ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 6, comma 5,
 della legge 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica  delle  disposizioni  del
 codice  di  procedura  penale  in  tema  di valutazione delle prove),
 promossi con ordinanze emesse il 20 e il 22 aprile 1998  dal  giudice
 per  le indagini preliminari del Tribunale di Patti, nei procedimenti
 penali a carico di A. V. ed altri e di A. A. ed altri iscritte ai nn.
 631 e 654 del registro ordinanze 1998  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  38  e  39,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari  del  Tribunale
 di  Patti  ha  sollevato,  con ordinanze del 20 e del 22 aprile 1998,
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 5,  della
 legge  7  agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del codice
 di  procedura  penale  in  tema  di  valutazione  delle  prove),   in
 riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione;
     che  il  rimettente censura l'art. 6, comma 5, della legge n. 267
 del 1997 nella parte in cui non  estende  la  regola  della  limitata
 efficacia  probatoria  delle  dichiarazioni  rese  in  precedenza dai
 soggetti indicati nell'art. 513 cod. proc. pen., che si  avvalgano  a
 dibattimento  della  facolta' di non rispondere, anche all'ipotesi in
 cui il coimputato o l'imputato di reato connesso si  avvalgano  della
 facolta'  di  non  rispondere  nel  corso  dell'incidente  probatorio
 disposto ai sensi del comma 1 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997
 dopo la chiusura delle indagini preliminari;
     che  a  parere  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  del
 Tribunale  di  Patti  la disciplina impugnata violerebbe gli artt. 3,
 24, 111 e 112  Cost.,  perche'  irragionevolmente  non  contempera  i
 principi  espressi  dall'art.  6  della  Convenzione  europea  per la
 salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali  e
 dall'art.  14  del  Patto internazionale relativo ai diritti civili e
 politici - incompatibili con l'automatico utilizzo erga  omnes  delle
 dichiarazioni  dei chiamanti in correita' - con l'esigenza di evitare
 la dispersione di fondamentali elementi di prova, in relazione a fasi
 o gradi processuali diversi da quelli indicati ai  commi  2,  3  e  4
 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997, nonostante tali diverse fasi
 abbiano in comune la fondamentale circostanza dell'avvenuto esercizio
 dell'azione penale al momento dell'entrata in vigore della legge;
     che,  inoltre,  la  omessa  previsione della valutabilita' a fini
 probatori, ex art. 6, comma 5, della legge n.  267  del  1997,  delle
 dichiarazioni  precedentemente  rese anche da coloro che si avvalgano
 della facolta' di non rispondere nel corso dell'incidente  probatorio
 disposto  ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, determinerebbe,
 in conseguenza del cambiamento delle regole del processo ad  indagini
 chiuse,  uno  squilibrio  tra  le  parti  processuali  a favore della
 difesa, non bilanciato per il pubblico ministero dalla possibilita' -
 che il rimettente afferma  gia'  esistente  nella  fase  dell'udienza
 preliminare a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 77
 del  1994  - di richiedere incidente probatorio entro sessanta giorni
 dall'entrata  in  vigore  della  legge,  o   di   disporre   indagini
 suppletive;
     che  la  questione  e'  stata  sollevata, in entrambi i giudizi a
 quibus nel corso dell'udienza preliminare, dopo  che,  essendo  stato
 ammesso  su richiesta del pubblico ministero incidente probatorio per
 l'audizione di coimputati e di  imputati  in  procedimento  connesso,
 solo alcuni avevano consentito all'esame e le difese si erano opposte
 all'acquisizione delle precedenti dichiarazioni rese da coloro che si
 erano avvalsi della facolta' di non rispondere;
     che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 riportandosi  all'atto  di  intervento  prodotto  in  relazione  alla
 questione iscritta  al  n.  776  del  registro  ordinanze  del  1997,
 sollevata  dal  Tribunale  di Bologna e decisa con la sentenza n. 361
 del 1998.
   Considerato che, in entrambe le ordinanze di rimessione, il giudice
 per le indagini  preliminari  del  Tribunale  di  Patti  denuncia  la
 mancata  previsione della operativita' della regola di cui al comma 5
 dell'art.  6 della legge n. 267 del  1997  nell'incidente  probatorio
 assunto,  ai sensi del comma 1 del medesimo art. 6, durante l'udienza
 preliminare;
     che  i  giudizi,  attesa  la  identita'  delle  questioni,  vanno
 riuniti;
     che  la  questione  concerne una regola di valutazione probatoria
 destinata a circoscrivere la utilizzabilita' ai fini della  decisione
 di  merito  delle dichiarazioni rese durante le indagini dai soggetti
 indicati dall'art. 513 cod. proc. pen;
     che la normativa censurata attiene alla formazione e  valutazione
 della prova nel giudizio dibattimentale, ed e' pertanto estranea alla
 disciplina  della  udienza  preliminare, nella quale il giudice ha il
 potere-dovere di utilizzare tutti gli atti  legittimamente  acquisiti
 al  fascicolo  del  pubblico  ministero,  dai  quali puo' trarre ogni
 elemento di convincimento ai fini  del  rinvio  a  giudizio  o  della
 pronuncia di non luogo a procedere;
     che,  parimenti,  deve  escludersi  che la disposizione censurata
 possa  essere  applicata  dal  giudice  che  assume  anticipatamente,
 mediante  incidente  probatorio,  una  prova  la  cui  valutazione  e
 utilizzazione e' comunque riservata al giudice del dibattimento;
     che, di conseguenza, la questione, sollevata da  un  giudice  che
 non  ha  alcuna  veste  per dare applicazione alla regola della quale
 lamenta la mancanza, difetta di rilevanza e  deve  essere  dichiarata
 manifestamente  inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.