IL PRETORE
   Sciogliendo la riserva formulata il 23 marzo 1999;
   Letti ed esaminati gli atti;
                             O s s e r v a
   Con  ricorso  depositato  in  data  19  marzo 1999, Dylmishi Selim,
 cittadino albanese, proponeva opposizione ai sensi dellart. 11, comma
 8, legge 6 marzo 1998, n. 40 avverso il  decreto  di  espulsione  del
 prefetto  di  Palermo, emesso in data 4 marzo 1999 e notificato il 17
 marzo 1999.
   A sostegno della domanda il ricorrente esponeva:  di  risiedere  in
 Italia  da  circa  dieci anni; di svolgere attivita di collaborazione
 domestica;  di  essere  coniugato  e  convivente  con  una  cittadina
 albanese; che la moglie era in attesa di un figlio; che la gravidanza
 era  a  rischio  per  una  minaccia  di  aborto; che non aveva potuto
 rinnovare il permesso di soggiorno per cause  di  forza  maggiore  e,
 precisamente,  perche'  "le  note  vicende  politico-albanesi"  ed  i
 "rivolgimenti politico-sociali che hanno sconvolto  quel  paese"  gli
 avevano impedito di ottenere il rinnovo del passaporto scaduto.
    Il ricorrente allegava al ricorso documentazione.
   Il  pretore  disponeva la comparizione delle parti anche al fine di
 assumere informazioni.
   All'udienza  stabilita  si  presentava  il  ricorrente  mentre   il
 prefetto di Palermo preferiva non comparire.
   Quindi,  interrogato  liberamente  il  ricorrente,  il  pretore  si
 riservava.
   Preliminarmente si rileva che la  necessita'  di  procedere  previa
 convocazione  delle  parti, nonostante la dizione dell'art. 11, comma
 9, che sembra prevedere la sola presenza  dell'interessato,  discende
 dalla scelta del decidente di assumere informazioni ex art. 738 c.p.c
 e  dal  fatto  che  la Suprema Corte di cassazione ha precisato che i
 provvedimenti del pretore in materia di impugnazione del  decreto  di
 espulsione  "sono  misure sostanzialmente decisorie e tendenzialmente
 definitive", adottate all'esito di un giudizio sulla  lesione  di  un
 diritto  soggettivo  (cfr.  Cass., sez. civile I, 21 gennaio 1990, n.
 1082).
   Di conseguenza, proprio la natura contenziosa del giudizio  avverso
 il  decreto  di  espulsione,  la  possibilita  di proporre reclamo al
 tribunale contro le decisioni del pretore e  l'esperibilita'  avverso
 le  decisioni  del  tribunale  del  ricorso  per  Cassazione ai sensi
 dell'art. 111 della Cost. Rep. it.,  impongono  di  procedere  previa
 instaurazione del contraddittorio tra le parti.
   Cio' premesso, si ritiene di sollevare la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 17 della legge 6 marzo 1998. n. 40, ora art.
 19  del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui non prevede
 il divieto di espulsione dello straniero coniugato e  convivente  con
 una  donna  in  stato  di  gravidanza  e nei sei mesi successivi alla
 nascita del figlio cui provvede.
   La questione e' rilevante ai fini della decisione.
   Ed  invero,  il  prefetto  di  Palermo  ha  decretato  l'espulsione
 dell'odierno  ricorrente  perche  il  suo  permesso  di soggiorno era
 scaduto  in  data  4  aprile  1994  senza  che  nei  sessanta  giorni
 successivi ne fosse richiesto il rinnovo.
   L'espulsione  costituisce  un  atto  dovuto a fronte del negligente
 ritardo dello straniero e soltanto l'esistenza di una causa di  forza
 maggiore  o  di  una  delle  situazioni  previste  dall'art.  17 cit.
 impedisce l'adozione di un tale provvedimento.
   Nel caso di specie, la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 sopra  prospettata assume indubbia rilevanza ai fini della decisione,
 in quanto:
     a)  ipotesi  della  forza  maggiore e' espressamente riferita dal
 legislatore  al  caso  dello  straniero  che  si  e'  trattenuto  nel
 territorio  dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno e
 non al caso dello straniero il  cui  permesso  e'  scaduto  da  oltre
 sessanta giorni senza che ne sia stato chiesto il rinnovo;
     b)  per  rinnovare  il  permesso  di  soggiorno e' sufficiente un
 qualsiasi documento di identita';
     c) il passaporto del ricorrente e scaduto il  31  dicembre  1997,
 cioe'  tre  anni  dopo  la  scadenza  del permesso di soggiorno (cfr.
 permesso di soggiorno valido  fino  al  4  aprile  1994  allegato  al
 ricorso).
   In  ordine  alla  non  manifesta  infondatezza,  si  osserva che la
 Costituzione  riconosce  allo   straniero   i   diritti   inviolabili
 dell'uomo,  sia  come  singolo  sia  nelle  formazioni sociali ove si
 svolge la  sua  personalita'  (art.  2)  ed  i  diritti  allo  stesso
 riconosciuti  dalla  legge  in conformita' delle norme e dei trattati
 internazionali (art. 10, comma 2).
   Non vi e', pertanto,  dubbio  che  allo  straniero  debbano  essere
 garantiti il diritto di formarsi una famiglia e di mantenere l'unita'
 familiare di cui all'art 12 della convenzione per la salvaguardia dei
 diritti  dell'uomo  e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4
 novembre 1950 e ratificata con legge 4 agosto 1955, n. 848 e tutti  i
 diritti  e  le potesta' derivanti da quella societa' naturale fondata
 sul matrimonio che e' la famiglia e dallo  status  di  coniuge  e  di
 padre (artt. 29 e 30 della Cost. Rep. it.).
   In tal senso e' anche il d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, testo unico
 delle  disposizioni  concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione e
 norme sulla  condizione  dello  straniero,  dove  si  ribadisce,  tra
 l'altro,  che  "allo  straniero  comunque  presente... nel territorio
 dello Stato sono riconosciuti i diritti  fondamentali  della  persona
 umana  previsti  dalle  norme  del diritto interno, dalle convenzioni
 internazionali in vigore e dai  principi  di  diritto  internazionale
 generalmente riconosciuti" (art. 2 del cit. testo unico).
   Tuttavia,  proprio  la mancata previsione nella legge 6 marzo 1998,
 n.40 del divieto di espulsione dello straniero coniugato e convivente
 con una donna in stato di gravidanza e nei sei mesi  successivi  alla
 nascita    del    figlio   determina   per   lo   straniero   espulso
 l'impossibilita' ad esercitare i suoi diritti e ad adempiere ai  suoi
 doveri  nei confronti del coniuge, del nascituro e del figlio dopo la
 nascita.
   Peraltro, tale  omissione  sembra  violare  anche  l'art.  3  della
 Costituzione  perche'  si  pone in contrasto con i criteri ispiratori
 della legge 6 marzo 1999, n. 40, con i canoni della logica e  con  il
 principio della ragionevolezza.
   Ed  invero,  l'art.  17  lett.  d)  della legge 6 marzo 1998, n. 40
 stabilisce  il  divieto  di  espulsione  delle  donne  in  stato   di
 gravidanza  o  nei  sei  mesi  successivi alla nascita del figlio cui
 provvedono ma la mancanza di un analogo divieto di espulsione per  il
 coniuge  maschio  convivente,  oltre  a  creare  una  incomprensibile
 disparita'  di  trattamento  tra  i  coniugi,  rende   di   difficile
 attuazione  l'articolo  stesso, atteso che solo poche donne straniere
 in stato di gravidanza o con un figlio neonato preferiranno  rimanere
 in  Italia,  prive  di  sostegno  morale  e  materiale, piuttosto che
 seguire il coniuge espulso.
   Inoltre,  anche  il  diritto  alla unita' familiare e la tutela dei
 minori, che pure sono obiettivi dichiarati della legge 6 marzo  1998,
 n.  40  (artt. 26 e ss.), finiscono per non essere garantiti se viene
 espulso il capofamiglia.
   Alla  stregua  delle  considerazioni  che  precedono  va,   quindi,
 disposta  la  sospensione del giudizio con la trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale per la decisione della sollevata  questione
 di    legittimita'    costituzionale,   siccome   rilevante   e   non
 manifestamente infondata.