IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause riunite iscritte al n. 3961+3962/1998 r.g. promosse da Ripamonti Maria Rosa e Visioli Anna Ivana rappresentate e difese dagli avv.ti Guido Alpa, Alberto Maggi e Giovanni Gazzaniga; Contro il Fondo pensioni per il personale Cariplo rappresentato e difeso dagli avv.ti Natalino Irti e Marco Janni, con l'intervento della Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde S.p.a. rappresentata e difesa dall'avv. Paolo Tosi; Con ricorsi depositati in data 16 giugno 1998, Mariarosa Ripamonti ed Anna Ivana Visioli, entrambe dipendenti della Cassa di Risparnio delle Provincie Lombarde ed iscritte al Fondo pensioni per il personale Cariplo, premesso che in base alle disposizioni dello statuto del Fondo pensioni, ai lavoratori con trenta anni di anzianita' contributiva che abbiano compiuto cinquanta anni di eta' e' dovuta una pensione diretta di anzianita', previa rassegnazione delle dimissioni, nella misura dei trenta/trentacinquesimi del 75% delle voci pensionabili dell'ultima retribuzione, che intendevano fruire della pensione diretta di anzianita, deducevano che, a seguito e per l'effetto dell'entrata in vigore della legge 27 dicembre 1997, n. 449, era sorta una situazione di incertezza sulla possibili'ta di beneficiare del trattamento in questione. La nuova normativa, infatti, nel prevedere che i trattamenti previdenziali integrativi siano concessi secondo i requisiti previsti dall'assicurazione generale obbligatoria, aveva innalzato i requisiti di eta' per il diritto alla pensione di anzianita' stabiliti dallo statuto del Fondo pensioni. Le parti chiedevano, in via pregiudiziale, previa declaratona di rilevanza e di non manifesta infondatezza dell'eccezione di illegittimita costituzionale dell'art. 59, comma 3, legge 27 dicembre 1997, n. 449, in rapporto agli artt. 3, 38, 39, 41 e 47 Cost., previa sospensione del processo, di rimettere gli atti alla Corte costituzionale. Nel merito, veniva chiesto che fosse accertato e dichiarato il diritto delle ricorrenti alla pensione diretta di anzianita', in presenza delle condizioni di cui all'art. 17 dello Statuto, che la Visioli avrebbe maturato in data 20 marzo 2002 oppure, previa ricongiunzione contributiva, in data 25 luglio 2001, e gia' maturate il 29 settembre 1997 dalla Ripamonti, la quale formulava domanda di condanna del Fondo, dopo le dimissioni che la stessa si riservava di rassegnare all'esito del giudizio, alla erogazione del relativo trattamento. lnstauratosi ritualmente il contraddittorio, si e' costituito il convenuto Fondo pensioni per il personale Cariplo deducendo di non avere una contrapposta tutela da invocare. E' stato spiegato intervento ex art. 419 c.p.c. dalla Cariplo S.p.a., che ha posto articolate argomentazioni sulla manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimita. L'eccezione di incostituzionalita' sollevata nel corso del giudizio e' da ritenersi rilevante, posto che il diritto delle ricorrenti alla prestazione pensionistica complementare secondo le norme statutarie e' direttamente condizionato, per entrambe le azioni esperite di accertamento e di condanna, dalla rimozione della norma sospettata di illegittimita'. L'art. 59, comma 3, legge 27 dicembre 1997, n. 449, prevede che, a decorrere dal 1 gennaio 1998, per tutti i soggetti nei cui confronti trovino applicazione le forme pensionistiche che garantiscono prestazioni definite in aggiunta o ad integrazione del trattamento pensionistico obbligatorio, ivi comprese quelle di cui al decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 357, il trattamento si consegue esclusivamente in presenza dei requisiti e con la decorrenza previsti dalla disciplina generale obbligatoria di appartenenza. Tale disposizione si inserisce nelle linee di intervento in materia previdenziale, dirette, secondo le indicazioni dei lavori preparatori, ad un generale obiettivo di riduzione della spesa sociale, e che prevedevano anche la armonizzazione delle forme previdenziali sostitutive, esonerative ed integrative con la disciplina prevista per l'assicurazione generale obbligatoria, con riferimento alle aliquote di rendimento, agli aumenti dei periodi di servizio, ai requisiti ed alla decorrenza per la corresponsione di prestazioni integrative, alle modalita' di perequazione, all'eta' pensionabile. Risulta cosi' stabilito un legame funzionale diretto tra la previdenza pubblica e la previdenza privata, fino ad uniformarne il livello di tutela, di fronte alla riduzione del grado di copertura offerto dal sistema di base. Analoga contestualita' delle prestazioni era stata introdotta dall'art. 18-quinquies del decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, aggiunto dalla legge 8 agosto 1995, n. 335, il quale disponeva che l'accesso alle prestazioni per anzianita' e vecchiaia assicurate dalle forme pensionistiche di cui al comma 1, che garantiscono prestazioni definite ed integrazioni del trattamento pensionistico obbligatorio, e' subordinato alla liquidazione del suddetto trattamento. Si trattava, peraltro, di un intervento di modifica (che rigarda solo i vecchi fondi gia' esistenti all'entrata in vigore della legge 1992 n. 441) che espressamente faceva salvi i diritti acquisiti dai lavoratori subordinati che erano iscritti ai fondi pensione complementari prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo 1993, n. 124. ai quali continuava ad applicarsi il precedente regime statutario. Nel dibattito seguito alla legge, si e' ritenuto che l'imposizione dei vincoli fosse giustificata, poiche' diretta ad evitare che l'erogazione di prestazioni anticipate rispetto a quelle dell'A.G.O., dopo l'inasprimento dei requisiti di accesso alla pensione pubblica, potesse compromettere l'equilibrio dei fondi. Ma si sono anche delineati profili di illegittimita', con riferimento all'art. 3 della Costituzione e, per i pesanti limiti alla liberta contrattuale delle parti sociali, all'art. 39 ed all'art. 41 Cost. In particolare, si segnala l'ordinanza del pretore di Bologna 27 marzo 1996 che in riferimento all'art. 15 legge 1995 n. 335; ha rimesso alla Corte costituzionale il giudizio se il Parlamento, nell'intervenire sulla libera iniziativa contrattuale privata in materia della previdenza complementare dei lavoratori dipendenti, abbia dato corretta applicazione dei limiti previsti dall'art. 41 della Cost. E' stato prospettato, inoltre, il contrasto con la norma sulla liberta' sindacale di cui all'art. 39 Cost. per la compressione della liberta' di iniziativa sindacale, correlata con l'iniziativa privata. I medesimi sospetti di illegittimita sono ravvisabili per la disposizione dell'art. 59, comma 3, legge 1997 n. 449, laddove l'intervento legislativo ha limitato, in via assoluta e senza alcuna deroga, i requisiti di accesso alle prestazioni previdenziali private. In relazione ai parametri costituzionali, si prospetta la violazione dell'art. 39 Costituzione. Come e' stato sottolineato dalle parti ricorrenti, la contrattazione collettiva ha rappresentato un ineludibile momento di definizione delle contribuzioni e delle prestazioni del Fondo pensioni, come elemento rilevante del complessivo trattamento economico e normativo dei dipendenti Cariplo. E' significativo, al riguardo, l'accordo aziendale del 19 aprile 1994 con il quale era stato concordato il trattamento di previdenza e di quiescenza spettante al personale, e sulla base del quale era stato redatto il testo del "uovo Statuto del Fondo pensioni, approvato dal Consiglio di amministrazione del Fondo, dalla Cariplo e dagli iscritti mediante referendum. Il ruolo della negoziazione e', del resto, espressamente riconosciuto nella disciplina legale della previdenza complementare, posto che l'art. 3 decreto legislativo n. 124 del 1993 ha designato la contrattazione collettiva come la principale fonte istitutiva delle forme pensionistiche private e affida alla volonta' delle parti il problema di un eventuale riequilibrio finanziario dei fondi pensione. E' corretto affermare, quindi, che spetta alle parti sociali, attraverso lo strumento della negoziazione contrattuale, la valutazione della opportunita' di una revisione delle prestazioni previdenziali a carico del Fondo. L'intervento legislativo operato altera, invece, la disciplina e gli equilibri realizzati dall'autonomia collettiva, invalidando il contenuto delle clausole in vigore, e pregiudicando per il futuro la libera determinazione dell'autonomia collettiva riguardo all'aspetto fondamentale della misura e requisiti delle prestazioni. E', pertanto, ravvisabile la lesione della iniziativa sindacale, che non appare giustificata dalle esigenze eccezionali e temporanee o dalla salvaguardia di superiori interessi generali, che hanno costituito, nelle valutazioni della Corte costituzionale, il limite di ammissibilita' della compressione legale della liberta' sindacale (v. sent. Corte costituzionale 26 marzo 1991, n. 124). Le valutazioni espresse evidenziano il contrasto della misura attuata dal legislatore anche in relazione al precetto dell'art. 41 Costituzione che tutela il libero esercizio dell'attivita' economica. La partecipazione, infatti, della previdenza complementare al sistema di sicurezza sociale non pare giustifichi la perdita dei connotati di autonomia organizzativa e gestionale che consentono la incentivazione ed espansione dei fondi, rese necessarie proprio dalla riduzione del trattamento pubblico. E' condivisibile, infine, il formulato richiamo al principio dell'art. 3 Cost. La norma in questione, che, a differezza dal precedente regime, non prevede alcun esonero dal divieto di anticipata prestazione, incide sui diritti maturati e sulle aspettative degli iscrtti per il conseguimento dei trattamenti previdenziali secondo le regole del fondo di appartenenza. Si rileva che, secondo la Consulta, non puo dirsi consentita una modificazione legislativa che, intervenendo o in una fase avanzata del rapporto di lavoro oppure quando sia gia' subentrato lo stato di quiescenza, abbia peggiorato senza una inderogabile esigenza, in misura notevole ed in maniera definitiva, un trattamento pensionistico in precedenza spettante, con conseguente irrimediabile vanificazione delle aspetative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attivita' lavorativa (Corte cost. 1985 n. 349; Corte costituzionale 1994 n. 240). Vanno, inoltre, salvaguardati da una irrazionale regolamentazione deteriore anche le aspettative prossime a diventare diritti, poiche' l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica "costituisce elemento fondamentale ed indispensabile dello stato di diritto" (Corte cost. 14 luglio 1988 n. 822; Corte cost. 10 febbraio 1993, n. 39). Nel caso in esame, premesso che il sacrificio imposto non comporta benefici per la finanza pubblica, trattandosi di prestazioni a finanziamento privato, si deve ritenere la irragionevolezza della modifica legislativa, che in violazione del principio dell'affidamento compromette situazioni sostanziali consolidate. E' manifestamente infondata, invece, la eccezione di violazione dell'art. 3 della Costituzione invocata per la disparita di trattamento tra coloro che risultano iscritti ai fondi pensione prima e dopo il 21 aprile 1993, data di entrata in vigore del d.lvo n. 124/1993, per i quali e' riconosciuto, per le pensioni di anzianita' un regime piu' favorevole. Va rilevato che la censura formulata riguarda situazioni non omogee, che non consentono un raffronto in termini di uguaglianza, atteso che le forme complementari preesistenti stabiliscono prestazioni definite mentre per la nuova previdenza complementare dei lavoratori subordinati a contribuzione definita l'importo della prestazione pensionistica finale non e' predeterminato e dipende dai risultati di gestione delle risorse accantonate. Ingiustificato appare anche il richiamo ai parametri costituzionali dell'art. 38 comma 5 e dell'art. 47 Costituzione, laddove viene dedotta la illegittimita' di ogni forma di intrusione da parte del legislatore che non sia dettata da ragioni di tutela del lavoratore-risparmiatore. Tale tesi si basa su di una rigida separazione delle funzioni della previdenza pubblica e privata, secondo un modello superato dalla normativa vigente. Si osserva che le leggi del 1993 e del 1995 hanno mostrato di coltivare l'intento di una collocazione della previdenza complementare all'interno della complessiva struttura diretta ad attuare la garanzia di cui all'art. 38 comma secondo Costituzione: l'art. 1 d.lgs. 21 aprile 1993, n. 124, infatti, riconosce che la previdenza integrativa e' destinata ad erogare trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio pubblico al fine di assicurare piu' elevati livelli di copertura previdenziale. Tale funzione di concorso della previdenza privata alla realizzazione del principio di adeguatezza della prestazione previdenziale ed il principio solidaristico che ad essa inerisce, espressamente richiamato nella sentenza delle Corte costituzionale 1995 n. 42, hanno indubbiamente contribuito a modificare il modello organizzativo della sicurezza sociale, dove l'incentivazione ed il potenziamento della previdenza complementare, anche con vantaggi fiscali e contributivi, vengono visti come misure necessarie per far fronte alla crisi del "welfare state". Cio' implica che la disciplina limitativa e di coordinamento, che persegua gli obiettivi previsti dall'art. 38 Costituzione, non costituisca di per se' diretta lesione della liberta' della previdenza privata, fatta salva la valutazione, affidata alla Corte costituzionale, e nei termini espressi, dei limiti della discrezionalita' del legislatore.