'attore-opponente la possibilita' di far valere i vizi dell'opera. 3. - L'attore Rossi G. ha rassegnato le seguenti conclusioni: In via pregiudiziale: preso atto della riconvenzionale, dichiarare la propria incompetenza per valore, sospendere il giudizio avanti a se', ex art. 295 c.p.c., e rimettere la causa av/il pretore di Ancona. Nel merito: dichiarare che nulla e' dovuto a revocare il D.I. opposto. In riconvenzione: condannare la convenuta per danni patiti dall'attore per L. 7.000.000 piu' interessi e rivalutazione. In subordine e nel merito: accertata l'inadeguatezza dell'opera rispetto al corrispettivo pattuito, ridurre il prezzo in ragione dei vizi e dichiarare la compensazione tra l'eventuale somma ancora dovuta dall'attore e con quella che la convenuta sara' condannata a pagare a titolo risarcitorio, e per l'effetto condannare la Marche I. - s.a.s. a pagare la differenza al dott. Rossi G.; oltre ad interessi e maggior danno per svalutazione. Con vittoria di spese. 4. - La convenuta Marche I. - s.a.s. ha rassegnato le seguenti conclusioni: dichiarare la competenza funzionale ed inderogabile del Gdp adito a decidere sull'opposizione come sancito dall'art. 645 c.p.c. . Confermare il decreto ingiuntivo opposto. Con vittoria di spese. D i r i t t o 5. - Sulla pregiudiziale di incompetenza per valore. 5.1. - La difesa dell'attore-opponente, nella memoria autorizzata, depositata all'udienza del 6 ottobre 1997, sostiene la seguente tesi. L'art. 36 stabilisce che quando sia stata proposta una domanda riconvenzionale che dipenda dal titolo gia' dedotto in giudizio dall'attore o che appartenga dalla stessa causa come mezzo di eccezione il giudice della causa principale conosce anche della domanda riconvenzionale, purche' la stessa non ecceda la sua competenza per valore; in questo caso il giudice applica le disposizioni dei due articoli precedenti (art. 34, accertamenti incidentali, art. 35, eccezione di compensazione) che prevedono la scissione delle due cause o l'intera rimessione, anche della domanda principale, davanti al giudice dichiarato competente. Ma, il successivo art. 40, comma 7 stabilisce che se le cause connesse ai sensi del comma 6 (che ricomprende l'ipotesi della domanda riconvenzionale citando l'art. 36 c.p.c.) sono proposte avanti il giudice di pace e avanti il pretore o tribunale, il giudice di pace deve pronunciare, anche d'ufficio, la connessione a favore del pretore o del tribunale. Qui non si e' in presenza di una mero potere del giudice, ma di un vero dovere. 5.1.1. - Di contro, la difesa della convenuta-opposta nella memoria depositata il 15 aprile 1998 sostiene la seguente tesi. L'art. 645 c.p.c., stabilendo che l'opposizione a decreto ingiuntivo va proposta davanti all'ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha emesso il decreto, ha istituito una sua competenza funzionale inderogabile che non puo' essere derogata per ragioni di connessione, sia che questa presenti i caratteri ampi e generici di cui all'art. 40 c.p.c., sia che si tratti delle speciali ipotesi di connessione previste dagli artt. 34, 35, 36, c.p.c. . Pertanto, quando nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, sia proposta domanda riconvenzionale che ecceda la competenza per valore del giudice adito, questi non puo' rimettere tutta la causa al giudice superiore ma deve rimettergli soltanto la domanda riconvenzionale e trattenere quella di opposizione che e' di sua esclusiva competenza. Il giudice del procedimento monitorio puo' eventualmente sospendere il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo qualora ne ricorrano i presupposti di cui all'art. 295 c.p.c., ossia quando la legge lo imponga ovvero quando sorga la necessita' di risolvere una controversia avente carattere pregiudiziale. 5.1.2. - Nella fattispecie che ne occupa, questo g.d.p. osserva. Ove le eccezioni del dell'ingiunto-opponente fossero limitate alla semplice doglianza di inadempimento, la causa rimarrebbe nella competenza per valore del GdP che ha pronunciato il decreto ingiuntivo. Ma quegli ha proposto, altresi', riconvenzionale lamentando un danno di L. 7.000.000. Trattasi di connessione sopravvenuta per via di eccezione con tendenziale effetto di scardinare la competenza di questo GdP preventivamente adito nel procedimento monitorio. Qui l'accertamento di esistenza del maggior danno lamentato dall'attore si pone come antecedente logico-giuridico al giudizio di opposizione, perche' influisce sulla esistenza del credito del ricorrente-opposto, ovvero sulla parziale o totale sua compensazione col risarcimento del danno come domandato dall'opponente. Donde si conclude che l'accertamento del danno del giudizio di riconvenzione e' rilevante nonche' pregiudiziale sull'accertamento del credito del ricorrente nel giudizio di opposizione. 5.2. - Sul conflitto tra l'art. 40, comma 7 e gli artt. 645 e 36 c.p.c. . 5.2.1. - La convenuta sostiene le proprie tesi richiamando la statuizione della Cassazione n. 10984/1992 e precedenti. Invero, successivamente ad esse, la Cassazione s.u. n. 1835/1996 (cui si rimanda) ha ancora riaffermato quello stesso principio. Nella motivazioni di quest'ultima sentenza si leggono le seguenti precisazioni. "Occorre premettere che il quesito va risolto con la disciplina previgente alla riforma del processo civile, di cui alla legge 26 novembre 1990, n. 353 che ha modificato, con l'art. 4, il vecchio testo dell'art. 38 c.p.c., incidendo non solo sulla tralaticia distinzione tra criteri forti di competenza e criteri deboli, ma anche sui tempi e sui modi di rivelazione dell'incompetenza. Il nuovo tessuto normativo, ... una volta portato a regime, ... portera' inevitabilmente alla revisione dell'intera problematica che tenga conto, mediante un visione globale supportata da una interpretazione sistematica, sia le norme novellate sia quelle preesistenti che formano insieme il nuovo corpo del processo civile". Cosi' leggendo, appare che la suprema Corte non abbia preso in considerazione (e comunque non ne ha fatto menzione) che tra le novelle in modifica del processo civile, e' sopravvenuta anche la legge 21 novembre 1991, n. 374, istitutiva del g.d.p. Questa con l'art. 19, ha aggiunto i commi 6 e 7, all'art. 40 c.p.c. . Tuttavia le citate precisazioni rimangono attuali e condivisibili. E pero', debbono essere lette anche alla luce della novella modificatrice citata. Cio' significa che i commi 6 e 7, aggiunti all'art. 40 sono entrati nel nuovo tessuto normativo del c.p.c. . Essi debbono indurre ad ulteriore approfondimento sulla nuova disciplina della connessione di cause av/il g.d.p. A dirla con le stesse parole della Cassazione: la problematica che ne occupa deve essere riveduta tenendo conto, mediante una nuova visione globale supportata da una interpretazione sistematica, sia della norma novellata all'art. 40, comma 6 e 7 c.p.c. sia degli artt. 645 e 36 c.p.c. preesistenti, che formano insieme il nuovo corpo del processo civile. 5.2.2. - Torna, dunque, in rilievo il conflitto espresso nelle opposte tesi dell'attore e del convenuto. Per la cui soluzione e' necessario riesaminare se, ed entro quali limiti, il novellato comma 7, art. 40 c.p.c., possa o debba modificare l'indirizzo giurisprudenziale alla interpretazione degli artt. 645 e 36 c.p.c. dato dalla sentenza n. 1835/1996 della Cassazione s.u. ed altre precedenti conformi. In breve. Questo g.d.p. deve decidere se, ai sensi dell'art. 40, comma 7 c.p.c., la presente causa debba essere rimessa in toto av/il pretore, ovvero se debba essere rimessa soltanto la domanda riconvenzionale eccedente la propria competenza per valore e trattenere avanti a se' il giudizio di opposizione, con sospensione ex art. 295 c.p.c. in attesa della decisione sulla pregiudiziale. 5.2.3. - Una prima sommaria lettura porterebbe a ritenere che l'applicazione dell'art. 40, comma 7 c.p.c., prevalga sull'applicazione del combinato disposto degli artt. 36 e 645 c.p.c., cosi' come interpretati dalla cit. Cassazione s.u. n. 1835/1996 ed altre precedenti conformi. Cio' per due ordine di ragioni. Un primo ordine di ragioni e' ravvisabile nella regola generale della successione delle leggi nel tempo ex art. 15 delle preleggi (regio decreto n. 262/1942). La novella sopravvenuta (legge n. 374/1991, art. 19), introducendo i commi 6 e 7, all'art. 40 c.p.c. in punto di rimessione per concessione, ha espressamente modificato la preesistente struttura normativa in tema di connessione av/il g.d.p. Un secondo ordine di ragioni e' ravvisabile nella considerazione che le norme dei commi 6 e 7 del citato art. 40 c.p.c. si pongono in rapporto di specialita': sia rispetto alla normativa generale dettata per il giudice dell'opposizione degli artt. 645 e 36 c.p.c., sia rispetto alla norma generale dettata per le connessioni dal comma 1 dello stesso art. 40 c.p.c.; e quindi non sono suscettibili di interpretazione estensiva ne' analogica. Cosi' interpretando, appare obsoleta l'esaminata giurisprudenza n. 1839/1996 del supremo collegio s.u. Cio' porterebbe a concludere che in caso di connessione per riconvenzione di cause ai sensi degli artt. 645, 36 e 40, comma 7 c.p.c., dovrebbe essere superato il principio della competenza inderogabile del g.d.p. quale giudice dell'ingiunzione, e di contro essere affermato il principio della rimessione di tutta la controversia (giudizio di opposizione e domanda di riconvenzione successivamente rassegnata) av/il giudice togato. 5.2.4. - Ma siffatta conclusione non sembra convincente. Se cosi' fosse verrebbe aperta una facile via all'ingiunto che voglia percorrere una difesa artificiosa. Egli potrebbe proporre (piu' o meno fondatamente) una riconvenzione eccedente il valore del g.d.p. e cosi': paralizzare il procedimento monitorio, rinviare tutta la causa av/il giudice togato con finalita' dilatorie sine die, per i lunghi tempi della risposta giudiziaria avanti quella magistratura; vanificare oltre che le aspettative del creditore, anche buona parte della utilita' e dell'effetto deflattivo per cui il legislatore ha creato la magistratura onoraria del g.d.p. Percorrendo siffatta facile via, le parti, con domande riconvenzionali ovvero con cause accessorie connesse ma successivamente adite av/il giudice togato rispetto quelle preventivamente adite av/il giudice di pace, potrebbero manipolare a piacimento la scelta del giudice di cognizione, violando il principio costituzionale del giudice precostituito per legge (art. 25, primo comma della Costituzione). 5.2.5. - Questo giudicante ritiene che, con l'entrata a regime dell'ufficio del g.d.p., che chiude i procedimenti con tempi medi di 3/4 mesi, debbano essere ripensati i canoni tradizionali che definivano l'economia processuale. I quali giustificavano il "simultaneo processo" facendo perno sulla opportunita' di evitare la difformita' di giudicati e di evitare il dispendio di attivita' processuali per la contemporanea trattazione della causa davanti a piu' giudici. Invece, considerati gli attuali tempi di durata (che normalmente si contano in termini di parecchi anni) dei processi pendenti davanti ai giudici togati (con la conseguente conclamata crisi della giustizia) rapportati ai tempi di risposta giudiziale (che normalmente si contano in termini di pochi mesi) del g.d.p., deve essere ridefinito il concetto di "economia processuale". Il quale deve fare perno non sulla opportunita', ma sulla necessita' di conseguire la "celerita' dei giudizi". Giacche' la celerita' della risposta giudiziale e' uno dei requisiti essenziali della giustizia che prevale ed assorbe ogni altro tradizionale motivo di economia processuale; senza sottacere che anche il "costo economico" dell'attivita' processuale av/il g.d.p. e' di certo inferiore di quello avanti il giudice togato. 5.3. - Questioni di legittimita' costituzionale del comma 6 e 7, art. 40 c.p.c. . 5.3.1. - Si potrebbe osservare che le considerazioni sopra esposte sono soltanto motivi di opportunita' o di politica giudiziaria. Ma la percorribilita' dei commi 6 e 7 c.p.c. non appare convincente neanche ad una piu' approfondita analisi giuridica della novella aggiunta con l'art. 19 della legge n. 374/1991. Sul punto non vi sono precedenti giurisdizionali di legittimita', ma sovviene dottrina: vd. Coppari in Giur. It. 1992-IV-168 e Consolo-Luiso-Sassani in Commentario Rif. Proc. Civ. Giuffre' 1996 pag. 47. 5.3.2. - Nella scia della citata dottrina questo g.d.p. osserva quanto appresso. La novella della legge n. 374/1991, aggiungendo i commi 6 e 7 all'art. 40 c.p.c., ha regolato la modificazione della competenza per connessione tra cause di competenza del g.d.p. e del giudice togato, distinguendo le ipotesi in cui il simultaneus processus si realizza per "cumulo iniziale" (ex comma 6 o per "riunione successiva" ex comma 7). La "ragione della connessione" non e' stata richiamata facendo riferimento alla "regola generale" dettata dal comma 1, dell'art. 40, c.p.c. ma con espresso riferimento agli artt. 31, 32, 34, 35, e anche (per quanto qui interessa) all'art. 36 c.p.c.; cioe' alle fattispecie che la dottrina indica come connessione "per subordinazione". In particolare non e' stato richiamato l'art. 33 c.p.c., cioe' il cumulo soggettivo che la dottrina indica come connessione "per coordinazione". Ne deriva che non tutte le fattispecie di connessione astrattamente ipotizzabili ex comma 1, art. 40 cit. sono soggette alla "disciplina speciale" dei commi 6 e 7, ma soltanto quelle ivi richiamate; mentre le altre rimangono soggette alla disciplina "generale" di cui al comma 1, art. 40 c.p.c. . E' indubbio che il giudizio di opposizione che ne occupa e' connesso per "subordinazione" a motivo di riconvenzione ex art. 36 c.p.c. In approfondimento di analisi. Neanche puo' essere avanzata la possibilita' di una interpretazione lata della norma in esame: cioe' non puo' dirsi che il legislatore abbia affermato il principio generale per cui in ogni casi di connessione di cause, sia per cumulo originario (comma 6 che per cumulo successivo, comma 7), proponibili o proposte nella doppia sede di magistratura togata e magistratura onoraria la causa debba essere sempre e comunque conosciuta dalla magistratura togata. E cio' per un doppio ordine di ragioni; a) Perche' (come gia' osservato) la norma dei commi 6 e 7 del cit. art. 40 c.p.c. si pone in rapporto di specialita' con la norma generale del comma 1, dello stesso art. 40 c.p.c. e del combinato disposto degli artt. 645 e 36 c.p.c., e quindi non e' suscettibile di interpretazione estensiva ne' analogica; b) Perche' i commi 6 e 7, art. 40 c.p.c. pongono forti perplessita' di legittimita' costituzionale. Il supplemento della legittimita' costituzionale della norma in esame viene ravvisato con duplice riferimento: a) all'art. 107, terzo comma della Costituzione per cui i magistrati si distinguono tra loro soltanto per funzioni, e b) all'art. 25, primo comma della Costituzione per cui nessuno puo' essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Cio' per motivi che seguono. 5.3.3. - Eccezione di illegittimita' ex art. 107, terzo comma della Costituzione. I commi 6 e 7 dell'art. 40 c.p.c. sono formalmente codificati sotto il titolo di connessione. Ma il loro sostanziale contenuto non e' la riunione davanti allo stesso giudice di piu' procedimenti variamente connessi e variamente pendenti nel medesimo ufficio giudiziario, bensi' lo spostamento di competenza tra giudici e uffici giudiziari diversi: dal g.d.p. al giudice togato. Si noti, pero', che nel processo simultaneo; la "regola generale" del comma 1, art. 40 c.p.c. fa riferimento a criteri obbiettivi, e vuole che la riunione delle cause connesse avvenga sempre davanti al giudice della causa principale nei casi di accessorieta', e davanti al giudice preventivamente adito negli altri casi; invece "la regola speciale" dei commi 6 e 7 fa riferimento a criteri soggettivi, e vuole che sia sempre competente il giudice togato, non solo quando esso risulti inizialmente competente per una causa accessoria ma anche quando sia stato successivamente adito in riconvenzione. Deriva che, nelle fattispecie dei commi 6 e 7, art. 40 c.p.c. una volta individuata la sussistenza della connessione ex artt. 31, 32, 34, 35 e 36 c.p.c., viene meno la rilevanza dell'indagine sul carattere accessorio della causa connessa ovvero della prevenzione dell'atto introduttivo del giudizio giacche' in ogni caso la competenza sara' comunque devoluta al giudice togato. E vengono meno anche le motivazioni delle sezioni unite del supremo collegio della citata statuizione (n. 1835/1993) in punto di inderogabilita' della competenza del giudice dell'ingiunzione. Questa disciplina e' anomala rispetto alla sistematica generale del c.p.c. . Dove, le norme che nelle varie ipotesi di connessione fissano le regole generali per individuare il giudice del processo simultaneo sono dettate da criteri tecnici che si fondano esclusivamente sulle caratteristiche oggettive dei procedimenti, senza che possa assumere rilievo la qualificazione soggettiva dei vari giudici o uffici giudiziari. Invece nei rapporti tra giudice togato e giudice di pace quelle regole sono superate dalla disposizione speciale dei commi 6 e 7, dell'art. 40 c.p.c. che radicano la competenza del simultaneo processo soltanto in base alla caratteristica soggettiva del giudice. Viene cosi' ufficializzato un atteggiamento di favore nei confronti del giudice togato e di disfavore nei confronti del giudice onorario, certamente originato dalla presunzione di minore affidabilita' di quest'ultimo, il quale percio' e' posto in posizione di minus habens. Quasi che la funzione giurisdizionale del giudice onorario debba essere qualificata di gradino inferiore alla funzione giurisdizionale del giudice togato. Qui la dottrina parla di competenza recessiva del giudice di pace rispetto al giudice togato. A questo punto viene naturale osservare che: se con la legge istitutiva del g.d.p. n. 374/1991 l'operazione del legislatore e' stata quella di affiancare al giudice togato il g.d.p., e se quest'ultimo e' magistrato ordinario a pieno titolo nell'ordine giudiziario con le medesime garanzie costituzionali del giudice togato (vd artt. 1 e 45 legge istitutiva) puo' risultare costituzionalmente illegittima la disparita' di trattamento nell'esercizio della medesima funzione giurisdizionale. L'art. 107 della Costituzione autorizza a distinguere i magistrati soltanto per la diversita' delle funzioni e non per capacita' di funzioni, ne' per loro diversita' delle funzioni e non per capacita' di funzioni, ne' per loro affidabilita'. Il legislatore con la novella in esame ha tradito in modo scoperto un atteggiamento di sospetto e di disfavore nei confronti del g.d.p. discriminandolo nell'esercizio della funzione giurisdizionale, e venendo cosi' ad incidere sul fondamentale principio di parita' tra magistrati appartenenti allo stesso ordine (art. 107, terzo comma della Costituzione). 5.3.4. - Eccezione di illegittimita' ex art. 25, primo comma della Costituzione. Per altro verso ancora porge motivi di perplessita' la regola del comma 7, art. 40 c.p.c., in punto in cui detta che il giudice togato, sebbene successivamente adito per la causa accessoria o per riconvenzionale debba attrarre senz'altro la causa connessa di competenza del g.d.p. pur preventivamente adito. La norma (come gia' e' stato osservato) lascia aperta la facile via per successivamente introdurre avanti il giudice togato altre cause connesse o connettibili artificiosamente per accessorieta' e/o riconvenzione; qui il rischio di serie manipolazioni del criterio obbiettivo che deve presidiare la garanzia del giudice naturale precostituito per legge e' troppo evidente. Sicche' non appare infondato il dubbio di sua illegittimita' costituzionale sotto il profilo dell'art. 25, primo comma della Costituzione.