IL PRETORE
   Visti  gli  atti  del  procedimento  n.  3404/1998   r.g.   Pretura
 Circondariale  Patti,  Sezione  di Naso, n. 1183/1997 r.g. notizie di
 reato, nei confronti di Origlio Giuseppe, nato a Naso il  19  gennaio
 1936,  imputato  del reato p.e.p. dall'art. 21, legge n. 319/1976 e 3
 d.P.R. n. 75/1990 per avere, nella qualita' di responsabile legale di
 un frantoio oleario, aperto nuovi scarichi, provenienti dal  lavaggio
 delle olive, in assenza della prescritta autorizzazione.
   Acc. in Naso il 22 novembre 1995
                           Premesso in fatto
   Con  decreto  penale n. 568/1997, emesso in data 27 ottobre 1997, a
 seguito della richiesta del p.m., depositata in data 8 ottobre  1997,
 Origlio  Giuseppe  veniva  condannato  per il reato di cui in rubrica
 alla pena di L. 1.000.000 di  ammenda  e  al  pagamento  delle  spese
 processuali.  Non menzione.
   Avverso  tale  decreto  notificato  il  16  marzo  1998, l'imputato
 proponeva rituale opposizione con atto del 19 marzo  1998,  chiedendo
 la  celebrazione  del  rito ordinario, che si instaurava a seguito di
 emanazione ad opera del g.i.p. del decreto che  dispone  il  giudizio
 datato 27 aprile 1998.
   Al   dibattimento,   celebratosi   alla   presenza   dell'imputato,
 preliminarmente la difesa chiedeva  venisse  sollevata  eccezione  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 459 c.p.p. nella parte un cui
 non prevede la nullita' della richiesta di decreto penale di condanna
 ove  non preceduto dall'invito all'indagato a presentarsi per rendere
 l'interrogatorio,  per  disparita'  di  trattamento   rispetto   alla
 previsione  di  cui  all'art.    555  c.p.p.  novellato e conseguente
 violazione dei principi costituzionali sanciti  dagli  art.  3  e  24
 della Costituzione.
   Il  pretore  ritiene  di  dover  sollevare la suddetta questione di
 illegittimita' costituzionale anche d'ufficio, per i  motivi  di  cui
 appresso.
                       Rilevanza della questione
   Secondo il disposto di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953 n.
 87,  il  primo  vaglio  del  giudice  "a  quo"  deve  essere  teso ad
 individuare la rilevanza della questione nell'ambito del giudizio  in
 corso,  ossia ad accertare se quest'ultimo "non possa essere definito
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale" in via incidentale.
   Prima  di  passare  all'esame di tale questione occorre precisare i
 motivi che hanno indotto questo giudicante a sollevare  la  questione
 di  illegittimita'  costituzionale proprio con riferimento alla norma
 contenuta nell'art. 459 c.p.p. e non piuttosto con  riferimento  alle
 altre norme disciplinanti il procedimento per decreto.
   Partendo    dall'assunto    piu'   volte   ribadito   dalla   Corte
 costituzionale, secondo il quale non possono essere prese in esame in
 ordine al parametro di cui all'art. 3 Cost., questioni che si fondino
 su situazioni disomogenee o incomparabili, e', infatti, da  escludere
 che  tale  norma possa individuarsi nell'art. 464 c.p.p., nella parte
 in cui disciplina l'emissione del decreto che dispone il giudizio  ad
 opera  del g.i.p., in quanto si riferisce ad un atto non equiparabile
 a quelli oggetto dell'intervento  modificatore  del  legislatore  del
 1997.
   Quest'ultimo  infatti  ha inteso colpire da nullita' unicamente gli
 atti che sono diretta esplicazione dell'esercizio dell'azione  penale
 da  parte  del p.m., come la richiesta di rinvio a giudizio (art. 416
 c.p.p.) e il decreto di  citazione  a  giudizio  (art.  555  c.p.p.),
 prevedendone la nullita' ove non preceduti dall'invito all'indagato a
 rendere  l'interrogatorio  ai  sensi dell'art. 375 c.p.p., altro atto
 tipico dell'ufficio del pubblico ministero.
   In  quest'ottica,  quindi, trasferendoci nell'ambito dello speciale
 procedimento per decreto, l'unico atto equiparabile ai suddetti,  sia
 sotto  il  profilo  della funzione (esercizio dell'azione penale) che
 dell'organo competente (p.m.), e' la richiesta di decreto  penale  di
 condanna  con  cui,  appunto,  il p.m. esercita l'azione penale nello
 speciale procedimento per decreto.
   Orbene, con riferimento a tale atto, un profilo  di  disparita'  di
 trattamento  rispetto  ai  procedimenti  ordinari, ovvero rispetto ai
 casi in cui il p.m. decida di  esercitare  l'azione  penale  a  mezzo
 della  richiesta di rinvio a giudizio (nei procedimenti di competenza
 del  tribunale)  o  del  decreto  di  citazione   a   giudizio   (nei
 procedimenti  di  competenza  pretorile),  puo'  porsi unicamente per
 quelli che siano stati  emessi  successivamente  al  9  agosto  1997,
 atteso  che  la  novella  del  16  luglio  1997, n. 234, per espressa
 disposizione legislativa (V. art. 3  della  predetta  legge)  non  si
 applica  ai  procedimenti  penali  nei quali, alla data di entrata in
 vigore della legge medesima (9 agosto 1997) appunto,  e'  gia'  stata
 depositata  la  richiesta di rinvio a giudizio o e' gia' stato emesso
 decreto di citazione a giudizio.
   E poiche', nel caso in esame, la richiesta  di  decreto  penale  di
 condanna  e'  stata  depositata dal p.m. nella cancelleria del g.i.p.
 in data 8 ottobre 1997, l'eventuale accoglimento della  questione  di
 illegittimita' costituzionale sollevata con riferimento all'art.  459
 c.p.p.,  nella  parte  in cui non prevede che la richiesta di decreto
 penale di condanna sia  preceduta  a  pena  di  nullita'  dall'invito
 all'indagato  a  presentarsi  per  rendere  l'interrogatorio ai sensi
 dell'art. 375  c.p.p.,  non  potrebbe  che  avere  diretta  rilevanza
 nell'ambito del giudizio in corso.
              Non manifesta infondatezza della questione
   La  mancata previsione dell'obbligo di procedere all'interrogatorio
 dell'imputato  prima  di  esercitare  l'azione  penale  mediante   la
 presentazione,  presso  la cancelleria del g.i.p., della richiesta di
 emissione di decreto penale di condanna, fa sorgere piu' di un dubbio
 circa la legittimita' costituzionale della norma di cui all'art.  459
 c.p.p., in relazione ai principi fondamentali sanciti dagli artt. 3 e
 24   della   Costituzione,   creandosi  una  evidente  disparita'  di
 trattamento rispetto alle ipotesi di decreto di citazione a  giudizio
 emesso nella forma ordinaria dal p.m. (art. 555 c.p.p)
   Secondo  lo  spirito  della riforma legislativa del luglio 1997 non
 puo'  procedersi   all'esercizio   dell'azione   penale   senza   che
 all'imputato  sia  data  la  possibilita'  di  esercitare  il diritto
 costituzionalmente garantito di difesa.
   Tale diritto ove utilmente esercitato puo' sortire oltre  l'effetto
 di  economia  giudiziaria di deflazionare i procedimenti che giungono
 in dibattimento, anche e soprattutto quello di impedire  all'indagato
 il  c.d.  strepitus  fori,  consentendogli  di  risolvere  la propria
 posizione  gia'  nella  fase  delle  indagini  preliminari,  mediante
 l'opportunita'  di  fornire  al  p.m.  tutti gli elementi che dovesse
 ritenere  utili  e  conducenti  al  fine  di  dimostrare  la  propria
 estraneita' al fatto ipotizzato.
   Ebbene,  il non prevedere tale possibilita' nel caso in cui il p.m.
 decida  discrezionalmete  (nel  concorso  dei  presupposti  stabiliti
 dall'art.    459  c.p.p.) di esercitare l'azione penale nei confronti
 dell'imputato  ricorrendo  alla  speciale  procedura   per   decreto,
 piuttosto  che  emettere l'ordinario decreto di citazione a giudizio,
 crea sicuramente una situazione di disparita' non giustificata.
   Vero  e'  che il procedimento speciale per decreto concede comunque
 la possibilita' all'imputato di  esercitare  il  proprio  diritto  di
 difesa  proponendo l'opposizione ex art. 461 e chiedendo (qualora non
 ritenga di dover scegliere uno dei riti alternativi)  lo  svolgimento
 del  giudizio  immediato,  ma e' pur vero che tale opportunita' viene
 concessa all'interessato non solo  dopo  che  questi  ha  assunto  la
 qualita'  di imputato (e, quindi, dopo l'esercizio dell'azione penale
 ad  opera del p.m.), ma, addirittura, dopo che  lo  stesso  e'  stato
 condannato  alle  pene  di  legge  (da questo punto di vista, come ha
 osservato il tribunale di Milano, nella sua ordinanza  di  rimessione
 del  21  gennaio  1998,  il  decreto  penale  di  condanna  assume un
 contenuto piu' intenso rispetto alla richiesta di rinvio a giudizio e
 al decreto di citazione a giudizio, situazione questa  che  amplifica
 ancor di piu' la presente problematica).
   Inoltre  l'opposizione  a  decreto  penale non consentendo il pieno
 espletamento  del  diritto  di  difesa  non  puo'  certo  paragonarsi
 all'interrogatorio reso ai sensi dell'art. 375 c.p.p.
   A   tal   proposito   va,   infatti,   osservato   che  sebbene  la
 giurisprudenza di legittimita' riconosca al g.i.p. la possibilita' di
 emettere eventualmente una sentenza allo stato degli atti,  ai  sensi
 dell'art.  129 c.p.p, anche dopo aver preso nuovamente cognizione del
 fascicolo, a seguito dell'opposizione proposta dall'imputato ai sensi
 dell'art. 461 c.p.p.,  tuttavia  non  e'  dato  al  giudice  prendere
 fattivamente in esame le difese che venissero eventualmente formulate
 dall'imputato   nell'atto   di   opposizione  e  che  se  riscontrate
 potrebbero condurre ad un suo proscioglimento anticipato.  Ne'  puo',
 alla  luce dei nuovi argomenti forniti dall'interessato, procedere ad
 attivita' di indagine suppletiva, come ad esempio  sentire  eventuali
 persone   informate  sui  fatti  indicate  dallo  stesso  imputato  o
 acquisire documentazione o prove di altro genere, essendo tutto  cio'
 inevitabilmente rimandato alla successiva fase dibattimentale.
   La  scelta del p.m. di richiedere l'emissione del decreto penale di
 condanna, obbliga, pertanto,  l'imputato  che  voglia  esercitare  il
 proprio  diritto  di difesa a richiedere la celebrazione del giudizio
 immediato dinanzi al Pretore.
   Al contrario, nelle ipotesi  in  cui  il  p.m.  prescelga  il  rito
 ordinario,   tali   attivita'   potranno  utilmente  essere  compiute
 dell'indagato nel corso dell'interrogatorio reso ai  sensi  dell'art.
 375  c.p.p.,  aprendosi  per  lui  la  prospettiva  di  una eventuale
 archiviazione del procedimento e, quindi, di  definizione  della  sua
 posizione  processuale  ancor  prima  che  venga  esercitata l'azione
 penale.