IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza nel processo penale iscritto al n. 156/1996 r.g. trib. a carico di Taverna Antonio, Curcio Tonino e Trovato Franco, imputati in concorso tra loro e con Astuto Alessandro nel reato di cui all'art. 73 d.P.R. n. 309/1990; Rilevato che, nel corso del dibattimento odierno, il sig. Astuto Alessandro, imputato di reato connesso ai sensi dell'art. 210 in relazione all'art. 12, lett. a) c.p.p. in procedimento gia' definito mediante sentenza di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p., in data 1 ottobre 1996, si e' avvalso della facolta' di non rispondere e che e' mancato l'accordo del difensore dei coimputati Taverna e Trovato per dare lettura delle deposizioni rese dall'Astuto al pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, e cio' in applicazione dell'art. 513, comma 2, come modificato dalla legge n. 267/1997; Ritenuto che sulla base delle fonti di prova indicate nel decreto che dispone il giudizio e delle richieste di prova avanzate dal pubblico ministero ed ammesse dal tribunale, le dichiarazioni rese dall'Astuto potrebbero assumere carattere decisivo, per cui la questione di illegittimita' costituzionale appare chiaramente rilevante; Ritenuto che la disciplina contenuta nella suddetta norma appare costituzionalmente illegittima sotto vari profili, per cui il tribunale intende sollevare d'ufficio la relativa questione; Ritenuto, in particolare, che la norma in esame contrasta: a) con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 88 del 12 maggio 1982, in quanto il libero convincimento del giudice non puo' essere subordinato alla volonta' o all'interesse dei singoli, il che avverrebbe qualora l'utilizzabilita' delle dichiarazioni venga subordinata alla esclusiva valutazione del coimputato; b) con l'art. 24 della Costituzione, nel senso che la facolta' concessa dalla norma processuale in esame a ciascuna parte di non prestare il consenso alla lettura di dichiarazioni rese dall'imputato di reato connesso paralizza o, comunque, riduce il diritto di difesa della parte civile e degli altri coimputati che vi abbiano consentito in previsione degli effetti favorevoli ottenibili dalla lettura; c) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto i commi 1 e 2 dell'art. 513 c.p.p., pur contemplando situazioni sostanzialmente uguali (dichiarazioni rese dal coimputato e dichiarazioni rese dall'imputato di reato connesso), le disciplinano in materia diversa, nel senso che le prime sono utilizzabili nei confronti di ciascun coimputato consenziente, mentre le seconde sono utilizzabili solo con il consenso di tutti gli interessati; in quanto, inoltre, crea una ragionevole disparita' di trattamento rispetto alla utilizzabilita' di dichiarazioni rese da testimoni irriperibili, deceduti o che si rifiutino di rispondere ovvero rendano dichiarazioni difformi da quelle rese in precedenza (v. artt. 512 e 500, quarto comma, c.p.p.); in quanto, infine, viene concessa una minore tutela al prossimo congiunto che nel dibattimento si avvalga della facolta' di non rispondere, aprendo cosi' la possibilita' alla lettura delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari (art. 512 c.p.p.; v. Corte costituzionale n. 179 del 1994), rispetto alla disciplina relativa alla lettura di precedenti dichiarazioni rese dall'imputato di reato connesso, che nel dibattimento si avvalga della facolta' di non rispondere;