IL PRETORE
   Nelle cause  riunite,  in  materia  di  previdenza  ed  assistenza,
 obbligatoria,  r.g.  n. 642/1997 e n. 643/1997, promosse dall'Azienda
 U.S.S.L. n.   15, con sede  in  Breno,  in  persona  del  commissario
 straordinario  e  legale  rappresentante  dott.  Marco Teggia Droghi,
 nonche' dal prof.   Comensoli Paolo  Franco,  residente  in  Cividate
 Camuno,  e  dal  prof.    Bonomelli  Alessandro,  tutti elettivamente
 domiciliati in Brescia presso l'avv. Federico Nobili, rappresentati e
 difesi dagli avv.ti Federico Nobili e Giovanni Pedretti  i  quali  li
 rappresentano  e  difendono  in  forza  di mandati in calce agli atti
 introduttivi dei giudizi, opponenti;
   Contro l'I.N.P.S. - Istituto Nazionale  della  Previdenza  Sociale,
 con  sede  in  Roma,  in  persona  del  suo  Presidente  pro-tempore,
 rappresentato e difeso dall'avv. Giorgio Lauria per procura  notarile
 alle liti depositata in cancelleria, con domicilio eletto in Brescia,
 via Cefalonia, n. 49, opposto;
   Il pretore di Brescia in funzione di giudice del lavoro visti:
     gli atti difensivi delle parti;
     l'art.  13 della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art.
 6-bis  della  legge  18  marzo  1993,  n.  67,  di  conversione   con
 modificazioni del d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9;
     l'art.  74  del  d.lgs.  3  febbraio 1993, n. 29, come sostituito
 dall'art. 38 del d.lgs 23 dicembre 1993, n. 546;
     la legge delega 23 ottobre 1992, n. 421;
     la sentenza della Corte costituzionale 23-31 marzo 1994, n. 115;
     l'ordinanza 14-24 luglio 1998, n. 329 della Corte costituzionale;
     l'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87;
     l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
     l'art. 1 della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1;
     gli artt. 3, 76, 77, 134, 136 e 137 della Costituzione;
   Nella pubblica udienza del 19 ottobre 1998, ha pronunciato, dandone
 integrale lettura la seguente  ordinanza  di  rimessione  alla  Corte
 costituzionale  di questione di legittimita' costituzionale, rilevata
 d'ufficio, ai sensi dell'art. 134  della  Costituzione,  dell'art.  1
 della  legge  costituzionale  9  febbraio  1948, n. 1, e dell'art. 23
 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n. 87.
   1.  -  Con  due  distinti atti introduttivi dei giudizi, depositati
 entrambi in cancelleria in data 17 marzo  1997  e  poi  riuniti,  gli
 opponenti   chiedono,   con   identiche   argomentazioni,  che  venga
 dichiarata l'illegittimita' delle ordinanze ingiunzione n. 19/97 e n.
 20/97, emesse in data 12  febbraio  1997  dal  direttore  della  sede
 I.N.P.S.    di  Brescia  e,  comunque, il loro annullamento o revoca,
 perche' viziate nei  presupposti  di  legittimita'  e  di  merito  e,
 comunque,  perche'  infondate  in  fatto ed in diritto; gli opponenti
 negano,  contestando  cosi'   alla   radice   gli   atti   ingiuntivi
 dell'I.N.P.S.,   la   natura   subordinata  del  rapporto  di  lavoro
 intercorso con il sig.  Bruno  Ghitti  nel  periodo  complessivamente
 compreso tra il febbraio 1991 ed il dicembre 1995.
   A  sostegno di tali conclusioni, la difesa degli opponenti richiama
 l'art. 13 della legge n. 498  del  1992,  come  sostituito  dall'art.
 6-bis   della  legge  18  marzo  1993,  n.  67,  di  conversione  con
 modificazioni del decreto-legge 18 gennaio 1993, n. 9, ricordando  la
 costante  giurisprudenza  dell'adito pretore che, in chiaro contrasto
 con la sentenza n. 115/94 della Corte costituzionale,  interpreta  la
 suddetta  norma  nel  senso che essa pone una presunzione juris et de
 jure di inesistenza di rapporti di lavoro subordinato in presenza  di
 contratti  di  lavoro  autonomo  e libero-professionale stipulati dai
 soggetti individuati  nella  stessa  norma,  cosicche',  in  caso  di
 mancata  contestazione  sull'esistenza in se' dei contratti di lavoro
 autonomo  e  libero  professionale,  e'   preclusa   ogni   attivita'
 probatoria  ed  e' vietata ogni interpretazione sulla vera natura dei
 rapporti di lavoro, restando ferma per espressa volonta' di legge  la
 natura non subordinata di tali rapporti.
   Gli  opponenti  svolgono,  in  via  subordinata, difese in linea di
 fatto,   negando,   comunque,   in   concreto,   l'esistenza    delle
 caratteristiche  della  subordinazione  nel rapporto di lavoro di cui
 trattasi.
   L'I.N.P.S., ritualmente costituito nei due  giudizi,  poi  riuniti,
 resiste  alle  avverse  domande,  concludendo  per  il  rigetto delle
 opposizioni.
   L'istituto nelle memorie difensive, aventi lo stesso contenuto, non
 offre argomenti di rilievo per quanto  concernente  l'interpretazione
 dell'art.  13  della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art.
 6-bis  della  legge  18  marzo  1993,  n.  67,  di  conversione   con
 modificazioni  del  d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, limitandosi a negare
 che ad escludere la subordinazione possa valere il nomen  iuris  dato
 dalle parti al rapporto, ne' la volonta' di escludere la stessa.
   L'I.N.P.S.  non contesta l'esistenza del contratto di lavoro libero
 professionale tra l'opponente ed il sig. Ghitti Bruno, ma  afferma  e
 pretende  di  provare  che,  in  realta',  nel  rapporto di lavoro in
 discussione si rinvengono gli elementi caretteristici del rapporto di
 subordinazione.
   Gli altri aspetti di merito della controversia  non  devono  essere
 ricordati,   poiche'   sono  del  tutto  ininfluenti  ai  fini  della
 valutazione sulla  sussistenza  dei  requisiti  della  non  manifesta
 infondatezza   e   della   rilevanza  in  causa  delle  questioni  di
 legittimita' costituzionale oggetto della presente ordinanza.
   2. - Come si e' appena detto, la principale  tesi  difensiva  degli
 opponenti  richiama  la  giurisprudenza  del  giudice adito sull'art.
 6-bis del d.-l. 18 gennaio 1993,  n.  9,  convertito  in  legge,  con
 modificazioni,  dalla  legge n. 67 del 18 marzo 1993, che sostituisce
 l'art.  13  della  legge  23 dicembre 1992, n. 498, legge finanziaria
 1993, ed e' chiaro che - pur restando  sempre  salvo  ogni  possibile
 mutamento  interpretativo  -  la  giurisprudenza  di  questo  pretore
 dovrebbe condurre  alla  definizione  della  controversia,  in  senso
 favorevole agli opponenti, senza necessita' di attivita' istruttoria.
   Ogni  spazio per confermare il proprio orientamento e', pero', oggi
 precluso a questo giudice, poiche' l'art. 6-bis del d.-l. 18  gennaio
 1993,  n.  9,  convertito, con modificazioni, nella legge n. 67/1993,
 che sostituisce l'art. 13 della  legge  23  dicembre  1992,  n.  498,
 risulta  essere  stato  abrogato  dall'art.  74 del d.lgs. 3 febbraio
 1993, n.  29, come sostituito dall'art. 38  del  d.lgs.  23  dicembre
 1993, n.  546.
   3.  -  Poiche'  questo  giudice  ravvisa plurime e gravi violazioni
 della Costituzione nella  disposizione  abrogatrice  sopra  indicata,
 deve    essere   rilevata   d'ufficio   questione   di   legittimita'
 costituzionale a carico dello stesso art. 74 del  d.lgs.  3  febbraio
 1993,  n.  29,  come  sostituito  dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre
 1993, n. 546.
   Tutte le censure d'incostituzionalita'  che  verranno  qui  esposte
 sono  ben  note  alla  Corte costituzionale, giacche' esse sono state
 gia' evidenziate nel ricorso per conflitto di attribuzione,  proposto
 da  questa  autorita'  giudiziaria  nei  confronti  del Consiglio dei
 Ministri, deciso dalla Corte con l'ordinanza 14-24  luglio  1998,  n.
 329,  dichiarativa  dell'inammissibilita'  del  conflitto.  Tuttavia,
 poiche'  e'  direttamente  nota  a  questo   pretore   l'inflessibile
 giurisprudenza  della  Corte  che  afferma  l'inammissibilita'  delle
 questioni  di   legittimita'   costituzionale   motivate   solo   per
 relationem,    risulta   necessario   ribadire,   ripercorrendoli   e
 rinnovandoli, anche gli stessi argomenti sviluppati nel  ricorso  per
 conflitto di attribuzione sopra citato, ad esclusione di quelle parti
 che risultano palesemente ultronee in questa sede.
   4.  -  Vizi di incompetenza ed incostituzionalita' dell'art. 74 del
 d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29,  come  sostituito  dall'art.  38  del
 d.lgs.  23 dicembre 1993, n. 546.
   L'art.   76  della  Costituzione  prevede  che  "l'esercizio  della
 funzione legislativa non puo' essere delegato al Governo, se non  con
 determinazione  di  principi e criteri direttivi e soltanto per tempo
 limitato e per oggetti definiti".
   A sua volta l'art. 77, primo comma, della Costituzione dispone  che
 "il Governo non puo', senza delegazione delle Camere, emanare decreti
 che abbiano valore di legge ordinaria".
   Da    tali    precetti    si   deve,   obbligatoriamente,   dedurre
 l'illegittimita' costituzionale - per difetto assoluto di  competenza
 del  Consiglio  dei  Ministri  -  delle  norme  contenute nel decreto
 legislativo delegato che non trovino riscontro nei principi e criteri
 direttivi  fissati  dalla  legge  delega,  con  riferimento  ad  oggi
 definiti.
   E'  il  caso  dell'art.  74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come
 sostituito  dall'art.  38  del  d.lgs.  23  dicembre  1993,  n.  546,
 giacche',  dall'esame complessivo di tutta la legge delega 23 ottobre
 1992, n. 421, emerge con evidenza che non e' previsto e definito,  in
 nessuna  sua disposizione, tra quelli per i quali viene attribuito al
 Governo il potere di legiferare, un oggetto inerente  i  rapporti  di
 lavoro  autonomo  e  professionale,  dal  che  consegue il difetto di
 competenza del Consiglio dei Ministri, per aver ecceduto  dai  limiti
 della delega e, dunque, il vizio di legittimita' costituzionale della
 disposizione  normativa  che  ha  abrogato  l'art.  13 della legge n.
 498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo  1993,
 n.  67,  per  violazione  degli  artt.  76  e  77, primo comma, della
 Costituzione.
   4.-a. - Anche sotto un altro aspetto deve  ravvisarsi  il  medesimo
 vizio  sopra  individuato,  a  carico  sempre  della  suddetta  norma
 abrogatrice:  poiche' la legge delega 23  ottobre  1992,  n.  421  e'
 precedente all'entrata in vigore dell'art. 13 della legge 23 dicembre
 1992,   n.  498,  ed,  ovviamente,  anche  dell'art.  6-bis  (che  ha
 sostituito l'art. 13 della legge n. 498/1992) della  legge  18  marzo
 1993,  n.  67,  di conversione con modificazioni del d.-l. 18 gennaio
 1993, n. 9, appare palese che il Consiglio dei Ministri,  con  l'art.
 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 come sostituito dall'art. 38 del
 d.lgs.  23  dicembre  1993,  n.  546, ha abrogato una disposizione di
 legge che non  esisteva  nell'ordinamento  all'epoca  dell'emanazione
 della  legge delega e, dunque, ha superato in senso assoluto i limiti
 impliciti  per  un  corretto  esercizio  della  funzione  legislativa
 delegata, non essendo razionalmente concepibile che le due Camere del
 Parlamento  intendessero  attribuire al Governo il potere di abrogare
 disposizioni non ancora approvate e, cosi', di mettere nel  nulla  le
 scelte future del legislatore.
   4.-b.  - L'assoluta ed evidente irragionevolezza dell'abrogazione -
 attuata, come si e' visto, con il decreto  legislativo  n.  546/1993,
 traente  la  sua  legittimazione dalla legge delega n. 421 del 1992 -
 della norma di legge,  successivamente  approvata  dalle  due  Camere
 (art.  13, legge n. 498/1992 nella prima formulazione e nella nuova e
 definitiva, quale espressa nell'art. 6-bis della legge  n.  67/1993),
 determina  anche  il  vizio  di  costituzionalita',  a  carico  della
 disposizione   abrogatrice,   per   violazione   del   principio   di
 ragionevolezza,  immanente nell'art. 3 della legge fondamentale della
 Repubblica.
   5. - Ulteriore censura a carico dell'art. 74 del d.lgs. 3  febbraio
 1993,  n.  29,  come  sostituito  dall'art. 38 del d.lgs. 23 dicembre
 1993, n. 546, per violazione dell'art. 3 della costituzione.
   Anche sotto un altro profilo,  pero',  risulta  gravemente  violato
 l'art.     3     della     Costituzione,     nel     principio     di
 razionalita'-ragionevolezza, dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993,
 n. 29, come sostituito dall'art.  38 del d.lgs. 23 dicembre 1993,  n.
 546:  tale  norma, ovviamente nella sola parte che ha abrogato l'art.
 13 della legge n. 498/1992, come  sostituito  dall'art.  6-bis  della
 legge  18 marzo 1993, n. 67, risulta irrazionale ed irragionevole per
 la sua, accertata, inidoneita' ad  essere  conosciuta  ed  applicata,
 come  dimostrato  dalle  considerazioni di fatto e di diritto esposte
 nell'ordinanza-ricorso, emessa in data 23 gennaio 1998, con la  quale
 questo   giudice,  ha  proposto  il  (gia'  ricordato)  conflitto  di
 attribuzione nei confronti del Consiglio dei Ministri, chiedendo alla
 Corte, previa  dichiarazione  dell'ammissibilita'  del  conflitto  ai
 sensi  dell'art. 37 della legge n. 87/53 ed attuazione dei successivi
 adempimenti previsti dalla medesima disposizione,  di  accogliere  il
 ricorso  e,  per l'effetto, ai sensi dell'art. 38 della stessa legge,
 di dichiarare la spettanza in via esclusiva all'autorita' giudiziaria
 della  funzione  giurisdizionale  ed in particolare dell'attribuzione
 che le impone di conoscere ed applicare la legge,  attribuzione  lesa
 nella  sua credibilita' interna ed esterna dall'inidoneita' dell'art.
 74 del decreto legislativo n. 29/1993, come sostituito dall'art.   38
 del   decreto  legislativo  n.  546/1993,  ad  essere  conosciuto  ed
 applicato, annullando nel contempo  la  disposizione  appena  citata,
 atto   avente  forza  di  legge  (causa  del  conflitto)  viziato  da
 incompetenza,   con    specifico    riferimento    alla    previsione
 dell'abrogazione   dell'art.    13  della  legge  n.  498/1992,  come
 sostituito dall'art. 6-bis della legge n. 67/1993.
   Nelle premesse del suddetto ricorso questo giudice evidenziava:
     che con l'art. 13 della legge 23 dicembre  1992,  n.  498,  venne
 esclusa  la  soggezione  delle  province, dei comuni, delle comunita'
 montane  o  dei  loro  consorzi  e  delle  istituzioni  pubbliche  di
 assistenza  e  beneficenza  (I.P.A.B.),  "relativamente  ai contratti
 d'opera o per prestazioni professionali a  carattere  individuali  da
 essi stipulati, all'adempimento di tutti gli obblighi derivanti dalle
 leggi  in materia di previdenza ed assistenza, non ponendo in essere,
 i contratti stessi, rapporti di subordinazione.";
     che  il  predetto  art.  13  della  legge  n.   498/1992,   venne
 eccessivamente  sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993,
 n. 67, di conversione con modificazioni del d.lgs. 18  gennaio  1993,
 n.  9:  in  particolare,  nel  secondo  comma, l'ambito soggettivo di
 applicazione  della  norma  venne  esteso  anche   "agli   enti   non
 commerciali   senza   scopo   di   lucro   che   svolgono   attivita'
 socio-assistenziali"  e  alle  "istituzioni  sanitarie  oeranti   nel
 Servizio sanitario nazionale";
     che   la   normativa  predetta,  oggetto  di  numerose  questioni
 incidentali di legittimita' costituzionale, venne giudicata  conforme
 alla   Costituzione   dal   giudice   delle  leggi  con  la  sentenza
 interpretativa di rigetto 23-31 marzo 1994, n. 115;
     che,  confidando  sulla  vigenza  dell'art.  13  della  legge  n.
 498/1992,  come sostituito dall'art. 6-bis della legge 18 marzo 1993,
 n. 67, questo pretore ne ha  sempre  dato  applicazione  in  numerose
 controversie  in  materia previdenziale contributiva, prevalentemente
 in giudizi di opposizione a decreti ingiuntivi concessi all'I.N.P.S.;
     che tutti i giudici del lavoro di Brescia, sia  in  primo  grado,
 sia  in  sede d'appello, hanno sempre applicato, ritenendola vigente,
 la disposizione di legge in  discorso,  pur  se  con  interpretazioni
 differenziate;
     che  la  medesima  disposizione  risulta  essere  stata  abrogata
 espressamente, dall'art. 74 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29,  come
 sostituito dall'art.  38 del d.lgs.  23 dicembre 1993, n. 546;
     che questo giudice e' venuto a conoscenza dell'abrogazione di cui
 trattasi,   per   pura   casualita',  dopo  circa  quattro  anni,  ed
 esattamente  nell'udienza  del  16  dicembre  1997,  nella  causa  in
 opposizione  ad  ordinanza ingiunzione, r.g. n. 173/1997, proposta da
 Gnutti  Piercarlo  e  Gnutti  Carlo   S.p.a.   contro   l'Ispettorato
 provinciale  del  lavoro  di Brescia, quando, nello studio degli atti
 difensivi delle parti, ai fini  della  decisione  sulla  rilevanza  e
 sulla  non  manifesta  infondatezza  di  un'eccezione di legittimita'
 costituzionale, sollevata dalla parte opponente a carico dell'art.  1
 della  legge 23 ottobre 1960, n. 1369, ne ha avuto per la prima volta
 notizia dalla lettura della memoria  difensiva  dell'Ispettorato  del
 lavoro.
   5.-a. - Poste tali premesse di fatto, questo giudice ricorrente, al
 fine di evidenziare sotto ogni profilo l'estrema particolarita' della
 vicenda, invero sconcertante, affermava:
     che  non  puo'  certo  parlarsi  di uno strano fenomeno locale di
 "oblio"  della  disposizione  abrogatrice,  circoscritto  alla   sola
 realta'   giudiziaria   bresciana,   posto   che   la   stessa  Corte
 costituzionale ha affermato la legittimita' costituzionale  dell'art.
 13  della  legge  n.  498/1992, come sostituito dall'art. 6-bis della
 legge 18 marzo 1993, n. 67, se interpretato nel senso proposto  nella
 sentenza n.  115/1994, senza rilevarne l'intervenuta abrogazione;
     che  non  sembra  possibile  mettere in dubbio che anche la Corte
 abbia ritenuto vigente la norma abrogata, poiche', se  e'  certamente
 vero che sussisteva la necessita' di una pronuncia sulla legittimita'
 costituzionale    della    disposizione    di   legge   imputata   di
 incostituzionalita', benche' gia' abrogata, e' altrettanto  vero  che
 la  totale  assenza,  nella  sentenza  n.  115/1994,  di qualsivoglia
 riferimento all'avvenuta abrogazione dimostra che lo  stesso  giudice
 delle  leggi  non  era  a  conoscenza dell'esistenza dell'art. 74 del
 d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29,  come  sostituito  dall'art.  38  del
 d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546;
     che  il  fatto che neppure il giudice delle leggi si sia avveduto
 dell'abrogazione  in  discorso  e'  estremamente  significativo   per
 dimostrare la particolarita' della vicenda;
     che (fatto ancora piu' incredibile ed inverosimile da porre nella
 dovuta  luce)  lo  stesso Presidente del Consiglio dei Ministri, dopo
 meno di due mesi dal  d.lgs.  23  dicembre  1993,  n.  546,  ignorava
 l'esistenza   della   disposizione   abrogatrice:   infatti,  benche'
 intervenuto  in  uno  dei   giudizi   incidentali   di   legittimita'
 costituzionale  (riuniti  e  decisi  con  la sentenza n. 115/1994), e
 benche' udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994, in  persona
 dell'Avvocato  generale  dello  Stato,  rappresentante e difensore ex
 lege (ai sensi dell'art.  20, terzo comma, della legge 11 marzo 1953,
 n. 87) del Presidente del Consiglio dei Ministri, in nessun modo fece
 rilevare dinanzi alla  Corte  costituzionale  l'avvenuta  abrogazione
 dell'art.  13  della legge n. 498 del 1992, come sostituito dall'art.
 6-bis della legge 18 marzo 1993, n. 67: il paradosso e' assoluto:  lo
 stesso rappresentante del potere dello Stato (Consiglio dei Ministri)
 autore  del provvedimento ignorava del tutto l'esistenza dell'art. 74
 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, come sostituito dall'art.  38  del
 d.lgs. 23 dicembre 1993, n. 546.
   5.-b.  -  In forza delle superiori premesse e considerazoni, questo
 pretore giungeva a  denunciare  alla  Corte  costituzionale  i  gravi
 effetti  dannosi  gia'  causati dalla situazione sopra descritta ed a
 rappresentare la sua idoneita' a  determinarne  altri,  forse  ancora
 piu' rilevanti.
   Nei seguenti termini:
     il danno gia' prodotto e' agevolmente individuabile nella perdita
 di credibilita', interna ed esterna, di questa autorita' giudiziaria,
 la  quale  ha  applicato  per  anni  una  norma abrogata e, cosi', ha
 violato il principio costituzionale che le impone  di  rispettare  la
 legge e, dunque, di conoscere la legge vigente ed applicabile;
     tale  stesso  danno  si  e'  verificato anche per tutti gli altri
 giudici del lavoro, di primo e  secondo  grado,  di  Brescia  e,  con
 altissima  probabilita',  per  molti  altri  magistrati del lavoro di
 tutta la Repubblica;
     inoltre, la  Corte  costituzionale  e  lo  stesso  Consiglio  dei
 Ministri, subiscono, in via immediata, gli stessi effetti dannosi;
     il danno potenziale si rappresenta ancora piu' grave, infatti:
       a)  vi e' il concreto rischio che la vicenda possa, sia pure in
 via indiretta, produrre effetti delegittimanti simili a quelli  sopra
 descritti  anche  a  carico di altri fondamentali organi dello Stato,
 dal Presidente della Repubblica alle due Camere  del  Parlamento,  il
 primo  per  aver  promulgato  il  decreto legislativo n. 546/1993, le
 seconde per non aver svolto alcun controllo  sul  corretto  esercizio
 della potesta' legislativa delegata al Consiglio dei Ministri;
       b)  soprattutto,  pero',  la  prospettiva  di  pericolo  appare
 devastante a carico della legge, poiche' la situazione  di  fatto  in
 esame  evidenzia  che  non  e'  solo astratto timore, ma e' realmente
 possibile, a causa dello stato patologico nel quale versa  il  nostro
 sistema  normativo,  che  rimanga  ignota  l'esistenza della norma di
 legge, o degli atti aventi forza di legge,  con  conseguente  perdita
 dei  requisiti  essenziali  di affidabilita' e fiducia nella certezza
 della legge, cardini della credibilita' dell'ordinamento giuridico  e
 della stessa legalita' in uno Stato di diritto.
   A  proposito  di  quanto messo in luce alla lettera b) deve notarsi
 che  la  gravita'  di  tale  rischio  non  e'  ignota  e  neppure  e'
 sottovalutata, se e' vero, com'e' vero, che a livello politico, senza
 distinzioni  di "fede" e di schieramento, si denuncia, ormai da tempo
 e con crescente preoccupazione, sia l'"ipertrofia"  del  corpo  delle
 leggi e degli atti aventi forza di legge e la stratificazione caotica
 della  normativa, sempre piu' orfana di organicita' e priva di codici
 e testi unici nelle differenti materie, sia  la  stessa  formulazione
 delle  norme  di legge e degli atti aventi forza di legge, perche' di
 difficile lettura e comprensibilita',  anche  perche'  frequentemente
 costruita con numerosi richiami e rinvii ad altre disposizioni.
   5.-c.   -   Il   conflitto  di  attribuzione  e'  stato  dichiarato
 inammissibile dalla Corte costituzionale, con ordinanza 14-24  luglio
 1998, n. 329, perche' la situazione sopra descritta e' stata ritenuta
 dalla  Corte  "una  situazione di puro fatto, insuscettibile ex se di
 dar vita ad un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato", con
 conseguente inesistenza, sotto il profilo oggettivo, della materia di
 un conflitto "in quanto il ricorso non prospetta  alcuna  lesione  di
 un'attribuzione costituzionalmente garantita".
   Preso  atto della volonta' della Corte e ritenuto che in'assenza di
 ulteriori e realmente diverse ragioni  da  rappresentare,  stante  il
 divieto   d'impugnazione   delle   decisioni  della  Corte,  previsto
 dall'art.  137, terzo comma, della Costituzione, un nuovo ricorso per
 conflitto di attribuzione, nei confronti del  Governo  ed,  altresi',
 nei confronti dello stesso giudice delle leggi, sui fatti gia' decisi
 si  appalesa,  in  concreto,  come  forma vietata di impugnazione, e'
 necessario  chiarire  che,  benche'  quella  che  si   e'   descritta
 costituisca  solo una situazione di mero fatto - il che e', in questa
 sede, come lo era in sede di conflitto  di  attribuzione,  del  tutto
 pacifico   -,   essa,  pero',  costituisce  la  prova  piu'  evidente
 dell'inidoneita' della disposizione censurata ad essere conosciuta ed
 applicata, non solo dal cittadino inesperto nel campo del diritto, ma
 anche dall'organo dello Stato al quale e' affidata la responsabilita'
 di  decidere sulla legittimita' delle leggi e degli atti aventi forza
 di legge.
   In breve, questo  pretore  afferma  che  la  norma  abrogatrice  in
 discorso,  in  concreto  rimasta  ignota  per  anni,  sia da ritenere
 "geneticamente" inidonea ad essere  conosciuta,  a  causa  della  sua
 stessa  collocazione  e  della  sua  "anonimita'"  -  la disposizione
 abrogata che  qui  interessa  e'  inserita  in  un  elenco  di  altre
 disposizioni   di  vario  genere,  abrogate  anch'esse,  senza  alcun
 riferimento ai loro contenuti, idoneo  a  consentire  ai  destinatari
 della  norma  di,  almeno,  intuire,  se  non comprendere pienamente,
 "cosa"  veniva  abrogato  -,  violi   gravemente   l'art.   3   della
 Costituzione,      nel      suo      immanente      principio      di
 ragionevolezza-razionalita', poiche'  le  disposizioni  di  legge  ed
 aventi   forza   di   legge   devono  possedere  il  requisito  della
 conoscibilita' erga omnes e,  quando  questo  requisito  e'  assente,
 assente  e' anche la ragionevolezza-razionalita' interna della norma,
 perche' priva dell'essenziale capacita' di dettare regole valide erga
 omnes nell'ordinamento.
   6. - Sui requisiti della rilevanza in causa e della  non  manifesta
 infondatezza della rilevata questione di legittimita' costituzionale.
   La  questione  di  legittimita' costituzionale sopra sviluppata, in
 tutte  le   sue   articolazioni   e   diffuse   argomentazioni,   e',
 all'evidenza,  non  manifestamente  infondata  ed e' anche rilevante,
 giacche'   il   presente   giudizio   non   puo'   "essere   definito
 indipendentemente" dalla sua risoluzione.
   La  dichiarazione della illegittimita' costituzionale dell'art.  74
 d.lgs. 3 febbraio 1993, n.  29,  come  sostituito  dall'art.  38  del
 d.lgs.  23  dicembre  1993, n. 546, restituirebbe vigenza all'art. 13
 della legge n. 498 del 1992, come sostituito  dall'art.  6-bis  della
 legge  18  marzo  1993,  n.  67, di conversione con modificazioni del
 d.-l. 18 gennaio 1993, n. 9, e poiche' e' del tutto palese che assume
 rilievo  essenziale,  ai  fini  della  decisione  della   causa,   la
 definizione  della  natura  del  rapporto  di  lavoro  intercorso tra
 l'Azienda   opponente   ed   il   Ghitti,   e    poiche',    inoltre,
 nell'interpretazione  sinora accolta dalla costante giurisprudenza di
 questo pretore - qualsiasi accertamento in linea di fatto relativo al
 detto rapporto e' precluso dal testo dell'art. 13 della legge n.  498
 del 1992, come sostituito dall'art.  6-bis della legge 18 marzo 1993,
 n.  67, di conversione con modificazioni del decreto legge 18 gennaio
 1993, n. 9, non possono sussistere dubbi sulla rilevanza nel giudizio
 a quo della questione di legittimita'  costituzionale  qui  sollevata
 d'ufficio.
   7.  - Ai sensi dell'art. 23 della legge ordinaria 11 marzo 1953, n.
 87,  questo  giudizio  deve  essere  sospeso  e  deve  ordinarsi   la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della
 presente  ordinanza  al  Presidente del Consiglio dei Ministri, oltre
 alla comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.