IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Esaminati gli atti del procedimento penale n. 224/1998 R.G.G.U.P. nei confronti di S.D., nato a Monza il 31 marzo 1981; A scioglimento della riserva di cui al verbale dell'udienza preliminare in data 6 novembre 1998; O s s e r v a Ad avviso del p.m. sussisterebbe, in relazione al procedimento in oggetto, l'incompatibilita' del presidente del collegio - g.u.p. che, in funzione di g.i.p., ha emesso ordinanza ai sensi dell'art. 409 comma quinto c.p.p., imponendo la formulazione dell'imputazione. Opina, in particolare, l'istante che ricorrerebbe un'ipotesi di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p. per violazione degli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui non prevede, nel processo penale a carico di imputati minorenni, l'incompatibilita' alla funzione di giudice dell'udienza preliminare del magistrato che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 409, quinto comma, dello stesso codice, atteso che altrimenti si determinerebbe una disparita' di trattamento ingiustificata rispetto ai casi, affini, per cui recenti sentenze (n. 406 del 26 ottobre 1990, n. 401 del 12 novembre 1991 e n. 502 del 30 dicembre 1991) della Corte costituzionale hanno dichiarato l'illegittimita' dello stesso art. 34 comma secondo c.p.p. Disparita' di trattamento - ad avviso del p.m. - evidente ove si consideri che la medesima esigenza di evitare gli effetti della c.d. prevenzione, tutelate con le pronunce citate, si prospetta inevitabilmente in un'ipotesi in cui certamente vi e' stata una prognosi (sebbene limitata all'esercizio dell'azione penale) anticipata e quindi, potenzialmente condizionante l'esito dell'udienza preliminare. Orbene, la questione prospettata - certamente incisiva sulla materia del contendere e, pertanto, rilevante, giacche' nell'ipotesi di accoglimento si configurerebbero un obbligo di astensione e un motivo di ricusazione del presidente del collegio - non e' manifestamente infondata. Appare ictu oculi evidente come il caso in argomento si manifesti ontologicamente simile a quelli gia' esaminati nelle sentenze richiamate, specie se si consideri la peculiare natura dell'udienza preliminare minorile. Per corretta impostazione metodologica, va premesso che la disciplina legislativa dell'incompatibilita' del giudice, fissata nell'art. 34 c.p.p., si fonda sulla necessita' di evitare la duplicazione di giudizi della medesima natura presso lo stesso giudice e quindi sulla esigenza di proteggere il giudizio di merito dal rischio di un pregiudizio, effettivo o anche solo potenziale, derivante da valutazioni di sostanza dell'ipotesi accusatoria, espresse in occasioni di atti compiuti in precedenti fasi processuali. In ossequio a tale principio la Corte ha affermato, con le sentenze nn. 496 del 1990, 401 del 1991 e 502 del 1994, l'illegittimita' costituzionale del citato articolo nelle parti in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio abbreviato o al giudizio dibattimentale il giudice per le indagini preliminari presso la pretura o presso il tribunale che - ai sensi, rispettivamente, degli artt. 409, comma quinto, e 554, secondo comma, c.p.p. - abbia ordinato di formulare l'imputazione. L'argomentazione posta a base delle pronunzie e' che con il predetto ordine il g.i.p. compie una valutazione contenutistica dei risultati delle indagini preliminari e da' anzi ex officio l'impulso determinante alla procedura che condurra' all'emanazione di una sentenza, sicche' non vi e' dubbio che la successiva valutazione di merito possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata dalla cosiddetta forza di prevenzione, e cioe' dalla naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali dello stesso procedimento. In altri termini, il principio comune enucleabile dalle predette sentenze si sostanzia nella necessita' di salvaguardare la genuinita' e la correttezza del processo di formazione del convincimento del giudice in sede di giudizio conclusivo sulla responsabilita' penale. Quanto, poi, alla funzione che il p.m. assume potrebbe essere pregiudicata per analogia ai casi riassunti, si deve ricordare che la Corte adita in piu' occasioni ha sancito che, a differenza della caratterizzazione esclusivamente processuale dell'udienza preliminare che si svolge nel processo penale ordinario (in ultimo, ordinanze nn. 191 e 91 del 1998), nell'udienza preliminare del processo penale a carico di imputati minorenni il giudice e' chiamato a una funzione sicuramente qualificabile come "giudizio", poiche' egli puo' adottare un'ampia gamma di pronunce conclusive del processo, altrimenti riservate all'organo del dibattimento, alcune delle quali contengono o presuppongono l'affermazione di responsabilita' dell'imputato (cfr. sentenza n. 311 del 1997, punto 3 del diritto). E' dunque in ragione della natura delle decisioni e delle correlative valutazioni affidate al giudice dell'udienza preliminare nel processo minorile che la previsione dell'incompatibilita' contenuta nell'art. 34, comma 2, proc. pen. e' stata estesa ai rapporti tra giudice per le indagini preliminari che si sia pronunciato in ordine a una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato e il giudice che successivamente partecipi al collegio costituito per l'udienza preliminare (cfr. sent. n. 311 del 1997) e, in ultimo, ai rapporti tra partecipazione al collegio del riesame e quella successiva al collegio costituito per l'udienza preliminare (Cfr. sent. n. 290 del 7-18 luglio 1998). Logico corollario alle menzionate pronunce e', pertanto, l'estensione della previsione d'incompatibilita' ai rapporti tra la valutazione effettuata in esito alla richiesta di archiviazione del p.m., conclusasi con l'ordine di formulare l'imputazione, e la partecipazione al collegio costituito per l'udienza preliminare nel processo a carico di minorenni. L'omologia tra la funzioni (di giudizio) esercitabili nell'udienza preliminare minorile e quelle del giudizio abbreviato o del dibattimento nel processo ordinario implica come naturale conseguenza che non puo' essere lo stesso giudice che ha gia' compiuto una cosi' incisiva valutazione dei risultati dell'indagine preliminare, promuovendo l'esercizio dell'azione penale, ad adottare la decisione conclusiva in ordine alla responsabilita' dell'imputato (quale potrebbe essere la determinazione in esito all'udienza ex art. 31 d.P.R. 22 settembre 1988 n. 488). Non puo' negarsi, del resto, che demandare il giudizio allo stesso soggetto che lo ha promosso, disattendendo la contraria opinione del p.m., sia dissonante con il principio affermato dalla Corte con le sentenze in premessa citate. La questione prospettata non e', pertanto, manifestamente infondata. La ratio argomentativa delle sentenze nn. 496 del 1990, n. 401 del 1991 e 502 del 1994 valutata in correlazione a quella delle sentenze n. 311 del 1997 e 290 del 1998 impone di considerare ravvisabile, nel caso di cui all'odierno procedimento, una ulteriore ipotesi di dubbia legittimita' costituzionale dell'art. 34 comma secondo c.p.p. Opinando diversamente si violerebbero, invero, gli artt. 3 e 24 Cost. per disparita' di trattamento rispetto ai casi analoghi gia' indicati e gli artt. 25 e 101 Cost., perche' anche il solo sospetto di un giudizio precostituito minerebbe l'indipendenza del giudice, intesa come certezza di imparzialita' e terzieta', con cio' facendo venire meno un requisito del suo status essenziale ai fini del rispetto del principio del giudice naturale.