IL TRIBUNALE Nella controversia n. 4649/98, in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, promossa da Zamboni Annamaria, residente in Genova ed ivi elettivamente domiciliata, in via Bartolomeo Bosco, 57/1, presso lo studio dell'avv. Carlo Golda, che la rappresenta e difende per mandato in atti, appellante; Contro la banca Carige s.p.a., Cassa di Risparmio di Genova e Imperia, con sede legale in Genova, in persona del Presidente e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Genova, via Bacigalupo n. 4/3, presso l'avv. Camillo Paroletti, che lo rappresenta e difende, in uno con il prof. avv. Fausto Cuocolo per mandato generale alle liti, in atti, appellata; Ha pronunciato la seguente ordinanza; Con ricorso rivolto al pretore di Genova in funzione di giudice del lavoro, depositato il 5 settembre 1996, Zamboni Anna Maria esponeva: di essere dipendente della Carige s.p.a. e di avere maturato il requisito di 25 anni di iscrizione alla Fondo aziendale, essendo stata assunta, altresi', prima del 31 dicembre 1983; di avere, quindi, maturato il diritto alla pensione aziendale diretta; di avere chiesto, in data 1 febbraio 1996, di usufruire del trattamento pensionistico, subordinate le dimissioni all'effettivo ottenimento della pensione; che la Cassa aveva risposto negativamente in ragione del mancato avveramento della condizione della previa liquidazione del trattamento obbligatorio - per il quale la ricorrente non aveva maturato i requisiti - ex art. 18, comma 8-quinquies, decreto-legge 124/1993, come modificato dalla legge n. 335/1995; che tale condizione, se ritenuta esistente, appariva incostituzionale per violazione degli artt. 38, 39, 41 e 3 Cost., in quanto incidente sulla liberta' economica privata e in contrasto con il principio di parita' di trattamento, sia in rapporto ai fondi di previdenza di cui alla legge 357/1990, per i quali e' fatta salva dalla stessa legge 335 la liberta' di contrattazione, sia in relazione a quanto previsto dall'art. 1, comma 27 della stessa legge 335 quanto a regime transitorio dei dipendenti iscritti alle forme esclusive dell'A.G.O.; che, tuttavia, la norma si prestava ad un'interpretazione adeguatrice, giacche', se il riferimento letterale della norma alle forme pensionistiche che "garantiscono prestazioni definite ad integrazione" induceva ad escludere dal novero dei trattamenti interessati sia quelli sostitutivi dell'A.G.O., (anche nell'ipotesi in cui il trattamento "integrativo" sia erogabile prima della maturazione dei requisiti per la liquidazione del trattamento a carico dell'A.G.O.) sia quelli di fondi che non erogano prestazioni definite (in tale categoria rientrando necessariamente tutti i fondi di previdenza integrativi per lavoratori dipendenti indicati dal d.lgs. 124/1993), dall'altro non era dato comprendere come potesse coordinarsi questa norma con il non modificato art. 7, comma 3 del d.lgs., il quale ancora consente ai Fondi pensione di erogare trattamenti di anzianita' a condizione che sussista un'eta' non inferiore a 10 anni rispetto a quella fissata per il pensionamento di vecchiaia nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza; che l'interpretazione della norma data dall'Istituto rappresentava, per i lavoratori gia' iscritti ai Fondi complementari, una violazione dei diritti acquisiti con la propria anzianita' contributiva presso il Fondo. Chiedeva, quindi, accertarsi il suo diritto a percepire la pensione aziendale e condannarsi parte convenuta a corrispondere la stessa nella misura da liquidarsi in separata sede. Si costituiva la banca Carige s.p.a. eccependo preliminarmente l'inammissibilita' del ricorso per carenza di interesse ad agire, non avendo mai la ricorrente reso le dimissioni, nemmeno condizionate. Contestava energicamente che qualsiasi prestazione erogata dal Fondo aziendale potesse dirsi sostitutiva e non meramente integrativa dei trattamenti AGO e assumendo l'assoluta generalita' del divieto ex art. 18, comma 8-quinquies della legge n. 335, tale da ricomprendere gli stessi pretesi "diritti quesiti" (che peraltro contestava ricorrere nel caso di specie, in cui la ricorrente non aveva nemmeno maturato, alla data di entrata in vigore della legge 335, i requisiti di anzianita' e contributivi per eccedere alla pensione aziendale). Difendeva la legittimita' costituzionale del divieto in quanto consono alle scelte generali di riforma di omogeneizzazione dei trattamenti privati e di blocco dei trattamenti di anzianita' per il risanamento dei trattamenti pensionistici. Nel corso del giudizio, le parti venivano autorizzate al deposito di note difensive. Parte ricorrente contestava l'eccezione di interesse ad agire, facendo rilevare, alla luce della costante giurisprudenza, la ravvisabilita' dell'interesse nella mera sussistenza di un contrasto concreto ed oggettivo, quale quello insorto fra le parti, ne' potendosi pretendere che la lavoratrice renda le dimissioni, perdendo il reddito da lavoro, nell'incertezza circa la liquidazione della pensione. Ribadiva le ragioni della ritenuta non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale proposta e gli altri argomenti svolti in ricorso. All'esito della discussione, il pretore respingeva la domanda. Superata l'eccezione di inammissibilita' del ricorso per carenza di interesse ad agire interpretando la missiva della Zamboni in data 1 febbraio 1996 come manifestazione della volonta' di dimettersi condizionatamente all'erogazione del trattamento, affermava la natura ontologicamente "integrativa" delle prestazioni rese da tutti i Fondi privati e riteneva che la stessa natura che le prestazioni del Fondo aziendale erogava a integrazione del trattamento A.G.O. fosse propria del trattamento "complessivo" che lo stesso Fondo eroga sino alla liquidazione del trattamento a carico I.N.P.S. Premesso, quindi, che la prestazione in oggetto doveva ritenersi prestazione definita, in quanto parametrata da un certo livello del trattamento obbligatorio, rilevava come scopo della legge fosse quello, di pubblico interesse, di evitare che i Fondi potessero trovarsi nell'impossibilita' di erogare i trattamenti pensionistici a coloro che avevano gia' maturato il diritto. A questo scopo si era proceduto ad un riallineamento delle condizioni di accesso ai trattamenti rispetto al quale potevano dirsi salvi i soli diritti acquisiti di coloro che gia' avessero maturato, all'entrata in vigore della legge 335/1995, i requisiti precedentemente previsti dai rispettivi regolamenti. Avverso tale decisione proponeva appello parte ricorrente, evidenziando come l'incongruita' del divieto in discussione fosse stata rilevata dallo stesso legislatore: nell'ordine del giorno n. 21 approvato dal Senato nella seduta del 3 agosto 1995 si sottolineava, in relazione alla norma in esame, come la stessa, non producendo alcun risparmio per la finanza pubblica, realizzasse un'ingiustificata limitazione della liberta' di contrattazione, per il che si impegnava il Governo a ridefinirne i contenuti nel senso di prevedere la possibilita' di godere delle prestazioni, senza aggravio alcuno della situazione finanziaria delle gestioni, in presenza di accordi fra le parti. Riproponeva l'interpretazione adeguatrice della norma in oggetto, anche in relazione all'esigenza di tutela dei diritti quesiti, e, in via subordinata, la relativa questione di legittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 38, 39 e 41 Cost. Sul punto, contestava l'argomentazione che il pretore aveva desunto dalla ritenuta legittimita' delle norme di blocco temporaneo delle pensioni, sia perche' non riferibili a fondi pensione del tutto privati sia perche' comunque giustificate dalla temporaneita' ed emergenza delle situazioni che la normativa sul blocco mirava a fronteggiare. Resisteva la banca Carige s.p.a., assumendo la giustificatezza del divieto nella politica legislativa (sorretta da ragioni di ordine pubblico) di riallineamento dei trattamenti previdenziali garantiti da Fondi privati e di blocco temporaneo delle pensioni. Sentite le parti all'udienza del 27 gennaio 1999, il tribunale O s s e r v a Prima di scendere nel merito della questione di legittimita' costituzionale, proposta dalla difesa appellante, e' necessario escludere la definibilita' del giudizio a prescindere dalla soluzione della questione stessa (sia pure in via di deliberazione e ai soli fini della valutazione di rilevanza dei dubbi di costituzionalita'). In primo luogo, sembra doversi condividere il giudizio del pretore in merito all'ammissibilita' della domanda sotto il profilo della sussistenza di un concreto interesse della ricorrente ad ottenere, quanto meno, il richiesto accertamento del suo diritto a percepire la pensione aziendale. Secondariamente, deve affermarsi l'applicabilita' della norma in discussione alla fattispecie in esame. Non l'esclude, infatti, ne' il riferimento letterale a forme pensionistiche "che garantiscono prestazioni definite", ne' l'operativita' del divieto per le sole prestazioni integrative. Sotto il primo punto di vista, il fatto che l'art. 2, comma 2, lett. a) del d.lgs. 124/1993 preveda che, a far data dalla entrata in vigore di quel decreto legislativo, possano essere istituite, per i lavoratori dipendenti, esclusivamente forme pensionistiche complementari a regime di contribuzione definita ovviamente non esclude - ed, anzi, presuppone - la sopravvivenza di preesistenti regimi di previdenza integrativa a prestazioni definite anche per i lavoratori dipendenti, ai quali il divieto in esame e' specificamente diretto. Sotto il secondo profilo, che mette in discussione la natura della prestazione per cui e' causa, sembra al tribunale che essa debba essere considerata integrativa e non sostitutiva del trattamento a carico dell'A.G.O., con il quale concorre per garantire al lavoratore un certo livello reddituale e che solo di fatto e in via eventuale lo sostituisce, allorquando i diversi requisiti di accesso all'una e all'altra provvidenza portino alla liquidazione della pensione integrativa in assenza di pensionamento presso l'A.G.O. D'altra pare il divieto di liquidazione della pensione a carico del Fondo privato prima della liquidazione del trattamento pensionistico obbligatorio sarebbe insuscettibile di applicazione - e la norma cadrebbe in un'insanabile contraddizione - ove venisse riferito ai soli trattamenti gia' "allineati", sotto il profilo delle condizioni di accesso, alle prestazioni dell'A.G.O. Cio' considerato, il fatto che la norma varata dal Parlamento utilizzi un'espressione diversa da quella dell'originaria formulazione, nella quale si faceva esplicito riferimento ai trattamenti "anticipati", non e' certo sufficiente ad affermare un mutamento non della sola forma bensi' anche della sostanza del divieto. Quanto alla diversa previsione dell'art. 7, comma 3, dello stesso d.lgs. 124/1993 - che consente l'accesso a pensioni integrative di anzianita' a condizione che sussista un'eta' non inferiore a dieci anni rispetto a quella fissata per il pensionamento di vecchiaia nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza - potra' essere oggetto di considerazioni nell'esame della questione di costituzionalita', proposta dall'appellante, ma non consente di per se' un'interpretazione della norma differente da quella fatta palese dall'inequivoco tenore letterale del divieto. E nemmeno assume rilevanza la lamentata lesione di un presunto diritto quesito: alla data di entrata in vigore del precetto di cui si discute, la ricorrente non era titolare di diritto a pensione, non avendo maturato i relativi requisiti, e, comunque, una simile lesione potrebbe essere fatta valere quale motivo di incostituzionalita' della norma ma non quale canone interpretativo idoneo a vanificare la lettera della legge. Riconosciuta, quindi, la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, comma 8-quinquies del d.lgs. 124/1993, si tratta di valutarne la non manifesta infondatezza, che il tribunale ritiene di dover affermare, non diversamente da quanto ritenuto da altri giudici di merito, in forza dei quali pronunciamenti la questione stessa gia' risulta pendente dinanzi alla Corte costituzionale (cfr. pret. Bologna, 27 marzo 1996; pret. Venezia, 25 luglio 1997, trib. Treviso, 11 novembre 1997). Appare evidente che il divieto, del quale si tratta, limita, per il futuro, sia l'adottabilita' sia l'efficacia (se preesistenti) di clausole regolamentari dei Fondi privati di cui allo stesso art. 18 comma 1 - clausole di fonte prevalentemente contrattual-collettiva - che garantiscano un accesso al pensionamento "anticipato" rispetto a quello consentito dal regime dell'A.G.O. E appare altrettanto evidente che, nella misura in cui interviene su preesistenti assetti negoziali, ne altera l'equilibrio (per esempio, privando di causa eventuali rinunce "corrispettive" rispetto ai vantaggi rappresentati dalla garanzia di certe prestazioni di previdenza integrativa). Vero e' che, specialmente in un settore di estremo interesse pubblico, qual'e' quello previdenziale, tale genere di intervento non e' precluso al legislatore, quando sia giustificato da superiori esigenze di politica sociale ed economica. Si tratta, peraltro, di verificare che tali esigenze possano effettivamente ritenersi sussistenti nel caso di specie: del che questo tribunale ritiene di dover dubitare in termini tali da giustificare la rimessione alla Corte costituzionale della relativa questione di legittimita'. Innanzi tutto, il divieto di cui trattasi non sembra funzionale a ragionevoli esigenze di "allineamento" dei trattamenti pensionistici. Posto che, parlando di trattamenti integrativi, non ha senso ragionare in termini di loro allineamento al regime dell'A.G.O. - bensi', al piu', di un riavvicinamento, questo si' perseguito dal d.lgs. n. 124/1993 -, pare al Collegio che la strumentalita' rispetto ad un fine di omogeneizzazione dei trattamenti pensionistici debba essere valutata, piu' logicamente, con riferimento alla categoria "omogenea" delle forme pensionistiche complementari. Ma, se si ha riguardo alla disciplina generale dettata per queste dallo stesso decreto legislativo, non si rinviene alcuna norma che impedisca la liquidazione di trattamenti di anzianita' (quale quello di cui si discute) in assenza di pensione a carico dell'A.G.O.: solamente l'art. 7, comma 3, pone un limite "elastico" ai requisiti per l'accesso alle prestazioni di anzianita', che dovranno contemplare il compimento di un'eta' anagrafica non piu' di dieci anni inferiore a quella prevista per il pensionamento di vecchiaia nell'ordinamento obbligatorio di appartenenza, cosi' dando per presupposta la possibilita' di pensione integrativa "anticipata". Ne' si puo' obiettare che la particolare "severita'" delle condizione posta dalla norma in esame, rispetto al meno restrittivo regime previsto per i fondi costituiti o da costituirsi nella vigenza della nuova disciplina, sia giustificata dal fatto che quella norma riguarda le forme pensionistiche complementari (preesistenti) a prestazioni definite, laddove i nuovi fondi per i lavoratori dipendenti possono assicurare solo prestazioni in regime di contribuzione definita. Un limite uguale od analogo non e', infatti, previsto nemmeno per le "nuove" forme pensionistiche complementari dei lavoratori autonomi e dei professionisti, benche' per esse sia tuttora consentito il regime di prestazioni definite (art. 2 del decreto legislativo 124/1993); e nel diverso trattamento riservato alle une e alle altre potrebbe fors'anche ravvisarsi una violazione del principio di eguaglianza. Quanto alla ipotizzata finalita' di prolungamento della contribuzione inerente questi pensionati "mancati", anche a voler attribuire al legislatore un simile, opinabile scopo nel momento in cui varava il presente divieto, non si potrebbe che contestare la congruita' e l'idoneita' del mezzo, il quale, da un lato, sortisce l'effetto speculare di obbligare l'A.G.O. alla successiva liquidazione di maggiori trattamenti pensionistici (in relazione alla maggiore anzianita' contributiva) e, dall'altro, non tiene conto della possibilita' che il titolare di pensione "anticipata" a carico del Fondo privato intraprenda una nuova attivita' lavorativa, autonoma o subordinata, cosi' garantendo comunque la continuita' della contribuzione. Nemmeno pare sostenibile che la norma sia imposta da esigenze di tutela della finanza pubblica (e della stessa opinione parrebbe essere stato il Senato in occasione dell'approvazione dell'ordine del giorno del 3 agosto 1995, prodotto da parte appellante). Anche a prescindere dalla considerazione fondamentale che trattasi di fondi schiettamente privati, per gli eventuali disavanzi dei quali non e' posto a carico dello Stato alcun obbligo di intervento, sembra potersi ritenere che strumento idoneo e sufficiente a tutelare i fondi dalle eventuali conseguenze negative di bilancio - in ipotesi derivanti dai riflessi della riforma del regime pensionistico obbligatorio - sia quello apprestato dal comma 7 dello stesso art. 18, decreto legislativo 124/1993, a norma del quale "in presenza di squilibri finanziari delle relative gestioni le fonti istitutive di cui all'art. 3 possono rideterminare la disciplina delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti che alla predetta data non abbiano maturato i requisiti previsti dalle fonti istitutive medesime per i trattamenti di natura pensionistica". Si noti che tale possibilita' di intervento lascia integra la liberta' di autodeterminazione delle fonti costitutive e consente di limitare l'utilizzo dello strumento "cautelare" ai casi di reale squilibrio (mentre la norma di cui si discute opera a priori e a prescindere dalla buona o cattiva "salute" dei fondi medesimi); casi in cui sarebbe presumibilmente utilizzabile anche lo strumento privatistico della risoluzione per eccessiva onerosita' sopravvenuta. Vero e' che, in altra occasione, e' stata ritenuta legittima una norma limitativa dell'accesso alle pensioni di anzianita' in certo senso analoga a quella in esame: si pensa al "blocco" delle pensioni di cui all'art. 1, comma 2-ter, legge 438/1992 (di conversione del decreto-legge n. 384/1992), che la giurisprudenza di legittimita' (v. Cass., n. 6771/1995, cui si e' uniformato anche questo tribunale) ha ritenuto operante anche per i Fondi integrativi privati. Ma in quel caso l'incisivita' e l'"invasivita'" dell'intervento legislativo si collocava in una logica dell'emergenza (collegata al blocco delle pensioni nel regime obbligatorio) e si connotava in termini di eccezionalita' e temporaneita' che sono del tutto estranei alla prescrizione in esame, con la quale non si sospendono, bensi' si invalidano definitivamente le clausole collettive che contemplano le prestazioni vietate. Non sembra pertanto manifestamente infondata la prospettata lesione degli artt. 39 e 41 Cost., nonche' nell'art. 38 Cost., nella parte in cui tali norme precludono interventi limitativi e lesivi della liberta' di contrattazione collettiva, di iniziativa economica e di assistenza privata che non trovino razionale giustificazione nelle esigenze di tutela di altri, prioritari interessi. Infine, parte appellante prospetta un possibile contrasto della norma in oggetto anche con l'art. 3 Cost., sotto un duplice profilo. Il primo, riguardante il diverso regime "transitorio" assicurato ai lavoratori dipendenti iscritti alle forme esclusive dell'A.G.O. (per i quali l'art. 27, comma 1, della legge 335 ha conservato la possibilita' di pensionamento anticipato rispetto all'eta' pensionabile nell'A.G.O., sia pure con le riduzioni di trattamento di cui alla tabella d), pretende di mettere a confronto forme pensionistiche complementari ed integrative, quale quella in giudizio, con forme "esclusive" dell'assicurazione generale, per le quali il legislatore ha compiuto un autonomo (e logicamente diverso) intervento correttivo e parzialmente limitativo. Deve, quindi, escludersene la fondatezza. Non privo di fondamento appare, invece, l'altro possibile profilo di violazione del principio di eguaglianza, relativo al trattamento riservato ai fondi integrativi ex legge 357/1990 (fondi, gia' sostitutivi, per i dipendenti degli enti pubblici creditizi). Se e' vero, infatti, che per questi fondi la legge 335 prevede l'assoggettamento allo stesso regime delle prestazioni dell'A.G.O., e' anche vero che l'art. 3, comma 19 della legge consente alla contrattazione collettiva di derogare a tale regime senza porre limiti, in particolare, sotto il profilo dell'eta' di accesso ai trattamenti di anzianita'.