IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza; Su appello avverso ordinanza 27 ottobre 1998 della Corte di Assise di S. Maria C.V., II sezione, con la quale veniva rigettata istanza di scarcerazione di Caterino Mario per inefficacia della ordinanza di custodia cautelare; O s s e r v a 1. - La difesa di Caterino Mario - sottoposto a custodia in carcere in forza di ordinanza coercitiva 25 novembre 1995 - ha chiesto la scarcerazione dell'imputato sul presupposto che in occasione della procedura di riesame del provvedimento restrittivo a suo tempo esperita si e' verificata la perdita di efficacia della misura cautelare per omessa trasmissione degli atti al tribunale del riesame nel termine di cinque giorni previsto dal quinto comma dell'art. 309, computato tale termine dal giorno di presentazione dell'istanza secondo quanto ritenuto dalla Corte costituzionale con sentenza n. 232 del 1 giugno 1998. La Corte di Assise, che procede per il giudizio, con ordinanza 27 ottobre 1998 - premesso che quanto dedotto dall'interessato non risultava comunque provato da idonea documentazione, non allegata all'istanza difensiva - ha osservato: "... la portata retroattiva della sentenza della Corte costituzionale (peraltro di natura interpretativa) incontra il limite processuale invalicabile delle cd. situazioni esaurite. Nel caso di specie tale limite si configura in relazione all'ordinanza del tribunale del riesame, conclusiva del procedimento incidentale di impugnazione dell'ordinanza g.i.p. Trattasi infatti di provvedimento conclusivo di uno specifico sub-procedimento, la cui regolarita' e' ovviamente oggetto di controllo (sia pure implicito) da parte dello stesso tribunale del riesame, ed i cui eventuali vizi (sia in procedendo che in iudicando) vanno denunziati con specifico motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 311 c.p.p. In altre parole il tribunale del riesame decide ''nel merito'' solo in quanto non rilevi preliminarmente questioni di nullita' del suo procedimento o di efficacia della misura cautelare oggetto di controllo; cio' comporta che la decisione di ''conferma della misura in atto'' inevitabilmente contiene (anche se per implicito) una valutazione circa gli aspetti di cui in precedenza, idonea ad assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata. Dunque la situazione oggi all'esame della Corte non puo' dirsi tuttora ''pendente'', in quanto la protrazione della limitazione allo status libertatis dell'imputato dipende (anche) dagli effetti di un provvedimento (l'ordinanza del trib. riesame) non impugnato (o comunque confermato in Cassazione, data l'epoca della decisione di cui si tratta) e dunque tendenzialmente definitivo, in assenza di sopravvenienze fattuali, tali da modificare i parametri di cui agli artt. 273 e 274 c.p.p. In tal senso la situazione processuale teste' descritta differisce profondamente dall'ipotesi in cui il motivo di inefficacia della misura cautelare sia legato (come nel caso dell'art. 294 c.p.p.) allo sviluppo ''necessario'' del procedimento cautelare ''principale'' (intendendosi per tale quello svolto innanzi al g.i.p.); qui infatti (e fermo restando il limite della intervenuta trasmissione degli atti al giudice del dibattimento) l'efficacia retroattiva di pronunzie della Corte costituzionale (sent. n. 77/1997) e' dipesa dalla verifica della esistenza di uno ''spazio procedimentale'' (i 5 giorni dalla esecuzione) in cui e' effettivamente maturata l'omissione di un adempimento obbligatorio (con relativa rilevabilita' ''postuma''). Le due situazioni non possono compararsi, atteso che nel caso dell'art. 309 c.p.p. l'eventuale motivo di inefficacia risulta essere del tutto ''interno'' allo sviluppo dello specifico sub-procedimento di controllo, che essendosi concluso con un successivo provvedimento decisorio, non lascia spazio a sopravvenute doglianze, salvo il caso di avvenuta prospettazione di specifico motivo, ai sensi e con gli effetti di cui all'art. 311 c.p.p. Dunque, per tutto quanto sinora esposto, e prescindendo dalla adesione (pur controversa) al contenuto della sentenza n. 232/1998 Corte costituzionale, ad avviso di questa Corte la deducibilita' del motivo di inefficacia della misura in atto e' da ritenersi preclusa". Con l'atto di appello proposto ai sensi dell'art. 310 c.p.p., la difesa lamenta che il giudice del dibattimento, nel rigettare l'istanza, erroneamente ha ritenuto preclusa la questione dedotta: "... L'ordinanza impugnata va censurata. Il provvedimento della Corte di Assise, infatti, non e' ancorato ad elementi logico-giuridici idonei ad integrare valida motivazione. Vorra' il tribunale rilevare che la difesa aveva richiesto declaratoria di inefficacia della misura cautelare per violazione del combinato disposto di cui all'art. 309 c.p.p. nn. 5 e 10. In particolare, la richiesta era confortata dalla sentenza della Consulta n. 232/1998. Tale sentenza, nel chiarire il significato letterale del citato articolo e nel richiamare all'ossequio dei termini ivi previsti, aveva specificato che il significato attribuito alla norma spiegava i suoi effetti a far data dalla introduzione della stessa, ossia dal 1995. La Corte di Assise sostanzialmente rigettava l'istanza attraverso il richiamo a ''situazioni esaurite'', ossia attraverso la ritenuta cristallizzazione dell'ordinanza quale provvedimento conclusivo di un sub-procedimento, in quanto tale non piu' impugnabile. Tale presupposto fattuale impediva, per il giudice, l'applicazione della sentenza al caso di specie, pur in costanza di una efficacia retroattiva della sentenza della Corte delle leggi. Nel provvedimento inoltre veniva evidenziata la sostanziale differenza da ipotesi analoghe sulle quali pure era intervenuta la Consulta ed in particolare dalla sentenza n. 77/1997. Preliminare alla valutazione dei motivi di gravame e' la dovuta considerazione della natura dei provvedimenti, ivi comprese le ordinanze del tribunale per il riesame, decisori in materia de libertate. E' pacifico che una ordinanza non impugnata diventi definitiva decorso infruttuosamente il termine per la proposizione del gravame. Tuttavia i provvedimenti de libertate sono caratterizzati da una definitivita' particolare in quanto riconducibili alla categoria dei provvedimenti sottoposti alla clausola rebus sic stantibus, nel senso che e' consentito un costante adeguamento del diritto alla liberta' alla evoluzione della situazione di diritto sostanziale e processuale, le cui modifiche, pertanto, consentono di rivedere lo status detentionis. (Cass. Sez. I, 21 aprile 1993, n. 1197). Ebbene non v'e' dubbio che la sentenza 232/1998 abbia inciso su una situazione di diritto processuale, sia pure a livello di chiarificazione della portata della norma (retroattivamente), ed abbia riaperto una pretesa che poteva trovare accoglimento mediante istanza alla Corte di Assise di S. Maria C.V. che in questa fase e' giudice della misura cautelare, ne' alcuna ''situazione esaurita'' puo' ravvisarsi a sostegno dell'ordinanza. Quanto esposto vale a confutare il provvedimento di rigetto. Nemmeno pare condivisibile il citato riferimento alla sentenza n. 77/1997 ed all'art. 294 c.p.p., riferimento avente lo scopo di evidenziare differenze sostanziali con l'ipotesi di cui all'art. 309 c.p.p. cosi' come interpretato dalla Consulta e di giustificare il perche' nella prima ipotesi sia pacifica la retroattivita' della sentenza della Consulta e sia applicabile anche a situazioni che e' lecito definire ''esaurite'' mentre nel caso di specie tale attivita' sia preclusa. Infatti non e' dato comprendere quale sia il diverso dato ontologico che secondo la Corte di Assise presiede alle due ipotesi ne', per le considerazioni suesposte, quale sia la norma giuridica o il sostrato che differenzia lo ''spazio procedimentale'' di cui all'art. 294 c.p.p. dallo spazio procedimentale di cui all'art. 309 c.p.p., n. 5. Peraltro entrambe le violazioni risultano, previo intervento della Corte costituzionale, sanzionate a pena di inefficacia della misura. Va, infine, osservato che indiscutibile appare la valenza della sentenza n. 232/1998. La Corte pur pronunciandosi limitatamente ad una questione ha chiarito quello che e' l'unico significato attribuibile alla norma di cui all'art. 309 c.p.p. ed in tal senso non puo' sommariamente liquidarsi tale provvedimento quale ''interpretativo''... ". 2. - Nel caso in esame, ad avviso del collegio, non si e' formata sulla specifica questione una preclusione per il solo fatto che sia divenuta definitiva l'ordinanza del tribunale ex art. 309 confermativa del provvedimento restrittivo. Cio' sia perche', in materia di misure cautelari, un limitato effetto preclusivo si verifica unicamente in relazione alle questioni effettivamente dedotte e non anche in relazione a quelle deducibili con il mezzo d'impugnazione previsto dalla legge (ss.uu. n.11/1994, Buffa); sia, e a maggior ragione, perche' le questioni di inefficacia della misura cautelare, anche in relazione alle cause che si verifichino nel corso della procedura incidentale di riesame secondo le previsioni del comma 10 dell'art. 309, non possono o, secondo alcuni, non devono necessariamente essere dedotte con la richiesta di riesame, poiche' il mezzo previsto dalla legge e' l'istanza al giudice del procedimento principale ai sensi dell'art. 306 (v.: ss.uu. 20 luglio 1995, Galletto; ss.uu. 3 luglio 1996, Moni; Cass., sez. I, n. 1807/1997, Cappuccio; per le misure cautelari reali v. Cass., sez. II, n. 35141/1997, Cacchioni). Sul punto non puo' condividersi l'opinione della Corte di Assise, secondo cui "il tribunale del riesame decide ''nel merito'' solo in quanto non rilevi preliminarmente questioni di nullita' del suo procedimento o di efficacia della misura cautelare oggetto di controllo" e "cio' comporta che la decisione di ''conferma della misura in atto'' inevitabilmente contiene (anche se per implicito) una valutazione circa gli aspetti di cui in precedenza, idonea ad assumere i connotati della irrevocabilita', se non impugnata". Ed invero - premesso che la tardiva trasmissione al c.d. tribunale della liberta', da parte dell'autorita' procedente, degli atti necessari al giudizio di riesame non comporta alcuna nullita' della procedura ex art. 309 - va osservato che il tribunale del riesame, quand'anche rilevi, di ufficio o su eccezione della parte interessata, la sopravvenuta inefficacia dell'ordinanza coercitiva ex art. 309, commi 5 e 10, c.p.p. (ed e' controverso, come si e' accennato, se possa dichiararla o se invece debba rimettere la questione al giudice del procedimento principale, competente ex art. 306, ma il tema non puo' essere qui approfondito), non e' affatto esonerato dalla pronunzia sul merito della richiesta di riesame, la cui ammissibilita', almeno nel caso delle misure custodiali, persiste persino nel caso in cui sopravvenga l'effettiva liberazione dell'indagato (cfr. Cass., sez. I, n. 4867/1997, De Luca; ss.uu., 20 dicembre 1993, Stablum ed altro; ss.uu. 8 novembre 1993, Durante). Non puo' quindi ritenersi che l'ordinanza del tribunale del riesame confermativa del provvedimento restrittivo precluda la proposizione della questione di inefficacia della misura cautelare ex art. 309, commi 5 e 10, quando tale questione non sia stata oggetto di specifico esame. Nel caso di specie non risulta che la questione fosse stata in precedenza sollevata nell'ambito della procedura di riesame o con separata istanza ai sensi dell'art. 306. Cio', anzi, deve escludersi, considerato che l'istanza e' stata proposta a seguito ed in relazione alla sentenza della Corte costituzionale intervenuta il 22 giugno 1998. Deve altresi' escludersi che la prospettata questione d'inefficacia dell'ordinanza coercitiva sia preclusa per il tempo decorso o per lo stato del procedimento, passato dalla fase delle indagini preliminari a quella del giudizio di primo grado; cio' perche' nel caso di specie l'inefficacia, cosi' come dedotta dalla difesa, non dipende da una nullita' del procedimento suscettibile di sanatoria, come nell'ipotesi dell'interrogatorio nullo per omesso avviso al difensore, in cui la mancata deduzione della nullita' nel termine di cui all'art. 181/2 esclude che possa pervenirsi alla declaratoria d'inefficacia della misura coercitiva ai sensi degli artt. 302 e 294. Pertanto, l'istanza difensiva e' da ritenersi pienamente ammissibile. 3. - Dal registro impugnazioni misure cautelari tenuto dalla cancelleria di questo tribunale risulta (v. estratto acquisito al fascicolo) che la richiesta di riesame nell'interesse di Caterino Mario avverso l'ordinanza coercitiva 25 novembre 1995 fu depositata il 22 dicembre 1995 ed iscritta al n. 6612/1995 e che gli atti necessari per la decisione pervennero al tribunale il 30 dicembre 1995 (o, piu' precisamente, in tale data pervenne comunicazione - da ritenersi equipollente: cfr. Cass., sez. V, n. 4696 del 27 gennaio 1997, ud. 30 ottobre 1996, Pepe; Cass., sez. I, n. 6954 del 17 marzo 1997, ud. 19 dicembre 1996, Cipolletta e altro; Cass., sez. I, n. 278 del 5 marzo 1997, ud. 17 gennaio 1997, Abate - che gli atti erano gli stessi gia' in precedenza trasmessi per analoga procedura relativa a coindagato). In punto di fatto, quindi, la questione e' nei termini indicati dalla difesa, poiche' dalla presentazione della richiesta di riesame (22 dicembre 1995) all'arrivo degli atti (o, piu' precisamente, della detta comunicazione equipollente: 30 dicembre 1995) si contano otto giorni. 4. - L'art. 309 c.p.p., come modificato dall'art. 16 della legge n. 332 dell'8 agosto 1995, prevede che, a seguito della presentazione della richiesta di riesame dell'ordinanza che dispone una misura coercitiva, "il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo, e comunque non oltre il quinto giorno, trasmette al tribunale gli atti ..." (comma 5) e "se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 ... l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia" (comma 10). La giurisprudenza di legittimita' ha precisato che il termine perentorio di cinque giorni entro il quale l'autorita' giudiziaria procedente deve trasmettere gli atti al tribunale del riesame, a pena di inefficacia dell'ordinanza che ha disposto la misura coercitiva, decorre dal giorno in cui all'autorita' procedente perviene l'avviso spedito a cura del presidente del tribunale, e non gia' dal momento in cui e' presentata la richiesta di riesame, e ha osservato che una diversa interpretazione non solo contrasta con la lettera della norma ma condurrebbe alla illogica conseguenza di far dipendere la perdita di efficacia della misura cautelare da un termine collegato a un fatto giuridico ignoto a chi e' tenuto all'osservanza del termine (Cass., sez. VI, n. 24/1998, De Matteis; nello stesso senso gia' Cass., sez. II, n. 5143/1996, Iurilli ed altri). Si e' osservato che l'espressione "dare avviso" ha l'inequivoco significato di portare a conoscenza del soggetto destinatario l'atto trasmesso, gli effetti del quale non possono prodursi se non dal momento dell'avvenuta ricezione del medesimo, per cui il termine non decorre dal giorno di trasmissione dell'avviso, ma solo da quello in cui l'avviso del tribunale del riesame perviene all'autorita' procedente (ss.uu. n. 10/1998, Savino). Nello stesso senso si e' ritenuto che, quando gli atti del procedimento siano stati nel frattempo trasmessi ad altro ufficio giudiziario, il termine per la trasmissione degli atti decorre dal momento in cui l'avviso del tribunale del riesame perviene all'autorita' giudiziaria che dispone degli atti (Cass., sez. VI, n. 1720/1997, Pugliese). Si e' poi rilevato che l'inottemperanza da parte del presidente del tribunale del riesame all'obbligo di avvisare "immediatamente" il giudice che procede della avvenuta presentazione della richiesta di riesame, e' priva di sanzione processuale e, proprio poiche' non e' prevista alcuna sanzione processuale alla non "immediata" trasmissione dell'avviso, dall'eventuale ritardo in tale adempimento non puo' derivare la perdita di efficacia della misura cautelare (Cass., sez. II, n. 889/1996, Todisco; Cass., sez. I, n. 3677/1996, Causo). 5. - Investita dalla Corte di cassazione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p., in relazione agli artt. 3, 13 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non e' prevista la perdita di efficacia dell'ordinanza che dispone la misura coercitiva in caso di non immediato avviso della presentazione della richiesta di riesame all'autorita' giudiziaria procedente (ordinanza Cass., sez. I, 9 giugno 1997, Morrone ed altri, in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 15 ottobre 1997, prima serie speciale, n. 674), la Corte costituzionale con sentenza n. 232/1998 ha ritenuto: che "l'immediato avviso che della presentazione della richiesta (di riesame; n.d.e.) deve essere dato, a cura del presidente del tribunale del riesame, all'autorita' procedente, perche' essa provveda alla trasmissione degli atti, non costituisce ... adempimento dotato di una sua autonoma funzione processuale, ma e' solo la condizione materiale, per dir cosi', affinche' l'autorita' procedente, che degli atti dispone, possa adempiere all'obbligo di trasmetterli"; che "libera essendo la forma dell'avviso, e semplice essendone il contenuto ... e poiche' esso si configura non come un atto singolarmente imputabile al presidente e da lui sottoscritto, ma come un adempimento materiale dell'ufficio, che il presidente deve solo ''curare'' sia compiuto, non vi e' nessun ostacolo giuridico a che l'avviso venga di norma inoltrato nello stesso contesto temporale in cui perviene la richiesta, facendo cosi' coincidere il momento dell'avviso con quello della richiesta stessa"; che "la prescrizione secondo cui l'avviso deve essere ''immediato'' significa, appunto, che l'eventuale intervallo temporale fra la presentazione della richiesta e l'avviso dell'avvenuta presentazione non assume rilievo giuridico"; che "se e' cosi', deve ulteriormente concludersi che il termine perentorio per la trasmissione degli atti, assistito dalla sanzione processuale della decadenza della misura, non decorre da un evento, come la ricezione dell'avviso da parte dell'autorita' procedente, che non ha ... giuridica autonomia, ma decorre dal giorno stesso della presentazione della richiesta" o, trattandosi di richiesta presentata con le forme di cui all'art. 582/2 e 583/1, da quello "in cui la richiesta stessa perviene alla cancelleria del tribunale del riesame"; che "dal punto di vista testuale, anche se il giorno ''successivo'' cui la disposizione (di cui al comma 5 dell'art. 309; n.d.e.) continua a riferirsi si intenda come quello immediatamente seguente al giorno di ricezione dell'avviso da parte dell'autorita' procedente ... nulla vieta invece di considerare che il ''quinto giorno'', entro il quale devono ''comunque'' essere trasmessi gli atti, a pena di decadenza della misura ... sia il quinto giorno successivo alla presentazione ... della richiesta di riesame, potendosi ritenere implicito il riferimento proprio a quell'atto (la richiesta) al quale invariabilmente alludono i commi dell'art. 309 precedenti a quello in esame". In tali sensi la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione. 6. - La soluzione interpretativa adottata dalla Corte costituzionale comporta, dunque, la seguente lettura della norma di cui al comma 5 dell'art. 309: "il presidente cura che sia dato immediato avviso all'autorita' giudiziaria procedente la quale, entro il giorno successivo alla ricezione dell'avviso, e comunque non oltre il quinto giorno successivo alla presentazione della richiesta di riesame, trasmette al tribunale gli atti ...". Vi sarebbero, cioe', due termini per la trasmissione degli atti, da parte dell'autorita' procedente, al tribunale del riesame: l'uno, di un giorno, il cui dies a quo e' quello della ricezione dell'avviso della avvenuta presentazione della richiesta di riesame; l'altro, di cinque giorni, il cui dies a quo e' quello della presentazione della richiesta di riesame. Ora - poiche' il comma 10 dell'art. 309 testualmente prevede che l'ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia "se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 ..." e poiche' ben possono darsi, per il medesimo adempimento, due termini perentori collegati a fatti giuridici diversi (l'uno collegato alla ricezione dell'avviso della avvenuta presentazione della richiesta di riesame e, dunque, alla sua conoscenza da parte dell'autorita' procedente; l'altro al mero decorso di cinque giorni dalla presentazione della richiesta di riesame) ed aventi significato e funzione differenti (l'uno di sanzione del colpevole ritardo dell'autorita' procedente; l'altro di tutela oggettiva della liberta' personale e, in particolare, del diritto della persona sottoposta a misura coercitiva ad ottenere in tempi brevi una verifica, in contraddittorio, della sussistenza dei presupposti della misura) - ne conseguirebbe che anche l'inosservanza del termine del giorno successivo alla ricezione dell'avviso comporta la caducazione della misura cautelare. Tale conclusione, che costituisce corollario della interpretazione adottata dalla Corte costituzionale, risulta tuttavia in palese contrasto con la volonta' del legislatore, come riconosciuta dalla stessa Corte nella sentenza 232/1998, laddove con riferimento alla novella 332/1995 afferma che "... il termine per la trasmissione degli atti, originariamente fissato nel ''giorno successivo'', e' stato portato a ''non oltre il quinto giorno'' ... evidentemente considerando che, atteso il carattere perentorio ora attribuito al termine medesimo, esso dovesse essere ragionevolmente allungato per tener conto delle eventuali difficolta' degli uffici nell'adempiere subito all'obbligo di trasmissione degli atti..." (invece, considerando per entrambi i termini - quello del giorno successivo e quello del quinto giorno - quale dies a quo quello della ricezione, da parte dell'a.g. procedente, dell'avviso della avvenuta presentazione della richiesta di riesame, puo' ritenersi che il riferimento a piu' termini contenuto nel comma 10 sia frutto di una difettosa formulazione della norma e che - non potendo certamente darsi, per il medesimo adempimento, due termini perentori con lo stesso dies a quo - l'unico termine assistito dalla sanzione della perdita di efficacia della misura sia, in realta', quello del quinto giorno, mentre quello del giorno successivo assume rilievo soltanto ai fini disciplinari). A parte cio', pare al collegio che, nella norma di cui al comma 5 dell'art. 309, il senso fatto palese dal significato proprio delle parole e dalla loro connessione e' che il giorno successivo e il quinto giorno siano riferiti al medesimo dato temporale e che tale momento altro non possa essere se non quello dell'avviso menzionato nella proposizione normativa immediatamente precedente. Anche sul piano logico, pare al collegio che, trattandosi del termine entro il quale l'autorita' procedente deve trasmettere gli atti necessari alla decisione sulla richiesta di riesame dell'ordinanza coercitiva, tale termine non possa decorrere che dal momento della conoscenza, da parte dell'autorita' procedente (che degli atti ha la materiale disponibilita'), dell'avvenuta presentazione della richiesta di riesame. D'altro canto, se il legislatore avesse inteso sanzionare il ritardo del tribunale del riesame nel dare avviso all'autorita' procedente dell'avvenuta presentazione della richiesta di riesame, lo avrebbe fatto espressamente, prevedendo, ad esempio, che l'inosservanza dell'obbligo di immediato avviso, decorso un certo numero di ore o un giorno, comporta l'inefficacia della misura coercitiva. Orbene, poiche' "nell'applicare la legge non si puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore", il collegio ritiene di doversi discostare dalla soluzione interpretativa, pur cosi' autorevolmente indicata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 232/1998 e sebbene essa sia ispirata dal lodevole intento di superare il rischio che resti vanificata la garanzia apprestata dal legislatore con la novella 332/1995 (che ha previsto il carattere perentorio del termine per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame) e soddisfare cosi' l'esigenza che alla verifica giudiziale, in contraddittorio, dei presupposti della misura coercitiva si pervenga effettivamente in tempi brevi, in attuazione del principio costituzionale di tutela della liberta' personale nonche' delle norme di cui all'art. 5/4 della convenzione europea firmata a Roma il 4 novembre 1950 e all'art. 9/4 del patto internazionale di New York del 19 dicembre 1966. 7. - Le sezioni unite della Corte di cassazione hanno ripetutamente affermato che, sebbene la sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale non sia munita di efficacia erga omnes, facendo essa sorgere un vincolo solo nel giudizio a quo, non si puo' mai giungere a sostenere che per gli altri giudici la decisione della Corte costituzionale sia da ritenersi inutiliter data. Sicche' il giudice che, in un diverso giudizio, intenda discostarsi dall'interpretazione proposta nella sentenza della Corte costituzionale non ha altra alternativa che quella di sollevare ulteriormente la questione di legittimita', non potendo mai assegnare alla formula normativa un significato ritenuto incompatibile con la Costituzione (ss.uu. 930/1996, Clarke, e 21/1998, Gallieri). Il collegio, uniformandosi a tale principio, ritiene di dover sollevare nuovamente la questione di legittimita' dell'art. 309, commi 5 e 10, c.p.p. per le medesime ragioni gia' disattese dalla Corte costituzionale, all'uopo richiamando e facendo proprie le motivazioni dell'ordinanza della Corte di cassazione, sez. I, 9 giugno 1997, Morrone ed altri (pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 42 del 15 ottobre 1997, prima serie speciale, n. 674).