IL TRIBUNALE
   Ha emesso la seguente ordinanza;
   Su appello avverso ordinanza 27 ottobre 1998 della Corte di  Assise
 di  S.  Maria C.V., II sezione, con la quale veniva rigettata istanza
 di scarcerazione di Caterino Mario per inefficacia della ordinanza di
 custodia cautelare;
                             O s s e r v a
   1. - La difesa di Caterino Mario - sottoposto a custodia in carcere
 in forza di ordinanza  coercitiva 25 novembre 1995 -  ha  chiesto  la
 scarcerazione  dell'imputato  sul  presupposto che in occasione della
 procedura di  riesame  del  provvedimento  restrittivo  a  suo  tempo
 esperita  si  e'  verificata  la  perdita  di  efficacia della misura
 cautelare per omessa trasmissione degli atti al tribunale del riesame
 nel termine di cinque giorni previsto dal quinto comma dell'art. 309,
 computato tale  termine  dal  giorno  di  presentazione  dell'istanza
 secondo  quanto  ritenuto  dalla Corte costituzionale con sentenza n.
 232 del 1 giugno 1998.
   La Corte di Assise, che procede per il giudizio, con  ordinanza  27
 ottobre  1998  -  premesso  che  quanto  dedotto dall'interessato non
 risultava comunque provato da  idonea  documentazione,  non  allegata
 all'istanza  difensiva  -  ha  osservato: "... la portata retroattiva
 della  sentenza  della  Corte  costituzionale  (peraltro  di   natura
 interpretativa) incontra il limite processuale invalicabile delle cd.
 situazioni esaurite.
   Nel   caso   di  specie  tale  limite  si  configura  in  relazione
 all'ordinanza del tribunale del riesame, conclusiva del  procedimento
 incidentale di impugnazione dell'ordinanza g.i.p. Trattasi infatti di
 provvedimento  conclusivo  di  uno specifico sub-procedimento, la cui
 regolarita' e' ovviamente oggetto di controllo (sia  pure  implicito)
 da  parte dello stesso tribunale del riesame, ed i cui eventuali vizi
 (sia in procedendo che in iudicando) vanno denunziati  con  specifico
 motivo  di  ricorso  per  cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p.p. In
 altre parole il tribunale del riesame decide ''nel merito''  solo  in
 quanto  non  rilevi  preliminarmente  questioni  di  nullita' del suo
 procedimento  o  di  efficacia  della  misura  cautelare  oggetto  di
 controllo;  cio' comporta che la decisione di ''conferma della misura
 in atto'' inevitabilmente  contiene  (anche  se  per  implicito)  una
 valutazione  circa  gli  aspetti  di  cui  in  precedenza,  idonea ad
 assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata.
   Dunque la situazione oggi all'esame  della  Corte  non  puo'  dirsi
 tuttora ''pendente'', in quanto la protrazione della limitazione allo
 status  libertatis  dell'imputato dipende (anche) dagli effetti di un
 provvedimento  (l'ordinanza  del  trib.  riesame)  non  impugnato  (o
 comunque  confermato  in  Cassazione, data l'epoca della decisione di
 cui si tratta) e dunque tendenzialmente  definitivo,  in  assenza  di
 sopravvenienze  fattuali,  tali da modificare i parametri di cui agli
 artt. 273 e 274 c.p.p. In tal senso la situazione processuale  teste'
 descritta  differisce  profondamente dall'ipotesi in cui il motivo di
 inefficacia  della  misura  cautelare  sia  legato  (come  nel   caso
 dell'art.  294  c.p.p.) allo sviluppo ''necessario'' del procedimento
 cautelare ''principale'' (intendendosi per tale quello svolto innanzi
 al g.i.p.); qui infatti (e fermo restando il limite della intervenuta
 trasmissione degli atti  al  giudice  del  dibattimento)  l'efficacia
 retroattiva   di  pronunzie  della  Corte  costituzionale  (sent.  n.
 77/1997) e' dipesa dalla verifica della  esistenza  di  uno  ''spazio
 procedimentale''   (i   5   giorni   dalla   esecuzione)  in  cui  e'
 effettivamente maturata l'omissione di  un  adempimento  obbligatorio
 (con relativa rilevabilita' ''postuma'').
   Le  due  situazioni  non  possono  compararsi,  atteso che nel caso
 dell'art.   309 c.p.p.  l'eventuale  motivo  di  inefficacia  risulta
 essere   del   tutto   ''interno''   allo  sviluppo  dello  specifico
 sub-procedimento  di  controllo,  che  essendosi  concluso   con   un
 successivo  provvedimento decisorio, non lascia spazio a sopravvenute
 doglianze, salvo il caso  di  avvenuta  prospettazione  di  specifico
 motivo, ai sensi e con gli effetti di cui all'art. 311 c.p.p. Dunque,
 per  tutto  quanto sinora esposto, e prescindendo dalla adesione (pur
 controversa)  al  contenuto  della   sentenza   n.   232/1998   Corte
 costituzionale, ad avviso di questa Corte la deducibilita' del motivo
 di inefficacia della misura in atto e' da ritenersi preclusa".
   Con  l'atto  di  appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p., la
 difesa  lamenta  che  il  giudice  del  dibattimento,  nel  rigettare
 l'istanza,  erroneamente  ha  ritenuto preclusa la questione dedotta:
 "... L'ordinanza impugnata va censurata. Il provvedimento della Corte
 di Assise, infatti, non  e'  ancorato  ad  elementi  logico-giuridici
 idonei  ad integrare valida motivazione. Vorra' il tribunale rilevare
 che la difesa  aveva  richiesto  declaratoria  di  inefficacia  della
 misura  cautelare  per  violazione  del  combinato  disposto  di  cui
 all'art. 309 c.p.p. nn.  5 e 10.
   In particolare, la richiesta era confortata  dalla  sentenza  della
 Consulta  n.  232/1998.  Tale  sentenza,  nel chiarire il significato
 letterale del citato  articolo  e  nel  richiamare  all'ossequio  dei
 termini ivi previsti, aveva specificato che il significato attribuito
 alla  norma  spiegava  i  suoi  effetti a far data dalla introduzione
 della stessa, ossia dal 1995.
   La Corte di Assise sostanzialmente rigettava  l'istanza  attraverso
 il  richiamo  a ''situazioni esaurite'', ossia attraverso la ritenuta
 cristallizzazione dell'ordinanza quale provvedimento conclusivo di un
 sub-procedimento,  in  quanto  tale  non   piu'   impugnabile.   Tale
 presupposto  fattuale  impediva, per il giudice, l'applicazione della
 sentenza al  caso  di  specie,  pur  in  costanza  di  una  efficacia
 retroattiva della sentenza della Corte delle leggi.
   Nel   provvedimento   inoltre  veniva  evidenziata  la  sostanziale
 differenza da ipotesi analoghe sulle quali pure  era  intervenuta  la
 Consulta  ed  in  particolare  dalla sentenza n. 77/1997. Preliminare
 alla valutazione dei motivi di gravame e'  la  dovuta  considerazione
 della  natura  dei  provvedimenti,  ivi  comprese  le  ordinanze  del
 tribunale  per  il  riesame,  decisori  in  materia  de libertate. E'
 pacifico che una ordinanza non impugnata diventi  definitiva  decorso
 infruttuosamente il termine per la proposizione del gravame.
   Tuttavia  i  provvedimenti  de libertate sono caratterizzati da una
 definitivita' particolare in quanto riconducibili alla categoria  dei
 provvedimenti sottoposti alla clausola rebus sic stantibus, nel senso
 che  e'  consentito un costante adeguamento del diritto alla liberta'
 alla  evoluzione  della   situazione   di   diritto   sostanziale   e
 processuale,  le  cui  modifiche, pertanto, consentono di rivedere lo
 status detentionis. (Cass. Sez. I, 21 aprile 1993, n.  1197).  Ebbene
 non  v'e'  dubbio  che  la  sentenza  232/1998  abbia  inciso  su una
 situazione  di  diritto  processuale,   sia   pure   a   livello   di
 chiarificazione  della  portata  della  norma  (retroattivamente), ed
 abbia riaperto una pretesa che poteva trovare  accoglimento  mediante
 istanza  alla  Corte di Assise di S. Maria C.V. che in questa fase e'
 giudice della misura cautelare, ne'  alcuna  ''situazione  esaurita''
 puo'  ravvisarsi  a  sostegno dell'ordinanza.   Quanto esposto vale a
 confutare il provvedimento di rigetto.
   Nemmeno pare condivisibile il citato riferimento alla  sentenza  n.
 77/1997  ed  all'art.  294  c.p.p.,  riferimento  avente  lo scopo di
 evidenziare differenze sostanziali con l'ipotesi di cui all'art.  309
 c.p.p. cosi' come interpretato dalla Consulta e  di  giustificare  il
 perche'  nella  prima  ipotesi  sia  pacifica la retroattivita' della
 sentenza della Consulta e sia applicabile anche a situazioni  che  e'
 lecito definire ''esaurite'' mentre nel caso di specie tale attivita'
 sia  preclusa.  Infatti  non e' dato comprendere quale sia il diverso
 dato ontologico che secondo la Corte  di  Assise  presiede  alle  due
 ipotesi  ne',  per  le  considerazioni  suesposte, quale sia la norma
 giuridica o il sostrato che differenzia lo ''spazio  procedimentale''
 di  cui  all'art.  294  c.p.p.  dallo  spazio  procedimentale  di cui
 all'art.  309 c.p.p., n. 5.
   Peraltro entrambe le violazioni risultano, previo intervento  della
 Corte  costituzionale, sanzionate a pena di inefficacia della misura.
 Va, infine, osservato  che  indiscutibile  appare  la  valenza  della
 sentenza  n.  232/1998.  La Corte pur pronunciandosi limitatamente ad
 una  questione  ha  chiarito  quello  che  e'   l'unico   significato
 attribuibile  alla  norma  di cui all'art. 309 c.p.p. ed in tal senso
 non  puo'   sommariamente   liquidarsi   tale   provvedimento   quale
 ''interpretativo''... ".
   2.  -  Nel caso in esame, ad avviso del collegio, non si e' formata
 sulla  specifica questione una preclusione per il solo fatto che  sia
 divenuta   definitiva   l'ordinanza   del   tribunale   ex  art.  309
 confermativa del provvedimento  restrittivo.  Cio'  sia  perche',  in
 materia  di  misure  cautelari,  un  limitato  effetto  preclusivo si
 verifica  unicamente  in  relazione  alle  questioni   effettivamente
 dedotte  e  non  anche  in relazione a quelle deducibili con il mezzo
 d'impugnazione previsto dalla legge (ss.uu. n.11/1994, Buffa); sia, e
 a maggior ragione, perche' le questioni di inefficacia  della  misura
 cautelare, anche in relazione alle cause che si verifichino nel corso
 della  procedura  incidentale  di  riesame  secondo le previsioni del
 comma 10 dell'art.  309, non possono o, secondo  alcuni,  non  devono
 necessariamente  essere  dedotte con la richiesta di riesame, poiche'
 il  mezzo  previsto  dalla  legge  e'  l'istanza   al   giudice   del
 procedimento  principale ai sensi dell'art. 306 (v.: ss.uu. 20 luglio
 1995,  Galletto;  ss.uu.  3  luglio  1996,  Moni;  Cass.,  sez. I, n.
 1807/1997, Cappuccio; per le misure cautelari reali  v.  Cass.,  sez.
 II, n. 35141/1997, Cacchioni).
   Sul  punto  non puo' condividersi l'opinione della Corte di Assise,
 secondo cui "il tribunale del riesame decide ''nel merito''  solo  in
 quanto  non  rilevi  preliminarmente  questioni  di  nullita' del suo
 procedimento  o  di  efficacia  della  misura  cautelare  oggetto  di
 controllo"  e  "cio'  comporta  che  la decisione di ''conferma della
 misura in atto'' inevitabilmente contiene (anche  se  per  implicito)
 una  valutazione  circa  gli  aspetti di cui in precedenza, idonea ad
 assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata".
   Ed invero - premesso che la tardiva trasmissione al c.d.  tribunale
 della  liberta',  da  parte  dell'autorita'  procedente,  degli  atti
 necessari al giudizio di riesame non comporta alcuna  nullita'  della
 procedura  ex  art.  309 - va osservato che il tribunale del riesame,
 quand'anche  rilevi,  di  ufficio  o   su   eccezione   della   parte
 interessata, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza coercitiva ex
 art.  309,  commi  5  e  10,  c.p.p.  (ed  e' controverso, come si e'
 accennato, se possa  dichiararla  o  se  invece  debba  rimettere  la
 questione  al giudice del procedimento principale, competente ex art.
 306, ma il tema non puo' essere qui  approfondito),  non  e'  affatto
 esonerato  dalla  pronunzia sul merito della richiesta di riesame, la
 cui ammissibilita', almeno nel caso delle misure custodiali, persiste
 persino  nel  caso  in  cui   sopravvenga   l'effettiva   liberazione
 dell'indagato  (cfr. Cass., sez. I, n. 4867/1997, De Luca; ss.uu., 20
 dicembre 1993, Stablum ed altro; ss.uu. 8 novembre 1993, Durante).
   Non puo' quindi ritenersi che l'ordinanza del tribunale del riesame
 confermativa del provvedimento restrittivo precluda  la  proposizione
 della  questione  di  inefficacia della misura cautelare ex art. 309,
 commi 5 e  10,  quando  tale  questione  non  sia  stata  oggetto  di
 specifico esame.
   Nel  caso  di  specie  non  risulta che la questione fosse stata in
 precedenza sollevata nell'ambito della procedura  di  riesame  o  con
 separata istanza ai sensi dell'art. 306. Cio', anzi, deve escludersi,
 considerato che l'istanza e' stata proposta a seguito ed in relazione
 alla  sentenza  della  Corte  costituzionale intervenuta il 22 giugno
 1998.
   Deve altresi' escludersi che la prospettata questione d'inefficacia
 dell'ordinanza coercitiva sia preclusa per il tempo decorso o per  lo
 stato del procedimento, passato dalla fase delle indagini preliminari
 a quella del giudizio di primo grado; cio' perche' nel caso di specie
 l'inefficacia,  cosi'  come  dedotta dalla difesa, non dipende da una
 nullita'   del   procedimento   suscettibile   di   sanatoria,   come
 nell'ipotesi   dell'interrogatorio   nullo   per   omesso  avviso  al
 difensore, in cui la mancata deduzione della nullita' nel termine  di
 cui  all'art.  181/2  esclude  che possa pervenirsi alla declaratoria
 d'inefficacia della misura coercitiva ai sensi degli artt. 302 e 294.
   Pertanto,  l'istanza   difensiva   e'   da   ritenersi   pienamente
 ammissibile.
    3.  -  Dal  registro  impugnazioni  misure  cautelari tenuto dalla
 cancelleria di questo tribunale risulta  (v.  estratto  acquisito  al
 fascicolo)  che  la  richiesta  di riesame nell'interesse di Caterino
 Mario avverso l'ordinanza coercitiva 25 novembre 1995  fu  depositata
 il  22  dicembre  1995  ed  iscritta  al  n. 6612/1995 e che gli atti
 necessari  per  la  decisione  pervennero al tribunale il 30 dicembre
 1995 (o, piu' precisamente, in tale data pervenne comunicazione -  da
 ritenersi  equipollente:   cfr. Cass., sez. V, n. 4696 del 27 gennaio
 1997, ud. 30 ottobre 1996, Pepe; Cass., sez. I, n. 6954 del 17  marzo
 1997, ud. 19 dicembre 1996, Cipolletta e altro; Cass., sez. I, n. 278
 del 5 marzo 1997, ud. 17 gennaio 1997, Abate - che gli atti erano gli
 stessi  gia' in precedenza trasmessi per analoga procedura relativa a
 coindagato).
   In punto di fatto, quindi, la questione  e'  nei  termini  indicati
 dalla  difesa, poiche' dalla presentazione della richiesta di riesame
 (22 dicembre 1995) all'arrivo degli atti (o, piu' precisamente, della
 detta comunicazione equipollente: 30 dicembre 1995) si  contano  otto
 giorni.
   4. - L'art. 309 c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n.
 332  dell'8  agosto  1995, prevede che, a seguito della presentazione
 della richiesta di riesame  dell'ordinanza  che  dispone  una  misura
 coercitiva,  "il  presidente  cura  che  sia  dato  immediato  avviso
 all'autorita'  giudiziaria  procedente  la  quale,  entro  il  giorno
 successivo,  e  comunque  non  oltre  il  quinto giorno, trasmette al
 tribunale gli atti ..."  (comma 5) e "se la trasmissione  degli  atti
 non avviene nei termini di cui al comma 5 ... l'ordinanza che dispone
 la misura coercitiva perde efficacia" (comma 10).
   La  giurisprudenza  di  legittimita'  ha  precisato  che il termine
 perentorio di cinque giorni entro il  quale  l'autorita'  giudiziaria
 procedente deve trasmettere gli atti al tribunale del riesame, a pena
 di  inefficacia  dell'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva,
 decorre dal giorno in cui all'autorita' procedente perviene  l'avviso
 spedito  a  cura del presidente del tribunale, e non gia' dal momento
 in cui e' presentata la richiesta di riesame, e ha osservato che  una
 diversa interpretazione non solo contrasta con la lettera della norma
 ma  condurrebbe alla illogica conseguenza di far dipendere la perdita
 di efficacia della misura cautelare da  un  termine  collegato  a  un
 fatto  giuridico  ignoto  a  chi e' tenuto all'osservanza del termine
 (Cass., sez. VI, n. 24/1998, De  Matteis;  nello  stesso  senso  gia'
 Cass.,  sez. II, n. 5143/1996, Iurilli ed altri). Si e' osservato che
 l'espressione "dare avviso" ha l'inequivoco significato di portare  a
 conoscenza  del  soggetto  destinatario l'atto trasmesso, gli effetti
 del quale non possono  prodursi  se  non  dal  momento  dell'avvenuta
 ricezione  del medesimo, per cui il termine non decorre dal giorno di
 trasmissione dell'avviso, ma solo  da  quello  in  cui  l'avviso  del
 tribunale  del  riesame  perviene all'autorita' procedente (ss.uu. n.
 10/1998, Savino).
   Nello stesso  senso  si  e'  ritenuto  che,  quando  gli  atti  del
 procedimento  siano  stati  nel  frattempo trasmessi ad altro ufficio
 giudiziario, il termine per la trasmissione degli  atti  decorre  dal
 momento   in   cui   l'avviso  del  tribunale  del  riesame  perviene
 all'autorita' giudiziaria che dispone degli atti (Cass., sez. VI,  n.
 1720/1997, Pugliese).
   Si e' poi rilevato che l'inottemperanza da parte del presidente del
 tribunale  del  riesame  all'obbligo  di avvisare "immediatamente" il
 giudice che procede della avvenuta presentazione della  richiesta  di
 riesame,  e'  priva di sanzione processuale e, proprio poiche' non e'
 prevista   alcuna   sanzione   processuale   alla   non   "immediata"
 trasmissione  dell'avviso, dall'eventuale ritardo in tale adempimento
 non  puo'  derivare  la  perdita  di efficacia della misura cautelare
 (Cass., sez.  II, n. 889/1996, Todisco; Cass., sez. I, n.  3677/1996,
 Causo).
   5.  -  Investita  dalla  Corte  di  cassazione  della  questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e 10,  c.p.p.,  in
 relazione  agli  artt.  3, 13 e 24 della Costituzione, nella parte in
 cui non e'  prevista  la  perdita  di  efficacia  dell'ordinanza  che
 dispone  la  misura  coercitiva in caso di non immediato avviso della
 presentazione della richiesta di  riesame  all'autorita'  giudiziaria
 procedente (ordinanza Cass., sez. I, 9 giugno 1997, Morrone ed altri,
 in  Gazzetta  Ufficiale  n.  42  del  15  ottobre  1997,  prima serie
 speciale, n. 674), la Corte costituzionale con sentenza  n.  232/1998
 ha  ritenuto:  che  "l'immediato avviso che della presentazione della
 richiesta (di  riesame;  n.d.e.)    deve  essere  dato,  a  cura  del
 presidente  del  tribunale  del  riesame,  all'autorita'  procedente,
 perche' essa provveda alla trasmissione degli atti,  non  costituisce
 ...  adempimento  dotato di una sua autonoma funzione processuale, ma
 e' solo la condizione materiale, per dir cosi', affinche' l'autorita'
 procedente, che degli atti dispone, possa  adempiere  all'obbligo  di
 trasmetterli";  che  "libera essendo la forma dell'avviso, e semplice
 essendone il contenuto ... e poiche' esso si configura  non  come  un
 atto singolarmente imputabile al presidente e da lui sottoscritto, ma
 come  un  adempimento  materiale dell'ufficio, che il presidente deve
 solo ''curare'' sia compiuto, non vi e' nessun ostacolo  giuridico  a
 che l'avviso venga di norma inoltrato nello stesso contesto temporale
 in  cui  perviene  la  richiesta, facendo cosi' coincidere il momento
 dell'avviso con quello della richiesta stessa"; che "la  prescrizione
 secondo  cui  l'avviso  deve essere ''immediato'' significa, appunto,
 che l'eventuale  intervallo  temporale  fra  la  presentazione  della
 richiesta  e  l'avviso dell'avvenuta presentazione non assume rilievo
 giuridico"; che "se e' cosi', deve ulteriormente concludersi  che  il
 termine  perentorio  per  la trasmissione degli atti, assistito dalla
 sanzione processuale della decadenza della misura, non decorre da  un
 evento,   come  la  ricezione  dell'avviso  da  parte  dell'autorita'
 procedente, che non ha ... giuridica autonomia, ma decorre dal giorno
 stesso  della  presentazione  della  richiesta"  o,  trattandosi   di
 richiesta  presentata  con le forme di cui all'art. 582/2 e 583/1, da
 quello "in cui la richiesta  stessa  perviene  alla  cancelleria  del
 tribunale del riesame"; che "dal punto di vista testuale, anche se il
 giorno  ''successivo''  cui  la  disposizione  (di  cui  al  comma  5
 dell'art. 309; n.d.e.) continua a riferirsi si  intenda  come  quello
 immediatamente  seguente  al giorno di ricezione dell'avviso da parte
 dell'autorita' procedente ... nulla vieta invece di  considerare  che
 il  ''quinto  giorno'',  entro  il  quale  devono ''comunque'' essere
 trasmessi gli atti, a pena di  decadenza  della  misura  ...  sia  il
 quinto  giorno  successivo  alla presentazione ... della richiesta di
 riesame,  potendosi  ritenere  implicito  il  riferimento  proprio  a
 quell'atto  (la  richiesta) al quale invariabilmente alludono i commi
 dell'art. 309 precedenti a quello in esame".
   In tali sensi la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata  la
 questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata dalla Corte di
 cassazione.
   6.   -   La   soluzione   interpretativa   adottata   dalla   Corte
 costituzionale comporta, dunque, la seguente lettura della  norma  di
 cui  al  comma  5  dell'art.  309:  "il  presidente cura che sia dato
 immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro
 il giorno successivo alla ricezione dell'avviso, e comunque non oltre
 il quinto giorno successivo alla  presentazione  della  richiesta  di
 riesame, trasmette al tribunale gli atti ...".
   Vi sarebbero, cioe', due termini per la trasmissione degli atti, da
 parte  dell'autorita' procedente, al tribunale del riesame: l'uno, di
 un giorno, il cui dies a quo e' quello  della  ricezione  dell'avviso
 della  avvenuta presentazione della richiesta di riesame; l'altro, di
 cinque giorni, il cui dies a quo e' quello della presentazione  della
 richiesta di riesame.
   Ora  -  poiche'  il comma 10 dell'art. 309 testualmente prevede che
 l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia  "se  la
 trasmissione  degli  atti  non  avviene nei termini di cui al comma 5
 ..." e poiche' ben possono darsi, per il  medesimo  adempimento,  due
 termini   perentori   collegati  a  fatti  giuridici  diversi  (l'uno
 collegato alla ricezione  dell'avviso  della  avvenuta  presentazione
 della  richiesta  di  riesame e, dunque, alla sua conoscenza da parte
 dell'autorita' procedente; l'altro al mero decorso di  cinque  giorni
 dalla presentazione della richiesta di riesame) ed aventi significato
 e  funzione  differenti  (l'uno  di  sanzione  del  colpevole ritardo
 dell'autorita' procedente; l'altro di tutela oggettiva della liberta'
 personale e, in particolare, del diritto della persona  sottoposta  a
 misura  coercitiva  ad  ottenere  in  tempi  brevi  una  verifica, in
 contraddittorio, della sussistenza dei presupposti della misura) - ne
 conseguirebbe  che  anche  l'inosservanza  del  termine  del   giorno
 successivo  alla  ricezione dell'avviso comporta la caducazione della
 misura cautelare.
   Tale conclusione, che costituisce corollario della  interpretazione
 adottata  dalla  Corte  costituzionale,  risulta  tuttavia  in palese
 contrasto con la volonta' del legislatore,  come  riconosciuta  dalla
 stessa  Corte  nella  sentenza 232/1998, laddove con riferimento alla
 novella 332/1995 afferma che "...  il  termine  per  la  trasmissione
 degli  atti,  originariamente  fissato  nel ''giorno successivo'', e'
 stato portato a ''non oltre  il  quinto  giorno''  ...  evidentemente
 considerando  che,  atteso  il carattere perentorio ora attribuito al
 termine medesimo, esso dovesse essere ragionevolmente  allungato  per
 tener  conto  delle eventuali difficolta' degli uffici nell'adempiere
 subito  all'obbligo   di   trasmissione   degli   atti..."   (invece,
 considerando  per entrambi i termini - quello del giorno successivo e
 quello del quinto giorno - quale dies a quo quello  della  ricezione,
 da   parte   dell'a.g.   procedente,   dell'avviso   della   avvenuta
 presentazione della richiesta  di  riesame,  puo'  ritenersi  che  il
 riferimento  a  piu' termini contenuto nel comma 10 sia frutto di una
 difettosa formulazione della norma e che  -  non  potendo  certamente
 darsi,  per  il  medesimo  adempimento,  due termini perentori con lo
 stesso dies a quo - l'unico termine assistito  dalla  sanzione  della
 perdita  di efficacia della misura sia, in realta', quello del quinto
 giorno, mentre quello del giorno successivo assume  rilievo  soltanto
 ai fini disciplinari).
   A  parte  cio', pare al collegio che, nella norma di cui al comma 5
 dell'art. 309, il senso fatto palese dal  significato  proprio  delle
 parole  e  dalla  loro  connessione  e' che il giorno successivo e il
 quinto giorno siano riferiti al medesimo dato temporale  e  che  tale
 momento  altro  non possa essere se non quello dell'avviso menzionato
 nella proposizione normativa  immediatamente  precedente.  Anche  sul
 piano  logico, pare al collegio che, trattandosi del termine entro il
 quale l'autorita' procedente deve trasmettere gli atti necessari alla
 decisione sulla richiesta di riesame dell'ordinanza coercitiva,  tale
 termine  non  possa  decorrere  che  dal momento della conoscenza, da
 parte dell'autorita' procedente  (che  degli  atti  ha  la  materiale
 disponibilita'),   dell'avvenuta  presentazione  della  richiesta  di
 riesame.
   D'altro canto,  se  il  legislatore  avesse  inteso  sanzionare  il
 ritardo  del  tribunale  del  riesame  nel  dare avviso all'autorita'
 procedente dell'avvenuta presentazione della richiesta di riesame, lo
 avrebbe   fatto   espressamente,   prevedendo,   ad   esempio,    che
 l'inosservanza  dell'obbligo  di  immediato  avviso, decorso un certo
 numero di ore  o  un  giorno,  comporta  l'inefficacia  della  misura
 coercitiva.
   Orbene,  poiche'  "nell'applicare  la  legge  non  si  puo' ad essa
 attribuire altro  senso  che  quello  fatto  palese  dal  significato
 proprio  delle  parole,  secondo  la  connessione  di  esse,  e dalla
 intenzione  del  legislatore",  il  collegio   ritiene   di   doversi
 discostare  dalla  soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente
 indicata dalla Corte costituzionale con la  sentenza  n.  232/1998  e
 sebbene essa sia ispirata dal lodevole intento di superare il rischio
 che  resti  vanificata  la garanzia apprestata dal legislatore con la
 novella 332/1995 (che ha previsto il carattere perentorio del termine
 per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame) e soddisfare
 cosi' l'esigenza che alla verifica  giudiziale,  in  contraddittorio,
 dei presupposti della misura coercitiva si pervenga effettivamente in
 tempi  brevi,  in  attuazione  del principio costituzionale di tutela
 della liberta' personale nonche' delle norme di  cui  all'art.    5/4
 della  convenzione  europea  firmata  a  Roma  il  4  novembre 1950 e
 all'art. 9/4 del patto internazionale di New  York  del  19  dicembre
 1966.
   7. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente
 affermato  che,  sebbene  la sentenza interpretativa di rigetto della
 Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes,  facendo
 essa  sorgere  un  vincolo  solo  nel giudizio a quo, non si puo' mai
 giungere a sostenere che per gli altri  giudici  la  decisione  della
 Corte  costituzionale  sia  da  ritenersi inutiliter data. Sicche' il
 giudice  che,   in   un   diverso   giudizio,   intenda   discostarsi
 dall'interpretazione    proposta    nella    sentenza   della   Corte
 costituzionale non ha  altra  alternativa  che  quella  di  sollevare
 ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare
 alla  formula  normativa un significato ritenuto incompatibile con la
 Costituzione (ss.uu. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri).
   Il collegio, uniformandosi  a  tale  principio,  ritiene  di  dover
 sollevare  nuovamente  la  questione  di  legittimita' dell'art. 309,
 commi 5 e 10, c.p.p. per le medesime  ragioni  gia'  disattese  dalla
 Corte  costituzionale,  all'uopo  richiamando  e  facendo  proprie le
 motivazioni dell'ordinanza della  Corte  di  cassazione,  sez.  I,  9
 giugno 1997, Morrone ed altri (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 42
 del 15 ottobre 1997, prima serie speciale, n. 674).