IL PRETORE Sciogliendo la riserva formulata all'udienza 13 novembre 1998; Premesso che, a seguito di deposito in data 1 agosto 1998 di ricorso monitorio, con decreto immediatamente esecutivo del 17 agosto 1998 il consigliere pretore ha ingiunto all'E.N.A.I.P. di Puglia di pagare a Rusponi Giovanni, per crediti di lavoro dipendente, L. 2.137.000 oltre accessori e spese processuali; che l'ente ha proposto rituale opposizione, deducendo, oltre a ragioni di merito, l'improcedibilita' del ricorso monitorio ex artt. 410 e 412-bis c.p.c., come modificati dal d.lgs. n. 80/1998, per non essere stato previamente esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione, e chiedendo, anche per detto motivo procedurale, la sospensione dell'esecutorieta' del decreto; che questo pretore ha fissato per la trattazione dell'inibitoria l'udienza del 13 novembre 1998, nel corso della quale l'opposto ha non soltanto affermato la validita' sostanziale del provvedimento impugnato, ma anche contestato il riferimento al quinto comma dell'art. 412-bis, in quanto al ricorso monitorio si applicherebbe il quinto comma di tale articolo; O s s e r v a Secondo l'interpretazione piu' accreditata in dottrina, anche alle procedure monitorie si applicherebbe la condizione di procedibilita' di cui all'art. 412-bis, comma 1, c.p.c. Deporrebbe in tal senso la dizione della norma, che fa riferimento alla procedibilita' della domanda (nel cui concetto andrebbe compreso il ricorso per decreto ingiuntivo), ed al quinto comma esclude la necessita' della condizione per i soli provvedimenti speciali d'urgenza e cautelari previsti negli articoli del c.p.c. da 669-bis a 700. L'opinione opposta muove dal presupposto, verosimilmente fondato, della mancata consapevolezza, da parte del legislatore, dell'applicabilita' della sanzione di improcedibilita' ai ricorsi per decreto ingiuntivo, e pone in luce, quale conseguenza dell'interpretazione criticata, la sostanziale vanificazione della possibilita' di utilizzare la procedura monitoria per i crediti di lavoro, che pure solitamente hanno natura alimentare, nonostante la presenza di una prova, come quella scritta, dotata di particolare attendibilita'. Sicche' sarebbe piu' agevole ottenere la soddisfazione provvisoria di tali crediti attraverso un provvedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., che attraverso il decreto ingiuntivo. Ritiene questo pretore che nessuna delle due interpretazioni sembra basarsi su argomenti decisivi: la prima infatti non riesce a dare conto delle ragioni dell'abrogazione di fatto degli artt. 633 ss. c.p.c. in materia di lavoro, che dalla stessa deriva, mentre la seconda e' costretta ad argomentare sulla base di una "svista" del legislatore, pure a fronte di una dizione letterale univoca, come quella dell'art. 412-bis comma 1 c.p.c. Di conseguenza, la richiesta di sospensione ex art. 649 c.p.c. risulta fondata su di una interpretazione dell'art. 412-bis c.p.c. che appare discutibile, ma non arbitraria, e certamente non e' contraria all'ancora non formato "diritto vivente". Detta interpretazione pertanto, nonostante la scarsa persuasivita' degli altri motivi di opposizione, appare da sola sufficiente a giustificare la concessione dell'inibitoria. Diviene allora rilevante la questione della costituzionalita' dell'art. 412-bis c.p.c., nonche' dell'art. 410-bis e del nuovo testo dell'art. 412 c.p.c., che di quella norma costituiscono il presupposto: da tale complesso normativo deriva la possibilita' che il ricorso per decreto ingiuntivo sia ritenuto improcedibile, e, di conseguenza, sia accolta l'istanza ex art. 649 c.p.c. ora in esame. Il d.lgs. n. 80/1998 costituisce attuazione della delega prevista dall'art. 11, comma 4, legge n. 59/1997, la cui lettera g), in particolare, nell'attribuire al giudice ordinario delle controversie di pubblico impiego, richiedeva "misure organizzative e processuali anche di carattere generale, atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato". Occorre poi ricordare che, secondo il testo dell'art. 76 Cost., ogni legge delega deve determinare principi e criteri direttivi univoci, idonei a costituire un serio vincolo per il legislatore delegato, e cioe' per il Governo, sicche' la mancanza o la genericita' di tali principi e criteri puo' determinare o l'incostituzionalita' della legge delega, o la necessita' di una sua interpretazione restrittiva, che elimini lo sconfinamento dell'Esecutivo nelle scelte legislative discrezionali, riservate al Parlamento. Avendo gli artt. 410, 410-bis e 412-bis c.p.c., come introdotti dagli artt. 36, 37 e 39 d.lgs. n. 80/1998, reso obbligatorio il tentativo stragiudiziale di conciliazione, in precedenza facoltativo, e' agevole rilevare che nella legge delega una tale obbligatorieta' non era prevista, facendo l'art. 11, comma 4, lettera g) riferimento a "procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato" senza altre qualificazioni. Sulla base di tale formulazione, il legislatore delegato poteva certamente disciplinare tali procedure, regolandone adeguatamente il funzionamento e favorendone la concreta operativita'. Ma non poteva stabilirne, a sua discrezione l'obbligatorieta', da cui non puo' che derivare, per l'ipotesi di inadempimento, il corollario dell'improcedibilita'. Detta obbligatorieta' non puo' desumersi neppure dal riferimento della citata lettera g) alle "misure processuali e organizzative (...) atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso". Dato per scontato che le procedure stragiudiziali di conciliazione non costituiscono "misure organizzative", deve anche escludersi che alle stesse possa in concreto attagliarsi il riferimento alle "misure processuali". Cio' per una ragione di carattere lessicale, in quanto tale periodo e' separato da quello riguardante le procedure stragiudiziali da un punto e virgola, segno di interpunzione che indica una netta distinzione dei piani di discorso; nonche' per una ragione di carattere sostanziale, in quanto non vi e' alcuna prova statisticamente apprezzabile che le norme che prevedono procedure stragiudiziali conciliative obbligatorie siano realmente "atte a prevenire il sovraccarico del contenzioso", e possano quindi ricomprendersi tra le predette "misure": si pensi soltanto alle norme di cui agli artt. 43-44 legge n. 392/1978, la cui indiscussa inutilita' e' stata certificata dall'abrogazione ad opera della legge n. 353/1990. Si rimettono quindi gli atti al giudice delle leggi.