ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  del  combinato  disposto
 degli  artt. 1 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione
 degli elenchi dei protesti cambiari), promosso con  ordinanza  emessa
 il 4 aprile 1988 dal pretore di Torino nel procedimento civile Rapali
 Enrico  contro  Camera di commercio di Torino ed altro iscritta al n.
 451 del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 25, prima serie  speciale, dell'anno 1998;
   Visto  l'atto  d'intervento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Ritenuto che il pretore  di  Torino,  nell'ambito  di  un  giudizio
 promosso  per  ottenere  l'emissione di un provvedimento d'urgenza ex
 art. 700 cod. proc. civ. che impedisse la pubblicazione del  protesto
 levato  relativamente  ad  un  assegno  bancario tratto sull'istituto
 bancario San Paolo di Torino, che era  stato  presentato  all'incasso
 alterato  in  varie  parti,  si'  che l'istituto ne aveva rilevati il
 furto e la contraffazione ha sollevato, in riferimento agli artt.  2,
 3  e  24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale
 del combinato disposto degli artt. 1 e  3  della  legge  12  febbraio
 1955,  n.  77  (Pubblicazione  degli  elenchi dei protesti cambiari),
 nella  parte  in  cui  si  prevede  la  pubblicazione  dei   protesti
 legittimamente  levati  di  assegni  bancari,  anche  se  relativi ad
 ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento da parte  del
 soggetto  protestato,  e  contestualmente  ha emesso un provvedimento
 urgente  diretto ad impedire la pubblicazione del protesto per cui e'
 causa durante la sospensione del giudizio principale per  l'incidente
 di costituzionalita';
     che, secondo il pretore, in fattispecie come quella sottoposta al
 suo esame non puo' dirsi illegittima la levata del protesto, dato che
 esso  non  e'  altro  che  la  constatazione, con atto autentico, del
 rifiuto  del  pagamento  e  serve  unicamente  per  poter  esercitare
 l'azione  di  regresso  e dato che la legge sugli assegni non prevede
 alcuna ipotesi in cui sia possibile evitare il protesto  in  funzione
 delle eccezioni proposte dal debitore;
     che,  pertanto,  salvo  che in ipotesi residuali (e cioe' qualora
 vengano   in   rilievo   delle   fattispecie    riconducibili    alla
 illegittimita'  o  alla  erroneita'  della  levata dello stesso), non
 sarebbe ammissibile  la  richiesta  di  non  pubblicare  un  protesto
 correttamente  levato,  al contrario di quanto sostengono la Corte di
 cassazione e numerosi giudici  di  merito,  secondo  i  quali,  nelle
 ipotesi  in  cui il portatore non poteva legittimamente richiedere il
 pagamento al  debitore  cartolare,  la  stessa  levata  del  protesto
 sarebbe illegittima;
     che,   in  realta',  cio'  che  risulta  idoneo  ad  arrecare  un
 pregiudizio al debitore cartolare, che  abbia  fondate  eccezioni  da
 opporre  al  portatore  del  titolo,  non sarebbe tanto la levata del
 protesto, quanto la sua pubblicazione nel  relativo  bollettino  che,
 nella  coscienza  comune e nella considerazione sociale, "suona quasi
 come un marchio di inaffidabilita' dei soggetti interessati";
     che,  pertanto,  il  giudice  a  quo  dubita  della  legittimita'
 costituzionale  del  combinato disposto degli artt. 1 e 3 della legge
 n. 77 del 1955 - nella parte in cui si prevede la  pubblicazione  dei
 protesti  legittimamente levati di assegni bancari, anche se relativi
 ad ipotesi in cui fosse legittimo il rifiuto del pagamento  da  parte
 del soggetto protestato - per contrasto:
      a)  con  l'art.  2  della Costituzione, in quanto il diritto del
 soggetto all'onore e all'identita' personale e morale non sembrerebbe
 adeguatamente tutelato, atteso  che  la  lesione  che  consegue  alla
 pubblicazione  (prevista  dall'attuale formulazione dell'art. 1 della
 legge n. 77)  potrebbe  non  risultare  giustificata  a  seguito  del
 giudizio  di bilanciamento con gli altri interessi costituzionalmente
 rilevanti;
      b) con l'art. 3 della Costituzione, in quanto la  situazione  di
 colui che venga protestato per mancanza di fondi appare assai diversa
 da quella di colui che rifiuta il pagamento per motivi legittimi, per
 cui  la    previsione  di  un medesimo trattamento sarebbe lesiva del
 principio di uguaglianza;
      c)  con  l'art.  24  della  Costituzione,  in  quanto  l'attuale
 formulazione  delle  norme impugnate sarebbe ingiustamente lesiva del
 diritto di difesa, atteso che il soggetto protestato non godrebbe  di
 alcun  soddisfacente  strumento  per  la tutela di situazioni che, al
 contrario, potrebbero esserne degne; per altro  verso,  le  eventuali
 azioni  di  risarcimento  dei  danni  a  disposizione  del protestato
 potrebbero rivelarsi di minima efficacia;
     che, a giudizio del pretore,  la  questione  non  puo'  ritenersi
 meramente interpretativa, poiche' non si tratterebbe di scegliere tra
 piu'  possibili  opzioni  ermeneutiche,  una  delle quali conforme ai
 precetti costituzionali, ma, al contrario, la  legge  non  lascerebbe
 spazio  per  alcuna  interpretazione  diversa da quella che impone la
 pubblicazione  di   tutti   i   protesti   indistintamente   (purche'
 ritualmente levati);
     che  il  giudice a quo riconosce che profili analoghi a quelli da
 lui evidenziati sono gia' stati esaminati dalla Corte  costituzionale
 nella  sentenza n. 151 del 1994, con cui la questione allora proposta
 e' stata dichiarata infondata. Tuttavia, egli ritiene che  "i  rimedi
 evidenziati  dalla  Corte  non siano ancora sufficienti per la tutela
 dei diritti costituzionalmente garantiti";
     che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha chiesto che la questione sia  dichiarata  inammissibile
 o, in subordine,  infondata, in quanto le censure mosse dal giudice a
 quo  sono  gia' state esaminate e superate dalla Corte costituzionale
 nella sentenza  n.  151  del  1994,  orientata  alla  ricerca  di  un
 equilibrato   rapporto  fra  la  tutela  del  debitore    incolpevole
 protestato e la (talvolta) contrapposta esigenza della conoscenza del
 mancato pagamento dei titoli  di credito;
     che, secondo  l'Avvocatura,  il  pretore  non  avrebbe  apportato
 argomenti  nuovi  che  avvalorino  i dubbi sulla illegittimita' delle
 disposizioni contestate,  ne'  avrebbe  tenuto  conto  dell'interesse
 pubblico,  il  quale richiede che la disciplina dei titoli di credito
 sia finalizzata  non  solo  a  tutelare  i  legittimi  interessi  dei
 soggetti  coinvolti, ma anche a proteggere e favorire l'utilizzazione
 degli stessi titoli, agevolando  la  speditezza  e  l'efficienza  dei
 traffici commerciali e delle transazioni economiche.
   Considerato  che,  come  rilevano  lo  stesso  pretore  di Torino e
 l'Avvocatura dello Stato, questa Corte ha gia' esaminato  e  respinto
 una  questione che, pur se formulata in riferimento ad una sola delle
 due norme oggi impugnate ed  al  solo  parametro  dell'art.  3  della
 Costituzione, era analoga a quella odierna, censurando la norma nella
 parte  in  cui si prevede la pubblicazione di tutti i protesti levati
 nella circoscrizione, senza distinguere tra quelli dovuti a colpa del
 debitore e quelli dovuti a fatti a lui non imputabili;
     che, in particolare, nella sentenza n. 151 del 1994 questa  Corte
 ha rilevato che il sistema dei protesti  cambiari, come risulta dalle
 norme  oggi  impugnate e dal diritto vivente, realizza un trattamento
 differenziato tra debitori colpevoli  ed  incolpevoli  -  nonche'  un
 razionale equilibrio fra le misure di tutela dell'onorabilita'  della
 persona  e del buon nome commerciale, da un lato, e le esigenze della
 tempestiva conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito  ai
 fini   della  speditezza  ed  efficienza  del  traffico  economico  e
 commerciale,
  dall'altro - prevedendo  varie  ipotesi  di  non  pubblicazione  dei
 protesti  cambiari  e  consentendo,  anche  per quelli pubblicati, la
 contestuale comunicazione dei motivi del rifiuto del pagamento  o  le
 successive rettifiche che il  debitore ritiene necessarie;
     che  in  detta  sentenza  e'  stato  sottolineato  che,  dopo  un
 dibattito in dottrina ed in giurisprudenza risalente a  data  remota,
 la  legge  12  febbraio  1955,  n.  77  e'  stata  interpretata dalla
 giurisprudenza di legittimita' nel senso di riconoscere il potere del
 giudice ordinario di provvedere  non  solo  alla  previa  sospensione
 cautelare  ex  art.    700  cod.  proc.  civ. della pubblicazione del
 protesto  di  assegni  del debitore incolpevole, ma anche di ordinare
 nel  conseguente  giudizio  di  merito  la  definitiva  cancellazione
 dall'elenco  dei  protesti  cambiari,  col  risultato  di  inibire la
 pubblicazione del protesto stesso;
     che il pretore rimettente non  adduce  argomenti  sostanzialmente
 nuovi  che  possano  indurre  questa  Corte  a  modificare il proprio
 orientamento, poiche' si limita ad affermare  apoditticamente  che  i
 rimedi  evidenziati in tale precedente decisione sarebbero "avvertiti
 come del tutto  insufficienti  per  la  tutela  del  protestato";  in
 particolare, gli strumenti di difesa riconosciuti dal diritto vivente
 (che  egli ritiene peraltro una forzatura della legge) rischierebbero
 di  aggravare  il  pregiudizio  del  debitore,  poiche',  ove   fosse
 pubblicato  sul  bollettino  un  protesto sia pure accompagnato dalle
 giustificazioni del debitore, "il fatto  stesso  della  pubblicazione
 potrebbe  essere  interpretato  quale  palese infondatezza dei motivi
 addotti (atteso che si potrebbe dubitare  che  il  debitore  non  sia
 riuscito  o  non  si  sia attivato per ottenere giudizialmente che il
 protesto non venisse inserito nell'elenco)";
     che, riguardo a tale ultima doglianza, il giudice a quo prospetta
 una mera  eventualita',  che  verrebbe  comunque  a  dipendere  dalla
 concreta  situazione  di  fatto  e  dal  comportamento  dello  stesso
 debitore e non potrebbe essere imputata alla disciplina  vigente,  la
 quale  riconosce  -  come  gia'  detto  - la possibilita' di ottenere
 provvedimenti di sospensione o di  divieto  della  pubblicazione  del
 protesto,  nonche'  la  dichiarazione giudiziale della illegittimita'
 della pubblicazione stessa;
     che, prevedendo l'ordinamento diversi strumenti per  evitare  sia
 la lesione del diritto all'onore ed all'identita' personale e morale,
 sia  la  disparita' di trattamento denunciate dal giudice rimettente,
 non puo' ritenersi violato il diritto di difesa  garantito  dall'art.
 24 della Costituzione;
     che  pertanto  la questione deve essere dichiarata manifestamente
 infondata;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.