ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 208, 490 e
 513, commi 1 e 2, del codice di procedura penale e dell'art. 6, della
 legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifiche delle disposizioni del  codice
 di procedura penale in tema di valutazione delle prove), promossi con
 ordinanze  emesse  il  25  marzo 1998 dal Tribunale di Pistoia, il 10
 aprile 1998 dal  Tribunale  di  Gorizia,  il  20  febbraio  1998  dal
 Tribunale  di  Torino, il 28 aprile 1998 dal Tribunale di Pescara, il
 15 aprile 1998 dal Tribunale di  Locri  e  il  24  ottobre  1997  dal
 Tribunale  di  Milano, rispettivamente iscritte ai nn. 417, 418, 427,
 526, 535 e  567  del  registro  ordinanze  1998  e  pubblicate  nella
 Gazzetta  Ufficiale della Repubblica nn. 24, 25, 29 e 36, prima serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Visto l'atto di intervento del procuratore della Repubblica  presso
 il Tribunale di Torino, nonche' gli atti di intervento del Presidente
 del Consiglio dei Ministri.
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che il Tribunale di Pistoia (r.o. n.  417  del  1998),  il
 Tribunale  di  Gorizia (r.o. n. 418 del 1998), il Tribunale di Torino
 (r.o. n. 427 del 1998), il Tribunale di  Pescara  (r.o.  n.  526  del
 1998), il Tribunale di Locri (r.o. n. 535 del 1998) e il Tribunale di
 Milano   (r.o.   n.   567   del  1998)  dubitano  della  legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 24,  25,  27,  97,  101,
 102, 111 e 112 della Costituzione, dell'art. 513, comma 1, del codice
 di  procedura  penale, nella parte in cui subordina al consenso degli
 altri imputati l'utilizzazione nei loro confronti delle dichiarazioni
 rese durante  la  fase  delle  indagini  dall'imputato  nel  medesimo
 procedimento  che  in  dibattimento  rimanga  contumace  o rifiuti di
 sottoporsi all'esame;
     che, in particolare, la disposizione denunciata violerebbe l'art.
 3 della Costituzione perche', per circostanze di fatto o  processuali
 del tutto casuali, detta una disciplina irragionevolmente diversa per
 l'utilizzazione delle dichiarazioni in precedenza rese dal coimputato
 contumace,  irreperibile,  o  che  rifiuti  di  sottoporsi all'esame,
 rispetto al caso analogo, disciplinato dall'art. 513, comma  2,  cod.
 proc.   pen., in cui le dichiarazioni siano state rese da un soggetto
 irreperibile  nei  cui  confronti  si  procede  o  si  e'   proceduto
 separatamente  (r.o.  nn. 417, 427, 526 del 1998), ovvero rispetto ai
 casi, disciplinati dagli artt. 431, 500, 503, 512 e  513  cod.  proc.
 pen.,  di  sopravvenuta imprevedibile irripetibilita' dell'atto (r.o.
 nn. 526 e 567 del 1998); e  perche',  consentendo  al  coimputato  di
 decidere   se   ripetere  le  sue  dichiarazioni  eteroaccusatorie  a
 dibattimento e nei  confronti  di  quale  imputato  ripeterle,  rende
 effettivo  il  potere  di  quest'ultimo di opporsi alla utilizzazione
 delle  precedenti  dichiarazioni  e   determina   una   irragionevole
 disparita' di trattamento tra imputati (r.o. n.  418 del 1998);
     che,  a  parere dei rimettenti, la disciplina censurata, violando
 irragionevolmente il principio processuale di non  dispersione  della
 prova e cosi' impedendo l'accertamento dei fatti, si porrebbe pure in
 contrasto  con  gli artt. 24, 25, 101, 102, 111 e 112 Cost., perche':
 condizionando  al  consenso dell'imputato l'utilizzazione di elementi
 di prova a suo carico, danneggia la parte civile che su tali elementi
 fondi la  sua  pretesa  di  risarcimento;  consente  all'imputato  di
 impedire   l'accertamento   della  sua  responsabilita'  ed  ostacola
 l'accertamento giudiziale  della  verita';  consente  alle  parti  di
 disporre  della  prova  e,  di  conseguenza,  del  processo  e  della
 regiudicanda; ostacola  allo  stesso  tempo  l'esercizio  dell'azione
 penale,  il  motivato convincimento del giudice e la possibilita' che
 si addivenga ad una  giusta  decisione,  violando,  quindi,  anche  i
 principi della sottoposizione del giudice soltanto alla legge e della
 indefettibilita' della giurisdizione;
     che  il  Tribunale  di Pistoia e il Tribunale di Gorizia dubitano
 inoltre,  in  riferimento  all'art.  3  Cost.,   della   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  6  della  legge  n.  267 del 7 agosto 1997
 (Modifiche delle disposizioni del codice di procedura penale in  tema
 di   valutazione   delle   prove),  nella  parte  in  cui  non  detta
 disposizioni transitorie per i giudizi pendenti alla data di  entrata
 in  vigore  della  legge, nei quali non e' piu' possibile far ricorso
 all'incidente probatorio e non e' stata gia' disposta la lettura  dei
 verbali   contenenti   le   dichiarazioni   in  precedenza  rese  dai
 coimputati, cosi' comportando  l'immediata  applicabilita'  dell'art.
 513 come modificato dalla legge n. 267 del 1997, per la irragionevole
 diversita'  di  trattamento che si determinerebbe nei procedimenti in
 corso al momento dell'entrata in vigore della legge,  a  seconda  che
 sia  possibile o meno fare ricorso all'incidente probatorio, ovvero a
 seconda della progressione dell'attivita'  dibattimentale  e,  cioe',
 del  fatto  che sia gia' stata data lettura, o meno, delle precedenti
 dichiarazioni del coimputato;
     che analoghe  censure,  formalmente  rivolte  alla  disciplina  a
 regime,  vengono sostanzialmente mosse alla disciplina transitoria di
 cui all'art. 6 della legge n. 267 del 1997 dal Tribunale di  Pescara,
 dal Tribunale di Locri e dal Tribunale di Milano;
     che  il  Tribunale  di  Pistoia  dubita  anche della legittimita'
 costituzionale dell'art. 513, comma 2, cod. proc. pen.,  nella  parte
 in  cui  subordina  all'accordo delle parti l'utilizzabilita' ai fini
 della decisione delle dichiarazioni rese nella  fase  delle  indagini
 preliminari  dall'imputato  di  reato  connesso  che  si  avvalga  in
 dibattimento della facolta' di non rispondere,  in  riferimento  agli
 artt.  3  e  27  Cost.,  perche', diversificando irragionevolmente la
 disciplina riservata a tali dichiarazioni rispetto agli analoghi casi
 di  dichiarazioni  irripetibili  rese  nel   corso   delle   indagini
 preliminari,  disciplinate  dagli  artt. 500, comma 4, 511-bis, 512 e
 512-bis, cod. proc. pen., sacrifica il principio di conservazione dei
 mezzi di prova ed ostacola la ricerca della verita' e la possibilita'
 di decisioni non contraddittorie e giuste;
     che, infine, il Tribunale di Milano, dubitando della legittimita'
 costituzionale dell'art. 513, comma 1, cod. proc. pen.,  ritiene  che
 la  censura  vada estesa all'art. 208 cod. proc. pen., nella parte in
 cui prevede che l'imputato, che abbia reso alla  polizia  giudiziaria
 operante  su delega del pubblico ministero dichiarazioni direttamente
 o  indirettamente  indizianti  a  carico  di  altri  imputati,  possa
 avvalersi nel dibattimento della facolta' di non sottoporsi all'esame
 o  di  non rispondere, e all'art. 490 cod. proc. pen., nella parte in
 cui  esclude che il giudice possa disporre l'accompagnamento coattivo
 dell'imputato  nei  casi  in  cui  abbia  l'obbligo   di   sottoporsi
 all'esame;
     che,  a parere di questo rimettente, la disciplina risultante dal
 combinato di tali disposizioni violerebbe gli artt. 2,  3,  25,  101,
 102  e  111  della  Costituzione  perche', tutelando sino all'estremo
 limite  il  diritto  dell'imputato   a   non   sottoporsi   all'esame
 dibattimentale,  anche  quando  abbia gia' reso al pubblico ministero
 dichiarazioni che costituiscono elemento indiziante a carico di altri
 soggetti,    sacrifica    irragionevolmente     l'esercizio     della
 giurisdizione,   elude  sostanzialmente  il  diritto  di  difesa  dei
 chiamati in correita' e il  diritto  al  contraddittorio  e  viola  i
 principi   di  uguaglianza,  legalita',  obbligatorieta'  dell'azione
 penale, funzione conoscitiva del processo;
     che tutte le questioni sono state sollevate nel corso di  giudizi
 di  primo  grado nei quali la difesa degli imputati non ha consentito
 alla utilizzazione delle dichiarazioni erga  alios  rese  durante  la
 fase  delle  indagini  da  coimputati  che a dibattimento erano stati
 contumaci o avevano rifiutato di sottoporsi all'esame, mentre la sola
 questione sollevata dal  Tribunale  di  Pistoia  e'  relativa  ad  un
 giudizio  nel  corso  del  quale  anche  numerosi  imputati  di reato
 connesso, nei cui confronti  si  procedeva  separatamente,  si  erano
 avvalsi della facolta' di non rispondere;
     che  nei giudizi promossi con le ordinanze nn. 417, 418, 526, 535
 e 567 del r.o. del 1998 e' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
 Stato, riportandosi integralmente, stante l'analogia delle questioni,
 all'atto di intervento  relativo  al  giudizio  di  costituzionalita'
 promosso  con  ordinanza  n.  776  del  r.o. del 1997 e deciso con la
 sentenza n. 361 del 1998;
     che nel giudizio promosso con l'ordinanza n.  427  del  r.o.  del
 1998  e'  intervenuto  il  Procuratore  della  Repubblica  presso  il
 Tribunale di Torino, riproducendo integralmente l'atto depositato  in
 relazione  alla  questione sollevata dal medesimo rimettente (r.o. n.
 915 del 1997), decisa con la sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato che le ordinanze di  rimessione,  muovendo  dal  quadro
 normativo  risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto
 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime  di  inutilizzabilita'
 ai  fini  della  decisione,  in  mancanza  del  consenso  degli altri
 imputati, delle dichiarazioni rese sul fatto  altrui  dal  coimputato
 che  in  dibattimento  rimanga contumace ovvero rifiuti di sottoporsi
 all'esame;
     che a tale profilo si ricollega anche la censura del Tribunale di
 Milano relativa alla facolta', accordata al  coimputato  dagli  artt.
 208  e  490  cod. proc. pen., di rimanere contumace o di rifiutare di
 sottoporsi all'esame;
     che il Tribunale  di  Pistoia  denuncia  altresi'  il  regime  di
 inutilizzabilita'  ai  fini della decisione, in mancanza del consenso
 degli imputati, delle dichiarazioni rese da imputato in  procedimento
 connesso  che  in  dibattimento  si  avvalga  della  facolta'  di non
 rispondere;
     che i giudizi, attesa la sostanziale identita'  delle  questioni,
 vanno riuniti;
     che,  successivamente  alla  emissione  delle  ordinanze,  questa
 Corte, con la  sentenza  n.  361  del  1998,  ha  inciso  sul  quadro
 normativo   oggetto  delle  censure,  dichiarando  la  illegittimita'
 costituzionale, in parte qua degli artt. 513, comma 2, ultimo periodo
 e 210 cod. proc. pen.;
     che, per effetto di detta pronuncia, all'esame dell'imputato  nel
 medesimo  procedimento  su  fatti  concernenti  la responsabilita' di
 altri, gia' oggetto di precedenti  dichiarazioni  rese  all'autorita'
 giudiziaria  o  alla  polizia  giudiziaria  su  delega  del  pubblico
 ministero,  si   applica   la   disciplina   prevista   per   l'esame
 dell'imputato in procedimento connesso dall'art. 210 cod. proc. pen.;
     che,  di conseguenza, al coimputato, che abbia in precedenza reso
 dichiarazioni su fatti concernenti la responsabilita' di altri e  che
 in  dibattimento  rifiuti  o  comunque  ometta in tutto o in parte di
 rispondere in relazione  a  tali  fatti,  sono  estesi  l'obbligo  di
 presentarsi  al  giudice e l'eventuale accompagnamento coattivo e, in
 relazione al regime delle letture, la disciplina dell'art. 513, comma
 2, cod. proc. pen.;
     che  con  la   medesima   sentenza   la   Corte   ha   dichiarato
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  513, comma 2, cod. proc.
 pen. "nella parte in cui non  prevede  che,  qualora  il  dichiarante
 rifiuti  o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
 concernenti la  responsabilita'  di  altri  gia'  oggetto  delle  sue
 precedenti  dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla
 lettura si applica l'art.   500, commi  2-bis  e  4,  del  codice  di
 procedura penale";
     che  con  la citata sentenza la Corte aveva anche rilevato che, a
 seguito  della  modifica  della   disciplina   a   regime   e   della
 possibilita',  cosi'  introdotta,  di "recuperare mediante il sistema
 delle contestazioni i singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni
 rese in precedenza", doveva essere  valutato  dai  rimettenti  se  le
 questioni    concernenti    la   disciplina   transitoria   potessero
 considerarsi superate;
     che pertanto occorre restituire gli atti  ai  giudici  rimettenti
 affinche'  verifichino se, alla luce della disciplina applicabile nei
 giudizi a quibus a  seguito  della  sentenza  n.  361  del  1998,  le
 questioni sollevate siano tuttora rilevanti.