LA CORTE DI ASSISE
   Rilevato   che   nel   processo   de   quo  parte  dell'istruttoria
 dibattimentale e' stata svolta dinanzi  ad  un  giudice  diversamente
 composto:
     che quella composizione collegiale non e' piu' ricostituibile;
     che,   all'esito   dell'istruttoria,   la   difesa   ha  chiesto,
 apoditticamente, la nuova audizione dei testi gia' escussi in diversa
 composizione;
     che  si   e'   nella   fase   relativa   alla   declaratoria   di
 utilizzabilita'  degli  atti ex art. 511 del c.p.p., sicche' la Corte
 e' chiamata a valutare se possa farsi luogo  tout  court  a  siffatta
 declaratoria, ovvero se l'istanza di parte imponga l'esame o, ancora,
 se  il  giudice  possa  delibare l'istanza medesima secondo le regole
 generali che sovrintendono all'ammissione della  prova  nel  processo
 penale.
   Rileva  il  mutamento,  nel  corso  del dibattimento, delle persone
 fisiche dei giudici componenti la Corte,  non  importa,  in  se',  la
 violazione del principio di immutabilita' del giudice posto dall'art.
 525  del c.p.p. "alla deliberazione concorrono gli stessi giudici che
 hanno partecipato al dibattimento".
   Ed invero per come affermato dalla Corte  costituzionale  (sentenza
 n.  17  del 24 gennaio/3 febbraio 1994,  pres. Casavola, Colabella ed
 altro; ord. n. 99 del 25 marzo/3 aprile 1996, pres.  Ferri,  Bau'  ed
 altri)  e recentissimamente ribadito dalle sezioni unite penali della
 Cassazione (sent. n. 1/99 pres. Zucconi Galli Fonseca, Iannasso +  1)
 il  suddetto  principio  e'  rispettato  quando  il dibattimento "sia
 integralmente   rinnovato   con   la   ripetizione   della   sequenza
 procedimentale   costituita   dalla  dichiarazione  di  apertura  del
 dibattimento,  dall'esposizione  introduttiva,  dalla   richieta   di
 ammissione  delle  prove,  dai provvedimenti relativi all'ammissione,
 dall'assunzione delle prove secondo le regole stabilite  dagli  artt.
 496 e seguenti del c.p.p." (Cass. ss.uu. citata).
   Nel  caso  in  esame  al  mutamento  di composizione del giudice e'
 seguita la rinnovazione secondo il suddetto ordine (v.  ord.  del  26
 febbraio 1998).
   Nessuna nullita' si e' quindi verificata;
   La  questione  di  cui  deve  occuparsi  la  Corte e' dunque quella
 relativa all'individuazione degli atti che  possono  essere  posti  a
 base della decisione.
   Le  pronunce sopra richiamate ribadiscono il principio secondo cui,
 a norma dell'art. 511 del c.p.p. e' legittima  l'utilizzabilita'  dei
 verbali  di prove acquisite nel corso dell'istruttoria dibattimentale
 svoltasi dinanzi al giudice poi sostituito.
   L'art. 511, primo  comma  del  c.p.p.  prescrive  infatti  che  "il
 giudice  anche  d'ufficio  dispone  che sia data lettura, integrale o
 parziale degli atti contenuti nel fascicolo del dibattimento".
   Nell'ambito  di  tali  atti  rientrano,  secondo  l'ormai  pacifica
 interpretazione  della  Corte  costituzionale e delle sezioni unite i
 verbali di prove assunti nel dibattimento svoltosi dinanzi al diverso
 giudice.
   E' stato invero chiarito come il  fascicolo  del  dibattimento  non
 abbia  un  contenuto  statico,  cristallizzato dall'inserimento degli
 atti di cui all'art. 431 del c.p.p., ma si  arricchisca di nuovi atti
 nel corso del dibattimento stesso.
   Cosicche'  l'attivita'  in  precedenza  compiuta  e  acquisita   al
 fascicolo  del  dibattimento  legittimamente viene posta a base della
 decisione, attraverso il  duplice  meccanismo  della  rinnovazione  e
 delle  letture:    i  giudici che emettono la sentenza partecipano al
 dibattimento attraverso la lettura degli atti di tale fascicolo (gia'
 trib.  Cosenza    14 novembre 1991, pres. Garbati in Cass. pen. marzo
 1992, pag. 778, n. 445).
   Sennonche' tale disciplina  va  coordinata  con  il  secondo  comma
 dell'art.   511 del c.p.p. "la lettura di verbali di dichiarazioni e'
 disposta solo dopo l'esame della persona che le ha rese, a  meno  che
 l'esame non abbia luogo".
   La   norma   in   questione,   anche  alla  luce  dell'insegnamento
 recentissimo delle sezioni unite penali (v. sent.  n.  1/99  citata),
 non  puo' che essere interpretata nel senso che quando, come nel caso
 che occupa, l'ammissione della  prova  sia  nuovamente  richiesta  il
 giudice   non   abbia   il   potere  di  disporre  la  lettura  delle
 dichiarazioni precedenti senza previo esame del dichiarante.
   In sostanza il primo comma dell'art. 511  del  c.p.p.  incontra  il
 duplice  limite  della  richiesta  di  parte  e della possibilita' di
 ripetizione.
   Cosi' le  sezioni unite: "Nel caso di rinnovazione del dibattimento
 a causa del mutamento della persona del giudice monocratico  o  della
 composizione  del  giudice  collegiale, la testimonianza raccolta dal
 primo giudice non e' utilizzabile per la decisione mediante  semplice
 lettura,  senza  ripetere l'esame del dichiarante quando questo possa
 aver luogo e sia stato richiesto da una delle parti".
   A fronte dunque di una richiesta di parte l'esame non puo' non aver
 luogo, a meno di non essere naturalisticamente impossibile (v.    per
 esempio morte del dichiarante).
   Ne'  il  tenore  letterale  della  norma che non richiama le regole
 generali in tema di ammissione della prova nel corso del dibattimento
 (v.  artt.  190,  190-bis,  495  e  507  del  c.p.p.)  consente   una
 interpretazione diversa.
   Si pongono a questo punto seri dubbi di costituzionalita'.
   Ritiene la Corte che l'art. 511 del c.p.p. sia in contrasto con gli
 artt. 3, 24, 111, 112 e 101, primo comma, della Costituzione.
   Ed  invero,  si  ravvisa  una evidente disparita' di trattamento di
 casi analoghi.
   L'indefettibilita' dell'esame,  a  seguito  di  mera  richiesta  di
 persona  gia'  sentita  nel  medesimo  procedimento,  stride  con  la
 disciplina relativa alle ipotesi di acquisizione di verbali di  prove
 di altro procedimento (v. art. 238 del c.p.p.).
   In  questo  caso  il legislatore, pur riconoscendo il diritto delle
 parti a richiedere l'esame, lo subordina alle norme generali in  tema
 di  prova  "salvo  quanto  previsto dall'art. 190-bis, resta fermo il
 diritto delle parti di ottenere, a norma dell'art.  190  del  c.p.p.,
 l'esame  delle  persone  le  cui dichiarazioni sono state acquisite a
 norma dei commi 2, 2-bis e ter del presente articolo".
   E' in realta' irragionevole ritenere che il "diritto alla prova" si
 atteggi in maniera diversa nelle  due  ipotesi  delineate  ed,  anzi,
 appaia  meno  espanso  nel  caso  di dichiarazioni acquisite in altro
 processo, fuori dal controllo dell'imputato e del suo difensore (vedi
 art. 238 del c.p.p.).
   Una  corretta   applicazione   dell'art.   3   della   Costituzione
 imporrebbe,  invece,  che anche nelle ipotesi di cui all'art. 511 del
 c.p.p. fosse garantito il controllo del giudice terzo, in funzione di
 impedire defatiganti ed inutili duplicazioni  merce'  il  ricorso  ai
 criteri  di cui agli artt. 190, 190-bis e 507 del c.p.p., modulati in
 ragione della fase processuale e della natura dei reati.
   Ma la norma in questione si pone in contrasto pure con  i  principi
 di  indefettibilita' della giurisdizione del libero convincimento del
 giudice e della sua soggezione soltanto alla legge,  nonche'  di  non
 dispersione   della  prova  (vedi  principio  enucleato  dalla  Corte
 costituzionale nelle sentenze nn. 254 e 255 del 1992 e ribadito nella
 sentenza n. 361 del 1998).
   Lasciare all'iniziativa arbitraria ed incontrollabile di una  parte
 il  diritto  di  decidere  circa  la  ripetibilita' di una prova gia'
 assunta significa espropriare il giudice di ogni potere in materia di
 acquisizione ed ammissione della prova, il che  e'  evidentemente  in
 contrasto  con  le  regole  del giusto processo e della indefettibile
 ricerca della verita'.
   A tali regole deve conformarsi, merce' l'individuazione di  acconci
 correttivi,  il  principio  di  oralita' del processo penale che deve
 cedere  di  fronte   all'imprescindibile   necessita'   di   economia
 processuale ed all'esigenza di celebrazione di un processo giusto.
   Del resto, l'oralita' non e' dato ottusamente irrinunciabile, ma si
 combina,   nel   sistema  della  vigente  procedura,  con  meccanismi
 opportuni di preservazione di atti (vedi  appunto  la  disciplina  di
 acquisizione  della  prova  documentale  ex  artt. 234 e seguenti del
 c.p.p., dei verbali di prova assunti in altro  procedimento  ex  art.
 238 del c.p.p., dell'incidente probatorio, quella dettata dagli artt.
 512, 210 e 513 del c.p.p.).
   Per  non  dire  come  l'inutile  ripetizione  di esami gia' assunti
 prolunghi la durata dei dibattimenti senza che cio' sia funzionale ad
 esigenze di giustizia, anzi, spesso col rischio di dispersione  della
 prova  gia'  acquisita  per  l'incidenza  negativa che il decorso del
 tempo puo' avere sulla lucidita' del ricordo dei dichiaranti.
   Evidente, a fronte della richiesta di esame avanzata dalla  difesa,
 la rilevanza della questione.