IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte
 costituzionale  nella causa civile iscritta al n. 3381/1995 r.g.a.c.,
 passata in decisione  all'udienza  del  15  dicembre  1998;  oggetto:
 riserve  in appalto di opere pubbiche, tra Palma Rocco, rappresentato
 e  difeso  dall'avv.  D.  D'Ippolito,  attore  e  comune  di  Ostuni,
 rappresentato e difeso dall'avv. C. Zaccaria, convenuto;
                        Svolgimento del processo
   Con  atto  notificato  il  3  novembre  1995  Palma Rocco, titolare
 dell'omonima impresa edile, premesso che in forza di delibera di g.m.
 n. 1108 dell'11 settembre 1992 e di contratto d'appalto stipulato l'8
 ottobre 1992, aveva avuto in consegna dal comune di Ostuni,  come  da
 verbale  del  2  ottobre  1992, i lavori di ampliamento della Casa di
 riposo "G. Pinto" da ultimarsi entro il 30 marzo 1993 per  il  prezzo
 al  netto  del  ribasso  d'asta di L. 276.795.136; citava il predetto
 comune  a  comparire  dinanzi  a  questo  tribunale,  chiedendone  la
 condanna al pagamento delle seguenti somme: a) L. 45.000.000 a titolo
 di  risarcimento  dei  danni  derivati da illegittima sospensione dei
 lavori, per la quale allegava di avere formulato apposita riserva nei
 registri di contabilita', oltre  interessi  e  rivalutazione;  b)  L.
 91.827.131  per  oneri relativi a maggiori lavori ordinati dalla p.a.
 committente, come da riserve, oltre interessi e rivalutazione; c)  L.
 1.505.969  per  saldo lavori non corrisposto, oltre interessi ex art.
 36 d.P.R.   n. 1063/1992  dal  26  novembre  1994.  Con  comparsa  di
 risposta  del  26  gennaio  1996 si costituiva il comune di Ostuni ed
 eccepiva preliminarmente l'incompetenza del tribunale di Brindisi  in
 base all'art. 32, legge n. 109/1994, come successivamente modificato,
 che impone il ricorso all'arbitrato obbligatorio; nel merito eccepiva
 che  le  riserve  relative  alle presunte illegittime sospensioni dei
 lavori erano state espresse in forma  non  rituale;  soggiungeva  che
 comunque  non  si trattava di sospensioni illegittime, in quanto rese
 indispensabili dalla  necessita'  di  procedere  ad  una  perizia  di
 variante  dei  lavori;  in ordine agli oneri per i maggiori lavori di
 cui alla perizia di variante, non contestava che gli  stessi  fossero
 stati  effettivamente  eseguiti  dall'impresa,  ma  eccepiva che alla
 perizia non aveva fatto seguito la stipula di un nuovo  contratto  in
 forma   scritta   e   che  pertanto  non  poteva  discenderne  alcuna
 obbligazione in capo alla p.a. committente; inoltre eccepiva, in  via
 subordinata,  che  in ogni caso non sarebbero dovuti i maggiori oneri
 relativi all'impianto  di  riscaldamento  ed  agli  infissi;  in  via
 riconvenzionale,  chiedeva  condannarsi  l'attore  al pagamento della
 penale pattuita per il ritardo nella consegna dei lavori, ritardo che
 risulterebbe dal verbale  di  consegna  dei  lavori.  Prodotta  vaaia
 documentazione  ed  esperita  consulenza  tecnica d'ufficio, la causa
 sulle conclusioni rassegnate dai procuratori era  trattenuta  per  la
 definitiva decisione all'udienza del 15 dicembre 1998.
                              Motivazione
   E' fondata l'eccezione preliminare d'incompetenza formulata in base
 al   presupposto   della   sussistenza   della  competenza  arbitrale
 obbligatoria ai sensi dell'art. 32, comma 1 della legge  11  febbraio
 1994,  n.  109,  come  modificato  dall'art. 9-bis del d.-l. 3 aprile
 1995, n. 101 (d.-l. convertito nella legge 2 giugno  1995,  n.  216).
 Detto articolo dispone che "Ove non si proceda all'accordo bonario ai
 sensi  del  comma  1 dell'articolo 31-bis e l'affidatario confermi le
 riserve, la  definizione  delle  controversie  e'  attribuita  ad  un
 arbitrato  ai  sensi delle norme del titolo VIII del libro quarto del
 codice di procedura civile".
   Il giudizio va tuttavia sospeso, dovendosi rimettere gli atti  alla
 Corte    costituzionale,    affinche'    dichiari    l'illegittimita'
 Costituzionale del predetto art. 32,  legge  n.  109/1994,  comma  1,
 della legge 11 febbraio 1994, n. 109, come modificato dall'art. 9-bis
 del  d.-l.    3  aprile  1995, n. 101 (d.-l. convertito nella legge 2
 giugno 1995, n. 216), per contrasto con gli  artt.  24  e  102  della
 Costituzione.
   La questione e' rilevante e non e' manifestamente infondata.
                               Rilevanza
   Non  v'e'  dubbio  che  il  citato art. 32, intitolato "Definizione
 delle controversie" si applica alla fattispecie dedotta nel  presente
 giudizio:
     A)  Sotto  il  profilo  della  successione delle leggi nel tempo,
 occorre  rilevare  che  l'art.  32  della  legge  n.  109/1994,  come
 modificato dall'art. 9-bis del d.P.R. n. 101 del 3 aprile 1995 era in
 vigore  all'epoca  dell'introduzione del presente giudizio (citazione
 notificata il 3  novembre  1995).  Trattandosi  di  norma  di  natura
 processuale,  per  la  quale  vale il generale principio tempus regit
 actum, se ne impone l'applicazione nel presente giudizio civile,  con
 riferimento  al  momento  della  proposizione  della domanda (ai fini
 della determinazione della competenza); pertanto a nulla rileva nella
 fattispecie in esame che, di recente, con legge 18 novembre 1998,  n.
 415 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del 4 dicemrbe 1998),
 il predetto art.  32 sia stato interamente riformato con introduzione
 di  una  disciplina che esclude il carattere obbligatorio del ricorso
 all'arbitrato.
     B) Ricorrono i presupposti  oggettivi  e  soggettivi  individuati
 dall'art.  2  della legge n. 109/1994 ("Ambito oggettivo e soggettivo
 di applicazione della legge -  Ai  sensi  e  per  gli  effetti  della
 presente  legge  e  del  regolamento  di  cui all'art. 3, comma 2, si
 intendono per lavori pubblici, se affidati dai  soggetti  di  cui  al
 comma   2   del  presente  articolo,  le  attivita'  di  costruzione,
 demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro e  manutenzione  di
 opere   ed  impianti  anche  di  presidio  e  difesa  ambientale,  ad
 esclusione di quelli  ricadenti  nell'ambito  di  applicazione  della
 normativa  nazionale  di  recepimento  della  direttiva 92/50/CEE del
 Consiglio, del 18 giugno 1992 (3).
   2. - Le norme  della  presente  legge  e  del  regolamento  di  cui
 all'art.  3, comma 2, si applicano:
     a)   alle  amministrazioni  dello  Stato,  anche  ad  ordinamento
 autonomo, agli enti pubblici, compresi quelli economici, agli enti ed
 alle  amministrazioni  locali,  alle  loro  associazioni  e  consorzi
 nonche' agli altri organismi di diritto pubblico;
     b)  ai  concessionari  di  lavori  pubblici,  ai concessionari di
 esercizio  di  infrarutture  destinate  al  pubblico  servizio,  alle
 societa'  con  capitale pubblico, in misura anche non prevalente, che
 abbiano ad oggetto della propria attivita' la produzione  di  beni  o
 servizi  non  destinati  ad essere collocati sul mercato in regime di
 libera concorrenza nonche', qualora  operino  in  virtu'  di  diritti
 speciali  o  esclusivi,  ai  concessionari  di  servizi pubblici e ai
 soggetti di cui alla direttiva 93/38/CEE del Consiglio, del 14 giugno
 1993, salvo modifiche e integrazioni all'atto del  recepimento  della
 direttiva medesima;
     c)   ai   soggetti   privati,   relativamente  a  lavori  di  cui
 all'allegato A del d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406, nonche' ai lavori
 civili relativi ad ospedali impianti sportivi, ricreativi  e  per  il
 tempo libero, edifici scolastici ed universitari, edifici destinati a
 scopi amministrativi ed edifici industriali, di importo superiore a 1
 milione  di  ECU, per la cui realizzazione sia previsto, da parte dei
 soggetti di cui alla lettera a), un contributo diretto  e  specifico,
 in  conto  interessi o in conto capitale che, attualizzato, superi il
 50% dell'importo dei lavori (4);
    3. - Ai soggetti di cui al comma 2, lettera a),  qualora  affidino
 concessioni  di lavori pubblici di qualsiasi importo, si applicano le
 disposizioni di cui alla presente legge, limitatamente agli artt.  4,
 8, comma 7, 19, 20, 21, 22, 23, 29, 30, 31, 31/bis, 32 e 34,  nonche'
 agli  artt.  8,  9,  10, 11, 12 e 13 esclusivamente se il concorrente
 intende eseguire i lavori oggetto della concessione  con  la  propria
 organizzazione di impresa. Ai soggetti di cui al comma 2, lettera b),
 si applicano le disposizioni della presente legge ad esclusione degli
 artt.  5,  6, 14, 17, 18, 26, 27 e 35. Ai soggetti di cui al comma 2,
 lettera  c),  si  applicano  le  disposizioni  della  presente  legge
 limitatamente agli artt. 4, 8, 9, 10, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 27, 28,
 29 e 34 (3).
   4.  -  I  soggetti di cui al comma 2, lettera b), sono obbligati ad
 appaltare a terzi i lavori pubblici  non  realizzati  direttamente  o
 tramite  imprese controllate. Ai fini del presente comma si intendono
 per soggetti  terzi  anche  le  imprese  collegate.  I  requisiti  di
 qualificazione   di   cui  alla  presente  legge  sono  richiesti  al
 concessionario ed alle imprese collegate o controllate nei limiti  in
 cui essi eseguono direttamente i lavori oggetto della concessione.
   5.  -  In  deroga  a  quanto  previsto  dal  comma  4, nei tre anni
 successivi alla data di entrata in vigore  della  presente  legge,  i
 soggetti di cui al comma 2, lettera b), possono far eseguire i lavori
 oggetto  della concessione ad imprese collegate, nella misura massima
 del 30 per  cento.  I  prezzi  degli  appalti  conferiti  ad  imprese
 collegate sono determinati applicando la media dei ribassi per lavori
 similari affidati previo esperimento di procedure di pubblico incanto
 o     di    licitazione    privata    dal    concessionario    ovvero
 dall'amministrazione concedente negli ultimi sei mesi. I requisiti di
 qualificazione  di  cui  alla  presente  legge  sono   richiesti   al
 concessionario  ed alle imprese collegate o controllate nei limiti in
 cui essi eseguono direttamente i  lavori  oggetto  della  concessione
 (5).
   5-(bis)  -  Ai  fini  dei  commi  4  e 5 del presente articolo, per
 imprese collegate si intendono le imprese di cui all'art. 4, comma 5,
 del d.lgs. 19 dicembre 1991, n. 406 (5).
   6. - Ai sensi della presente legge si intendono:
     a) per organismi di  diritto  pubblico  qualsiasi  organismo  con
 personalita'  giuridica,  istituito  per  soddisfare specificatamente
 bisogni di interesse generale, non  aventi  carattere  industriale  o
 commerciale  e  la cui attivita' sia finanziata in modo maggioritario
 dallo Stato, dalle regioni, dalle province autonome di  Trento  e  di
 Bolzano,  dagli  enti  locali,  da  altri  enti  pubblici  o da altri
 organismi di diritto pubblico, ovvero la cui gestione sia  sottoposta
 al   controllo   di   tali   soggetti,  ovvero  i  cui  organismi  di
 amministrazione, di direzione o  di  vigilanza  siano  costituiti  in
 misura  non inferiore alla meta' da componenti designati dai medesimi
 soggetti;
     b) per procedure di affidamento dei lavori o per affidamento  dei
 lavori il ricorso a sistemi di appalto o di concessione;
     c)  per amministrazioni aggiudicatrici i soggetti di cui al comma
 2, lettera a);
     d) per altri enti aggiudicatori o realizzatori i soggetti di  cui
 al comma 2, lettere b) e c).
   (3)  Comma  cosi'  modificato  dall'art. 2, d.-l. 3 aprile 1995, n.
 101.
   (4) Lettera cosi' sostituita dall'art. 2, d.-l. 3 aprile  1995,  n.
 101.
   (5) Periodo aggiunto dall'art. 2, d.-l. 3 aprile 1995, n. 101.
   (6)  Comma  aggiunto dall'art. 2, d.-l. 3 aprile 1995, n. 101"); ed
 infatti nel caso in esame la p.a. appaltante e' un ente  territoriale
 (il  comune  di  Ostuni),  dunque  un amministrazione locale; inoltre
 risulta dagli atti di causa  che  l'impresa  ha  eseguito  "i  lavori
 oggetto dell'appalto con la propria organizzazione di impresa".
     C)  Il  contenzioso,  come  prevede  l'art. 32, ha per oggetto le
 "riserve" (per sospensione illegittima  dei  lavori  e  per  maggiori
 oneri conseguenti a variazione dei lavori) formulate dall'impresa nei
 registri  di contabilita'; inoltre ricorre il presupposto del mancato
 raggiungimento di un "accordo bonario".
                       Non manifesta infondatezza
   Violazione degli artt. 24, primo comma, e 102 della Costituzione.
   Il  primo  comma  dell'art. 32, legge n. 109/1994, come modificato,
 prevede   (in   costanza   di   determinati   presupposti:    mancato
 perfezionamento  di  un  accordo  bonario)  il  ricorso  obbligatorio
 all'arbitrato per la definizione  delle  controversie  relative  alle
 riserve formulate dall'impresa appaltatrice nel corso dell'esecuzione
 di  lavori pubblici.   Cio' risulta evidente, in primo luogo, in base
 all'interpretazione letterale della disposizione: "Ove non si proceda
 all'accordo bonario definizione delle controversie e'  attribuita  ad
 un  arbitro".  L'espressione "e' attrituita ad un arbitro", secondo i
 piu' comuni canoni di ermeneutica, significa che la controversia deve
 necessariamente essere devoluta ad un arbitro.
   Cio' trova conferma anche sul  piano  dell'interpretazione  logica:
 se  l'intento  del  legislatore fosse stato quello di attribuire alle
 parti la libera facolta' alternativa di  ricorrere  all'A.G.O.  o  di
 compromettere  la  lite  in  arbitri, non avrebbe avuto necessita' di
 formularne  espressa  previsione,  poiche'  tale  facolta'  era  gia'
 presente  nel  sistema  processuale  in base all'art. 806 c.p.c. ("Le
 parti possono far decidere da arbitri le  controversie  fra  di  loro
 insorte,  tranne  quelle  previste  negli  art. 429 e 459, quelle che
 riguardano questioni di stato e di separazione personale fra  coniugi
 e  le  altre  che non possono formare oggetto di transazione") Ne' la
 materia relativa ai rapporti contrattuali  di  appalto  fra  p.a.  ed
 impresa  privata  rientrava fra quelle non compromettibili in arbitri
 in base al predetto art.  806 (il che avrebbe potuto giustificare una
 espressa previsione nell'art.   32 dell'alternativa  possibilita'  di
 ricorrere  all'A.G.O.  o  ad  un  arbitro),  tenuto conto che la p.a.
 nell'ambito di tali rapporti contrattuali  di  appalto,  agisce  iure
 privatorum:  "Le  controversie  fra  privato e p.a. di competenza del
 giudice ordinario sono  compromettibili,  a  meno  che,  in  base  al
 principio generale, non si tratti di diritti indisponibili".
   (Cassazione, sent. nn. 9155/1995, 1112/1981 a sez. un., 5637/1984 a
 sez. un.).
   Procedendo  infine all'interpretazione sistematica, appare evidente
 che il richiamo al titolo 8 del  libro  4  del  codice  di  procedura
 civile,  contenuto  nel  primo comma dell'art. 32, legge n. 109/1994,
 non vale ad affermare la facoltativita'  del  ricorso  all'arbitrato,
 essendone  stata gia' sancita l'obbligatorieta' nella prima parte del
 medesimo  art.  32  ("e'  attribuita  ad   un   arbitro").   Pertanto
 l'espressione  "ai  sensi  delle  norme  del titolo 8 del libro 4 del
 codice di procedura civile", dovendo essere armonizzata con  l'intera
 disciplina  contenuta nell'articolo, vale esclusivamente a richiamare
 tutte le disposizioni del codice di procedura civile che regolano  lo
 svolgimento  procedimento arbitrale e le formalita' preliminari e non
 invece quelle relative  alla  libera  negoziazione  del  compromesso,
 essendo queste ultime incompatibili con l'obbligatorieta' del ricorso
 all'arbitrato,  che  e' imposta dalla prima parte dell'art. 32, legge
 n. 409/1994.
   La Corte costituzionale, con  sentenza  2-9  maggio  1996,  n.  152
 (Gazzetta  Ufficiale  15  maggio  1996,  n.  20 - Serie speciale), ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.  16,  legge  10
 dicembre 1981, n. 741 (sostitutivo dell'art. 47 del d.P.R. n. 1063/62
 -  Capitolato  generale  dei lavori pubblici), nella parte in cui non
 stabilisce che la competenza arbitrale puo' essere derogata anche con
 atto unilaterale di ciascuno dei contraenti.
   L'art.  24  della  Costituzione al primo comma stabilisce che tutti
 possono agire in  giudizio  per  la  tutela  dei  propri  diritti  ed
 interessi  legittimi  e  l'art.  102,  nel  vietare  l'istituzione di
 giudici  straordinari  o   speciali,   sancisce   che   la   funzione
 giurisdizionale  e'  esercitata  dai  magistrati ordinari istituiti e
 regolati     dalle      norme      sull'ordinamento      giudiziario.
 Dall'interpretazione   sistematica  dei  due  citati  articoli  della
 Costituzione deriva l'affermazione del principio Costituzionale della
 "regola  della  competenza  del  giudice  ordinario".   Pertanto   e'
 incostituzionale qualsiasi norma di diritto positivo che, sovvertendo
 tale  "regola",  affidi il giudizio ad un collegio arbitrale in guisa
 tale da  sottrarre  preventivamente  ed  in  via  generale  tutte  le
 controversie  concernenti  i  rapporti in certe materie alla sfera di
 competenza delle autorita' giurisdizionali.
   La  Corte  costituzionale  ha  gia'  piu'   volte   affermato   che
 "intenzione   del   Costituente  era  stata  quella  di  tutelare  la
 concentrazione della funzione giurisdizionale, per cui, a seguito del
 congiunto degli art.  24,  primo  comma  e  102,  primo  comma  della
 Costituzione, il fondamento qualsiasi arbitrato e' da rinvenirsi solo
 nella  libera  scelta  delle  parti e non nella legge ..." (principio
 affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 127 del 1977 e
 riportato nella predetta sentenza n. 156 del  2-9  maggio  1996).  Ed
 ancora   la  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.  156/1996  ha
 ribadito:    "L'illegittimita'    costituzionale     dell'imposizione
 autoritativa  del ricorso all'arbitrato e' stata ribadita da numerose
 sentenze di questa Corte (n. 54 del 1996; nn.  493, 232, 206, 49  del
 1994;  n.  488  del  1991).  In una di queste pronunce (la n. 232 del
 1994) si e' anche ritenuto non conforme ai principi costituzionali il
 rinvio della controversia ad una commissione arbitrale predeterminata
 direttamente dalla  legge"  e,  con  riferimento  all'art.    47  del
 Capitolato  generale,  ha  affermato:  "Con la disposizione impugnata
 (art. 16, legge 10 dicembre 1981, n. 741)  l'originaria  formulazione
 dell'art.  47  del capitolato disciplinato dal d.P.R. n. 1063/1962 e'
 stata sostituita, stabilendosi che la competenza arbitrale,  prevista
 dagli  artt.  43  e  seguenti  puo'  essere esclusa solo con apposita
 clausola inserita nel bando o invito di gara, oppure nel contratto in
 caso di trattativa privata.
   Siffatta  nuova  formulazione  dell'art.  47,  prevede  un  sistema
 declinatorio  della  competenza  arbitrale  che  non  si sottrae alla
 censura di incostituzionalita', in quanto sostanzialmente conferma la
 natura  obbligatoria  dell'arbitrato,  ritenuta   illegittima   dalla
 costante  giurisprudenza  di questa Corte ... L'arbitrato puo' invece
 ritenersi non obbligatorio - come prevedeva l'originaria formulazione
 dell'art. 47 - anche dopo l'aggiudicazione dell'appalto e  fino  alla
 nomina  degli  arbitri  per  la  decisione sull'insorta controversia,
 qualora sia consentita la facolta', all'una  o  all'altra  parte  del
 rapporto,  di  scegliere  ancora  la competenza ordinaria ...  Solo a
 fronte della concorde e specifica volonta' delle  parti  (liberamente
 formatasi)  sono  consentite  deroghe  alla  regola della statualita'
 della giurisdizione".
   Gia' in quella sede la Corte costituzionale ha indicato,  sia  pure
 incidentalmente,  la censurabilita' per manifesta incostituzionalita'
 dell'art. 32, legge n.  109/1994  nella  formulazione  novellata  dal
 d.-l.  3  aprile 1995, n. 101: "Lo stesso legislatore, d'altronde, ha
 dimostrato  recentemente  di  cercare  giuste  soluzioni  al problema
 perche', nel regolare ex novo la materia degli appalti pubblici  (con
 la  legge  n.  109/1994) aveva previsto all'art. 32 che la competenza
 sulle  controversie  fosse  attribuita  al  giudice  ordinario,   con
 esplicito   divieto   di   definire  la  controversia  agli  arbitri;
 successivamente con il d.-l. 3 aprile  1995,  n.  101  convertito  in
 legge con legge del 2 giugno 1995, n. 216, la competenza arbitrale e'
 stata  nuovamente  introdotta,  pero' con il richiamo alla disciplina
 contenuta al riguardo dal codice di procedura civile. La legislazione
 potrebbe ancora evolversi, tenendo conto, oltre che del coordinamento
 con  la  disciplina  comunitaria,  del  principio  essenziale   della
 effettiva  libera  volonta'  di  ciascuna  parte  sulla  scelta della
 competenza nei casi in cui il contratto sia predisposto dalla p.a.".
   Ogni ulteriore commento appare superfluo  rispetto  all'eufemistico
 auspicio  de  iure  condendo  formulato  dalla Corte costituzionale a
 fronte del passo indietro compiuto dal legislatore con l'approvazione
 dell'art. 9-bis del d.-l. 3 aprile 1995, n. 101  (convertito  con  la
 legge  2  giugno 1965, n. 216), che ha modificato l'art. 32, legge 11
 febbraio  1994,  n.  109,  introducendo   l'istituto   dell'arbitrato
 obbligatorio.   Lo  stesso  legislatore,  in  ossequio  dei  principi
 indicati  dalla  Corte  costituzionale,  ha  di  recente  risolto  il
 problema   di   legittimita'  costituzionale,  tornando  a  riformare
 l'istituto in questione, sia pure con efficacia  ovviamente  limitata
 alle  future  controversie; ed in particolare con l'art. 10, legge 18
 novembre 1998, n. 415 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 284 del
 4 dicembre 1998) ha modificato  il  predetto  art.  32,  tornando  ad
 escludere il carattere obbligatorio del ricorso all'arbitrato in base
 alla  nuova  formulazione  che  qui  di  seguito si riporta: "Art. 32
 (Definizione delle controversie).
   1. - Tutte le controversie derivanti dall'esecuzione del contratto,
 comprese quelle conseguenti al  mancato  raggiungimento  dell'accordo
 bonario  previsto  dal  comma  1  dell'art.  31-bis,  possono  essere
 deferite ad arbitri.
   2. - Qualora sussista la  competenza  arbitrale,  il  giudizio,  e'
 demandato  ad  un  collegio  arbitrale  costituito  presso  la camera
 arbitrale per i lavori pubblici istituita presso l'Autorita'  di  cui
 all'art.  4 della presente legge. Con decreto del Ministro dei lavori
 pubblici,  di  concerto  con  il  Ministro  di grazia e giustizia, da
 emanare  entro  tre  mesi  dalla  data  di  entrata  in  vigore   del
 regolamento sono fissate le norme di procedura del giudizio arbitrale
 ...".
   Non  resta  che  sospendere  il  giudizio  e  rimettere  alla Corte
 costituzionale la questione di costituzionalita' di detta  norma,  in
 quanto  norma  processuale  applicabile  all'epoca  dell'inizio della
 causa.