ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel   giudizio  per  conflitto  di  attribuzione  in  relazione  alla
 deliberazione della Corte dei conti, Collegio regionale di  controllo
 per  la Regione Puglia, n. 1/1998 dell'11 maggio 1998, nella parte in
 cui viene previsto l'esame del rendiconto della  Regione  Puglia  per
 l'esercizio  finanziario 1997, unitamente agli atti presupposti della
 predetta deliberazione, promosso con ricorso  della  Regione  Puglia,
 notificato  il  24 luglio 1998, depositato in Cancelleria il 3 agosto
 1998 ed iscritto al n.  22 del registro conflitti 1998.
   Visto l'atto di  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 26 gennaio 1999 il giudice relatore
 Massimo Vari;
   Uditi  l'avvocato  Aldo Loiodice per la Regione Puglia e l'avvocato
 dello Stato Stefano Onufrio  per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con ricorso notificato il 24 luglio 1998 (Reg. Confl. n.  22
 del 1998), e ritualmente depositato, la Regione Puglia  ha  sollevato
 conflitto di attribuzione per l'accertamento della non spettanza allo
 Stato,  e  per  esso  alla  Corte  dei  conti,  Collegio regionale di
 controllo per la Puglia, della competenza ad esaminare il  rendiconto
 della   Regione   e,   di   conseguenza,   per  l'annullamento  della
 deliberazione di detto Collegio n. 1 dell'11 maggio 1998, "in tutto o
 nella sola parte  relativa  al  punto  1  del  programma  annuale  di
 controllo":  e  cioe'  nella parte concernente l'esame del rendiconto
 dell'esercizio finanziario 1997, con ricostruzione di serie  storiche
 omogenee  riferite  agli  esercizi finanziari 1995 e 1996, unitamente
 all'esame anche dei corrispondenti bilanci di  previsione  annuali  e
 pluriennali.    La   Regione   chiede,   altresi',   "ove   occorra",
 l'annullamento di  "ogni  altro  atto  presupposto  o  connesso,  che
 attribuisca  allo  Stato  e, per esso, alla Corte dei conti, Collegio
 regionale di controllo per la Puglia, la competenza  in  esame",  tra
 cui, segnatamente, i seguenti atti:
     deliberazione  n. 1/1997 del 13 giugno 1997 delle Sezioni riunite
 della Corte dei conti,  avente  ad  oggetto  il  regolamento  per  la
 istituzione e l'organizzazione, nelle Regioni a statuto ordinario, di
 Collegi   regionali  per  l'esercizio  della  funzione  di  controllo
 successivo sulla gestione;
     deliberazione  n.  1/1997/SR-CONTR.  del  5  dicembre  1997   non
 conosciuta  con  la  quale le Sezioni riunite hanno approvato criteri
 generali ed indirizzi di coordinamento per i programmi di controllo;
     determinazione del 19 novembre 1997 non conosciuta con  la  quale
 la  Sezione del controllo per gli affari comunitari ed internazionali
 ha approvato il programma di lavoro per il 1998;
     deliberazione n. 5/1998 del 18 dicembre 1997 non  conosciuta  con
 la  quale  l'Adunanza plenaria della Sezione centrale di controllo ha
 stabilito il programma del controllo successivo sulla gestione  delle
 amministrazioni dello Stato per l'anno 1998, con particolare riguardo
 al versante delle spese;
     deliberazione  n.  19/1997  (recte: 10/1997) del 19 dicembre 1997
 non conosciuta con la quale la Sezione enti locali ha programmato  le
 indagini per l'esercizio 1998;
     deliberazione  22  dicembre  1997  delle  Sezioni riunite in sede
 referente non conosciuta  riguardante  il  programma  di  lavoro  per
 l'esame del rendiconto generale dello Stato per il 1997;
     deliberazione  n.  16/1998 non conosciuta con la quale l'Adunanza
 plenaria della Sezione centrale di controllo ha espresso  le  proprie
 determinazioni in ordine al programma annuale di controllo successivo
 sulla  gestione per il 1998, per quanto concerne il settore entrate e
 magazzini.
   1.1. -  Nell'indicare  i  motivi  di  ricorso  la  Regione  adduce,
 anzitutto,  la  violazione  degli  artt.  5,  121,  123  e  127 della
 Costituzione, osservando che il controllo  sulla  gestione  delineato
 dalla  legge  14  gennaio  1994,  n.  20  (Disposizioni in materia di
 giurisdizione e controllo della Corte dei  conti)  e  dalla  sentenza
 della  Corte  costituzionale  n.  29  del  1995  non consentirebbe di
 sottoporre ad  esso  il  rendiconto  della  Regione,  che,  ai  sensi
 dell'art. 71 dello statuto della Regione Puglia (di cui alla legge 22
 maggio  1971,  n.  349), e' approvato con legge regionale. Infatti, a
 voler ritenere diversamente, la Corte dei conti  esperirebbe  i  suoi
 riscontri  su  un  atto  che non solo e' stato gia' esaminato, ma, in
 quanto  approvato  con  legge,  gia'  fatto  proprio  dal   Consiglio
 regionale;  atto  sul  quale,  comunque,  non  e'  esercitabile altro
 controllo  se  non  quello  legislativo,  espressione  dell'autonomia
 politica della Regione stessa.
   1.2.  -  Indi,  nel  lamentare  la  violazione  dell'art.  5  della
 Costituzione e dell'art. 3, comma 5, della legge n. 20 del  1994,  in
 relazione  all'assenza  di parametri nell'esercizio del controllo sul
 rendiconto,  la  ricorrente  rammenta  che,   nei   confronti   delle
 amministrazioni  regionali,  l'ambito  dei  riscontri  sulla gestione
 dovrebbe  essere  circoscritto  al  perseguimento   degli   obiettivi
 stabiliti  dalle  leggi  di  principio  e  di  programma. Pertanto il
 rispetto dell'autonomia politico-legislativa garantita  alle  Regioni
 sussisterebbe  solo  ove  il  controllo abbia per oggetto l'attivita'
 amministrativa e come parametro di riferimento gli obiettivi  fissati
 nelle  leggi  regionali,  tenuto  conto del fatto che il destinatario
 delle relazioni susseguenti al controllo e' il  Consiglio  regionale,
 nei  cui  confronti  la  Corte  assume  una funzione collaborativa ed
 ausiliaria. Nel caso di specie, invece,  la  legge  regionale,  lungi
 dall'essere  assunta  come  parametro  di  valutazione dell'attivita'
 amministrativa,  finirebbe  per  divenire  essa  stessa  oggetto   di
 controllo.
   1.3.  -  Ad  avviso  della Regione, inoltre, la completa assenza di
 collaborazione tra la Corte  dei  conti  ed  il  Consiglio  regionale
 configurerebbe  un'ulteriore  violazione  della legge n. 20 del 1994,
 con specifico riguardo all'art. 3, comma 6 (che delinea il  fine  del
 controllo   sulla  gestione),  come  pure  dei  principi  della  gia'
 menzionata sentenza n. 29 del 1995, atteso che, in consonanza con  il
 carattere  essenzialmente  collaborativo ed ausiliario della funzione
 affidata alla Corte dei conti, il Consiglio regionale  doveva  essere
 ascoltato  e  che  le sue indicazioni dovevano essere tenute presenti
 all'atto di delineare il programma annuale di controllo.  La  carenza
 di   qualsiasi   iniziativa  collaborativa,  in  tal  senso,  sarebbe
 testimoniata anche dalla mancata comunicazione delle  altre  delibere
 adottate  dagli organi centrali della magistratura contabile, in tema
 di criteri generali ed indirizzi di coordinamento del controllo.
   1.4. - In  tal  guisa  si  asserisce  la  Corte  dei  conti,  senza
 ricorrere  allo  strumento  della legge richiesto dall'art. 25, primo
 comma,  della  Costituzione,   avrebbe   istituito,   con   un   atto
 amministrativo,  un procedimento di carattere giurisdizionale analogo
 a  quello  previsto  dagli  artt.   38-43 del regio decreto 12 luglio
 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi  sulla  Corte
 dei  conti), nonche' dall'art.  2, primo comma, numero 2, e dall'art.
 6, terzo comma,  del  decreto  legislativo  6  maggio  1948,  n.  655
 (Istituzione  di  sezioni  della  Corte  dei  conti  per  la  regione
 siciliana), per il giudizio di parificazione sul rendiconto generale,
 rispettivamente, dello Stato e della Regione Siciliana  (ipotesi  cui
 vanno  aggiunte  anche  quelle  di  cui  alle specifiche disposizioni
 recanti attribuzioni analoghe, in capo  alla  Corte  dei  conti,  nei
 confronti  del rendiconto di determinate Regioni a statuto speciale).
 Si lamenta, percio', la violazione, non solo, dell'art.    25,  primo
 comma,  ma anche e dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione, a
 causa  della   mancata   previsione   di   un   contraddittorio   con
 l'amministrazione  regionale,  come  pure  degli  artt. 5 e 125 della
 stessa Costituzione, delle disposizioni della legge n. 20 del 1994  e
 dei  gia'  menzionati  principi  individuati dalla sentenza n. 29 del
 1995. Ne' la competenza ad esercitare  una  verifica  sul  rendiconto
 delle Regioni potrebbe ritenersi implicitamente contenuta nella norma
 della legge n. 20 del 1994, che sancisce l'obbligo di riferire almeno
 annualmente  al  Consiglio regionale sull'esito del controllo. A cio'
 osterebbe la sostanziale differenza tra  questa  relazione,  prevista
 anche  nei  confronti  del Parlamento per il controllo eseguito sulle
 amministrazioni dello Stato, ai sensi dell'art. 3, comma 6, e  quella
 redatta  dalle  Sezioni  riunite  unitamente  alla  deliberazione sul
 rendiconto generale dello Stato, ai  sensi  dell'art.  41  del  regio
 decreto n. 1214 del 1934.
   2.  -  Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato,  chiedendo  che il ricorso sia respinto perche' improponibile,
 inammissibile e privo di fondamento.
   Nel far rinvio, sui primi due motivi di gravame, "a quanto  esposto
 nella deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997" (richiamando
 in  particolare  il  paragrafo 2.3), si osserva, in ordine alla terza
 doglianza, che nessuna norma di legge prevede l'instaurazione  di  un
 contraddittorio  con  le  amministrazioni  regionali,  in ordine alla
 definizione dei programmi di controllo.
   Quanto,  poi,  alla  censura  relativa  alla  pretesa   surrettizia
 trasformazione  del procedimento di controllo sulla gestione in altro
 di carattere giurisdizionale, si  rileva  che,  a  prescindere  dalla
 dubbia  idoneita'  della  stessa  a  delineare  anche  in astratto un
 conflitto di attribuzione, l'attivita' della Corte dei conti  si  e',
 comunque, sinora svolta nel rispetto delle regole dettate dall'art. 3
 della  legge n. 20 del 1994, mentre anche il contestato controllo del
 Collegio regionale per la Puglia si sostanziera' in una deliberazione
 che verra' trasmessa al Consiglio regionale, per renderlo edotto  dei
 risultati dei riscontri eseguiti.
   3.   -  Con  memoria  depositata  nell'imminenza  dell'udienza,  il
 Presidente del Consiglio dei Ministri ha eccepito  l'inammissibilita'
 del  ricorso  per  tardivita' ai sensi dell'art. 39 della legge n. 87
 del 1953 (Norme sulla costituzione e sul  funzionamento  della  Corte
 costituzionale),   osservando   che  il  provvedimento  del  Collegio
 regionale   rappresenterebbe   un   mero   atto    esecutivo    delle
 determinazioni  gia'  assunte dalle Sezioni riunite con deliberazione
 n.  1  del  13  giugno  1997.  La  presunta  lesione  degli interessi
 regionali andrebbe,  percio',  ricondotta  a  quest'ultima,  che  era
 conoscibile fin dalla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale avvenuta
 il  24 giugno 1997, con la conseguenza che l'impugnazione, notificata
 il 24 luglio 1998, sarebbe stata proposta oltre il termine previsto a
 pena di decadenza, non apparendo le censure della ricorrente  rivolte
 a specifici aspetti propri della deliberazione del Collegio regionale
 n. 1 del 1998.
   3.1.  -  Nel  merito  l'Avvocatura erariale rileva che il programma
 elaborato dal Collegio  regionale  sarebbe  conforme  al  modulo  del
 controllo  di  gestione  predisposto  dalle Sezioni riunite, in vista
 della redazione di  un  referto  unitario  sulla  finanza  regionale,
 fondato sull'esame del rendiconto delle Regioni, con ricostruzione di
 serie  storiche omogenee, a partire dal rendiconto del 1995.  In ogni
 caso, si argomenta nella memoria, l'esame del rendiconto da parte del
 Collegio regionale avverrebbe prima che sul medesimo si  pronunzi  il
 Consiglio, e non dopo, sicche' l'effettivo oggetto dell'esame sarebbe
 l'atto   (rendiconto)   deliberato   dalla  Giunta  regionale,  quale
 documento  rappresentativo  della   gestione.      Si   osserva,   in
 particolare,  che, essendo il programma di controllo finalizzato alla
 redazione di un referto al  Consiglio  regionale,  quale  espressione
 della  funzione  collaborativa delineata dalla stessa legge n. 20 del
 1994, l'esame del rendiconto della Regione non rappresenterebbe altro
 che il punto di partenza per una visione completa  della  gestione  e
 dei  risultati  dell'attivita'  amministrativa,  onde  verificare  la
 validita' della scelta di procedure e mezzi alla luce dei  canoni  di
 economicita',  efficienza  ed efficacia.  Al tempo stesso, la censura
 relativa alla denunciata mancanza di un "rapporto  collaborativo"  da
 parte della Corte dei conti, sarebbe da reputare, oltre che generica,
 infondata,  atteso,  da  un  lato,  che le deliberazioni degli organi
 centrali della  Corte  dei  conti  hanno  avuto  massima  pubblicita'
 attraverso  la  Gazzetta Ufficiale e, dall'altro, che una previa fase
 di contraddittorio con le amministrazioni controllate, in materia  di
 definizione  di  programmi  di  controllo,  non e' prevista da alcuna
 disposizione di legge (v. art. 3, comma 4,  della  legge  n.  20  del
 1994), ne' potrebbe essere desunta da alcuna norma costituzionale.
   4.  -  Con  una  memoria depositata in prossimita' dell'udienza, la
 Regione Puglia, nel ribadire le  censure  gia'  prospettate,  rileva,
 altresi',  che  attraverso  il  controllo su un atto fondamentale per
 l'autonomia politica  della  Regione,  quale  e'  il  rendiconto,  si
 sarebbe  realizzata,  da  parte  della  Corte  dei conti, un'indebita
 intromissione  nel  rapporto  dialettico  Giunta-Consiglio,  con   un
 condizionamento ab externo delle valutazioni che il Consiglio, organo
 dotato  di autonomia politico-legislativa, puo' svolgere sull'operato
 della Giunta in virtu', tra l'altro, della  responsabilita'  politica
 che,  nei  confronti  della  stessa,  puo' eventualmente essere fatta
 valere.  Nel ricordare che il controllo sulla gestione operato  dalla
 Corte  dei conti nei confronti delle Regioni ha - come ribadito anche
 dalla Corte costituzionale con la sentenza n.  29  del  1995  -  "una
 valenza  essenzialmente  collaborativa"  ed  e'  volto esclusivamente
 all'esercizio di "una fondamentale funzione referente" nei  confronti
 del  Consiglio,  la  Regione  deduce  che  la Corte dei conti avrebbe
 introdotto, invece, "una forma di controllo su di un atto legislativo
 regionale (o sulla sua fase iniziale)", alterando comunque - anche  a
 ritenere   che  il  controllo  avvenga  prima  dell'approvazione  del
 rendiconto - un procedimento, quale quello legislativo, che, in  base
 alle  norme  costituzionali  e  statutarie, rientra, dall'inizio alla
 fine, nell'esclusiva competenza della Regione.
   4.1. - Ne' la Corte dei conti potrebbe ritenere che  le  sia  stata
 attribuita  "automaticamente"  una  forma  di  controllo analoga alla
 procedura prevista per il giudizio di  parificazione  del  rendiconto
 generale  dello  Stato, non potendosi, tra l'altro, neppure sostenere
 che tale previsione sia  implicitamente  contenuta  nella  norma  che
 sancisce  l'obbligo  di  riferire  almeno  annualmente  al  Consiglio
 regionale sull'esito del controllo.
   4.2. - Si deduce, infine, che l'istituzione dei  Collegi  regionali
 di   controllo,  con  un  atto  di  natura  regolamentare  (quale  la
 deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997), colliderebbe  con
 le  disposizioni  costituzionali  che  garantiscono alle attribuzioni
 regionali "una dimensione di tale autonomia da  escludere  competenze
 statali di controllo", ed, altresi', con la riserva assoluta di legge
 prevista  dall'art.    108,  primo  comma,  della  Costituzione.   Il
 contrasto della deliberazione delle Sezioni riunite n. 1 del 1997  e,
 in  via  derivata,  della  deliberazione  del  Collegio  regionale di
 controllo per  la  Puglia  n.  1  del  1998  con  detta  disposizione
 costituzionale  proverebbe  l'assoluta  carenza di potere della Corte
 dei conti in ordine alla istituzione di  organi  che  controllino  le
 Regioni.  Ne'  la  pretesa  legittimazione  ad istituire nuovi organi
 potrebbe ricondursi all'art. 4  della  legge  n.  20  del  1994,  che
 attribuisce    alla    Corte   stessa   la   potesta'   regolamentare
 esclusivamente in materia di organizzazione delle  spese,  e  non  di
 organizzazione in senso ampio.
                         Considerato in diritto
   1. - Con il ricorso in epigrafe la Regione Puglia solleva conflitto
 di   attribuzione  nei  confronti  dello  Stato,  in  relazione  alla
 deliberazione del Collegio regionale  della  Corte  dei  conti  n.  1
 dell'11  maggio  1998, concernente il programma annuale del controllo
 da svolgersi ai sensi dell'art. 3, commi 4 e 5, della legge n. 20 del
 1994 (Disposizioni in materia  di  giurisdizione  e  controllo  della
 Corte dei conti).
   Deducendo  che  la  sottoposizione  a  controllo del rendiconto per
 l'esercizio 1997, con esame esteso anche a quelli degli esercizi 1995
 e 1996, lederebbe la sfera di attribuzione ad essa costituzionalmente
 garantita,  la  ricorrente  chiede  l'annullamento  della   impugnata
 deliberazione  in  tutto  o nella sola parte relativa al controllo in
 questione, unitamente ad "ogni altro atto presupposto o connesso  che
 attribuisca  allo  Stato  e,  per  esso,  alla  Corte  dei  conti  la
 competenza in esame"  (tra  cui  i  vari  atti  gia'  specificati  in
 narrativa).
   2.  -  Nell'enunciare  i motivi di ricorso, la Regione sostiene che
 l'iniziativa assunta dalla Corte dei conti si porrebbe in contrasto:
     con gli artt. 5, 121, 123 e 127 della Costituzione,  nonche'  con
 l'art.  71  dello  statuto  della  Regione  Puglia  e  con i principi
 informatori del controllo  sulla  gestione,  come  individuati  dalla
 sentenza  di  questa  Corte  n.  29  del  1995, in quanto i riscontri
 programmati riguarderebbero un atto che,  non  solo,  e'  stato  gia'
 esaminato  e,  in  quanto approvato con legge, gia' fatto proprio dal
 Consiglio  regionale,  ma  che  sarebbe  assoggettabile  soltanto  al
 sindacato dell'assemblea regionale;
     con  l'art.  5  della Costituzione e con l'art. 3, comma 5, della
 legge n. 20 del 1994 nonche' con i predetti principi informatori  del
 controllo   sulla   gestione,   a  causa  dell'assenza  di  parametri
 nell'esercizio del riscontro che si intende esperire;
     con l'art. 3, comma 6, della  legge  n.  20  del  1994  e  con  i
 menzionati  principi  in materia di controllo sulla gestione, a causa
 dell'assenza, nell'iniziativa assunta, di ogni profilo  collaborativo
 tra la Corte dei conti ed il Consiglio regionale;
     con  gli  artt. 24, secondo comma, 25, primo comma, 5 e 125 della
 Costituzione ed, ancora, con la legge n. 20 del 1994, come pure con i
 principi  in  materia  di   controllo   sulla   gestione,   a   causa
 dell'introduzione  surrettizia  di un procedimento giurisdizionale di
 parificazione del rendiconto,  analogo  a  quello  previsto,  per  lo
 Stato,  dagli artt.  38-43 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214,
 nonche', per le Regioni  a  statuto  speciale,  da  altre  specifiche
 disposizioni legislative.
   Nella    memoria    illustrativa    la   ricorrente,   a   sostegno
 dell'illegittimita' degli atti impugnati,  trae  ulteriori  argomenti
 dal  fatto  che  l'istituzione  dei  Collegi  regionali  di controllo
 sarebbe avvenuta con  un  atto  di  natura  regolamentare,  quale  la
 deliberazione  delle  Sezioni riunite n. 1 del 1997, in contrasto con
 le disposizioni costituzionali poste a garanzia dell'autonomia  delle
 competenze  regionali  che  sarebbero  tali  da escludere "competenze
 statali di controllo", ed, in particolare, con la riserva assoluta di
 legge prevista dall'art. 108 della Costituzione.
   3. - Va, in primo luogo, disattesa l'eccezione di  inammissibilita'
 sollevata  dall'Avvocatura  dello  Stato, secondo la quale il ricorso
 sarebbe da reputare tardivo, ai sensi dell'art. 39 della legge n.  87
 del  1953,  in  quanto  il  provvedimento  del   Collegio   regionale
 rappresenterebbe  un mero atto esecutivo delle determinazioni assunte
 dalle Sezioni riunite con la gia' menzionata deliberazione n.  1  del
 13 giugno 1997.
   Secondo  la  giurisprudenza  di questa Corte, perche' possa sorgere
 conflitto di  attribuzione  fra  Stato  e  Regione,  occorre  che  la
 negazione  o  la  lesione  della competenza derivino immediatamente e
 direttamente dall'atto denunciato come invasivo, nel senso che  esso,
 qualora  sia  preceduto  da  altro  che  ne costituisca il precedente
 logico e giuridico, non ne ripeta identicamente il contenuto e non ne
 rappresenti una mera e necessaria esecuzione (v., da ultimo, sentenza
 n. 215 del 1996).
   Nella specie, il provvedimento  oggetto  principale  delle  censure
 della  Regione  ricorrente,  e  cioe'  la  deliberazione del Collegio
 regionale n. 1 del 1998, pur trovando in quello delle Sezioni riunite
 il suo atto presupposto, non si configura, per i profili  denunciati,
 come atto meramente esecutivo di quest'ultimo.
   La  deliberazione  assunta  in  data  13 giugno 1997 reca, infatti,
 disposizioni di carattere essenzialmente organizzativo, con  il  fine
 di  individuare  modalita'  e  strutture  per il controllo decentrato
 sulle  amministrazioni  diverse  da  quella  statale,  riservando  ai
 Collegi  regionali la "definizione di specifici programmi nell'ambito
 di propria competenza". Il provvedimento impugnato da', invece,  alla
 predetta   deliberazione  attuazione  ed  esecuzione  ulteriore,  con
 completamento e svolgimento autonomo, provvedendo, in particolare,  a
 definire  l'ambito  concreto di esercizio del controllo da effettuare
 nei confronti dell'amministrazione regionale della Puglia.
   4. - Pur nell'ammissibilita' del gravame in se',  va,  per  contro,
 dichiarata  inammissibile  la  censura  concernente  la  mancanza  di
 fondamento legislativo del  potere  di  autorganizzazione  esercitato
 dalla   Corte   dei  conti  nell'istituire  i  Collegi  regionali  di
 controllo, trattandosi di doglianza tardiva, estranea  ai  motivi  di
 ricorso   e   prospettata   soltanto   nella  memoria  depositata  in
 prossimita' dell'udienza.
   5. - Nel merito il ricorso non e' fondato.
   Questa Corte, soffermandosi (sentenze n. 29 del 1995 e n.  470  del
 1997)  sui  tratti  fondamentali  del processo riformatore realizzato
 dalla legge 14 gennaio 1994, n. 20, in tema di funzioni  della  Corte
 dei  conti,  ha gia' evidenziato che, con esso, si e' inteso adeguare
 le forme di controllo sulle amministrazioni pubbliche  alle  esigenze
 derivanti  dalla moltiplicazione dei centri di spesa; moltiplicazione
 connessa,  tra  l'altro,   allo   sviluppo   del   decentramento   ed
 all'istituzione  delle  Regioni.  Nel  modificare  la  configurazione
 tradizionale delle competenze della Corte  dei  conti,  precipuamente
 caratterizzate  dal  riscontro  preventivo di legittimita' sugli atti
 delle amministrazioni dello Stato, la legge sopra menzionata ha avuto
 il duplice fine di ridurre l'area di detto controllo e  di  conferire
 primario  rilievo,  con  riguardo  a  tutte  le  amministrazioni,  al
 controllo sulla gestione, avente per oggetto non gia' i singoli atti,
 ma  l'attivita'  amministrativa  considerata  nel  suo   concreto   e
 complessivo svolgimento.
   6.  - Nell'ambito di tale nuovo ordinamento si colloca anche l'art.
 3, comma 5, della legge n. 20 del 1994, che contempla, "nei confronti
 delle amministrazioni regionali", un controllo inteso a rilevare  "il
 perseguimento degli obiettivi stabiliti dalle leggi di principio e di
 programma", in vista del conclusivo adempimento, indicato nel comma 6
 del  medesimo  articolo, di riferire, almeno annualmente, ai Consigli
 regionali sull'esito del controllo stesso.
   Chiamata a pronunziarsi sulla costituzionalita' delle  disposizioni
 teste' ricordate, questa Corte ha avuto cura di definire puntualmente
 i  limiti della competenza assegnata alla Corte dei conti, precisando
 che,   al   fine   di    escludere    la    lesione    dell'autonomia
 politico-legislativa  costituzionalmente  garantita  alle Regioni, la
 norma di  cui  al  comma  5  dell'art.  3  della  legge  deve  essere
 interpretata  nel  senso  che, ai fini del controllo successivo sulla
 gestione delle amministrazioni regionali, il raffronto fra  obiettivi
 e  risultati  debba  operarsi  essenzialmente  alla  luce delle leggi
 emanate dalla Regione stessa (sentenza n. 29 del 1995 gia' citata).
   7. - Nel caso all'esame la ricorrente, muovendo dal rilievo che  la
 censurata  deliberazione  del Collegio regionale n. 1 del 1998 pone a
 fondamento del controllo da effettuare il rendiconto  della  Regione,
 ne  trae  la  conclusione che la Corte dei conti intenda procedere ad
 una verifica del documento contabile in se', tale da alterare - sia a
 ritenere che il riscontro si svolga prima sia a ritenere che  avvenga
 dopo l'approvazione del consuntivo da parte del Consiglio regionale -
 un  procedimento,  quale  quello legislativo, rientrante (dall'inizio
 alla fine) nell'esclusiva competenza della Regione stessa.
   Tale  tesi  non  puo'  essere,  tuttavia,  condivisa, non emergendo
 dall'esame  di  detta  deliberazione,  come  pure  degli  altri  atti
 impugnati,  elementi  idonei  a  dimostrare  l'eventuale intendimento
 della  Corte  dei  conti  di  esorbitare  dalle  competenze  ad  essa
 assegnate  dalla  legge  n. 20 del 1994. Invero la circostanza che il
 controllo prenda avvio dal rendiconto 1997 e si  estenda  alle  serie
 storiche  degli  anni  precedenti  non risulta elemento indicativo di
 tale scopo, in quanto i consuntivi, nello svolgimento dei  riscontri,
 vengono,  in realta', assunti semplicemente come strumenti di analisi
 e comparazione rispetto alle  leggi  di  principio  e  di  programma.
 Depone,  invero,  in  tal senso la stessa deliberazione impugnata la'
 dove nel precisare che  costituiranno  oggetto  di  esame,  oltre  ai
 rendiconti,  anche  i  corrispondenti bilanci di previsione annuali e
 pluriennali indica, quale fine dell'analisi,  quello  di  "verificare
 gli eventuali scostamenti rispetto ad essi del conto finanziario e di
 raffrontare,  con  i  programmi  approvati,  i  risultati  ottenuti".
 L'obiettivo finale si  desume,  poi,  dalla  parte  conclusiva  della
 stessa  deliberazione,  la'  dove  si  precisa  che  dell'esito delle
 verifiche  "il  Collegio  riferira'  al  Consiglio  regionale   della
 Puglia".    Ad  avvalorare ulteriormente le sopra esposte conclusioni
 possono addursi i dati desumibili anche dagli altri  atti  impugnati,
 che  concorrono a delineare, secondo le indicazioni dello stesso art.
 3  della  legge  n.  20  del  1994,  il  contesto   organizzativo   e
 procedimentale  nel quale si colloca la funzione esercitata, nel caso
 qui in esame, dalla Corte dei conti. Sotto questo aspetto, a parte il
 richiamo che la gia' menzionata deliberazione delle  Sezioni  riunite
 n.  1  del  13  giugno 1997 espressamente fa dei "particolari limiti"
 previsti dall'art.  3, commi 4 e 5, della legge n. 20  del  1994,  in
 ordine   al  compito  demandato  all'Organo  di  controllo,  assumono
 specifico significato gli  elementi  risultanti  dalla  deliberazione
 delle  Sezioni  riunite  5  dicembre  1997,  n.  1,  ove  si  precisa
 (paragrafo 2.3)  che  il  compito  di  riscontro  dei  Collegi  sulle
 amministrazioni regionali e' finalizzato alla redazione di un referto
 sull'esercizio  1997,  "fondato"  sul  rendiconto  della  Regione  e,
 quindi, come e' lecito arguire, non  tale  da  avere  ad  oggetto  il
 rendiconto stesso.
   8.  -  Cosi'  inteso,  il  programma di controllo sfugge a tutte le
 censure formulate dalla  ricorrente,  giacche'  appare  coerente  con
 quella  funzione  di  referto  sull'amministrazione  regionale che la
 Corte dei conti  e'  chiamata  a  svolgere  verificando,  cosi'  come
 richiede  l'art.  3,  comma  5,  della  legge  n.  20  del  1994, "il
 perseguimento degli obiettivi stabiliti"  dalle  leggi  regionali  di
 principio  e  di  programma,  in  vista  di  relazioni  che hanno per
 essenziale destinatario il  Consiglio.  E  cio'  tanto  piu'  ove  si
 consideri  che  le  connotazioni  collaborative,  di  cui  la Regione
 lamenta l'assenza, vanno rinvenute, come gia' messo in evidenza dalla
 sentenza di questa Corte n. 29 del 1995, nella essenza  stessa  della
 funzione  esercitata,  che,  lungi  dall'atteggiarsi  come "un potere
 statale che si contrappone alle autonomie delle Regioni", si risolve,
 invece,  in  un  compito   "al   servizio   di   esigenze   pubbliche
 costituzionalmente  tutelate,  e  precisamente  volto a garantire che
 ogni settore della pubblica amministrazione  risponda  effettivamente
 al modello ideale tracciato dall'art. 97 della Costituzione".
   9.  - D'altro canto, una volta definito l'ambito dei riscontri che,
 nel caso di specie, sono da reputare di competenza  della  Corte  dei
 conti  ambito  dal  quale non v'e' motivo di ritenere che essa voglia
 discostarsi non trova fondamento neppure l'ipotesi  che  l'organo  di
 controllo  abbia  voluto  arbitrariamente  rifarsi  ad  un  paradigma
 riconducibile  a  quello  proprio  dei  giudizi   di   parificazione,
 previsti,  dagli  artt.    38-43 del regio decreto 12 luglio 1934, n.
 1214, per il rendiconto generale dello Stato, e da altre disposizioni
 di legge, per  il  rendiconto  di  talune  delle  Regioni  a  statuto
 speciale.
   Detti  giudizi,  il cui oggetto e' la verifica della legittimita' e
 regolarita' della gestione finanziario-contabile, si  svolgono,  come
 e'  noto,  nelle  forme  della  giurisdizione contenziosa, sulla base
 delle disposizioni processuali del regio decreto n. 1214 del  1934  e
 del  regio  decreto  n.  1038  del 1933, concludendosi con una vera e
 propria decisione. Tuttavia, le peculiarita' formali e sostanziali di
 tali giudizi non appaiono riscontrabili nel censurato procedimento di
 verifica  predisposto  dal  Collegio  regionale  di  controllo,  che,
 nell'ambito  di quanto previsto dall'art. 3, commi 5 e 6, della legge
 n. 20 del  1994,  ha  per  oggetto  le  verifiche  tipiche  del  c.d.
 controllo   sulla   gestione,  con  risultati  destinati,  infine,  a
 confluire   nella   relazione   indirizzata   all'organo   consiliare
 regionale.