Ricorso per conflitto di attribuzione della regione Lombardia, in persona del Presidente pro-tempore della giunta regionale, on. dott. Roberto Formigoni, rappresentata e difesa come da mandato a margine del presente atto, ed in virtu' di deliberazione di autorizzazione a stare in giudizio di G.R. del 29 gennaio 1999 di cui all'allegato 1, dagli avv. proff. Giuseppe Franco Ferrari e Massimo Luciani, ed elettivamente domiciliata presso lo studio del secondo in Roma, Lungotevere delle Navi n. 30; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri a seguito e per l'effetto del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 19 ottobre 1998, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 4 dicembre 1998, n. 284, Serie generale, recante "Definizione dei criteri e delle modalita' di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi finanziari 1997 e 1998" (all. 2). 1. - La materia "beneficenza pubblica e assistenza sanitaria ed ospedaliera", come organicamente definita dal decreto del Presidente della Repubblica n. 616/1977, e' assegnata - come e' noto - alle regioni ordinarie dagli artt. 117 e 118 della Costituzione. Essa rientra nel settore organico dei cosiddetti "servizi sociali" su cui si imperniava il trasferimento di funzioni disciplinato dal citato d.P.R. n. 616. La nozione di "servizi sociali" e' stata poi recentemente ridefinita dal d.lgs. n. 112/1998: pertanto oggi essa non indica piu' una mera categoria sistematica, comprensiva di una serie di materie, bensi' una vera e propria materia, comprensiva dei "servizi alla persona e alla comunita'". In questa prospettiva, l'espressione "servizi sociali" include oggi normativamente cio' che in passato si indicava tanto con le espressioni "assistenza sociale" e "assistenza privata", quanto con l'espressione "beneficenza pubblica". La programmazione e la gestione dei servizi socio-assistenziali sono state sempre affidate alle competenze legislative ed amministrative delle Regioni, gia' per effetto dei dd.P.R. 14 gennaio 1972, n. 4 e 15 gennaio 1972, n. 9, ribaditi prima dal titolo III, capi III e IV, del d.P.R. n. 616/1977 e dalla legge n. 833/1978 di riforma sanitaria (art. 11) e poi, da ultimo, dal d.lgs. n. 502/1992. Quest'ultimo decreto, in particolare, all'art. 2 ha testualmente affermato che "spettano ... alle Regioni la determinazione dei principi sull'organizzazione dei servizi e sull'attivita' destinata alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle Unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere, le attivita' di indirizzo tecnico, promozione e supporto nei confronti delle predette Unita' sanitarie locali ed aziende, anche in relazione al controllo di gestione e alla valutazione della qualita' delle prestazioni sanitarie", ed all'art. 3, comma 3, ha aggiunto che "l'Unita' sanitaria locale puo' assumere la gestione di attivita' o servizi socio-assistenziali su delega dei singoli enti locali...". Per quanto attiene specificamente alle funzioni di prevenzione ed intervento contro l'uso di sostanze stupefacenti e psicotrope, gia' la legge n. 685/1975 e la legge n. 162/1990, poi coordinate nel testo unico approvato con d.P.R. n. 309/1990, confermavano e ribadivano la competenza delle Regioni, con il solo limite rappresentato dall'applicazione dei criteri di indirizzo e coordinamento provenienti dall'Amministrazione dello Stato, ovviamente adottati nel rispetto dei principi elaborati da codesta Ecc.ma Corte. L'art. 113 del testo unico, segnatamente, affidava ai servizi pubblici per l'assistenza sanitaria ai tossicodipendenti, istituiti presso le unita' sanitarie locali, compiti di diagnosi, cura e riabilitazione dei tossicodipendenti, nonche' funzioni di progettazione ed esecuzione in forma diretta o indiretta di interventi di informazione e prevenzione. L'art. 127 dello stesso d.P.R. n. 309/1990 ha previsto l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di un fondo, denominato "Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga", per il finanziamento di progetti finalizzati agli obiettivi enunciati dal testo unico e presentati tanto dai Ministeri dell'interno, di grazia e giustizia, della difesa, della pubblica istruzione e della sanita', quanto da comuni e regioni. Con la legge n. 449/1997, collegata alla finanziaria per il 1998, le risorse costituenti il suddetto fondo sono state fatte confluire nel Fondo per le politiche sociali (poi rinominato dal d.lgs. n. 112/1998 "Fondo nazionale per le politiche sociali"), tra le cui finalita' si indicavano anche quella della "promozione di interventi per la realizzazione di standard essenziali ed uniformi di prestazioni sociali su tutto il territorio dello Stato concernenti la prevenzione ed il trattamento delle tossicodipendenze", nonche' quella del "sostegno a progetti sperimentali attivati dalle regioni e dagli enti locali". Alla ripartizione annuale delle risorse confluite nel Fondo, ai sensi dell'art. 59, comma 46, 1egge n. 449/1997, come modificato dal d.lgs. n. 112/1998, si sarebbe provveduto con apposito decreto del Ministro per la solidarieta' sociale, da emanarsi sentiti i Ministri interessati e la conferenza unificata di cui al d.lgs. n. 281/1997. In attuazione delle norme contenute nel capo I della legge n. 59/1997, infine, il legislatore delegato, al fine di completare il quadro dei conferimenti nella materia dei servizi sociali, ha emanato una serie di disposizioni, contenute nel d.lgs. n. 112/1998, agli artt. 128-134, incidenti in modo sostanziale sul riparto delle competenze tra lo Stato e le regioni ed enti locali. Proprio alle regioni ed agli enti locali l'art. 131, comma 1 ha conferito tutte le funzioni relative ai servizi sociali, facendo eccezione solo per quanto previsto dagli artt. 129 e 130. E' stato, quindi, ribadito il potere regionale - ne' poteva essere altrimenti - di disciplina dell'esercizio delle predette funzioni, secondo il principio per cui i compiti di erogazione dei servizi e di realizzazione della rete spettano ai comuni. Alla regione, ex art. 132, comma 1, e' stato poi demandato l'obbligo di individuare puntualmente con legge i compiti e le funzioni amministrative da conferire ai comuni nei singoli settori. Infine, l'art. 132, comma 2, ha trasferito alle regioni - che poi provvederanno al successivo conferimento agli enti locali - funzioni e compiti di promozione e coordinamento operativo degli "attori dei servizi sociali". 2. - Nell'ambito del quadro normativo cosi' sommariamente descritto, ed in pretesa applicazione degli artt. 129, comma 1, lett. e), d.lgs. n. 112/1998, e 59, comma 46, legge n. 449/1997, che riservano allo Stato, e per esso al Ministro per la solidarieta' sociale, la determinazione dei criteri per la ripartizione del Fondo nazionale per le politiche sociali, si inserisce il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 19 ottobre 1998, recante "Definizione dei criteri e delle modalita' di ripartizione delle risorse del Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per gli esercizi 1997 e 1998". Tale decreto si richiama in premessa praticamente a tutte le disposizioni citate nella ricostruzione normativa che precede, per tentare di fondarvi un improbabile quadro normativo a supporto delle proprie prescrizioni. In realta' esso, operando una illegittima invasione delle competenze regionali in materia di "beneficenza pubblica e assistenza sanitaria e ospedaliera", risulta gravemente violativo delle prerogative costituzionali della ricorrente regione Lombardia, e si configura conseguentemente illegittimo per i seguenti motivi di D i r i t t o 1. - Quanto al decreto nella sua interezza: Violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 e del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 112 in riferimento agli artt. 5, 97, 117, 118 e 119 della Costituzione. Difetto di consultazione. La lesione delle prerogative costituzionali che le regioni vantano nella materia oggetto del d.P.C.M. 19.10.1998 si e' concretata gia' nella fase di elaborazione del decreto stesso. Come si legge nelle premesse del testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 284 del 4.12.1998, risulta che sia stato acquisito il parere della Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali, espresso in data 30 luglio 1998. Ai sensi dell'art. 8, d.lgs. n. 281/1997, detta Conferenza, presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri, conta tra i suoi membri: il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della Sanita', il Presidente dell'ANCI, il Presidente dell'UPI, il Presidente dell'UNCEM, 14 sindaci e 6 presidenti di provincia. Nessun rappresentante delle regioni partecipa di diritto alla Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali. Come codesta ecc.ma Corte ha chiarito con la sent. 14 dicembre 1998, n. 408, tra la Conferenza Stato-regioni e la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali non vi e' ne' coincidenza ne' fungibilita', e anzi le rappresentanze delle regioni e degli enti locali restano ben differenziate anche in seno alla Conferenza unificata. Il parere della Conferenza Stato-citta' non soddisfa in alcun modo, dunque, quella esigenza di consultazione con le regioni che anche in tale ultima pronuncia codesta ecc.ma Corte costituzionale ha avuto modo di valorizzare. Nella fase preparatoria del d.P.C.M. che qui si contesta, dunque, non risulta siano state coinvolte nelle debite forme le regioni. Cio' nonostante che la materia - rientrante nel settore "beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera" -sia espressamente riservata dagli artt. 117 e 118 della Costituzione alle competenze legislative ed amministrative regionali; che, successivamente, l'art. 131, d.lgs. n. 112/1998 abbia ribadito il conferimento alle regioni delle funzioni e dei compiti nella materia dei servizi sociali; che, ai sensi dell'art. 132 del medesimo decreto delegato, si debba attendere l'emanazione di una legge regionale per il conferimento ai comuni ed agli altri enti locali delle funzioni e compiti amministrativi concernenti i servizi sociali relativi a tossicodipendenti ed alcooldipendenti; che l'art. 133 del d.lgs. n. 112/1998 prescriva di sentire la Conferenza unificata in sede di ripartizione delle risorse disponibili sul Fondo nazionale per le politiche sociali; e che, infine, l'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281/1997 stabilisca che "la Conferenza Stato-regioni e' obbligatoriamente sentita in ordine agli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo o di regolamento del Governo nelle materie di competenza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano". Delle due, invero, l'una: o il decreto impugnato si configura quale atto di indirizzo e coordinamento, nel qual caso la sua illegittimita' deriverebbe dall'essere stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, senza che peraltro sia stata consultata la Conferenza Stato-Regioni, come prescrive l'art. 2, comma 3, d.lgs. n. 281/1997; ovvero esso non e' atto di indirizzo e coordinamento, nel qual caso e' comunque illegittimo per i motivi esposti piu' oltre, sub 4. Il livello di notevole analiticita' delle prescrizioni contestate, di gran lunga esorbitante i ridotti compiti mantenuti allo Stato dall'art. 129, d.lgs. n. 112/1998, violando il principio di buon andamento di cui all'art. 97 Cost., ridonda del pari in lesione delle competenze costituzionalmente riservate alle regioni. Se e' vero che la determinazione dei criteri di ripartizione del Fondo appartiene allo Stato, in ogni caso, in considerazione del fatto che ne e' coinvolta la programmazione regionale, tali criteri avrebbero dovuto essere stabiliti soltanto dopo avere formalmente acquisito il parere delle regioni e delle province autonome, espresso nella sede appropriata (cfr., in tal senso, Corte costituzionale, sent. 10 dicembre 1998, n. 398; cfr. anche sent. 28 dicembre 1995, n. 520, in "Giur. cost.", 1995, 4361). Codesta ecc.ma Corte, inoltre, ha gia' da tempo illustrato e reiterato l'insegnamento per cui un regolamento, pur configurato in pretesa esecuzione di leggi statali, non puo' porre norme intese a limitare la sfera delle competenze delle regioni in materie ad esse attribuite; e cio' sia in omaggio alle regole costituzionali sull'ordine delle fonti, sia per espressa disposizione dell'art. 17, comma 1, lett. b) e c), e comma 3 della legge n. 400/1988 (cfr. Corte cost., sent. 6 febbraio 991, n. 49, in "regioni", 1992, 231; sent. 13 maggio 1991, n. 204, in "Giur. cost.", 1991, 1853; sent. 31 ottobre 1991, n. 391, in "Cons. St.", 1991, II, 1654; sent. 19 novembre 1992, n. 461, in "Giur. cost.", 1992, 4152). Anche sotto questo profilo, dunque, si conferma l'esorbitanza del decreto impugnato dalla sfera di attribuzioni riservate allo Stato. 2. - Quanto al decreto nella sua interezza ed in particolare all'art. 1: Violazione degli artt. 5, 117, 118 e 119 Cost., anche in riferimento all'art. 127 comma 3, d.P.R. n. 309/1990; violazione dell'art. 32 della Costituzione in correlazione con gli artt. 3 e 97 Cost. Violazione del principio di leale collaborazione. Manifesta irragionevolezza del riparto delle risorse. L'art. 1 dell'impugnato decreto fissa una serie di percentuali assai rigide di ripartizione per "settori" delle risorse disponibili sugli stanziamenti per la lotta alla droga confluiti nel Fondo nazionale per le politiche sociali: 25% per il finanziamento di progetti presentati dai Ministeri, 68% per il finanziamento di progetti presentati dai comuni, singoli o associati, e 7% per il finanziamento di progetti regionali. L' irragionevolezza di tale aprioristico riparto e' manifesta, ove solo si consideri che esso non tiene neppure conto di criteri quali la qualita' e l'effettiva rilevanza dei progetti elaborati nelle diverse sedi. La disposizione in esame non contempla tra l'altro in nessun modo eventuali progetti elaborati dalle aziende sanitarie locali nell'ambito delle loro competenze, cosi' come riconosciute anche dalla legislazione in materia di assistenza socio-sanitaria. E' chiaro che esorbita dalle competenze mantenute in capo all'Amministrazione statale la fissazione di percentuali rigide di ripartizione delle risorse come quelle indicate nell'articolo in esame, determinate peraltro in misura del tutto arbitraria, senza l'esplicitazione dei criteri adottati e senza il coinvolgimento e la consultazione delle regioni. L'astrattezza della fissazione a priori di percentuali di riparto fra le categorie di enti territoriali interessati delle risorse disponibili, invero, impedisce il necessario apprezzamento dell'effettiva utilita' e meritevolezza dei progetti presentati, che ovviamente puo' essere compiuto solo a posteriori in sede di raffronto tra le varie iniziative di intervento. Non si puo' ritenere che un elemento di flessibilizzazione del sistema sia dato dall'art. 3, a tenore del quale "Le somme che eventualmente residuino all'interno di ciascuno dei settori di cui all' art. 1 del presente decreto sono nuovamente ripartite tra gli altri settori". La possibilita' che si determinino residui non deriva, infatti, da un raffronto "incrociato" tra i progetti presentati nei vari settori (che non e' affatto previsto), ma soltanto dall'ipotesi che tutti o alcuni dei progetti di un settore non osservino le priorita' indicate dall'art. 4. Se tali priorita' sono rispettate, infatti, all'interno di ciascun settore i progetti vanno necessariamente finanziati, anche se sono comparativamente meno utili ed efficaci di quelli presentati in settori diversi. Conseguentemente, e' evidente, le risorse ai progetti vengono assegnate secondo la rispettiva meritevolezza solo all'interno di ciascun settore, ma non vi e' alcun raffronto tra progetti di settori diversi. Nonostante l'art. 3, l'ammontare delle risorse destinate all'uno o all'altro settore resta dunque astrattamente predeterminato, con il risultato di ridurre la protezione del fondamentale diritto alla salute dei cittadini e di violare il non meno fondamentale principio del buon andamento dell'attivita' amministrativa (sul quale, da ultimo, codesta ecc.ma Corte costituzionale e' tornata con la sent. n. 1 del 1999). La violazione di quel diritto e di quel principio determina un diretto pregiudizio delle attribuzioni costituzionalmente riservate alle regioni (e quindi alla ricorrente), poiche' su di esse grava - come si e' visto - il dovere costituzionale di provvedere (nel modo piu' efficace) all'assistenza sanitaria dei cittadini. A tutto questo non varrebbe replicare che la rigidita' delle quote deriverebbe dall'art. 127, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, a tenor del quale "una quota almeno pari al 7 per cento degli stanziamenti di cui al comma li' e' destinata al finanziamento di progetti di iniziativa delle regioni volti alla formazione integrata degli operatori dei servizi pubblici e privati convenzionati per l'assistenza socio-sanitaria alle tossicodipendenze, anche con riguardo alle problematiche derivanti dal trattamento di tossicodipendenti sieropositivi". Infatti: a) la citata previsione legislativa fa riferimento solo a detta percentuale, e non menziona affatto le altre arbitrariamente previste dall'atto impugnato; b) il 7% identifica una soglia minima ("almeno ..".), e non una percentuale rigida; c) quella percentuale riguarda solo i progetti, fra quelli presentati dalle regioni, che hanno le finalita' ivi indicate, ma non fa alcun riferimento ai progetti regionali con finalita' diverse, che vanno dunque finanziati oltre quella percentuale. Ne' potrebbe ritenersi che le finalita' indicate dall'art. 127, comma 3, del d.P.R. n. 309 del 1990 siano le sole che i progetti regionali possano perseguire: e' evidente che le regioni hanno, in materia, competenza (costituzionalmente garantita) generale, che non potrebbe essere circoscritta dalle leggi ordinarie dello Stato. Ove fosse altrimenti, la disposizione menzionata dovrebbe ritenersi costituzionalmente illegittima, ma il principio dell'interpretazione conforme a Costituzione impone di interpretarla nel senso qui prospettato. Stando cosi' le cose, pero', l'atto impugnato risulta violativo degli artt. 5, 117, 118 e 119 della Costituzione anche in riferimento all'art. 127, comma 3, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, che - come dimostrato - impone al Governo di provvedere al finanziamento dei progetti regionali nella percentuale (minima|) del 7% per le finalita' ivi previste, salva la necessita' di finanziamento oltre tale soglia dei progetti aventi finalita' diversa. 3. - Quanto al decreto nella sua interezza, ed in particolare all'art. 2: Violazione degli artt. 3, 5, 32, 97, 117 e 118 della Costituzione sotto ulteriori profili; difetto di consultazione: violazione del principio di leale collaborazione. L'art. 2 del d.P.C.M. 19 ottobre 1998 stabilisce che con decreto del Presidente del Consiglio si provveda alla ripartizione per regioni della quota del fondo da assegnare ai comuni, e cio' sulla base dei seguenti dati: la popolazione giovanile residente individuata in base ai dati ISTAT; il livello di diffusione delle tossicodipendenze; il numero delle strutture pubbliche e del privato sociale; il rapporto fra rete di servizi pubblici e privati esistente e livello dei bisogni. La ripartizione per regioni avviene, quindi, ai sensi della citata norma, esclusivamente sulla base di dati disponibili a livello nazionale, senza tenere conto di dati sulle tossicodipendenze raccolti a livello locale e regionale, ne' di indicazioni provenienti dalle regioni medesime. Oltre alla manifesta irragionevolezza ed illogicita' del riparto, dunque, si deve rilevare come esso sia viziato anche sotto il profilo del difetto di consultazione e della lesione delle competenze programmatorie (e gestionali) regionali, ove solo si consideri che non e' prevista alcuna forma di coinvolgimento delle regioni, ne' nella raccolta dei dati sulla base dei quali operare il riparto, ne' tantomeno in sede di ripartizione delle risorse. E' parimenti violato il principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni, elaborato negli anni da codesta ecc.ma Corte (sent. 14 dicembre 1998, n. 408; sent. 10 dicembre 1998, n. 398; sent. 10 febbraio 1997, n. 19, in "Giur. cost.", 1997, 142; sent. 18 luglio 1997, n. 242, in "Cons. St.", 1997, II, 1099; sent. 23 dicembre 1994, n. 444, in "Giur. cost.", 1994, 3876; sent. 10 novembre 1992, n. 427, in "Giur. cost.", 1992, 3980). 4. - Quanto al decreto nella sua interezza, ed in particolare all'art. 4: Violazione degli artt. 3, 32, 97, 117 e 118 Cost., sotto ulteriori profili. L'art. 4 del d.P.C.M. 19 ottobre 1998 indica le priorita' a cui devono attenersi le Amministrazioni statali, le regioni ed i comuni nella predisposizione dei progetti da presentare per il finanziamento. Con cio', di fatto, si e' esercitata una funzione di indirizzo e coordinamento in materia riservata alla competenza regionale, che non puo' tuttavia, come in piu' occasioni ribadito da codesta ecc.ma Corte (cfr., ad es., sent. 14 dicembre 1998, n. 408; sent. 18 luglio 1991, n. 359, in "Cons. St.", 1991, II, 1306; sent. 7 aprile 994, n. 124, in "Giur. cost.", 1994, 1038; sent. 29 luglio 1992, n. 384, in "Cons. St.", 1992, II, 1165), legittimamente esplicarsi nell'adozione di un regolamento quale quello che ne occupa, mancando nella fattispecie tanto il prescritto requisito formale, rappresentato dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri, quanto quello sostanziale, rappresentato da un'idonea base legislativa che definisca principi e criteri normativi tali da orientare e delimitare la discrezionalita' del Governo. Si pretende, poi, con la disposizione in esame, di determinare, attraverso l'indicazione delle finalita' prioritarie a cui devono tendere i progetti, anche le funzioni ed i compiti in concreto spettanti ai comuni nella materia de qua, mentre - come indicato anche dall'art. 132, d.lgs. n. 112/1998 - e' prerogativa delle regioni individuare nello specifico tali compiti con legge. Nel merito, inoltre, l'art. 4 del contestato decreto, per quanto attiene ai progetti regionali, fa riferimento esclusivamente alla "formazione integrata degli operatori dei servizi pubblici e privati convenzionati per l'assistenza socio-sanitaria alle tossicodipendenze" ed alla "formazione per il trasferimento dei dati fra amministrazioni pubbliche regionali, fra amministrazioni regionali e centrali, fra amministrazioni regionali ed altri soggetti che operano nel settore delle tossicodipendenze a livello regionale". Non si considerano, viceversa, ulteriori finalita' fondamentali a cui dovrebbero essere tesi i progetti elaborati dalle regioni, in rapporto con le competenze che costituzionalmente ad esse spettano. Si pensi, esemplificativamente, alle funzioni di prevenzione ed informazione che anche il testo unico del 1990 riconosceva alle Regioni, e che invece il d.P.C.M. 19. ottobre 1998 indica tra le finalita' prioritarie dei progetti elaborati dalle Amministrazioni dello Stato. Sono dunque violati gli artt. 117 e 118 Cost., con riferimento alle norme interposte rappresentate dalle disposizioni dettate in materia di assistenza socio-sanitaria e di prevenzione, cura e riabilitazione degli stati di tossicodipendenza dai dd.P.R. nn. 4/1972 (artt. 1 e 2), 616/1977 (artt. 22, 27 e 32) e 309/1990 (artt. 113 e 127) e dal d.lgs.n. 112/1998 (artt. 131 e 132). 5. - Quanto al decreto nella sua interezza ed in particolare all'art. 6: Violazione degli artt. 3, 5, 32, 97, 117, 118 e 119 Cost., sotto ulteriori profili. Ai sensi dell'art. 6, d.P.C.M. 19 ottobre 1998, i progetti presentati per il finanziamento sono istruiti da un'apposita commissione istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. In ordine ai progetti elaborati dai comuni, si prevede che le regioni effettuino una valutazione preliminare di essi, le cui risultanze devono essere quindi sottoposte all'esame della predetta commissione istruttoria. In questo modo, poiche' l'assegnazione dei fondi e' mantenuta alla esclusiva competenza dello Stato, si ha - a prescindere dalle etichette - un fenomeno di sostanziale avvalimento degli uffici regionali da parte dello Stato medesimo, che si serve di essi allo scopo di gestire la fase di istruzione (e preliminare valutazione) dei progetti. E' noto, pero', che l'avvalimento e' legittimo solo se si assicura "il rispetto necessario dell'autonomia delle regioni, anche sotto il profilo della provvista dei mezzi finanziari necessari per fronteggiare nuovi oneri" (cosi', da ultimo, sent. n. 408 del 1998, punto 10 del Considerato in diritto). Nella specie, invece, nessuna provvista di ulteriori mezzi finanziari e' prevista. In tal modo, aggravando gli oneri sulle spalle delle regioni, si compromette irragionevolmente il raggiungimento degli obiettivi perseguiti (in violazione degli artt. 32 e 97 Cost., in riferimento agli artt. 3, 5, 117, 118 e 119 Cost.), e si incide direttamente (e illegittimamente) sull'autonomia amministrativa e finanziaria delle regioni stesse. 6. - Quanto al decreto nella sua interezza ed in particolare all'art. 7: Violazione del d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281 in riferimento agli artt. 5, 97, 117 e 118 Cost.. L'art. 7 del contestato decreto prescrive che l'approvazione dei progetti sia disposta con decreto ministeriale, sentiti il Comitato nazionale di coordinamento per l'azione antidroga di cui all'art. 1, d.P.R. n. 309/1990, e la Conferenza unificata di cui all'art. 8, comma 1, d.lgs. n. 281/1997. Ai sensi della disposizione da ultimo citata, la Conferenza Statocitta' ed autonomie locali e' unificata, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunita' montane, con la Conferenza Stato-regioni. Orbene, non e' dato comprendere la ragione che giustificherebbe la necessita' di sentire sempre la Conferenza unificata, in particolare quando si tratti di approvare progetti presentati dalle regioni. Risponderebbe a logica, oltre che ai principi di buon andamento, che in tale ipotesi venisse sentita la Conferenza Stato-regioni, non sussistendo alcun interesse in merito in capo a comuni e province.