ha pronunciato la seguente Ordinanza nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo 1, comma 8, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), promosso con ordinanza emessa il 23 luglio 1997 dal pretore di Milano, iscritta al n. 722 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1997. Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1999 il giudice relatore Carlo Mezzanotte; Ritenuto che il pretore di Milano, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di liquidazione di spese ed onorari avanzata dal difensore di una imputata ammessa al patrocinio a spese dello Stato in relazione ad un procedimento per il reato di cui all'art. 660 del codice penale, prima di rigettare l'istanza di liquidazione, previa revoca del decreto di ammissione al patrocinio di quella imputata, con ordinanza in data 23 luglio 1997 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 8, della legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), nella parte in cui esclude il patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti nei procedimenti penali concernenti contravvenzioni, tranne quando questi siano riuniti o connessi a procedimenti per delitti; che, quanto alla rilevanza, il remittente, sul presupposto che in sede di liquidazione possano essere nuovamente valutati i requisiti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, precisa che l'imputata, non abbiente, e' stata ammessa al patrocinio e che tuttavia, trattandosi di procedimento per reato contravvenzionale, il decreto di ammissione, adottato in assenza dei presupposti di legge, dovrebbe necessariamente essere revocato, con conseguente impossibilita' di procedere alla liquidazione delle spese e degli onorari in favore del difensore; che, ad avviso del remittente, l'esclusione del patrocinio a spese dello Stato nei procedimenti penali concernenti contravvenzioni non apparirebbe giustificata, dal momento che spesso le contravvenzioni sono punite con pene piu' severe di quelle previste per i delitti e che comunque, anche in relazione ad esse, dovrebbero essere assicurati ai non abbienti i mezzi per difendersi in giudizio, posto che anche in detti procedimenti e' a rischio la liberta' della persona; che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione, gia' decisa da questa Corte nel senso della non fondatezza con la sentenza n. 243 del 1994 e della manifesta inammissibilita' con l'ordinanza n. 104 del 1997, sia dichiarata inammissibile o infondata. Considerato che il remittente muove dalla erronea premessa che il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato adottato in assenza dei presupposti di legge sia revocabile in ogni tempo dal giudice, anche al di fuori delle ipotesi di revoca espressamente previste dall'articolo 10 della legge 30 luglio 1990, n. 217, secondo il quale la revoca e' possibile se l'interessato non provvede a comunicare eventuali variazioni dei limiti di reddito o a presentare la prescritta documentazione ovvero se, a seguito della comunicazione prevista dall'articolo 5, comma 1, lettera c), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato ovvero ancora, su istanza dell'intendente di finanza, quando risulti provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui all'art 3 della citata legge; che, al di fuori di questi casi, un potere di revoca non e' configurabile neppure, come invece talvolta ritenuto dalla giurisprudenza, quale espressione della generale potesta' di autotutela di cui e' titolare la pubblica amministrazione; che, infatti, nel decidere se spetti il patrocinio a spese dello Stato, il giudice esercita appieno una funzione giurisdizionale avente ad oggetto l'accertamento della sussistenza di un diritto, peraltro dotato di fondamento costituzionale, sicche' i provvedimenti nei quali si esprime tale funzione hanno il regime proprio degli atti di giurisdizione, revocabili dal giudice nei limiti e sui presupposti espressamente previsti, e rimuovibili, negli altri casi, solo attraverso gli strumenti di impugnazione, che nella specie sono quelli previsti dalla legge che istituisce il patrocinio a spese dello Stato; che, in particolare, la legge n. 217 del 1990, all'articolo 6, delinea un sistema di impugnazioni avverso i provvedimenti adottati dal giudice: l'interessato, nei termini stabiliti, puo' proporre ricorso dinanzi al tribunale o alla corte di appello ai quali appartiene il giudice che ha emesso il decreto di rigetto dell'istanza e il relativo ricorso e' notificato all'intendente di finanza, che e' parte nel procedimento; contro l'ordinanza che decide il ricorso l'interessato e l'intendente di finanza possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge; che il sistema di impugnazioni introdotto dall'anzidetta disposizione e' in verita' incompleto, poiche' non prevede il ricorso dell'intendente di finanza, al quale il provvedimento deve comunque essere comunicato e che pure e' parte del procedimento in sede di gravame avverso il decreto che abbia accolto l'istanza; che per colmare questa evidente lacuna, in assenza di un intervento legislativo che espressamente introducesse la possibilita' di un ricorso dell'intendente di finanza contro il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, puo' certo impegnarsi l'attivita' interpretativa del giudice, ma non fino al punto di snaturare provvedimenti, inequivocamente concepiti dal legislatore come giurisdizionali, e di ridurli al rango di atti amministrativi, dotati del regime giuridico che di questi e' proprio, secondo un modo di vedere che finirebbe col revocare in dubbio la stessa legittimazione del giudice a sollevare questioni di legittimita' costituzionale nei relativi procedimenti; che, pertanto, avendo il giudice remittente gia' fatto applicazione della disposizione che ora sottopone a censura e non essendo configurabile un potere di revoca nei termini prospettati, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile. Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.