IL PRETORE Nel processo penale a carico di Sacchetti Piero, nato a Montenero di Bisaccia il 14 maggio 1940, imputato del reato di cui all'art. 12-sexies legge n. 898/1970, commesso in Montemarciano ed in corso al 9 luglio 1991; Premesso: che con decreto di citazione del 26 gennaio 1995 l'imputato veniva rinviato a giudizio per un fatto erroneamente qualificato come integrante la previsione dell'art. 570 commi 1 e 2 n. 2 c.p., per essersi sottratto agli obblighi di assistenza familiare nei confronti del coniuge divorziato; che nella prima udienza, caduta il 16 ottobre 1997, dopo la dichiarazione di contumacia dell'imputato, il p.m. modificava l'imputazione sia nella qualificazione giuridica, contestando il delitto di cui all'art.12-sexies legge n. 898/1970, sia mediante la precisazione di taluni elementi materiali, determinando cosi' il rinvio del processo per la notifica del verbale di udienza all'imputato medesimo; che all'udienza del 12 giugno 1998 il processo doveva essere ulteriormente rinviato per l'assenza dell'unica teste della pubblica accusa, nonche' persona offesa, Pecora Igina, della quale veniva disposto l'accompagnamento per l'ulteriore udienza cui il processo veniva rinviato; che in data 13 luglio 1998 sopraggiungeva un ulteriore verbale di remissione della querela da parte della signora Pecora, che si andava ad aggiungere a quello, datato 23 aprile 1997, gia' presente nel fascicolo per il dibattimento; che, infine, all'odierna udienza, sorgevano nel giudice dubbi sulla legittimita' costituzionale della norma di legge nella quale trova titolo il delitto contestato; O s s e r v a Non vi e' dubbio, in primo luogo che l'esatta qualificazione giuridica del delitto per cui si procede sia quella contestata dal p.m. all'imputato all'udienza del 16 ottobre 1997 e non quella originariamente riportata nel decreto di citazione a giudizio, posto che il fatto-reato oggetto del processo risulta consistere nel mancato pagamento di circa due anni di assegni di mantenimento alla moglie divorziata, Pecora Igina. Cio' risulta infatti gia' allo stato degli atti, sia dal tenore della querela che dalla stessa descrizione del fatto formulata dal p.m. sia nell'originaria imputazione che in quella modificata. Il problema che si pone e' invece quello della procedibilita' dell'azione penale, in considerazione delle due remissioni di querela attraverso le quali la persona offesa ha manifestato e ribadito la propria ferma volonta' di porre fine al processo su suo impulso iniziato. Purtroppo, deve ritenersi che il reato di cui all'art. 12-sexies, legge 1 dicembre 1970, n. 898 (come introdotto dall'art. 21 della legge 6 marzo 1987, n. 74) sia perseguibile di ufficio anche quando riguarda l'inadempimento in danno dell'ex coniuge, a differenza dell'analogo delitto previsto dall'art. 570 c.p., il cui elemento materiale tuttavia puo' venire sostanzialmente a coincidere allorche' la violazione degli obblighi di assistenza familiare si concretizzi nella mancata corresponsione dei mezzi economici necessari al mantenimento del coniuge legalmente separato. In tale sottofattispecie il delitto del codice penale differisce da quello dell'art. 12-sexies legge n. 898/1970 principalmente per lo status del soggetto attivo, che non e' piu' quello di coniuge (eventualmente separato senza colpa), bensi' quello di ex coniuge ormai divorziato. Viceversa l'inadempimento viene ad assumere la stessa natura patrimoniale, seppure nel caso di cui all'art. 570 c.p. la prestazione economica disattesa non possiede lo stesso preciso carattere di predeterminazione che e' proprio dell'assegno di cui all'art. 5 della stessa legge n. 898/1970, posto che la Corte di cassazione ha piu' volte chiarito che non vi e' esatta coincidenza fra la violazione dell'obbligo di corrispondere l'assegno di mantenimento stabilito nel giudizio di separazione dei coniugi e la condotta tipicamente integrante il delitto previsto dall'art. 570 c.p. Per entrambe le fattispecie, in ogni caso, l'inadempimento di una prestazione di contenuto patrimoniale destinata al mantenimento rispettivamente del coniuge o dell'ex coniuge concreta un delitto punito con le stesse pene. Seppure entrambi i reati prevedono condotte analoghe e tutelano analoghi valori (nella specie il coniuge piu' debole sia in costanza di matrimonio, che nelle fasi successive della separazione e dell'avvenuto scioglimento degli effetti civili), tuttavia risultano immotivatamente diversificate quanto al regime della perseguibilita', poiche' - come anticipato e con riguardo al reato commesso in danno di chi e' od era coniuge - l'art. 570 c.p. prevede sempre e comunque la necessita' della querela, mentre non cosi' l'art. 12-sexies citato. Quest'ultimo, infatti, non rimanda al regime sanzionatorio dell'articolo del codice penale nel suo complesso, bensi' solo alle pene ivi previste, facendo pertanto venir meno per la nuova fattispecie prevista per il divorziato il regime della perseguibilita' a querela, che costituisce eccezione all'opposta regola della perseguibilita' di ufficio di ogni reato. Cio' detto, occorre pure rilevare come la perseguibilita' di ufficio si traduce in una maggiore tutela penale offerta ex ante al possibile soggetto passivo del reato nei confronti della condotta illecita tipicizzata, nel senso che l'agente, nella fase della scelta se perpetrare o meno il delitto, viene maggiormente disincentivato alla sua realizzazione se e' consapevole che l'eventuale perdono della persona offesa non potra' essergli di alcun giovamento. Ne deriva che, paradossalmente, nell'attuale sistema sanzionatorio rappresentato dalle due norme qui in esame, il diritto al mantenimento del coniuge non legalmente separato per sua colpa e' tutelato in minore misura di quello del divorziato. Mentre, specularmente vista la stessa questione, la posizione del coniuge ormai divorziato appare aggravata rispetto a quella del coniuge, eventualmente separato senza colpa, di cui all'art. 570 c.p., giacche' solo quest'ultimo puo' beneficiare della remissione della querela. Le due norme, al contrario, avrebbero dovuto essere tra loro complementari e prevedere lo stesso regime di perseguibilita', atteso che vengono a tutelare un legame giuridico che si va affievolendo sempre piu' attraverso la separazione e poi lo scioglimento del matrimonio. Si verifica dunque una ingiustificata disparita' di trattamento di situazioni simili, ove anzi il regime piu' grave della perseguibilita' di ufficio e' comminato per un reato (quello di cui all'art. 12-sexies) meno grave, in quanto offensivo di un bene giuridico piu' affievolito, con incomprensibile rapporto di inversa proporzionalita' fra la diversa procedibilita' ed i valori tutelati dai precetti penali. Responsabile di cio' risulta essere la cattiva formulazione dell'art. 12-sexies, legge n. 898/1970 nella parte in cui non prevede che la fattispecie ivi introdotta sia punita secondo i termini di cui all'art. 570 c.p. invece che solo con "le pene" dello stesso. Tale norma offende infatti in primo luogo l'art. 3 della Costituzione sia perche' - sotto il profilo dell'agente - finisce col punire piu' severamente il coniuge divorziato rispetto a quello convivente o legalmente separato senza colpa, sia perche', nella diversa ottica del soggetto passivo, tutela maggiormente il primo rispetto al secondo. E' da ritenere inoltre che tale maggiore tutela accordata al divorziato e quindi al singolo in quanto tale rispetto al coniuge convivente o separato, pur in relazione allo stesso legame familiare che fonda il diritto al mantenimento, e' offensiva anche dell'art. 29 della Costituzione, in quanto disconosce il maggior valore dei "diritti della famiglia", preferendovi quelli dell'individuo ormai singolo. La questione di costituzionalita' qui sollevata e' dunque non manifestamente infondata ed inoltre rilevante, giacche' la procedibilita' di ufficio della norma contestata impedisce a questo pretore di pronunciare sentenza di non doversi procedere ex art. 129 c.p.p., cosi' come viceversa in concreto avrebbe potuto fare nei confronti del medesimo imputato se il regime di procedibilita' fosse stato identico a quello di cui all'art. 570 c.p.