IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 5701/96 RG, proposto dalla sig. Anna Capriglione, rappresentata e difesa dall'avv. Giuseppe Di Casola e domiciliata per legge in Napoli, presso la Segreteria di questo Tribunale amministrativo regionale; Contro il Ministero della pubblica istruzione, in persona del sig. Ministro pro-tempore ed il Provveditorato agli studi di Napoli, in persona del sig. Provveditore pro-tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli, domiciliataria, per l'annullamento previa sospensione, del decreto n. 57 del 12 gennaio 1996, con cui il Provveditore agli studi di Napoli ha disposto il collocamento a riposo della prof. Capriglione, con decorrenza dal 1 settembre 1996, per raggiunti limiti d'eta'; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione nel presente giudizio delle Amministrazioni statali intimate, per mezzo dell'Avvocatura distrettuale dello Stato di Napoli; Visti gli atti tutti della causa; Relatore all'udienza camerale del 7 novembre 1996 il Consigliere dott. Silvestro Maria Russo e uditi altresi'; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o 1. - La prof. Anna Capriglione, nata a Torre Annunziata il 12 marzo 1929, e' preside di ruolo della scuola media statale "Mons. Michele Sasso" di Torre del Greco. Con istanza del 1 settembre 1993, la prof. Capriglione chiese di essere trattenuta in servizio, fino e non oltre il compimento del 70 anno d'eta', a' sensi dell'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477. Tale domanda fu poi reiterata il 16 dicembre 1995, con contestuale rinuncia al riscatto degli anni del corso di laurea. Tuttavia, con il decreto n. 57 del 12 gennaio 1996, il Provveditore agli studi di Napoli ne ha disposto il collocamento a riposo, con decorrenza dal 1 settembre 1996, per raggiunti limiti d'eta'; 2. - Avverso tale statuizione, la prof. Capriglione si grava innanzi a questo giudice con il ricorso in epigrafe, notificato il 6 luglio 1996 e depositato il successivo giorno 18. La ricorernte, nel convenire in giudizio il Ministero della p.i. ed il Provveditorato agli studi di Napoli, deduce in punto di diritto l'unico, articolato motivo della violazione della legge n. 477/1973 e dell'eccesso di potere per presupposto erroneo. Afferma, infatti, la ricorrente che, fermo restando il principio del collocamento a riposo per vecchiaia del personale docente e direttivo della scuola statale al compimento del 65 anno d'eta', l'art. 15 della legge n. 477/1973, del cui beneficio del trattenimento in servizio ella intende fruire, non e' incompatibile, ne' risulta abrogato dall'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 503. Pertanto, ad avviso della ricorrente, ella ha titolo per godere, laddove ve ne siano i presupposti stabiliti dal medesimo art. 15, dei relativi benefici, erronea appalesandosi l'asserzione della P.A. datrice di lavoro in ordine alla proroga biennale ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, quale fattispecie che ha esaurito la possibilita' di ottenere l'altra proroga fino al 70 anno d'eta'. Resistono nel presente giudizio le Amministrazioni statali convenute, le quali, con memoria conclusionale del 6 novembre 1996, eccepiscono in buona sostanza l'alternativita' e la non cumulabilita' dei benefici de quibus, anche in relazione a numerose pronunce cautelari emanate in termini dal Consiglio di Stato. 3. - Con ordinanza collegiale istruttoria n. 645/1996 del 26 settembre 1996, la Sezione, sospendendo nelle more il decreto impugnato e fissando all'udienza camerale del 7 novembre 1996 l'ulteriore trattazione della causa, ha ordinato incombenti istruttori al convenuto Provveditorato agli studi di Napoli. All'udienza camerale del 7 novembre 1996, la Sezione ha ritenuto fondato ad un primo esame il ricorso in epigrafe e ha reputato sussistente il danno grave ed irreparabile ex art. 21, u.c. della legge 6 dicembre 1971, n. 1089, ha accolto temporaneamente la domanda di sospensione dell'efficacia del decreto impugnato. La Sezione ha contemporaneamente rinviato l'ulteriore e definitiva trattazione della domanda cautelare in argomento alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del presente giudizio da parte della Corte costituzionale, a seguito della decisione sulla questione di legittimita' costituzionale che la Sezione ha deciso di sollevare con la presente, separata ordinanza, deliberata in pari data (7 novembre1996). D i r i t t o 1. - Come gia' accennato in epigrafe e piu' diffusamente nelle premesse in fatto, la prof. Anna Capriglione, nata a Torre Annunziata il 12 marzo 1929, e' preside di ruolo della Scuola media statale "Mons. Michele Sasso" di Torre del Greco. La questione controversa concerne l'impugnazione, da parte della stessa prof. Capriglione, del decreto n. 57 del 12 gennaio 1996, con cui il Provveditore agli studi di Napoli ne ha disposto il collocamento a riposo, con decorrenza dal 1 settembre 1996, per raggiunti limiti d'eta'. Giova premettere che la ricorrente era in servizio di ruolo alla data del 1 ottobre 1974 ed e' stata destinataria del beneficio del trattenimento in servizio oltre il 65 anno d'eta' a' sensi dell'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503. Il provvedimento impugnato e' motivato essenzialmente sulla circostanza che la ricorrente non avrebbe titolo pure per fruire del beneficio ex art. 15, secondo comma della legge 30 luglio 1973, n. 477. In virtu' di tale norma, al personale direttivo, ispettivo e docente della scuola statale in servizio al 1 ottobre 1974, che debba essere collocato a riposo per raggiunti limiti di eta' e che non abbia raggiunto il numero di anni di servizio attualmente richiesto per il massimo della pensione (il cui computo deve ricomprendere tutti i servizi riscattati, computati e ricongiunti con provvedimento espresso, a norma dell'art. 10, comma 6 del d.-l. 6 novembre 1989, n. 357, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 dicembre 1989, n. 417 e non rinunciati dall'interessato), e' data facolta' di rimanere in servizio su richiesta fino al raggiungimento di detto limite e, comunque, non oltre il 70 anno d'eta'. E' avviso della P.A. datrice di lavoro che il beneficio de quo, pur non essendo stato superato o abrogato dall'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 (e, a quanto consta ictu oculi, neppure dall'art. 509, comma 5 del t.u. scol., approvato con d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297), sarebbe incompatibile con quest'ultimo, giusta quanto a suo tempo affermato dal Ministero della pubblica istruzione con propria circolare n. 47 del 23 febbraio 1993 ("... I riferiti benefici si pongono peraltro in alternativa e sono richiedibili soltanto nell'anno scolastico di compimento del 65 anno di eta'..."). 2. - Cio' posto, la Sezione, piu' volte negli ultimi tempi investita in via cautelare di questioni identiche o sostanzialmente simili a quella prospettata con il ricorso in epigrafe, s'era orientata in senso favorevole alla tesi attorea, non ravvisando ex se alcun dato testuale d'incompatibilita' tra le regole ex art. 15, secondo comma della legge n. 477/1973 (norma, peraltro, di natura transitoria ed evidentemente ad esaurimento, per il naturale turn over dei dipendenti scolastici statali) e l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, soprattutto dopo l'emanazione dell'art. 509, comma 5 del t.u. scol. 2.1 - Invero, la Sezione ha ritenuto di giungere a tale conclusione, prendendo le mosse dall'articolo unico della legge 7 giugno 1951, n. 500, recante le norme sul collocamento a riposo del personale direttivo e docente degli istituti secondari e d'istruzione artistica d'ogni ordine e grado, in virtu' del quale i presidi, i direttori e gli insegnanti degli istituti d'istruzione secondaria ed artistica sono collocati a riposo al termine dell'anno scolastico in cui essi compiono il 70 anno d'eta', qualunque fosse la loro anzianita' di servizio. Tale norma, che abrogo' a suo tempo tutte le disposizioni previgenti in soggetta materia, recava un regime particolare a favore di questa categoria di insegnanti statali ed in deroga a quanto stabilito dall'art. 11, primo comma della legge 15 febbraio 1958, n. 46 per tutti gli impiegati civili di ruolo delle Amministrazioni dello Stato, anche con ordinamento autonomo, il cui collocamento a riposo avveniva (e tuttora avviene) al compimento del 65 anno d'eta'. Quest'ultima norma concerneva pure gli insegnanti elementari, i quali, in un primo tempo, furono assoggettati al regime ex art. 134, primo comma del r.d. 5 febbraio 1928, n. 577 (t.u. sc. elem.), cessavano dal servizio al compimento del 45 anno di servizio e/o del 65 anno d'eta'. La differenza di regime tra le due categorie di docenti ben poteva ammettersi nel precedente ordinamento, a causa del differente titolo d'accesso al concorso - tale per cui gli insegnanti elementari godevano di un titolo di studio perfettamente abilitante ed erano reclutabili anche prima del compimento del 18 anno d'eta' -, nonche' della necessita' dell'abilitazione (fosse essa congiunta al concorso a cattedra, a' sensi dell'art. 5 del r.d. 31 dicembre 1923, n. 2909, oppure no, a' sensi della legge 15 dicembre 1955, n. 1440) e della diversa cadenza dei concorsi ordinari per i docenti della scuola superiore. Inoltre, a differenza del titolo abilitante per i docenti elementari, il reclutamento dei docenti superiori doveva necessariamente esser preceduto, oltreche' dal conseguimento del prescritto titolo di studio accademico, anche dalla predetta abilitazione. Si tratta di vicende che, in varia guisa, implicavano un tempo maggiore per l'accesso all'impiego di detti docenti, indipendentemente dalle regole, invero comuni per tutti gli insegnanti statali (cfr. l'art. 1 della legge 13 marzo 1958, n. 165), per il riconoscimento del servizio non di ruolo. L'emanazione dell'art. 15 della legge n. 477/1973 implico' due sostanziali novita'. Infatti, oltre all'unificazione sostanziale delle regole del rapporto d'impiego per tutte le categorie di docenti statali, si provvide (primo comma) a fissare, a decorrere dal 1 ottobre 1974, un unico limite d'eta' per il collocamento a riposo di tutto il personale ispettivo, direttivo, docente e non docente statale, il quale appunto si verifica al 1 settembre successivo alla data di compimento del 65 anno d'eta'. L'art. 15, comma 2 reco' il beneficio per cui e' causa ed il cui contenuto e' stato dianzi accennato. Il successivo comma 3 stabili' invece l'estensione del beneficio stesso anche per il conseguimento dell'anzianita' minima per la quiescenza, a favore del personale che, in servizio al 1 ottobre 1974, al compimento del 65 anno di eta' non avesse raggiunto il numero di anni richiesto per ottenere il minimo della pensione. 2.2. - Con sentenza n. 207 del 9 luglio 1986, la Corte costituzionale espunse dall'art. 15, terzo comma della legge n. 477/1973 ogni riferimento in ordine alla delimitazione del beneficio cola' recato fino al conseguimento dell'anzianita' minima per la quiescenza. Con la successiva sentenza n. 444 del 12 ottobre 1990, la Corte ha ancora dichiarato il citato art. 15, comma 3 costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui delimitava il trattenimento in servizio fino al 70 anno d'eta', ai fini del raggiungimento del minimo della pensione, solo al personale in servizio alla data cola' indicata. Quindi, per effetto della sentenza n. 444/1990 - il cui principio, com'e' noto, e' stato esteso a tutto il personale civile dello Stato dalla successiva sentenza n. 282 del 18 giugno 1991 -, il beneficio in parola puo' spettare a tutti coloro che, pur non in servizio al 1 ottobre 1974, alla data prevista per il loro collocamento a riposo non raggiungano il minimo di pensione e fino al 70 anno d'eta'. 2.3. - L'art. 16 d.lgs. n. 503/1992 dispone che e' in facolta' dei dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con decorrenza dalla data d'entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo per essi previsti. Ora, l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 pone una regola d'incentivazione al trattenimento in servizio dei dipendenti pubblici, costruita a guisa di diritto potestativo a loro favore dei beneficiari e, percio', ad effetto conformativo di scelte diverse da parte del datore di lavoro. Se la struttura di detto beneficio e' costruita in termini di facolta', ossia di scelta libera nei fini e non collegata se non a meri oneri (p.es., di procedimentalizzazione, o di rispetto d'un termine all'uopo stabilito dalla legge, quale, p.es., l'art. 10, comma 7 del d.-l. n. 357/1989), essa implica obblighi specifici in capo al datore di lavoro - e, se questi e' una P.A., una deroga a scelte organizzatorie di diversa natura -, in virtu' della specifica ratio della norma in argomento, cioe' dell'idoneita' del beneficio a realizzare la funzione di (parziale) innalzamento dell'eta' contributiva e di ampliamento della base previdenziale imponibile. Non sfugge al Collegio che l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, a cagione della sua ampia formulazione, si risolve, in ultima analisi, nella reductio ad unum di situazioni complesse e variegate, quali appunto sono le discipline del lavoro subordinato alle dipendenze dell'Amministrazione scolastica statale, ove s'intrecciano norme che nascono in tempi diversi e, soprattutto, che scaturiscono da ragioni non sempre coerenti e compatibili. Occorre, pero', che l'art. 16 venga coordinato in modo armonico con le altre norme vigenti di settore, in modo da consentire a ciascun soggetto l'esercizio delle proprie facolta', in coerenza con la predetta ratio. E cio' consente di leggere il ripetuto art. 16, appunto per superare i timori delle Amministrazioni resistenti, in modo da escludere che esso, per il sol fatto che venga costruito come diritto potestativo, sia ininfluente sull'alleggerimento della finanza pubblica previdenziale, o, peggio, si ponga in evidente contrasto con i principi della scienza dell'organizzazione amministrativa (perche' impedirebbe il fisiologico ricambio del personale). Sembra, infatti, al Collegio che tali timori, che poi fondano l'asserzione dell'incompatibilita' del beneficio dell'art. 16 con quello dell'art. 15, secondo comma della legge n. 477/1973, si risolvano in una mera petizione di principio, perche' non tengono conto sia del fatto che nell'ordinamento positivo, nessuno puo' essere legato ad un rapporto obbligatorio (specie se di lavoro subordinato) senza il suo consenso e/o all'infinito ma solo nei limiti dell'esigibilita', sia della circostanza che il fisiologico ricambio della P.A. si realizza non cercando di collocare a riposo quanta piu' gente sia possibile, ma mediante formule organizzative diverse e piu' flessibili. E cio' appare vieppiu' significativo, se si tien conto che l'esperienza ed il know-how del personale piu' anziano sono beni scarsi e difficilmente riproducibili, se non attraverso una dispendiosissima formazione permanente del personale piu' giovane, soprattutto nei casi, numericamente piu' frequenti negli ultimi anni, di assunzioni ope legis, o effettuate con procedure in sanatoria del cd. "precariato". Gia' sulla scorta del solo dato testuale, il citato art. 16, avendo un effetto generalizzato nei riguardi di tutti i pubblici dipendenti, s'applica loro nel caso in cui, avendo essi raggiunto il limite d'eta' per ciascuno di loro volta per volta fissato dalla legge, devono essere per tale motivo collocati a riposo, sia nel caso in cui il loro limite d'eta' sia fissato a 65 anni, sia in quello in cui per alcune categorie particolari di lavoratori il termine sia stabilito a 70 anni, sia, infine in quello in cui, per determinati soggetti ed in relazione a situazioni inerenti il computo del loro periodo lavorativo pensionabile, il limite di 65 anni sia stato prorogato fino e comunque non oltre i 70 anni. Infatti, l'art. 3, comma 1 della legge n. 421/1992, nel fissare i principi della delega in materia previdenziale, ha stabilito la salvaguardia dei diritti acquisiti dei lavoratori (ossia, delle posizioni lavorative di categoria e singolari, affinche' nessuno possa riceverne nocumento, perlomeno fino all'entrata in vigore del nuovo sistema pensionistico), diritti tra i quali si puo' annoverare la facolta' di trattenimento in servizio per ottenere, o, se del caso, migliorare la propria posizione di quiescenza. E tale argomento sembra corroborato, ad avviso del Collegio, dalla circostanza che il medesimo art. 3, comma 1 fonda la razionalita' della nuova normativa pensionistica sulla stabilizzazione del rapporto tra PIL e spesa previdenziale, garantendo al contempo, in coerenza con l'art. 38 della Costituzione e con la pluralita' degli organismi assicurativi, l'omogeneizzazione dei trattamenti pensionistici obbligatori. Tali finalita', secondo le intenzioni della delega, che divengono cosi' i parametri della legittimita' formale delle norme delegate e di legittimita' (giustizia) sostanziale delle interpretazioni al riguardo rese, vanno perseguite attraverso il progressivo innalzamento dell' eta' pensionabile, rispetto a quella attualmente vigente in base a norme generali o speciali. Cio' implica che, se il limite di partenza e' gia' di per se stesso piu' alto per alcune categorie di lavoratori rispetto ad altre (p.es., i magistrati rispetto ai dipendenti statali e questi rispetto, p.es., ai metalmeccanici, ecc.), oppure il limite standard di categoria (p.es., 65 anni) e' solo virtuale - perche' per determinati lavoratori esiste la facolta' di superarlo in relazione a fattispecie precise e per il raggiungimento esclusivo di scopi predeterminati dalla stessa norma che fissa il predetto limite standard -, allora il biennio stabilito dall'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 trova il proprio dies a quo dal limite come gia' elevato per effetto di legittime previsioni normative. Appare quindi sostanzialmente inutile argomentare che, nella specie, entrambi i benefici ex art. 15, secondo comma della legge n. 1477/1973 e dell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 (innalzamento del limite dell'eta' massimo e, rispettivamente, ulteriore biennio) risponderebbero alla medesima logica, ossia alla necessita' dell'innalzamento dell'eta' pensionabile, perche', in realta', non ne esiste (ancora) un unico limite minimo e massimo valido per tutte le categorie di lavoratori e, all'interno di queste, a ciascun lavoratore, in base alla propria posizione contributiva. Spetta, invero, al legislatore, negli ovvi limiti della ragionevolezza e dell'uguaglianza sostanziale dei soggetti di diritto, valutare di volta in volta quale sia il limite piu' congruo, ai fini sia della pensione di vecchiaia, sia di quella d'anzianita', per le varie categorie. Solo il beneficio ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 costituisce l'unica vera attuazione, generalizzata e indipendente da ogni altra considerazione o finalita' - a differenza di quanto invece stabilito sia dall'art. 15 della legge n. 477/1973, sia dall'art. 509, commi 1, 2 e 3 del t.u.scol. -, del principio di delega ex art. 3, comma 1 della legge n. 421/1992, inerente all'innalzamento dell'eta' pensionabile dei lavoratori dipendenti pubblici. Ad avviso della Sezione, da tanto discendono: A) l'impossibilita' di delimitare, nell'ambito delle categorie considerate dal ripetuto art. 16, l'estensione del beneficio cola' indicato ad uno, piuttosto che ad un altro lavoratore subordinato pubblico, dovendo tale regola concernere tanto la categoria per intero, quanto il singolo appartenente in quanto tale, posto che la salvaguardia dei c.d. "diritti acquisiti" ex art. 3, comma 1 della legge n. 421/1992 non attiene ad altro che alla posizione giuridica soggettiva pensionabile di costui; B) l'erroneita' dell'asserzione, per cui il beneficio ex art. 16 sarebbe alternativo con altre e diverse norme d'innalzamento dell'eta' pensionabile, perche' tale alternativita' non e' specificamente contemplata ne' dal testo della norma, ne' tampoco dalla sua funzione, ne' e' coerente con la circostanza che altre norme assoggettano il trattenimento in servizio (si badi: trattenimento, e non gia' innalzamento dell'eta' pensionabile) a finalita' specifiche ed ineludibili; C) la giuridica inesistenza d'un principio certo che il limite di 70 anni d'eta' sia quello invalicabile, non solo perche' vi sono cospicue categorie di pubblici dipendenti che, pur essendone soggetti, non per cio' solo sono esclusi dal beneficio (lo si ritiene pacificamente applicabile, p.es., per tutti i magistrati dei vari ordini giudiziari; per i professori universitari, una volta decaduto e non reiterato il d.-l. 15 novembre 1993, n. 460; ecc.), ma segnatamente perche' il predetto limite e', in certi casi (p.es., quelli del personale scolastico), del tutto virtuale e non sempre raggiugibile, neppure in esito a concessioni poste dalla legge. 2.4. - L'art. 509 del t.u. scol. stabilisce che il personale docente, direttivo ed ispettivo della scuola statale, e' collocato a riposo, d'ufficio, dal 1 settembre successivo alla data di compimento del 65 anno d'eta' (allo scopo di assicurare la necessaria continuita' didattica, evitando l'avvicendamento degli insegnanti in corso di anno scolastico); oppure, a domanda, dal 1 settembre successivo al compimento del 40 anno di servizio utile al pensionamento. Nondimeno, al predetto personale e' attribuita la facolta', in aggiunta a quanto gia' recato dallo stesso art. 509 per il trattenimento in servizio oltre il compimento del 65 anno d'eta', di permanere ancora in servizio per un periodo massimo d'un biennio oltre i limiti d'eta' per il collocamento a riposo, con effetto dall'entrata in vigore della legge n. 421/1992. Ora, le disposizioni agevolative ex art. 15 della legge n. 477/1973 e quelle di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 509 del d.lgs. n. 297/1994 (che, in buona sostanza, replicano pedissequamente l'art. 15 nella formulazione risultante a seguito delle sentenze d'incostituzionalita') attribuiscono il beneficio del solo trattenimento in servizio per uno scopo ben preciso, ossia per il raggiungimento del massimo o, rispettivamente, del minimo dell'eta' pensionabile, non conseguite dall'interessato al 65 anno d'eta'. La norma contenuta nell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 e nel comma 5 dello stesso art. 509 e' una facolta' mera, che puo' essere esercitata, o no, ma che non e' di per se' collegata alla quantita' di trattamento di quiescenza conseguibile, attraverso il biennio di permanenza, dall'interessato. Che, poi, questo risultato venga nei fatti perseguito e, se del caso, materialmente ottenuto dall'interessato merce' l'esercizio della predetta facolta', nulla toglie o aggiunge alla funzione dei ripetuti art. 509, comma 5 ed art. 16 del d.lgs. n. 503/1992. Anzi, la concreta realizzazione dell'innalzamento dell'eta' pensionabile dell'interessato costituisce un bonum giuridicamente rilevante e di grande utilita' tanto per costui (che gode d'un maggior trattamento di quiescenza), quanto per l'Amministrazione datrice di lavoro (che fruisce della prestazione lavorativa del proprio dipendente per un altro biennio), quanto, infine, per gli istituti di previdenza (che ottengono un altro biennio di contribuzione). La Sezione ha gia' osservato che la radice profonda dell'art. 15 deIla legge n. 477/1973 era l'art. unico della legge n. 500/1951, ma, al contempo, non puo' neppure sottacere che solo in parte l'art. 509 del t.u. scol. ne sia il continuatore nel nuovo ordinamento. Invero, la sopravvenienza dell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, ancor piu' dei citati pronunciamenti della Corte costituzionale, ne ha cambiato la natura giuridica e la funzione. In altre parole, l'art. 15 della legge n. 477/1973 aveva, in origine - e, soprattutto, in difetto d'una norma intertemporale tra l'assetto normativo dei c.d. "decreti delegati" e la disciplina previgente fissata dalla legge n. 500/1951 -, una funzione se non di raccordo tra il nuovo ed il vecchio regime del pensionamento di tale personale, perlomeno di mantenimento d'un certo apparato di benefici a favore di quest'ultimo. Prima l'illegittimita' costituzionale parziale dell'art. 15 e poi l'entrata in vigore della legge n. 421/1992 hanno cambiato, per forza di cose, la collocazione dell'art. 15 stesso nell'ordinamento, nel senso che ad esso, quale norma recante un beneficio "condizionato" (da presupposti e da finalita' specifiche) s'e' aggiunta un'altra norma di beneficio "incondizionato" (perche' libero nei fini e nei presupposti). Non a caso, l'art. 509 del d.lgs. n. 297/1994, nel coordinare le due norme, non ha potuto che prender atto, pur nell'innegabile loro similitudine, della loro funzionale irriducibilita', tant'e' che la facolta' per l'esercizio del beneficio ex legge n. 421/1992 e' attribuita "altresi'", ossia e' posta dal comma 5 in aggiunta a quelli di cui ai commi 2 e 3, i quali replicano essenzialmente le norme del ripetuto art. 15 della legge n. 477/1973, come modificato dalla Corte costituzionale. Insomma, l'art. 509, comma 5 del d.lgs. n. 297/1994 da' atto delle differenze esistenti tra i due benefici e, per l'effetto, li somma a vantaggio di tutto il personale in servizio alla data d'entrata in vigore della legge n. 421/1992, indipendentemente dalla circostanza che, poi, quest'ultimo possa godere, o no anche di quanto stabilito dai precedenti commi 2 e 3. Ne' varrebbe obiettare che il comma 5 concede il beneficio de quo per un periodo massimo d'un biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a riposo previsti; pero' tale indicazione va coordinata non solo con quanto previsto dal precedente comma 1, ma pure con i successivi commi 2 e 3, di talche' il limite d'eta' previsto per detto personale e' quello cui ciascun dipendente legittimamente perviene per effetto dei predetti commi. Pertanto, il docente, che s'avvalse di uno dei benefici ex art. 15 della legge n. 477/1973 o dei commi 2 e 3 del ripetuto art. 509 potra', se vorra', avvalersi del beneficio di cui al comma 5 ed all'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 in aggiunta ai precedenti. Il dies a quo per il computo del biennio non sara' sic et simpliciter il 65 anno d'eta' dell'interessato, bensi' il giorno in cui egli sarebbe dovuto esser collocato a riposo per effetto dei benefici di trattenimento in servizio di cui ai commi 2 o 3 dello stesso art. 509. 3. - Di tutti tali principi, che diversamente da quanto opinano le Amministrazioni resistenti denotano tutt'altro che una lettura errata o affrettata delle norme teste' cennate, la Sezione ha avuto modo di fornie idonea contezza in svariate situazioni, analoghe a quella di cui al ricorso in epigrafe (cfr., per tutti, TAR Campania, Napoli, II, ordd. n. 10/96; n. 368/1996). Tuttavia, il Consiglio di Stato, unico giudice d'appello per le decisioni di questo Tribunale, ha piu' volte riformato le ordinanze emanate in soggetta materia, senza alcuna motivazione in diritto (cfr., per tutti, Cons. St., VI, ordd. n. 630/96 e n. 958/96), con cio', evidentemente accogliendo le argomentazioni d'appello proposte dal Ministero convenuto, per mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato. In particolare, la P.A. resistente afferma che: A) dal combinato disposto dell'art. 15 della legge n. 477/1973, dell'art. 10 del d.-l. n. 357/1989 e dell'art. 509 del t.u. scol. s'evince come il 70 anno d'eta' costituisca, per il personale della scuola, il limite oltre il quale non e' consentito in ogni caso di rimanere in servizio, a prescindere dal raggiungimento, o meno dell'anzianita' di servizio necessaria minima (Cons. St., VI, 21 luglio 1990, n. 737); B) non puo' esser consentita la proroga del trattenimento in servizio sino al 70 anno d'eta', qualora il richiedente abbia gia' raggiunto 40 anni di servizio utili a pensione, nel senso precisato dal ricordato art. 10 del d.-l. n. 357/1989; C) non e' possibile elevare ulteriormente il predetto limite d'eta' dei 70 anni a' sensi dell'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 - si' da consentire di restare in servizio sino praticamente al 72 anno d'eta' -, in quanto, come chiarito nella citata circolare n. 47/93, per il collocamento a riposo rimane fermo il limite del 65 anno d'eta' e la facolta' ex art. 16 "... puo' essere utilizzata dal personale entro il 31 marzo dell'anno scolastico di compimento del 65 anno di eta', quale che sia l'anzianita' di servizio raggiunta..." (la Sezione non puo' esimersi dal rilevare fin d'ora la paradossalita' di siffatta asserzione, che costituisce piu' avanti specifico motivo di censura di legittimita' costituzionale: all'interessato sotto il 65 anno d'eta' e' consentito restare in servizio, anche se ha raggiunto o superato il 40 anno di servizio, mentre al soggetto oltre il 65 anno tale facolta' e' denegata pur se il biennio ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 possa servirgli a raggiungere il minimo di pensione); D) i limiti cui fa esplicito riferimento l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992, rinviando ai fini del computo del biennio alla disciplina prevista dai diversi regimi previdenziali, sono quelli riguardanti la data "ordinaria" di collocamento a riposo, data che per il personale della scuola e' stabilita, come gia' ricordato, al compimento del 65 anno d'eta'; E) il termine di decorrenza di tale biennio non puo' dunque essere stabilito dalla data di scadenza degli eventuali ulteriori benefici di cui l'interessato abbia gia' finito, in quanto il beneficio ex art. 16 del d.lgs. n. 503/1992 e' accordabile nella sola misura in cui lo spostamento del limite di eta' pensionabile da esso recato non possa essere superato dall'applicazione di altri e piu' favorevoli regimi normativi, di carattere eccezionale, atti a spostare ancora piu' in avanti il limite anzidetto, anche al fine di evitare i privilegi connessi a duplicazioni di benefici e per ragioni di contenimento della spesa pubblica. Tale s'appalesa in buona sostanza il disegno ricostruttivo che il giudice ministrativo d'appello effettua del sistema della procedura per il collocamento a riposo del personale scolastico, onde, cosi' facendo, quest'ultimo e' di fatto impossibilitato ad esercitare l'opzione ex art. 509, comma 5 del t.u. scol., a suo detrimento ed a irragionevole differenza di quanto succede per altre categorie di lavoratori subordinati pubblici, cui, pure, coeteris paribus fa riferimento l'art. 16 del d.lgs. n. 503/1992. Ora, ad avviso del Collegio, e' ben vero, ovviamente, che siffatta restrittiva e poco garantistica ricostruzione ermeneutica non puo' costituire un precedente vincolante nei confronti dei giudici di primo grado, dato che, a norma dell'art. 101, comma 2 Cost., "... i giudici sono soggetti soltanto alla legge..."; e, del resto, l'unico vincolo interpretativo previsto nel nostro ordinamento processuale e' quello imposto dall'art. 384, primo comma, c.p.c. al giudice di rinvio che "... deve uniformarsi..." al principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione, allorche' accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Tuttavia, non e' men vero che la costante interpretazione del Consiglio di Stato al riguardo ha condotto e continua a condurre all'annullamento sistematico di tutte le ordinanze cautelari di questa Sezione che, ancorche' emanate indubitabilmente in presenza dei presupposti del fumus boni juris e del danno grave e irreparabile - richiesti, com'e' noto, dall'art. 21, u.c. della legge n. 1034/1971 -, contrastino con le cennate "condizioni" restrittive assunte dalle Amministrazioni resistenti e fatte proprie dallo stesso giudice d'appello. Siffatta interpretazione viene cosi' ad assumere indubbiamente rilievo in relazione all'esigenza insopprimibile d'assicurare, sempre nei limiti della liberta' di coscienza del giudice, la certezza del diritto, segnatamente di fronte ad istituti di nuova creazione e che abbisognano, in difetto di norme intertemporali, di un'accurata ricostruzione teleologica, quale quella dianzi accennata dalla Sezione. E, invero, una tra le esigenze fondamentali d'ogni ordinamento giuridico e' la sua certezza, vale a dire la sicurezza che tutti i soggetti debbono poter avere, in ordine al trattamento che a loro sara' riservato qualora divengano, in conseguenza del verificarsi di determinati fatti giuridici previsti dalle norme, destinatari concreti di situazioni giuridiche soggettive attive o passive astrattamente contemplate dalle stesse norme e, quindi, titolari di rapporti giuridici. La certezza del diritto, o sicurezza giuridica, costituisce un insopprimibile corollario dell'astrattezza e della generalita' della norma giuridica. Non sfugge alla Sezione che l'incertezza e' spesso causata dal sovrapporsi di norme primarie e secondarie) contraddittorie, dalla loro oscurita', dalla loro abnorme e disorganica proliferazione, che rende arduo il loro coordinamento e quindi meno evitabili le antinomie. Ma la causa d'incertezza piu' insidiosa (e purtroppo ugualmente frequente) consiste nelle interpretazioni erronee degli organi giurisdizionali e, in particolare, in quelle che, come nella specie, rappresentano schemi concettuali e orientamenti indimostrati e logicamente carenti, se non addirittura acriticamente adeguati ad asserzioni ex se creatrici di conflitti sociali, piuttosto che preordinate alla loro risoluzione. Si tratta, in altri termini, di interpretazioni che, abbandonando i criteri essenziali della voluntas legis, si pongono come deviazioni ingiustificate e non piu' accettabili dalla coscienza giuridica maturata e acquisita dalla collettivita' in un dato momento storico, in base al principio della permanenza mera, non soggetta a condizione alcuna, del personale civile dello Stato e degli enti pubblici per un ulteriore biennio dallo scadere del periodo massimo di servizio fissato per ciascuno dei soggetti interessati. Ed e' noto che tale coscienza consiste, in estrema sintesi, nel complesso dei precetti ai quali devono informarsi il legislatore e l'interprete e che conferiscono l'impronta ad un determinato ordinamento giuridico nel suo continuo divenire e progredire plasmato dall'indirizzo storico-politico del tempo. E un contrasto giurisprudenziale prolungato nel tempo si rivela quanto mai dannoso in relazione sia all'azione della P.A. a tutela dell'interesse pubblico, sia all'assetto delle posizioni di lavoro in contestazione di tutti e di ciascun dipendente interessato dalle norme de quibus. 4. - La Sezione prende atto della costante interpretazione contraria del proprio giudice di appello, il quale assume in buona sostanza come "diritto vivente" del quale deve fare applicazione nelle controversie instaurate. Tuttavia, la Sezione osserva che la questione di costituzionalita' di cui trattasi riveste necessariamente il prescritto carattere di rilevanza, al fine della decisione definitiva sulla domanda di sospensione del decreto impugnato con il ricorso in esame. Come reiteratamente affermato dalla Corte costituzionale, infatti, deve ritenersi rilevante e quindi ammissibile la questione di costituzionalita' d'una norma di legge, allorche' il giudice remittente, pur mostrando di non condividere l'interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza, non ne pretende una revisione sul piano ermeneutico (in effetti non consentita: cfr. le ordinanze della Corte nn. 410 e 44 del 1994), bensi', assumendo proprio quella interpretazione come "diritto vivente", ne chiede una verifica sul piano della costituzionalita' (cio' rientra de plano nel sindacato di legittimita' riservato alla Corte: cfr., da ultimo ed in terminis, C. cost., 23 maggio 1995, n. 188, punto 3.2 della motivazione; 24 febbraio 1995, n. 58, punto 2 della motivazione; 6 aprile 1995, n. 110, punto 2.1 della motivazione; 21 luglio 1995, n. 345, punto 2 della motivazione; 27 luglio 1989, n. 456, punto 2 della motivazione). Anzi, la stessa Corte ha significativamente precisato che la questione di legittimita' costituzionale e' validamente posta anche quando il giudice a quo, affermando motivatamente di dubitare dell'orientamento giurisprudenziale prevalente o dominante, ritiene di dover applicare la disposizione contestata in un diverso od opposto significato normativo, sempreche' l'intepretazione offerta non risulti del tutto implausibile, cioe' palesemente arbitraria (cfr., in terminis, C. cost., n. 58/1995, cit., punto 2 della motivazione, che richiama numerosi altri precedenti giurisprudenziali della Corte nello stesso senso). L'eventuale adesione acritica di questo Collegio alla tesi interpretativa propugnata dal Consiglio di Stato, quale esclusivo giudice d'appello, avrebbe determinato tout court il rigetto della domanda di sospensione del provvedimento impugnato con il ricorso in epigrafe. Qualora, invece, l'art. 509, comma 5 del testo unico scol. fosse dichiarato incostituzionale dal giudice delle leggi - nella parte in cui non prevede espressamente la salvezza di tutti i diritti quesiti del personale scolastico statale per effetto dell'art. 15 della legge 477/1973, in coerenza al combinato disposto dell'art. 3, comma 1 della legge 421/1992 e dell'art. 16 del decreto legislativo 503/1992 -, il Collegio potra' pervenire all'accoglimento definitivo della predetta domanda cautelare, proposta dalla prof. Capriglione. La risoluzione della questione di legittimita' in esame, quindi, si pone assolutamente ed incontrovertibilmente, a norma dell'art. 23, secondo comma della legge 11 marzo 1953, n. 87, quale necessaria pregiudiziale per la definizione della lite cautelare portata alla cognizione del Collegio. Infatti, soltanto la declatoria d'illegittimita' costituzionale parziale della disposizione di legge denunziata consentira' al Collegio di pronunziarsi definitivamente e positivamente sulla predetta domanda cautelare (temporaneamente accolta, come s'e' gia' accennato, sino alla prima Camera di consiglio utile dopo la restituzione degli atti del presente giudizio da parte della Corte costituzionale a seguito della decisione in ordine alla sollevata questione di legittimita' costituzionale). E il requisito della rilevanza permane anche nei casi, come quello in esame, in cui il giudice amministrativo disponga con separata ordinanza, contemporaneamente all'ordinanza di rimessione alla Corte, la sospensione provvisoria e temporanea dei provvedimenti impugnati fino alla ripresa del giudizio cautelare dopo l'incidente di costituzionalita'. La predetta pronunzia, per la sua natura meramente temporanea ed interinale, non determina l'esaurimento del potere cautelare del giudice a quo (cfr., ex multis, C. cost., 23 luglio 1991, n. 367, punto 2 della motivazione; 12 ottobre 1990, n. 444, punto 3 della motivazione). D'altronde, la sussistenza della predetta rilevanza va valutata allo stato degli atti, al momento dell' emanazione dell'ordinanza di remissione, restando quindi ininfluenti le eventuali pronunzie adottande o adottate successivamente dal giudice d'appello (cfr., fra altre, C. cost., n. 367/1991, cit., ibidem). Muovendo, quindi, dall'incontroversa constatazione fattuale della detta costante interpretazione, resa in soggetta materia dal Consiglio di Stato e che si pone in evidente contrasto con i richiamati principi ordinamentali, la Sezione non puo' che trarne le logiche ed inevitabili conclusioni affermative in ordine alla sussistenza del primo requisito prescritto dalla legge (la rilevanza della questione), affinche' il giudice a quo possa sollevare questioni di legittimita' costituzionale. 5. - Quanto al requisito della non manifesta infondatezza della questione medesima, l'interpretazione qui criticata dell'art. 509, comma 5 del testo unico scol. implica un'aperta violazione degli artt. 3, 38, secondo comma e 97, terzo comma, della Costituzione e dei principi della delega contenuta nell'art. 3, comma 1 della legge 421/1992, nella parte in cui non e' consentito al personale scolastico statale di fruire, oltreche' dei benefici ex art. 15, secondo comma della legge 477/1973, pure della facolta' spettante a tutti gli impiegati civili dello Stato e degli enti pubblici non economici, ai sensi dell'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992. 5.1. - Per cio' che attiene alla violazione dell'art. 3 Cost., e' noto che il principio cola' sotteso esprime un generale canone di coerenza e di ragionevolezza dell'ordinamento positivo, sotto il duplice profilo formale (in ordine alla forza formale ed all'efficacia della norma) e materiale (con riguardo, cioe', al contenuto della norma, come scaturisce dalla di lei lettura fornita dagli interpreti qualificati). In tal senso, e' ovvio che la disparita' di trattamento, costituzionalmente censurabile, deriva non gia' dalla norma in se', che', per definizione, il diritto sopravveniente e' idoneo a determinare variazioni di tutti i tipi alle posizioni dei soggetti di diritto. Tale disparita' e', piuttosto, frutto di improvvide interpretazioni che, pur se stabilizzatesi per qualunque ragione, provocano la fattuale cessazione del carattere d'universalita' che ogni norma deve possedere e che il legislatore ordinario e obbligato ad attuare fino al limite massimo possibile. In altri termini, l'interpretazione qui censurabile implica un duplice paradosso: per un verso, rovescia a favore della P.A. datrice di lavoro, attribuendole un potere discrezionale di fatto illimitato ed incondizionato, l'effetto giuridico del beneficio ex art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992, la cui natura, invece, e' ictu oculi quella di un diritto potestativo concesso indistintamente a tutti gli impiegati civili dello Stato e degli enti pubblici non economici; per altro verso, estrapola da siffatto contesto globale una particolare categoria di impiegati civili, quelli della scuola statale, in virtu' di una sua peculiarita', che, com'e' formulata, e' una mera petizione di principio, atteso che ogni altra categoria ha sue peculiarita' proprie. Sia la legge-delega, sia il decreto legislativo n. 503/1992 muovono da un contesto normativo ben consapevole della plurisoggettivita' degli enti pubblici e della pluralita' degli statuti dei lavoratori subordinati pubblici. Tuttavia, entrambe le fonti hanno reputato prevalente l'esigenza di omogeneizzare il trattamento pensionistico di questi ultimi, oltreche' della salvezza dei benefici da loro medio tempore ottenuti, attraverso alcuni istituti, non ultimo proprio quello sancito dall'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992, non a caso attribuito a tutti ed a ciascun impiegato pubblico indipendentemente dalla di lui posizione contributiva e d'ogni altra finalita'. In tal caso, la "peculiarita'" del personale scolastico, determinata ad avviso dell'interpretazione censurabile dall'art. 15 della legge n. 477/1973, e' priva di senso - essendo un dato non ritenuto significativo nella "strategia" normativa della riforma pensionistica, non diversamente d'ogni altro elemento caratteristico di tutte le altre categorie dell'impiego pubblico -, risolvendosi in ultima analisi in una situazione deteriore per tale personale. E che l'interpretazione censurabile provochi effetti paradossalmente negativi non par dubbio, sol che si pensi alla circostanza che l'art. 15 della legge n. 477/1973 concerne non gia' il solo personale docente statale, bensi' tutto il personale scolastico, di talche' si verifica l'estensione a quest'ultimo della pretesa "peculiarita'" del primo, ossia un ulteriore effetto negativo. Sulla scorta di tali dati, pare alla Sezione che l'interpretazione censurabile implichi una relazione di differenziazione tra varie categorie di impiegati pubblici, sulla scorta di un tertium comparationis, il combinato disposto dell'art. 3, comma 1 della legge n. 421/1992 e dell'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992, il quale, sotto un profilo logico e funzionale, conduce a conclusioni diametralmente opposte. E cio' appare vieppiu' grave, se si tien conto che, nella specie, la struttura lessicale e normativa dell'art. 509 del testo unico scol. non solo non fornisce un dato univoco tendente ad escludere ogni concorrenza di benefici, ma, addirittura, esprime una volizione del tutto diversa, ossia mirante a rendere effettiva tale concorrenza. Ben si vede che il citato tertium comparationis, se letto mediante l'argomentazione logica insita nell'interpretazione qui resa e contestata, da' luogo ad una situazione irragionevolmente deteriore in capo a una certa frazione qualificata del personale scolastico, senza che il legislatore del testo unico scol., consapevole della pluralita' di benefici possibili, abbia inteso escluderne la concorrenza, pur avendo la possibilita' di formulare diversamente l'art. 509. Ben si vede, quindi, che l'interpretazione di quest'ultimo, nel senso accettato dal giudice d'appello, ne fornisce un significato arbitrario ed incostituzionale. Ne' potrebbesi asserire che tale arbitrio in realta' sia meramente fattuale, perche' derivante da un cattivo coordinamento di norme stratificate, pur se sicuramente non omogenee. La realta' e' ben diversa: v'e' stata si' una stratificazione, ma la scelta del legislatore ordinario, nel 1992 e nel 1994, ha inteso la fattispecie in modo da salvaguardare le posizioni differenziate delle varie categorie del personale pubblico, innestando su tali insopprimibili differenze, d'ora in poi, un trattamento unitario. In parole povere, l'arbitrio nasce da un disconoscimento della volizione normativa che, prendendo atto delle differenze tra i vari status degli impiegati pubblici, non li ha livellati sic et simpliciter, ma, assai piu' intelligentemente, e' partita dalle posizioni differenti di tutti e di ciascun dipendente, salvaguardandole allo stato, allo scopo di regolarle d'ora in poi in modo omogeneo. La ribellione a tale finalita', che l'interpretazione censurabile propugna e che e' fonte del conflitto, cancella le predette differenze che il legislatore s'era ben guardato dal modificare (nella consapevolezza dell'impossibilita' di azzerare beni giuridici gia' stabilmente inseriti nella sfera personale di tutti e di ciascun lavoratore subordinato pubblico), introducendone di nuove e nocive che il dato testuale o i principi non giustificano (cosi abbassando la qualita' della sfera giuridica dei soggetti interessati, rispetto a quella di tutti gli altri). 5.2. - L'interpretazione de qua s'appalesa altresi' in contrasto con gli artt. 4 e 38, secondo comma, Cost. Da un lato, se l'art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992 e' un diritto potestativo, esso deriva direttamente dal diritto costituzionale al lavoro, nel senso che la disposizione teste' citata serve a rendere effettiva la possibilita' di restare in servizio per un ulteriore biennio, come libera esplicazione della personalita' del lavoratore. Oltre quello del biennio e della procedura per la presentazione della relativa istanza, la norma non pone limite in capo al lavoratore pubblico, all'evidente scopo di fargli fruire il trattenimento in servizio senza infingimento alcuno e, in particolare, senza ingerenza da parte della P.A. datrice di lavoro. Ogni diversa interpretazione implica di per se' l'impossibilita', per il dipendente, di fruire del beneficio e concede alla P.A. stessa la possibilita' di sindacare nell'an la concessione di quest'ultimo. E tale risultato, nella specie, si ottiene anche invertendo la situazione del beneficio da fruire, atteso che, come la concorrenza dei benefici esiste nel caso in cui il dipendente scolastico chieda il trattenimento in servizio ex art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992 dopo aver fruito, in tutto o in parte, del beneficio ex art. 15, secondo comma della legge n. 477/1973, cosi' ben puo' verificarsi nell'ipotesi inversa, in cui l'interessato chieda il trattenimento in servizio ex art. 15, sussistendone attuali i presupposti per il godimento, allo scadere del biennio ex art. 16. Infatti, se l'interessato ne possiede i presupposti ed intende realizzarne le finalita', egli ha titolo per ottenere il beneficio ex art. 15, a nulla rilevando le vicende pregresse, se non hanno risolto l'attualita' del rapporto di lavoro subordinato, per cui ogni limitazione al riguardo impinge direttamente sul diritto del lavoratore scolastico. Per cio' che attiene alla violazione dell'art. 38, secondo comma, Cost., e' di tutta evidenza l'impossibilita' per la ricorrente di raggiungere il massimo dell'eta' pensionabile, a causa dell'interpretazione censurabile. Infatti, in tal modo, la prof. Capriglione vien punita per aver goduto del beneficio ex art. 16 del decreto legislativo n. 503/1992, nel senso che la fruizione di quest'ultimo, invece di giovarle e di migliorarne la posizione contributiva, si traduce in sostanza in una preclusione all'ottenimento della pensione massima possibile. Ne' varrebbe obiettare che la ricorrente, merce' il biennio di trattenimento in servizio ex art. 16, avrebbe gia' raggiunto il periodo contributivo massimo, atteso che tale dato non e' elemento del provvedimento impugnato - costituendo tutt'al piu' un'inammissibile integrazione difensiva dello stesso -, e soprattutto e' contestato in fatto, a cagione della formale rinuncia, da parte della ricorrente stessa, dei periodi contributivi gia' riscattati. Infine, l'interpretazione censurabile appare in violazione dell'art. 97, terzo comma, Cost., in quanto i benefici de quibus implicano, a fronte degli oneri imposti a carico dei dipendenti, la tempestiva impostazione organizzativa della P.A. datrice di lavoro per rispondere alla richiesta di trattenimento in servizio di costoro. In tal caso, e' un "fuor d'opera" l'asserzione delle Amininistrazioni resistenti circa il preteso "danno" all'erario pubblico, in quanto, diversamente da quanto esse opinano, di regola la prestazione di lavoro subordinato e' sinallagmatica ed esse continuano a fruire dell'esperienza e del know-how di impiegati esperti e di qualifica apicale. Pertanto, l'organizzazione dei pubblici uffici, in base all'interpretazione de qua, soffre, invece di godere, degli effetti nocivi che essa comporta in termini di mancato trattenimento in servizio.