IL PRETORE Visti gli atti del procedimento penale n. 471/1998 r.g. pretura nei confronti di Bonollo Luigi, nato a Formigone (Modena) il 5 gennaio 1939, imputato del reato di cui agli artt. 96, lett. f) e f) del r.d. 25 luglio 1904, 374, legge 20 marzo 1865, all. f). Premesso in fatto Con decreto penale n. 145/1998 del 1 ottobre 1998, Bonollo Luigi veniva condannato dal g.i.p. di questa pretura per il reato di cui in rubrica alla pena di L. 1.000.000 di ammenda oltre le spese del procedimento. Avverso tale decreto l'imputato proponeva rituale opposizione, chiedendo la celebrazione del giudizio ordinario, che si instaurava a seguito di emanazione del decreto che dispone il giudizio del 7 ottobre 1998 da parte del g.i.p. Al dibattimento, revocato il decreto penale opposto, il difensore di fiducia dell'imputato sollevava preliminarmente eccezione di nullita' del decreto di citazione a giudizio poiche' non preceduto dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3, codice di procedura penale; in via subordinata, qualora l'eccezione di nullita' fosse stata respinta, chiedeva venisse sollevata questione di illegittimita' costituzionale degli artt. 459 e 555, comma 2, codice di procedura penale nella parte in cui non prevedono a pena di nullita' che il pubblico ministero debba emettere l'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3 del codice di procedura penale. Ritenuto in diritto Con riferimento alla rilevanza, ai sensi dell'art. 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, la questione e' considerata rilevante qualora il giudizio in corso "non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale" in via incidentale. Nel caso in oggetto deve ritenersi che la questione sia rilevante, in quanto la decisione sull'opposizione non puo prescindere dalla previa decisione in ordine alla lamentata nullita' del decreto che dispone a giudizio emesso dal g.i.p., con la conseguente applicazione dell'art. 555 del codice di procedura penale, del quale, appunto, si assume il dubbio circa la legittimita' costituzionale. In ordine al merito della questione, ritiene il giudicante che la stessa, seppure nei termini che seguono, non sia manifestamente infondata. Con la novella introdotta dalla legge n. 234 del 16 luglio 1997, il legislatore ha, tra l'altro, stabilito in via generale l'obbligatorieta' per il pubblico ministero procedente in via ordinaria di invitare nella fase delle indagini preliminari l'indagato a rendere l'interrogatorio, trasformando quella che nel precedente regime era una mera modalita' di espletamento di un atto tipico della fase procedimentale - l'interrogatorio della persona sottoposta alle indagini appunto - in un requisito di legalita' dell'iter processuale il cui mancato rispetto genera una nullita' relativa. Piu' precisamente, con riferimento al procedimento in tribunale, il comma 2 dell'art. 2 della legge n. 234/1997 ha aggiunto un ulteriore periodo al comma primo dell'art. 416 codice di procedura penale in base al quale "... La richiesta di rinvio a giudizio e' nulla se non e' preceduta dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3."; per quanto riguarda il rito pretorile, il comma 3 dell'art. 2 della legge n. 234/1997 ha inserito nel corpo del comma 2 dell'art. 555 codice di procedura penale le parole "... se non e' preceduto dall'invito a presentarsi per rendere l'interrogatorio ai sensi dell'art. 375, comma 3, ..." ricollegando alla mancata notifica dell'invito la nullita' del decreto di citazione a giudizio. La riforma indicata non si e' preoccupata peraltro di coordinare la nuova normativa con le disposizioni codicistiche che disciplinano i riti cosiddetti speciali, in particolare con le norme di cui agli artt. 459 e ss. del codice di procedura penale che regolano il procedimento per decreto. L'assenza di qualunque riferimento nella novella del '97 al sopra indicato rito alternativo induce a ritenere che la disciplina di tale procedimento sia rimasta invariata e che quindi l'eventuale omissione dell'invito a presentarsi da parte del pubblico ministero deciso a richiedere al g.i.p. l'emissione del decreto penale di condanna non costituisca causa di nullita', e cio' in considerazione della circostanza che la normativa novellata sanziona due atti, la richiesta di rinvio a giudizio nel rito tribunalizio ed il decreto di citazione a giudizio in quello pretorile, che sono assenti nel procedimento speciale per decreto, almeno nella sua fase per cosi' dire necessaria. Tale esclusione e' foriera di notevoli dubbi in ordine alla sua conformita' alla Costituzione (in particolare agli artt. 3 e 24), culminati con la recente ordinanza del g.i.p. del tribunale di Milano del 21 gennaio 1998, con la quale si e' affermata la non manifesta infondatezza della questione di costituzionalita' dell'art. 459 del codice di procedura penale nella parte in cui non contempla tra i presupposti della richiesta di decreto penale di condanna l'interrogatorio dell'indagato o la notifica al medesimo dell'invito a presentarsi per renderlo e cio' per l'assorbente rilievo in forza del quale con la legge n. 234 del 1997 sarebbe radicalmente mutato l'assetto dell'ordinamento, che originariamente prevedeva l'obbligo di interrogatorio come eccezione, registrandosi la chiara intenzione del legislatore di impedire l'esercizio dell'azione penale inaudita altera parte, nel tentativo di dare piu' concreta attuazione al diritto di difesa costituzionalmente garantito. A parere di questo giudicante, al di la' delle censure mosse dal g.i.p. del tribunale di Milano, la mancata previsione dell'obbligo per il pubblico ministero di invitare l'indagato a rendere l'interrogatorio nel procedimento di cui agli artt. 459 e ss. del codice di procedura penale, suscita serie perplessita' di compatibilita' con l'art. 3 della Costituzione nella parte in cui enuncia il principio di uguaglianza, inteso nel senso ormai consolidato di obbligo per il legislatore di disciplinare in modo uguale situazioni uguali, potendo differenziare la disciplina applicabile soltanto laddove le situazioni oggetto della stessa siano ragionevolmente divese. Detta mancata previsione assume un particolare rilievo dato il pregiudizio della posizione dell'imputato all'interno del procedimento per decreto rispetto alla posizione dell'imputato che si trovi, invece, a subire un procedimento penale ordinario: piu' in particolare, deve prendersi in considerazione il caso in cui l'imputato destinatario di un decreto penale di condanna abbia esercitato la facolta' attribuitagli dall'art. 461 codice di procedura penale di proporre opposizione avverso il decreto e, trattandosi di rito pretorile, abbia chiesto al g.i.p. l'emissione del decreto che dispone il giudizio, come indicato nel comma 2 dell'art. 565 codice di procedura penale. In simili fattispecie, infatti, si verifica disparita' di trattamento tra l'imputato che perviene al dibattimento a seguito di opposizione a decreto penale senza che gli sia stato notificato l'invito di cui all'art. 375, comma 3 codice di procedura penale - e che non potra' processualmente far rilevare in alcun modo l'eventuale mancata notificazione dell'invito a rendere l'interrogatorio - e l'imputato citato a giudizio secondo le forme ordinarie il quale, invece, potra' eccepire la nullita' del procedimento in caso di mancato rispetto della norma di cui al novellato art. 555, comma 2 codice di procedura penale. Le due fattispecie indicate, in sostanza, pur avendo come risultato finale identico la celebrazione del dibattimento, sono disciplinate in modo differente dalla normativa vigente. L'irragionevezza di tale disparita' di trattamento appare ancor piu' evidente se si osserva come la diversita' dell'iter processuale che conduce in entrambe le ipotesi alla instaurazione della fase dibattimentale (procedimento per decreto in un caso e giudizio ordinario nell'altro, dipenda esclusivamente dalla discrezionalita' del pubblico ministero che in relazione ai reati per i quali (nel concorso degli altri presupposti stabiliti dall'art. 459 codice di procedura penale) risulti applicabile una pena pecuniaria anche in sostituzione di una pena detentiva, puo' liberamente optare per il rito speciale senza che l'indagato abbia facolta' alcuna di incidere sul contenuto di tale decisione. Ne' d'altra parte esistono particolari tipi di reati che il legislatore abbia ritenuto di dover perseguire esclusivamente attraverso le forme del procedimento per decreto, ben potendo, infatti, in ogni caso il pubblico ministero scegliere di esercitare l'azione penale nelle forme ordinarie. Se peraltro al legislatore ordinario puo' ritenersi consentito prevedere tipologie di procedimenti speciali che per ragioni di politica criminale (principalmente la celerita' del rito e la finalita' deflattiva) sono strutturati con modalita' tali da poter pervenire ad una condanna anche inaudita altera parte, non altrettanto puo' dirsi qualora il rito speciale riprenda il percorso ordinario come puo' accadere a seguito di opposizione a decreto penale di condanna; se e quando si giunga al dibattimento, l'imputato deve aver avuto la possibilita' di rendere l'interrogatorio, qualunque sia la strategia di indagine prescelta dall'accusa. In tal senso allora, i dubbi di costituzionalita', piu' che l'art. 459 codice di procedura penale riguardano il comma 2 dell'art. 555, codice di procedura penale in qualita' di tertium comparationis, in quanto non prevede la nullita' in caso di mancata notifica dell'invito a presentarsi non solo del decreto di citazione a giudizio emesso nelle forme ordinarie dal pubblico ministero, ma anche del decreto che dispone il giudizio emesso dal g.i.p. ex art. 565, comma 2 codice di procedura penale. Non appare possibile, del resto, interpretare la dizione "decreto" contenuta all'inizio del comma 2 dell'art. 555, codice di procedura penale nel senso che ricomprenda anche il decreto di citazione emesso dal g.i.p., cio' che renderebbe chiaramente infondata la questione di costituzionalita' proposta ed accoglibile l'eccezione di nullita' del decreto di citazione sollevata dalla difesa dell'imputato. Infatti, anche a prescindere dalla diversa qualificazione giuridica attribuita dal legislatore ai due atti, decreto di citazione a giudizio e decreto che dispone il giudizio, da un esame sistematico della riforma del luglio del 1997 appare chiara l'intentio legis di voler riferire la nullita' a due atti la cui emanazione e' di esclusiva competenza al pubblico ministero, vale a dire la richiesta di rinvio a giudizio regolata dall'art. 416 codice di procedura penale ed il decreto di citazione a giudizio disciplinato dall'art. 555 codice di procedura penale. Per i motivi esposti la questione di costituzionalita' espressa nei termini sopra indicati deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata, prospettandosi la violazione dell'art. 3 della Costituzione.