ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  376,  primo
 comma,  del  codice  penale,  in  relazione all'art. 378 dello stesso
 codice, promosso con ordinanza emessa il 6 febbraio 1998 dalla  Corte
 d'appello  di  Torino  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Rita
 Vergnano, iscritta al n. 436 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella
  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.  25,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio del 25  novembre  1998  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Corte  d'appello  di Torino solleva, con ordinanza del 6
 febbraio  1998,  in  riferimento  all'art.  3,  primo  comma,   della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 376,
 primo  comma,  cod.  pen.  (Ritrattazione),  nella  parte  in cui non
 stabilisce che la speciale causa  di  non  punibilita'  ivi  prevista
 valga  anche in relazione al reato di favoreggiamento personale (art.
 378  cod. pen.)  che sia integrato da false o reticenti dichiarazioni
 rese  in  sede  di  sommarie  informazioni  assunte   dalla   polizia
 giudiziaria,  allorche'  questa  proceda  al  compimento dell'atto su
 delega del pubblico ministero,  ai  sensi  dell'art.  370,  comma  1,
 secondo periodo, cod. proc. pen..
   Ad  avviso del giudice a quo l'impossibilita' di applicare la norma
 sulla ritrattazione al reato di favoreggiamento  personale,  commesso
 mediante  false  informazioni  alla  polizia giudiziaria delegata dal
 pubblico  ministero,  determina  una  irragionevole   disparita'   di
 trattamento di casi analoghi e assimilabili.
   Il   rimettente   muove   dalla   consolidata   giurisprudenza   di
 legittimita', che da un lato individua appunto nella fattispecie  del
 favoreggiamento  personale  quella cui riferire la condotta del falso
 dichiarativo alla polizia giudiziaria, e che dall'altro esclude,  per
 il  principio  di  stretta  legalita',  che  la stessa condotta possa
 essere inquadrata nel titolo di reato di cui  all'art.  371-bis  cod.
 pen.  (False  informazioni  al  pubblico  ministero), anche quando la
 polizia giudiziaria operi su specifica delega del pubblico ministero.
   Poste tali  premesse,  ed  essendo  consentita  in  un  caso  (art.
 371-bis)  e  nell'altro invece esclusa (art. 378) la possibilita' per
 il falso dichiarante di  giovarsi  degli  effetti  sostanziali  della
 ritrattazione,  la  differenziazione  di  disciplina  che  ne risulta
 appare al rimettente irrazionale, alla luce  sia  dell'identita'  dei
 beni  giuridici coinvolti nei due casi, sia della stessa collocazione
 "cronologica" delle dichiarazioni poi ritrattate, in entrambi i  casi
 inserite nella fase, procedimentale e non processuale, delle indagini
 preliminari.
   La Corte d'appello ricorda che nel passaggio dal testo del d.-l.  8
 giugno  1992,  n.  306,  alla  legge di conversione 7 agosto 1992, n.
 356, il legislatore ha eliminato, dalla fattispecie dell'art. 371-bis
 cod. pen. quale introdotta appunto dal decreto-legge, il  riferimento
 alle  false  dichiarazioni alla "polizia giudiziaria". Ma, se cio' e'
 indice  della  volonta'  legislativa  di  estromettere  dall'area  di
 applicazione  della  nuova fattispecie penale le informazioni false o
 reticenti rese alla polizia giudiziaria, allorche' questa  agisca  di
 propria  iniziativa, non altrettanto sicura - secondo il rimettente -
 e' la finalita' di distinguere, rispetto alla nuova  fattispecie,  il
 caso  in  cui  la  polizia  giudiziaria agisca su delega del pubblico
 ministero, giacche' in tale ipotesi essa  esercita  un  potere-dovere
 derivato  dall'organo  di  accusa, contrassegnato dai caratteri della
 subordinazione e dell'esecutivita', e dunque suscettibile logicamente
 della  medesima  tutela  che  sul  piano  sostanziale  e'  apprestata
 relativamente  alla  falsa dichiarazione resa direttamente dinanzi al
 pubblico ministero.
   A rafforzare questa  prospettiva  -  prosegue  la  Corte  d'appello
 rimettente   -   vale  il  rilievo  della  complessiva  equiparazione
 processuale, quanto a  regole  di  svolgimento  dell'atto,  quanto  a
 prescrizioni di contenuto, e quanto a utilizzazione nel processo, tra
 le  informazioni  rese  al pubblico ministero e le dichiarazioni rese
 alla polizia giudiziaria dal primo delegata.
   Benche' "livellate" sul piano del processo, dunque, in  particolare
 sotto  il  profilo  della sostanziale identita' di valenza probatoria
 qualora  "recuperate"  al   dibattimento,   le   due   categorie   di
 dichiarazioni  in  argomento sono diversificate solo sotto il profilo
 denunciato  di  incostituzionalita':  con  il  paradosso,  rileva  il
 giudice  a  quo  di  annettere  efficacia  a  una  ritrattazione   di
 dichiarazioni  rese  al magistrato, e di negarla per quelle rese alla
 polizia giudiziaria delegata dal magistrato.
   Il dubbio di costituzionalita' e' altresi'  prospettato  alla  luce
 della  sentenza n. 416 del 1996 della Corte costituzionale: in questa
 decisione, riguardante altra speciale causa di non punibilita'  (art.
 384,   secondo   comma,   cod.   pen.),   la   Corte  costituzionale,
 nell'estendere detta causa anche alle false o reticenti  informazioni
 rese   alla   polizia   giudiziaria   e  costituenti  favoreggiamento
 personale, ha posto in risalto la medesima rilevanza,  nel  processo,
 delle  dichiarazioni  rese  alla  polizia  giudiziaria  e al pubblico
 ministero, e ha anche sottolineato la "paritaria gravita' dei fatti",
 desumibile dalle determinazioni del legislatore circa la misura della
 pena, essendo oggi identica la reclusione  comminata  rispettivamente
 nell'art. 371-bis e nell'art. 378 cod. pen..
   Appare  conclusivamente  al  giudice  a quo irragionevole la lacuna
 normativa denunciata, poiche' non  applicare  la  ritrattazione  alle
 dichiarazioni  rese  alla  polizia  giudiziaria delegata dal pubblico
 ministero frustra l'interesse a  incentivare  le  condotte  idonee  a
 neutralizzare,  fin  dove  e'  possibile, la negativa incidenza delle
 originarie false dichiarazioni sul corretto svolgimento del processo.
   2. - E' intervenuto in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che -  richiamando  e  allegando  altro  atto  di  intervento,
 depositato  in precedente giudizio di costituzionalita' - ha concluso
 per l'infondatezza della questione.
   Secondo l'Avvocatura, la nuova fattispecie incriminatrice dell'art.
 371-bis  cod.  pen.  -  originariamente   comprensiva   anche   delle
 dichiarazioni  rese  alla  polizia giudiziaria, previsione questa poi
 soppressa in sede di conversione del d.-l.  n.  306  del  1992  -  e'
 rivolta  a  garantire  l'osservanza dell'obbligo di dichiarare quanto
 sia  personalmente  conosciuto,  obbligo  stabilito  a  carico  delle
 persone  esaminate  dal pubblico ministero a norma dell'art. 362 cod.
 proc. pen; tali persone, pur non rivestendo la qualita' di testimoni,
 tuttavia ne ripetono i doveri e le facolta',  stabiliti  negli  artt.
 197-203 dello stesso codice.
   Si  tratta  dunque  di  una tutela penale apprestata in relazione a
 dichiarazioni  rese  all'autorita'  giudiziaria,  rappresentata   dal
 magistrato   del   pubblico  ministero,  che  possono  avere  rilievo
 investigativo e  che  possono,  nel  prosieguo  del  giudizio,  anche
 assumere il valore di prova.
   Inoltre l'Avvocatura dello Stato ricorda che, anche alla luce della
 sopra   ricordata   modifica   del  testo  del  decreto  in  sede  di
 conversione, e' dato  acquisito,  in  giurisprudenza,  che  il  reato
 previsto dall'art.  371-bis cod. pen. non sia configurabile allorche'
 le  dichiarazioni  false  o  reticenti  vengano  rese non al pubblico
 ministero ma alla polizia  giudiziaria,  sia  che  questa  assuma  le
 informazioni  di propria iniziativa sia che cio' faccia su delega del
 pubblico ministero.
   Il legislatore, in tal modo, ha ritenuto di diversificare le  false
 dichiarazioni  rese  nel corso delle indagini preliminari da soggetti
 diversi  dall'indagato,  a   seconda   dell'autorita'   che   ne   e'
 destinataria,  assimilando solo l'ipotesi delle dichiarazioni rese al
 pubblico  ministero allo schema del reato di falsa testimonianza, con
 una scelta  incensurabile  sul  piano  della  ragionevolezza.  Ed  e'
 conforme  a  tale  scelta  -  aggiunge l'Avvocatura - che solo per il
 nuovo  reato  di  cui  all'art.  371-bis  sia   stata   prevista   la
 possibilita'  di  ritrattazione,  appunto  secondo  il  modello della
 testimonianza falsa o reticente, di cui la fattispecie  piu'  recente
 riprende  l'obiettivita'  giuridica.  Per  le  dichiarazioni  false o
 reticenti  rese  alla  polizia   giudiziaria   continua   invece   ad
 applicarsi, sussistendone i presupposti, l'art. 378 cod. pen., che ha
 diversa obiettivita'.
   In tale quadro complessivo, l'inclusione nell'art. 376 del richiamo
 all'art.  371-bis e la mancata inclusione dell'art. 378 risultano, ad
 avviso dell'interveniente,  ragionevoli  e  coerenti  con  le  scelte
 anzidette;   ne   deriva  la  conclusione  per  l'infondatezza  della
 questione di costituzionalita'.
                         Considerato in diritto
   1. -  La  Corte  d'appello  di  Torino  dubita  della  legittimita'
 costituzionale  dell'art. 376, primo comma, cod. pen., nella parte in
 cui non stabilisce che la ritrattazione, quale speciale causa di  non
 punibilita'  dei  reati di cui agli artt. 371-bis (False informazioni
 al pubblico  ministero),  372  (Falsa  testimonianza)  e  373  (Falsa
 perizia  o  interpretazione)  dello  stesso  codice,  valga  anche in
 riferimento  al  reato  di  favoreggiamento  personale   (art.   378)
 realizzato attraverso false o reticenti dichiarazioni rese in sede di
 informazioni assunte dalla polizia giudiziaria allorche' questa operi
 su  delega  del  pubblico  ministero (art. 370 cod. proc.   pen.). Ad
 avviso  del  giudice  rimettente,   la   mancata   previsione   della
 ritrattazione  quale  causa  di non punibilita' anche del caso teste'
 indicato violerebbe l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la
 diversa rilevanza che assume la  ritrattazione  medesima,  a  seconda
 ch'essa  concerna  false  dichiarazioni  rese  al  pubblico ministero
 ovvero alla polizia giudiziaria che agisce  su  delega  del  pubblico
 ministero  stesso,  operando  come causa di non punibilita' nel primo
 caso ma non nel secondo,  senza  che  sia  data  la  possibilita'  di
 individuare,  in  relazione  alla struttura delle condotte, alla loro
 valenza  nel  processo  e  ai  beni  giuridici   tutelati,   elementi
 distintivi idonei a giustificare la diversita' di disciplina.
   2. - La questione e' fondata.
   2.1.   -  All'esame  della  censura  di  incostituzionalita'  mossa
 all'art.  376, primo comma, cod. pen., deve premettersi che,  secondo
 l'orientamento della giurisprudenza, le false dichiarazioni rese alla
 polizia  giudiziaria  che  opera  su  delega  del pubblico ministero,
 ancorche' penalmente illecite, cadono, in ragione  del  principio  di
 stretta   legalita',  fuori  dell'ambito  di  applicazione  dell'art.
 371-bis cod. pen.. Da questa interpretazione sorge  la  questione  di
 costituzionalita'  che questa Corte e' chiamata a decidere, questione
 che viceversa non avrebbe ragione di  porsi  ove  la  fattispecie  in
 argomento fosse riconducibile a quella in astratto prevista dall'art.
 371-bis  espressamente richiamato dall'impugnata disposizione in tema
 di non punibilita' per ritrattazione.
   Ritiene  invece  la  giurisprudenza  comune  che  il  silenzio,  la
 reticenza  e  le dichiarazioni false alla polizia giudiziaria possano
 integrare - quando ne ricorrano gli elementi della fattispecie  -  il
 reato di favoreggiamento personale previsto dall'art. 378 cod. pen. e
 punito  ora,  dopo la modifica apportata dall'art. 20, comma 1, della
 legge 8 agosto 1995, n. 332,  all'art.  371-bis  cod.  pen.,  con  la
 medesima  pena  edittale  comminata  da  quest'ultimo.  E,  una volta
 esclusa   la   riconducibilita'   all'art.   371-bis   delle    false
 dichiarazioni   alla   polizia   giudiziaria  delegata  dal  pubblico
 ministero, anche queste  ultime  possono  assumere  rilievo  ai  fini
 dell'integrazione del medesimo reato di  favoreggiamento.
   Tuttavia,  ai  fini  della  risoluzione della presente questione di
 legittimita'  costituzionale,  non  e'  necessario  procedere  a   un
 raffronto tra i reati previsti negli articoli anzidetti, per trovarvi
 elementi  comuni  o  elementi  differenziali  che inducano a prendere
 posizione circa la  razionalita'  della  disposizione  impugnata  che
 prevede  la  ritrattazione  come  causa di non punibilita' solo in un
 caso e non nell'altro.
   In breve: il  rapporto  tra  le  false  dichiarazioni  al  pubblico
 ministero  e  il  favoreggiamento  personale  resta  sullo  sfondo  e
 l'applicabilita' dell'art. 378 cod.  pen.  alle  false  dichiarazioni
 alla    polizia    giudiziaria    vale    come    semplice   premessa
 giurisprudenziale della questione posta all'attenzione  della  Corte.
 Tale questione consiste nella domanda se sia conforme al principio di
 uguaglianza,  come  espressione  dell'esigenza  di razionalita' delle
 scelte legislative, l'esclusione della causa di non punibilita' della
 ritrattazione  nel  caso  delle  false  dichiarazioni  alla   polizia
 giudiziaria    specificamente   delegata   dal   pubblico   ministero
 (integranti la fattispecie dell'art.  378  cod.  pen.),  mentre  tale
 causa di non punibilita' vale nel caso delle false dichiarazioni rese
 al pubblico ministero stesso.
   2.2.  -  Per  cogliere  l'irrazionalita'  insita  nella  disciplina
 denunciata, e'  sufficiente  osservare  che  l'assunzione  diretta  e
 personale  da  parte del pubblico ministero (art. 370, comma 1, primo
 periodo, cod.  proc. pen.) di informazioni dalle persone che  possono
 riferire  circostanze  utili  ai  fini  delle indagini (art. 362 cod.
 proc. pen.) e l'assunzione delle  medesime  informazioni  avvalendosi
 della polizia giudiziaria a cio' delegata (art. 370, comma 1, secondo
 periodo, cod. proc. pen.)  costituiscono esclusivamente forme diverse
 della  medesima  attivita',  facente sostanzialmente capo comunque al
 pubblico ministero nell'esercizio dei  poteri  che  a  esso  spettano
 quale   organo  che  dirige  le  indagini  preliminari  all'esercizio
 dell'azione penale (artt. 326 e 327 cod.  proc. pen.). E'  cosi'  che
 da  un  lato,  in  generale,  si giustifica l'art. 370, comma 2, cod.
 proc.  pen.,  il  quale,  per  lo  svolgimento  dell'attivita'  e  il
 compimento  degli atti delegati alla polizia giudiziaria, rinvia alle
 forme  di  garanzia  procedurale  e  alle  regole  di  documentazione
 previste  per le indagini svolte direttamente dal pubblico ministero;
 e,  dall'altro,  si  spiega  la  necessaria  equivalenza,  quanto   a
 utilizzabilita'  nel  seguito  del  processo, degli atti diretti e di
 quelli delegati (oltre all'art. 503, comma 5,  cod.  proc.  pen.,  in
 tema  di  acquisizione  di  atti al fascicolo per il dibattimento, v.
 sentenza n. 60 del 1995, nonche' sentenza n. 381 del 1995).
   Di fronte  a  tale  convergenza  di  disciplina,  corrispondente  a
 un'unitarieta' di ratio che sorregge le norme relative alle attivita'
 d'indagine e alla loro valenza processuale, quale che sia l'autorita'
 che  procede ad assumere le informazioni - il pubblico ministero o la
 polizia   giudiziaria  su  delega  di  questo  -,  la  diversita'  di
 trattamento che la norma impugnata introduce, circa gli effetti della
 ritrattazione  nell'un  caso  e  nell'altro,  appare  priva  di  ogni
 ragionevole giustificazione e quindi sicuramente arbitraria.