ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 34 - e 34, comma 2 - 2 e 279 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1998 dalla Corte d'appello di Torino, nel procedimento penale a carico di Francesco Bergamo ed altri, iscritta al n. 579 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1998. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 13 gennaio 1999 il giudice relatore Cesare Mirabelli. Ritenuto che, con ordinanza emessa il 24 marzo 1998, la Corte d'appello di Torino ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 25, 27 e 101 della Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale: a) dell'art. 34, comma 2, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il giudice, investito del giudizio direttissimo, non possa partecipare al dibattimento nel caso in cui, nella fase anteriore allo stesso, abbia emesso, dopo aver convalidato l'arresto, ordinanza di custodia cautelare personale (questione, questa, gia' sollevata davanti al giudice di primo grado, che l'aveva dichiarata manifestamente infondata); inoltre, con una diversa prospettazione, della stessa disposizione, nella parte in cui non prevede, nella medesima situazione, che il giudice non possa partecipare alla celebrazione del dibattimento con rito abbreviato, richiesto e concesso nel corso dello stesso giudizio direttissimo; b) degli artt. 34, 2 e 279 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che la competenza del giudice per le indagini preliminari in merito alle misure cautelari si estenda fino alla fase degli atti preliminari al dibattimento, finche' il dibattimento stesso non sia stato aperto e, comunque, fino a quando il giudice non possa piu' essere sostituito nella sua composizione personale; che la Corte d'appello ritiene che quando la decisione del tribunale in merito alla custodia cautelare sia intervenuta nella fase preliminare al processo con rito direttissimo, ossia prima dell'apertura del dibattimento, non varrebbe la considerazione, posta a base della decisione di infondatezza di analoga questione (sentenza n. 177 del 1996), della unicita' della fase processuale e dell'essere il giudice che ha adottato il provvedimento cautelare gia' investito di un giudizio del quale non puo' essere spogliato; che, ad avviso dello stesso giudice rimettente, la trasformazione del rito, da direttissimo ad abbreviato, amplierebbe la distanza tra la fase preliminare del processo, nella quale e' stata applicata la misura cautelare, ed il giudizio, nel quale sarebbero utilizzabili gli stessi atti di polizia giudiziaria e di indagine presi in esame per l'emissione della misura cautelare; inoltre la situazione sarebbe analoga a quella del giudice per le indagini preliminari che procede al giudizio abbreviato dopo aver emesso ordinanza di custodia cautelare, per il quale la mancata previsione dell'incompatibilita' e' stata dichiarata costituzionalmente illegittima (sentenza n. 155 del 1996); che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata. Considerato che le questioni di legittimita' costituzionale riguardano, con diverse prospettazioni, l'incompatibilita' del giudice che, investito del giudizio direttissimo, ha convalidato l'arresto ed emesso un provvedimento di custodia cautelare nei confronti dell'imputato e prosegue il giudizio, eventualmente con la trasformazione del rito nelle forme del giudizio abbreviato; che la giurisprudenza di legittimita' esclude che le cause di incompatibilita' determinino la nullita' del provvedimento adottato dal giudice ritenuto incompatibile: difatti esse non incidono sui requisiti di capacita' del giudice mentre costituiscono motivo di ricusazione da far valere con la apposita procedura, nei termini da essa previsti, e non con l'impugnazione della sentenza; che l'ordinanza di rimessione non motiva sulla rilevanza delle questioni, sollevate in un giudizio di appello per una incompatibilita' che si sarebbe dovuta verificare nel giudizio di primo grado, limitandosi ad affermare che la prima questione corrisponde, nella sua duplice prospettazione, a un'eccezione proposta dalla difesa degli imputati nei motivi di impugnazione della sentenza di primo grado: l'ordinanza non chiarisce, difatti, quali conseguenze ai fini del giudizio di appello deriverebbero, quanto alla questione concernente l'art. 34, comma 2, cod. proc. pen., dal riconoscimento di una causa di incompatibilita' del giudice di primo grado e, quanto alla questione riferita agli artt. 34, 2 e 279 cod. proc. pen., dal superamento della pretesa incompatibilita' attraverso l'attribuzione ad altro giudice della competenza ad emettere misure cautelari personali; che, pertanto, le questioni devono essere dichiarate manifestamente inammissibili. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.