LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n. 502/97 depositato il 4 febbraio 1997, avverso avviso di accertamento n. 4471009208 - IRPEF '88 contro imposte dirette di Como da Peverelli Orlando, residente a Grandate (Como) in via Stazione, 2, difeso da Cairoli rag. Edoardo, residente a Como in piazza Duomo, 12. 1. - Con ricorso ritualmente proposto il contribuente, rappresentato e difeso dall'avv. Giuseppe Botta di Como, impugnava l'avviso in epigrafe con il quale era stato accertato - su segnalazione della D.R.E. di Milano, che richiamava provvedimenti della procura della Repubblica - l'omessa indicazione per l'esercizio 1988 di redditi di lavoro autonomo occasionale per l'ammontare di lire 204 milioni, deducendo l'insussistenza della violazione, in ogni caso riconducibile all'esercizio 1987. All'udienza del 6 novembre 1997 la commissione disponeva il rinvio a nuovo ruolo in pendenza del processo penale per i fatti di cui all'avviso impugnato. Dopo la convocazione per l'udienza odierna - l'ufficio si era intanto ritualmente costituito chiedendo la reiezione dell'impugnativa - il 24 novembre 1998 veniva depositata proposta di conciliazione, accettata dal rag. Edoardo Cairoli di Como, quale procuratore speciale del Peverelli; della revoca del precedente incarico all'avv. Botta e del conferimento del nuovo mandato al rag. Cairoli era stata data comunicazione con atto depositato in segreteria il 24 ottobre 1998. Successivamente, in data 28 dicembre 1998 il precedente difensore depositava copia della sentenza del tribunale di Como. All'udienza di discussione le parti chiedevano provvedersi in ordine al raggiunto accordo conciliativo; al pagamento si procedeva il 2 febbraio 1999, nel termine di legge. 2. - Nell'intento di evitare che l'uso dei mezzi di tutela possa rinviare nel tempo l'adempimento dell'obbligo contributivo, sono stati introdotti strumenti di diversa natura volti a prevenire o ridurre l'insorgenza e/o pendenza di controversie tributarie (fra gli altri, l'accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale). La disciplina normativa non contempla criteri o indicazioni: da piu' parti pertanto, e sotto articolati profili, sono stati sollevati dubbi - in dottrina - sulla legittimita' di tali previsioni, involgenti l'esercizio di un'incondizionata discrezionalita' amministrativa. In particolare, per quanto concerne la conciliazione, e' stata denunziata la violazione: degli artt. 23 e 97, perche' le condizioni dell'accordo sono svincolate da qualsiasi parametro normativo; degli artt. 2 e 53, perche' il dovere di "concorrere alle spese pubbliche", nell'adempimento di "doveri inderogabili di solidarieta'", si esplica attraverso l'incontrollata mediazione del funzionario tributario, cui compete determinarne la misura. I dubbi permarrebbero anche se fosse attribuito al giudice - cio' che viene concordemente escluso - un controllo di merito sull'accordo delle parti; non vengono meno, d'altra parte neppure ritenendo - secondo un'autorevole interpretazione - che la riduzione della pretesa non consegue ad uno sconto transattivo sull'esercizio del potere ma alla "rideterminazione del reddito". In mancanza di "una corretta procedimentalizzazione di criteri legali ed amministrativi", sussiste possibilita' di abuso o arbitrio": e tanto e' sufficiente in uno stato di diritto - la cui azione non puo' essere informata ai criteri di conduzione di un'impresa, che persegue finalita' di convenienza economica - per ritenere la questione non manifestamente infondata. 3. - L'illegittimita' della disciplina normativa della conciliazione extraprocessuale si coglie anche sotto ulteriori profili. Con la sua introduzione, il legislatore del 1994 ha abbandonato i principi della riforma del 1972, che aveva ricondotto il rapporto d'imposta nell'ambito del diritto, eliminato ogni margine di discrezionalita'; fedele a tali principi, rimosso il segreto bancario - nel quale veniva individuato il maggior ostacolo ad un'utile azione accertatrice - ritenendo essenziale il sindacato giurisdizionale per il funzionamento del sistema il legislatore del 1991 aveva previsto la normale ricorribilita' in Cassazione della decisione tributaria di 2 grado (d.lgs. n. 546/1992). Anche la Corte costituzionale aveva favorito il disegno di contrastare il fenomeno evasivo nel rispetto dei principi dello stato di diritto, ritenendo consentito all'A.F. accertare induttivamente il reddito utilizzando elementi di fatto certi per risalire alle componenti occultate (sent. n. 293/1987); in tale linea di recente e' stata poi riconosciuta efficacia retroattiva al c.d. redditometro, stante la sua natura procedimentale (Cass. n. 12483/1995). Senza attendere l'effetto deflattivo del nuovo processo - voluto dal Parlamento appena da qualche anno proprio per ridurre il contenzioso - ne' procedere prima alla revisione delle strutture dell'A.F., nonostante il diffuso clima d'illegalita' emerso in quegli anni, il successivo legislatore ha seguito altro percorso, inserendo le (diverse) regole d'impresa nell'esercizio di una funzione statale. Prevista inizialmente nel d.l. 17 settembre 1994, n. 538, unitamente all'accertamento con adesione, la conciliazione introduce il principio dell'imposizione negoziata, anzi della determinazione concordata dell'obbligazione tributaria. Il radicale mutamento d'indirizzo dell'ordinamento e' evidente: all'esercizio del potere impositivo, come disciplinato in attuazione della delega di cui alla legge n. 825/1971, e' stato sostituito il diverso principio dell'imposizione consensuale (che addirittura prescinde - nell'accertamento con adesione - da un qualsiasi precedente atto accertativo, potendo esplicarsi sulla base di un semplice verbale di P.T.: art. 6 d.lgs. n. 218/1997). La "rideterminazione" concerne solo i redditi - d'impresa o lavoro autonomo - per i quali la misura della base imponibile puo' presentare incertezze; non quelli di pensione o lavoro dipendente, certi nel loro ammontare, oggetto di prelievo fin dall'origine, destinati a subire ora - nella loro documentata entita' - le limitazioni derivanti dalle modificazioni dello stato sociale: il contenuto dell'obbligo e la ricorrenza di tali limitazioni sono dunque correlati - nei primi - ad una capacita' contributiva fittizia perche' l'Amministrazione non e' in grado di misurare la base imponibile secondo le regole giuridiche fissate sin dal 1972. Al conseguimento di un immediato incremento delle entrate viene dunque sacrificata l'esigenza - giuridica e morale - del concorso alle spese pubbliche secondo la capacita' effettiva; e cio' in via permanente, e senza alcun limite, non essendo neppure prevista - quanto meno - un'applicazione temporanea del detto istituto per il tempo necessario alla riorganizzazione dell'A.F. E' innegabile, d'altra parte, la sua efficacia diseducativa: in vista di un possibile accordo, contribuente ed ufficio sono indotti, rispettivamente, ad occultare elementi di reddito e/o ricchezza ed omettere la ricerca dei dati rivelatori dell'effettiva capacita' contributiva; l'assoluta liberta' dell'Amministrazione influenza dunque, in via generale, il corretto esercizio dell'(iniziale) azione accertatrice. Nel tentativo di allontanare i dubbi d'incostituzionalita', il 2 comma dell'art. 14 d.lgs. n. 218 cit., integrativo dell'art. 37 d.lgs. n. 545/1992, ne conferma invece la fondatezza: l'imparzialita' dell'Amministrazione viene affidata alle diversificate iniziative dei dirigenti circa le condizioni della proposta e dell'accettazione, aventi efficacia nell'ambito del territorio dei rispettivi uffici, neppure portate a conoscenza del giudice tributario. La denunziata violazione degli artt. 2, 23 e 97 della Costituzione non e' quindi venuta meno. 4. - L'art. 48 d.lgs. n. 546/1992 aveva attribuito alla C.T.P. - nella forma di un normale giudizio la definizione del rapporto tributario, in attuazione della delega di cui all'art. 30, comma 1, lett. b), legge n. 413/1991; la sentenza era reclamabile alla C.T.R. Nel mutato quadro normativo - demandata la determinazione all'obbligazione al riservato ed insindacabile giudizio dell'Amministrazione - non trova giustificazione un intervento del giudice circa i presupposti e le condizioni della conciliazione extraprocessuale. Escluse concordemente verifiche e/o valutazioni di merito in ordine ai termini dell'accordo ed alla misura dell'imposta, estensiva e/o adeguatrice del suo controllo non varrebbe a sottrarre la conciliazione ai dubbi di incostituzionalita', involgendo la sua disciplina un'inammissibile disponibilita' - in capo all'A.F. - del credito d'imposta; d'altra parte, venute meno le cause ostative inizialmente previste - tutte le controversie essendo ormai conciliabili - il suo intervento e' palesemente ripetitivo dell'esame gia' compiuto in via preliminare (art. 27 d.lgs. n. 546) circa l'ammissibilita' del ricorso e la capacita' processuale del ricorrente; aggrava quindi inutilmente il procedimento della fattispecie conciliativa. Nel nuovo sistema sembra del tutto coerente "l'assenza" del giudice. Se (il sistema) e' conforme ai valori costituzionali, un'"apparente" controllo vale solo a coinvolgerlo in un procedimento di esclusiva competenza dell'Amministrazione; saranno quindi riferibili anche a lui riserve e sospetti per eventuali violazioni e/o errori delle parti nell'accordo conciliativo, perche' il rinnovato, inutile controllo lo rende formalmente partecipe dell'esercizio del potere di disposizione del credito: il riparto delle competenze ed il principio della separazione dei poteri, che la Costituzione accoglie, esigono che gli siano demandati solo il compito di dichiarare l'estinzione del giudizio. 5. - Le questioni di cui sopra rilevano nel caso di specie occorrendo provvedere, a norma dell'art. 48 cit., a seguito dell'avvenuto pagamento dell'imposta, secondo l'accordo delle parti.