IL GIUDICE DI PACE
   Ricorso  della  regione  Veneto  in  persona  del  vice  presidente
 pro-tempore della Giunta regionale, avv. Bruno  Canella,  in  assenza
 del  Presidente,  autorizzato  con delibera della Giunta regionale n.
 1312 del 27 aprile 1999, rappresentata e difesa, come  da  mandato  a
 margine  del  presente  atto,  dall'avv.  prof.  Mario  Bertolissi di
 Padova, con domicilio eletto in  Roma,  presso  lo  studio  dell'avv.
 Luigi Manzi, in via F.. Confalonieri, 5;
   Contro  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri rappresentato e
 difeso dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  presso  la  quale  e'
 domiciliato  ex  lege,  in  Roma,  via  dei Portoghesi, n. 12, per la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale per  violazione  degli
 artt. 3, 76, 115, 117, 118, 119, 121, 122, 123 Cost., e del principio
 costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni del d.lgs.
 30 marzo 1999, n. 96, recante "Intervento sostitutivo del Governo per
 la ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locali
 a  norma  dell'art.   4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e
 successive modificazioni" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie
 generale, n. 90 del 19 aprile 1999).
                               F a t t o
   In dichiarata attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59,  con  il
 d.lgs.  del  31  marzo 1998, n. 112, il Governo ha inteso operare una
 serie di "conferimenti" di funzioni  e  compiti  amministrativi  alle
 regioni  ed agli enti locali. A giudizio del1a regione del Veneto, il
 decreto n. 112 presenta diversi vizi di  incostituzionalita',  e  per
 tale  motivo  ha  presentato contro di esso ricorso in via principale
 innanzi a codesta Ecc.ma Corte.
   Essendo rilevante anche ai fini  del  giudizio  instaurato  con  il
 presente atto, di quel decreto va qui ricordato in particolare l'art.
 7,  per  il  quale  doveva  essere  il  presidente  del Consiglio dei
 Ministri, con propri provvedimenti amministrativi  (gia'  contemplati
 dall'art.   7 della legge n. 59/1997) a determinare: a) la decorrenza
 degli effetti dei conferimenti;  b)  la  decorrenza  dell'abrogazione
 delle  corrispondenti  norme stabilite dal decreto legislativo; c) il
 trasferimento  dei  beni  e   delle   risorse   finanziarie,   umane,
 strumentali ed organizzative.
   Tale  disposizione  e'  stata sospettata di incostituzionalita', in
 quanto rende incerti i conferimenti, ed e' in violazione delle  norme
 della   legge   di   delega   n.  59  del  1997,  che  imponevano  la
 contestualita' tra la attribuizione (sia pur graduale) delle funzioni
 e  la  attribuzione  delle necessarie risorse, anche per garantire il
 principio della copertura finanziaria dei nuovi compiti.  E  va  pure
 qui  ricordato che la attribuzione delle risorse da parte dello Stato
 - a tutt'oggi - non e' ancora avvenuta.
   Secondo quanto dispone 1'art. 4 della legge n. 59, e 1'art.  3  del
 d.lgs.   n.   112/1998,  la  regione  deve  determinare  le  funzioni
 amministrative  che  richiedono  l'unitario   esercizio   a   livello
 regionale,  provvedendo nello stesso tempo a conferire tutte le altre
 agli enti locali, cui vanno - sempre contestualmente - attribuite  le
 necessarie risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali.
   Il Veneto ha prontamente avviato il processo di recepimento, e cio'
 si  e'  tradotto in una corposa iniziativa legislativa (p.d.l.  462),
 della quale vanno qui evidenziati due aspetti.
   Il primo e' che  si  sono  individuate  analiticamente  le  singole
 funzioni amministrative: cio' era ed e' imposto dall'art. 4, comma 5,
 della legge n. 59, anche in vista delle eventuale "soppressione delle
 funzioni  e dei compiti divenuti superflui" (come stabilito dall'art.
 4, comma 3, lett. c).
   E'  evidente  che  questa  operazione  ha   richiesto   la   previa
 ricognizione  delle  funzioni amministrative, cosi' come disciplinate
 dalla legislazione statale e regionale: compito arduo in se'  stesso,
 e   reso  ancora  piu'  difficoltoso  dal  fatto  che  il  Governo  -
 contravvenendo a quanto ad esso imposto dall'art. 3, comma 1, lettere
 a-b, legge n. 59 - con il d.lgs. n. 112 non ha affatto individuato le
 funzioni amministrative in  modo  preciso,  ma  si  e'  quasi  sempre
 riferito  a  "blocchi  innominati",  di  compiti  attinenti ad intere
 materie.
   Il secondo aspetto e' che - come meglio si precisera' in seguito  -
 la  regione ha comunque dovuto prevedere che il concreto conferimento
 dell'esercizio delle funzioni  e'  subordinato  alla  attuazione,  da
 parte  dello  Stato, del dovere che su di essa grava di trasferire le
 risorse economiche necessarie.
   Nel caso, il procedimento  legislativo  regionale  si  e'  rivelato
 necessariamente   lungo:  alle  inadempienze  dello  Stato,  si  sono
 aggiunti sia la "necessita'" di tutti  i  passaggi  consiliari  (come
 insegna  la  Corte  costituzionale,  e  a  differenza del Governo, la
 Giunta regionale non puo' farsi delegare  dal  Consiglio  l'esercizio
 della  funzione  legislativa),  sia  il vincolo a precise norme della
 Statuto (art.  55), che impongono la consultazione degli enti  locali
 destinatari delle deleghe.
   Nelle  more  del  procedimento  regionale,  il  Governo  ha  inteso
 sostituirsi alla regione, attuando - con il d.lgs. 30 marzo 1999,  n.
 96  - la delega conferita dall'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997; per
 il vero, al 30 marzo 1999 la delega era abbondantemente  scaduta,  ma
 il  Governo  aveva  ben  provveduto  a  far prorogare a se' stesso il
 termine, con 1'art. 9, comma 7, legge 8 marzo 1999, n. 50.
   Con riferimento ad interi blocchi di materie (ma non a tutte quelle
 considerate dal precedente d.-lgs. n. 112/1998),  il  decreto  n.  96
 stabilisce  quali  funzioni  "sono esercitate" (all'indicativo) dalla
 regione o dai minori enti locali, prevedendo - all'art. 49 - che  "le
 disposizioni  del  presente  decreto  si  applicano a decorrere dal 1
 luglio 1999".
   Ad  avviso  della regione del Veneto, il d.lgs. n. 96/1999 presenta
 vizi di incostituzionalita', per i seguenti motivi di
                             D i r i t t o
   Il d.lgs. n. 96 del 1999 risulta affetto sia da vizi propri, sia da
 vizi che ad esso derivano dalla incostituzionalita'  della  legge  di
 delega  (dei quali, per ragioni di chiarezza espositiva, si trattera'
 sola dopo l'esame dei primi).
   1.   -   Violazione   del   principio   costituzionale   di   leale
 collaborazione  tra  Stato  e regioni. Violazione  dell'art. 76 della
 Costituzione  per  non  essere  stata  sentita  la   regione   Veneto
 "inadempiente".
   L'art.  4,  comma  5,  della  legge  n. 59 del 1997, prevede che il
 decreto delegato "in sostituzione" sia adottato dal Governo  "sentite
 le regioni inadempienti".
   Nel caso, quindi, il dovere di instaurare il contraddittorio con le
 regioni,  prima  di "sanzionare" quelle che si reputano inadempienti,
 rappresenta il contenuto di un "1imite ulteriore" della legge delega,
 oltre che essere espressione del principio di  leale  collaborazione,
 che  secondo  la  nota  e costante giurisprudenza costituzionale deve
 informare i rapporti tra Stato e  regioni  (e  per  una  applicazione
 "forte" del principio cooperativo, estesa al procedimento legislativo
 statale, si puo' richiamare la recentissima sent. n. 398/1998).
   Trattandosi  di  un  elemento  del  procedimento  di formazione del
 decreto delegato, alla regione Veneto doveva essere  sottoposto,  per
 l'espressione  di  un  parere,  almeno  uno  schema  dell'atto che il
 Governo si  accingeva  ad  adottare;  inoltre,  stante  il  carattere
 "sanzionatorio" della sostituzione, la regione doveva essere posta in
 grado di rappresentare le ragioni del "presunto" inadempimento.
   Nulla  di  tutto  questo  e'  avvenuto, nonostante il preambolo del
 decreto affermi che sono state, "sentite le regioni inadempienti"  (e
 si  chiede sin d'ora che la Corte utilizzi i propri poteri istruttori
 per verificare in qual modo la regione sarebbe intervenuta).
   Cio' vale senz'altro per quanto riguarda il Veneto come tale:  alla
 regione  mai  e' stato sottoposto un qualunque articolato governativo
 (che del resto non risulta approvato in via preliminare dal Consiglio
 dei Ministri), ed essa mai e' stata messa in condizione  di  assumere
 una  qualche  deliberazione in ordine al procedimento di sostituzione
 avviato dalla Stato.
   Di certo non puo' essere considerato  adempimento  dell'obbligo  di
 consultazione  la lettera che il Ministro per gli Affari regionali ha
 inviato al Presidente della regione il pomeriggio del 24  marzo  1999
 (e  quindi solo due giorni prima della adozione del decreto, avvenuta
 il 26 marzo): essa si limita a comunicare l'intendimento del  Governo
 di  procedere  alla  sostituzione,  senza  sottoporre  ad esame alcun
 testo, e senza chiedere alcun parere in ordine ad alcunche'.
   La consultazione della singola regione (supposta) inadempiente - e'
 poi appena il caso  di  ricordare  -  non  potrebbe  comunque  essere
 sostituita    da   una   qualche   consultazione   della   conferenza
 Stato-regioni (alla quale, ad ogni  modo,  non  e'  stato  sottoposto
 alcun  testo):    innanzitutto,  perche'  la  legge n. 59 del 1997 e'
 chiara nel distinguere - richiedendo il parere ora dell'una ora delle
 altre - la conferenza permanente dalle singole regioni (v. ad esempio
 l'art. 6 e l'art.  8, comma 1, oltre che lo stesso art. 4,  comma  5,
 che  sta  a  fondamento  del  decreto  impugnato);  in secondo luogo,
 perche' il d.lgs.  n.  281  del  1997  non  prevede  affatto  che  la
 conferenza  sia  chiamata a pronunciarsi nell'ambito del procedimento
 di sostituzione delle regioni "inadempienti"; da ultimo,  perche'  la
 necessita'  di sentire la singola regione deriva proprio dalla natura
 dell'intervento sostitutivo, che non riguarda  la  generalita'  degli
 enti autonomi, ma solamente quelli che si ritiene non abbiano attuato
 i trasferimenti previsti dalla legge.
   2.  -  Violazione  dell'art.  76  della Costituzione, attraverso la
 violazione  dei  principi  e  criteri   direttivi   stabiliti   dalla
 legge-delega;  conseguente  violazione  degli  artt.  3  e  119 della
 Costituzione.
   2.1. - Codesta Corte costituzionale, con  la  recente  sentenza  n.
 408  del  1998,  ha  stabilito  che la legge delega n. 59 del 1997 ha
 fissato al Governo, in relazione ai decreti delegati in sostituzione,
 sufficienti principi e criteri direttivi: "essi  sono  quegli  stessi
 che l'art. 4 indica al comma 2 per i conferimenti di funzioni operati
 in  via  normale  e  definitiva dalla legge regionale, o, fuori delle
 materie dell'art. 117, dai decreti legislativi delegati".
   Si tratta - e' vero - in taluni casi di principi  e  criteri  cosi'
 indeterminati,   che  il  disattenderli  risulta  quasi  impossibile;
 tuttavia, in relazione ad alcuni di essi, la violazione  operata  dal
 d.lgs.      n.  96  e'  palese,  in  quanto  il  Governo  ha  operato
 assolutamente al di fuori delle tante  possibilita'  lasciate  aperte
 dalla delega.
   Cio'  e'  da  dirsi anzitutto per il "principio di differenziazione
 nell'allocazione delle  funzioni,  in  considerazione  delle  diverse
 caratteristiche   anche  associative,  demografiche,  territoriali  e
 strutturali degli enti riceventi":  il  principio  e'  fissato  dalla
 lett.  h)  dell'art.    4,  legge  n. 59/1997, ed e' confermato dalle
 disposizioni recate dalla lett.  a)  per  cui  il  conferimento  deve
 essere   operato   tenendo   conto   delle   "rispettive   dimensioni
 territoriali" degli enti interessati, e dalla lett. g), a mente della
 quale va  rispettato  il  "principio  di  adeguatezza,  in  relazione
 all'idoneita'    organizzativa   dell'amministrazione   ricevente   a
 garantire ... l'esercizio delle funzioni".
   Questo comprensivo "principio di differenziazione" - il cui  valore
 centrale  nell'impianto della legge n. 59 e' stata sottolineata dalla
 stessa Corte nella sent.  n.  408/1998  -  e'  stato  del  tutto  non
 osservato  dal d.lgs. n. 96: gli enti locali sono trattati tutti allo
 stesso modo, sia all'interno della regione, sia tra regioni  diverse;
 a  tutte le amministrazioni regionali permangono in capo gli identici
 compiti.
   Che in tal modo si violassero principi della legge  di  delega  era
 chiaro  anche  al  Governo, il quale in varie sedi aveva dichiarato -
 attraverso l'on.  Bassanini  -  che,  nel  caso  in  cui  si  fossero
 esercitati  i  poteri  sostitutivi,  sarebbero stati adottati decreti
 legislativi  differenziati  da  regione  a  regione,  sostanzialmente
 recependo  le proposte di attuazione del d.lgs. n. 112/1998 elaborate
 dalle singole regioni.
    La  soluzione  e'  stata  invece  radicalmente  diversa,   ed   e'
 consistita,  nell'adottare  una  disciplina uniforme, in qualche caso
 ricalcata da leggi regionali (e segnatamente dalla legge reg.  Umbria
 2  marzo  1999,  n. 3, e dalla legge reg. Basilicata 8 marzo 1999, n.
 7).
   L'uniforme  trattamento  che  il  d.lgs.  riserva  a tutti gli enti
 autonomi di diverso livello, oltre alla violazione dell'art. 76 della
 Costituzione,  integra  pure  una  violazione   dell'art.   3   della
 Costituzione,  in  quanto  non  tiene  conto  della  diversita' delle
 situazioni esistenti: basti riflettere sul fatto che le  funzioni  da
 esercitare  unitariamente  a  livello regionale non possono essere le
 stesse in tutte le regioni interessate, assai diverse tra di loro per
 popolazione, distribuzione geografica di essa; dimensione degli  enti
 locali e cosi' via.
   2.2  -  L'art.  4,  comma 3, lett. i), 1egge n. 59/1997 fissa quale
 criterio  direttivo  "ll  principio  della  copertura  finanziaria  e
 patrimoniale  dei costi per l'esercizio delle funzioni amministrative
 conferite":   a  ben  vedere,  il  principio  altro  non  e'  che  la
 traduzione  dell'art.  119, primo e secondo comma della Costituzione,
 per il quale, come ha insegnato la giurisprudenza costituzionale,  vi
 deve   essere   corrispondenza  tra  funzioni  assegnate  e  concreta
 disponibilita' di mezzi materiali e finanziari.
   Il d.lgs. impugnato attribuisce alla regione  funzioni  e  compiti,
 piu'  o meno puntualmente indicati, e stabilisce, all'art. 49, che le
 disposizioni di esso "si applicano a decorrere dal  1  luglio  1999":
 se  la  decorrenza  ha un senso, funzioni e compiti dovrebbero essere
 svolti, appunto, dal prossimo 1 luglio.
   Senonche', il decreto  n.  96  non  opera  alcuna  attribuzione  di
 risorse  -  di  alcun  tipo  -  ne' alla regione ne' agli enti locali
 infraregionali; ne' queste risorse risultano comunque disponibili, in
 quanto a tutt'oggi mancano i  provvedimenti  dell'Esecutivo  previsti
 dell'art. 7 della legge n. 59.
   Il  Governo  -  che  con  il  provvedimento  impugnato  pretende di
 sostituirsi alla regione "inadempiente", (... dopo  aver  chiesto  ed
 ottenuto  dalla  propria  maggioranza  parlamentare  una  proroga del
 termine inizialmente previsto|) - e' esso inadempiente rispetto  alla
 attribuzione  delle  risorse,  la  quale, come stabilisce la legge di
 delega, deve essere contestuale ai conferimenti, ed e' in  ogni  caso
 necessaria per l'effettivo esercizio delle funzioni.
   La violazione dell'art. 119 della Costituzione e dell'art. 76 della
 Costituzione,  attraverso  la  violazione  dell'art.  4, terzo comma,
 lettera i), legge n. 59, non potrebbe essere  piu'  macroscopica;  ed
 essa  riguarda  -  anche questo e' palese - il d.lgs. n. 96 nella sua
 interezza.
   3. - Violazione degli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione per
 mancanza del presupposto della sostituzione.  Il  d.lgs.  n.  96  del
 1999,  di  cui  qui  si  contesta  la  legittimita',  interviene  sul
 presupposto dell'inadempimento da parte della regione del compito  di
 adottare,  nel  termine  di  sei mesi dal decreto n. 112 del 1998, la
 legge regionale "di puntuale individuazione delle funzioni trasferite
 o delegate agli enti locali  e  di  quelle  mantenute  in  capo  alla
 regione stessa".
   A  parte la congruita' del termine assegnato, e' pero' da chiedersi
 se il dovere dell'attuazione sorga, per la regione, in presenza di un
 qualunque d.lgs. statale di "conferimento", ovvero  soltanto  -  come
 qui  sostiene  la  ricorrente - in presenza di un d.lgs. il quale, in
 conformita' alla legge di  delega,  ponga  tutte  le  condizioni  per
 essere tradotto nell'ordinamento regionale.
   Qui  e'  necessario ricordare ancora una volta che il d.lgs. n. 112
 del 1998 subordina l'effettivita' dei  conferimenti  di  funzioni  al
 trasferimento   delle   risorse,   da   disporsi   con  provvedimenti
 amministrativi statali, che mancavano al momento della emanazione del
 decreto, e che continuano ancor oggi a  mancare.  Come  si  e'  detto
 nella  parte  in fatto, secondo la regione del Veneto, cio' determina
 l'illegittimita' del decreto n. 112. Ma  la  mancanza  delle  risorse
 determina  anche  l'illegittimita'  dell'intervento  sostitutivo,  in
 quanto la regione non era e non e' in condizione di  poter  adempiere
 l'obbligo ad essa imposto dalla legge.
   Come  dispone  espressamente  1'art. 4, comma 3, lett. i), legge n.
 59/1997, la regione e' tenuta ad operare il conferimento di  funzioni
 agli   enti   locali   rispettando   "il  principio  della  copertura
 finanziaria e patrimoniale dei costi" relativi; in senso analogo -  e
 correttamente,  da  questo  punto  di  vista  - il d.lgs. n. 112/1998
 dispone non  solo  che  ciascuna  Regione  determini  quali  funzioni
 trattenere  a  livello regionale, conferendo tutte le altre agli enti
 locali (art. 3, comma 1), ma anche che - con la stessa legge  di  cui
 al  comma 1 (contestualmente, quindi, al conferimento delle funzioni)
 - si attribuiscano agli enti locali le  risorse  umane,  finanziarie,
 organizzative  e  strumentali  in misura tale da garantire la congrua
 copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni  e  dei
 compiti  trasferiti (comma 3); la contestualita' fra trasferimento di
 funzioni e attribuzione di risorse e' poi imposta  alla  regione  del
 Veneto dall'art. 55, comma 1, del proprio Statuto.
   Tali  principi  -  vincolanti  per  la  regione  -  sono  pero'  di
 impossibile osservanza, in  quanto  lo  Stato  non  ha  a  sua  volta
 trasferito -  e nemmeno addirittura indicato - le risorse necessarie.
   Questo  rilievo  incontrovertibile  non  e'  sminuito dal fatto che
 anche la regione Veneto ha avviato il procedimento legislativo avente
 ad oggetto il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle
 autonomie locali in attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n.  112" (v.
 il p.d.l. n. 462): il  progetto  di  legge,  infatti,  non  puo'  non
 condizionare  "il termine di decorrenza dell'esercizio da parte della
 regione e degli enti locali delle funzioni amministrative  conferite"
 alla  individuazione  delle  risorse finanziarie necessarie (art. 13,
 comma 1), la quale - a  sua  volta  -  sara'  operata  dalla  regione
 unicamente  dopo  gli  "effettivi trasferimenti di risorse operate ai
 sensi dell'art.  7, comma 1, della legge n. 59/1997 e dell'art. 7 del
 d.lgs. n. 112/1998" (art. 8, comma 1); ed e'  solo  dalla  decorrenza
 dell'esercizio  effettivo  delle  funzioni,  che il progetto di legge
 prevede  "l'abrogazione   di   ogni   disposizione   in   contrasto",
 precedentemente  regolante  le  materie  interessate dai conferimenti
 (art. 13, comma 2; dello stesso progetto di legge,  si  vedano  anche
 gli artt. 9 e 10).
   A ben vedere, dunque, nemmeno l'approvazione definitiva della legge
 regionale  avrebbe  potuto impedire il decreto sostitutivo, in quanto
 con essa non  si  ripartono  tra  regione  ed  enti  locali  funzioni
 attualmente  esercitabili; cosi' come essa non riuscira' a sostituire
 le disposizioni "cedevoli" del decreto n. 96 qui impugnato,  se  esso
 e' da intendere come effettivo riparto di compiti.
   Ma  tale  esito  paradossale  altro  non  fa  che confermare che la
 regione non e' in condizione di adempiere al dovere  di  conferimento
 cosi' come esso risulta strutturato dalla legge di delega n. 59/1997,
 in quanto lo Stato non ha provveduto - ne' con il decreto da attuare,
 ne'  successivamente  -  agli  adempimenti  di propria competenza. Da
 cio',  deriva  allora  che  non  si  e'  verificato  il   presupposto
 dell'inadempimento,  al  quale  l'art.  4,  comma 5, legge n. 59/1997
 subordina l'esercizio del  potere  sostitutivo:  e  di  qui  discende
 l'incostituzionalita',  per  violazione indiretta dell'art. 76 Cost.,
 dell'intero  d.lgs.  n.    96/1999.  Mancando  il  presupposto  della
 sostituzione,  del  d.lgs. rimane la semplice invasione delle aree di
 competenza legislativa ed amministrativa, con conseguente  violazione
 degli artt. 117 e 118 della Costituzione.
   4.    -    Violazione    del   carattere   politico-rappresentativo
 dell'autonomia della regione del Veneto,  risultante  dagli  articoli
 115, 117, 118, 121, 122, 123 della Costituzione.
   E'  indubbio  che  le  disposizioni  costituzionali  appena  citate
 configurino la  regione  come  ente  datato  di  autonomia  politica:
 nonostante  i  numerosi  e  penetranti  limiti,  derivanti  sia dalla
 Costituzione, sia - sulla base di essa - da atti legislativi  statali
 ordinari,  la  regione  e'  chiamata  ad  operare scelte politiche in
 ordine alla cura degli interessi dell'intera collettivita' locale,  e
 di  tali  scelte  essa risponde direttamente innanzi al proprio corpo
 elettorale.
   Tale posizione costituzionale e' lesa dal d.lgs. impugnato.
   Esso e' - come  dicono  titolo  e  fondamento  -  un  provvedimento
 sostitutivo:   lo Stato cura direttamente interessi attribuiti in via
 primaria alla regione, in quanto la stessa  regione  si  e'  rivelata
 incapace   di  curarli;  inoltre,  esso  presuppone  una  valutazione
 "negativa" dell'operato della regione, la quale si  e'  dimostrata  -
 appunto - "inadempiente".
   Non  e'  solo  il  carattere  oggettivo  dell'intervento  ad essere
 sanzionatorio:   sanzionatoria,  e'  stata  anche,  in  concreto,  la
 motivazione  - che ha indotto il Governo ad agire. Nella relazione al
 decreto si legge che il Governo ha varie volte sollecitato le regioni
 a provvedere; che queste, "nonostante l'imminenza della scadenza  del
 termine", "non hanno ancora ripartito, con legge, le competenze"; che
 "il  Governo" pur potendo esercitare il potere sostitutivo gia' dalla
 scorso settembre, ha voluto attendere" (bonta'  sua|)  le  arrancanti
 regioni; infine, che "l'intervento normativo del Governo si configura
 come  necessario  strumento  di  garanzia per l'effettivo concorso di
 tutte le autonomie locali alla riorganizzazione  dell'amministrazione
 centrale e periferica".
   E'  chiaro  - dunque - che un intervento sostitutivo di cosi' ampia
 portata  e'  idoneo  ad  incidere  sul  rapporto  di   rappresentanza
 politica,  inducendo  nel  corpo  elettorale  veneta  la  convinzione
 dell'inadempimento della regione.
   Senonche', come si e' sopra argomentato, la regione si  e'  trovata
 nell'impossibilita'  di operare conferimenti effettivi; ma allora, la
 mancanza del presupposto giustificativo della sostituzione si traduce
 - oltre che nella violazione dell'art. 76 della Costituzione -  nella
 lesione dell'autonomia politico-rappresentativa della regione.
   Tale  lesione,  poi, sarebbe ancora piu' macroscopica se si dovesse
 ritenere che  il  d.lgs.  impugnato  non  opera  alcuna  attribuzione
 concreta di compiti e funzioni, proprio perche' essi sono subordinati
 all'effettiva  operativita'  del decreto n. 112 del 1998, a sua volta
 condizionata dagli atti amministrativi statali di  individuazione  ed
 attribuzione  delle  risorse:  in  tal  caso, quale altro significato
 avrebbe il decreto n. 96, se non quello di imputare alla regione - di
 fronte agli enti locali ed al corpo elettorale -  la  responsabilita'
 politica  della  mancata  realizzazione del processo di decentramento
 amministrativo?
   5. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione ad opera  dell'art.
 49 d.lgs. n. 96/1999.
   Si  e'  gia'  ricordato che l'art. 49 del decreto stabilisce che le
 disposizioni da esso recate si applicano a  decorrere  dal  1  luglio
 1999:  cosi'  disponendo,  pero',  il  Governo ha ecceduto dai limiti
 della delega, in quanto non spetta ad un decreto  delegato  stabilire
 circa  la  propria entrata in vigore e circa la decorrenza dei propri
 effetti, in assenza di una specifica norma abilitante.
   A ritenere il contrario, si arriverebbe all'assurdo  di  consentire
 al  Governo  di  eludere  il  termine  previsto:  se il Parlamento ha
 fissato (e deve costituzionalmente fissare) un termine per la delega,
 cio' che vuole e' che entro quel termine (o comunque subito  dopo  il
 tempo  strettamente  necessario per la pubblicazione e per la vacatio
 legis ex   art.  73,  comma  3,  della  Costituzione),  la  normativa
 delegata  dispieghi  i  propri  effetti.  Certo  il  Parlamento  puo'
 stabilire diversamente,  come  in  effetti  talora  e'  accaduto:  ad
 esempio,  nella  legge  16  febbraio  1987,  n.  81,  di  delega  per
 l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, si era fissato sia
 il termine per la adozione del d.lgs.   (art. 8), sia  il  successivo
 termine  massimo,  entro il quale il Governo era delegato a stabilire
 la data di entrata in vigore del codice (art. 4).
   Ma appunto - al di fuori di tale delega specifica - il Governo  non
 puo' procastinare gli effetti del decreto delegato.
   L'art.  49  e' dunque illegittimo; e l'illegittimita' - eludendo il
 termine costituzionalmente indicato per l'esercizio della delega - si
 estende al decreto n. 96 nella sua interezza.
   6. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 della  Costituzione,  per
 illegittimita' della legge di delega.
   La  regione  ricorrente  ritiene che altri motivi di illegittimita'
 del decreto n. 96 derivino dalla incostituzionalita' - da far  valere
 qui  in  via incidentale - della specifica norma delegante, contenuta
 nell'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997.
   6.1. - Va premesso che,  secondo  1'art.  118,  primo  comma  della
 Costituzione, alla regione spetta la titolarita' di tutte le funzioni
 amministrative  relative  alle materie sulle quali essa ha competenza
 legislativa; e' vero che tali funzioni sono "normalmente"  esercitate
 attraverso  la  delega ai minori enti locali (art. 118, terzo comma),
 ma in ordine alla scelta sul modo di  esercizio  delle  funzioni  non
 puo'  non  spettare  alla regione un ampio potere discrezionale. Cio'
 deriva dal fatto che lo stesso art. 118 prevede la delega - appunto -
 come norma, lasciando aperta  la  possibilita'  ad  altre  soluzioni;
 dalla  circostanza  che numerose disposizioni costituzionali lasciano
 supporre l'esistenza di consistenti apparati organizzativi  regionali
 (v.  ad  es.  gli  artt.    117, primo alinea, e 129, primo e secondo
 comma,  oltre  che  la  VIII   disp.   trans.);   dal   rilievo   che
 l'individuazione  del  livello ottimale dell'esercizio delle funzioni
 implica la ponderazione politica di fattori diversi  (dal  territorio
 alla   dimensione  degli  enti  riceventi,  dalla  distribuzione  del
 personale  al  grado  di   uniformita'-eguaglianza   che   si   vuole
 garantire...).
   Ora,  in presenza di funzioni che spettano sicuramente alla regione
 (qui infatti  non  vengono  in  rilievo  funzioni  che  piu'  o  meno
 legittimamente    lo    Stato    si    sia   riservato),   non   puo'
 costituzionalmente  ammettersi  una  possibilita'   di   sostituzione
 statale  nella  individuazione  del  modo  di  esercizio  - diretto o
 attraverso delega - dei singoli compiti amministrativi.
   Il potere di  sostituzione  non  puo'  essere  fondato  sulla  sola
 previsione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, sia per il
 carattere  elastico e politico della scelta che esso presuppone (come
 si e' sopra detto), sia per il fatto che - a ritenere in contrario  -
 dovrebbe  consentirsi  sempre  e  comunque  che  lo  Stato  si  possa
 sostituire  a  qualunque  compito  regionale,  di  qualsiasi  natura,
 indipendentemente dalla ricorrenza di specifici, puntuali, dimostrati
 titoli giustificativi risultanti dalla Costituzione.
   Ammettere  un tale potere di sostituzione significherebbe ledere la
 posizione di  autonomia  politica  della  regione,  ed  il  carattere
 rappresentativo  di  essa:  che senso avrebbe la norma per la quale i
 consiglieri regionali non  rispondono  -  se  non  al  momento  delle
 elezioni  -  dei  voti  dati e delle opinioni espresse nell'esercizio
 delle loro funzioni (e quindi anche delle omissioni che ne derivano)?
 Qua1e  significato  si  dovrebbe  attribuire   all'art.   126   della
 Costituzione  -  ed  alle  relative  garanzie procedimentali - se gli
 "atti contrari alla Costituzione" o le "gravi  violazioni  di  legge"
 (ammesso,  naturalmente, che di cio' si tratti|) consentissero sempre
 e comunque la sostituzione  statale  nello  svolgimento  del  singolo
 compito?
    A quanto detto non puo' utilmente obiettarsi che l'art. 118, primo
 comma,   della   Costituzione   consente  allo  Stato  di  attribuire
 direttamente funzioni "regionali", alle  province,  ai  comuni  o  ad
 altri  enti locali.   Dalla stessa disposizione costituzionale deriva
 che  tale  potere   e'   limitato   alle   funzioni   "di   interesse
 esclusivamente  locale";  ed  allora, si potrebbe consentire (come ha
 rilevato la Corte nella recente sentenza n.  408  del  1998)  che  lo
 Stato,  dopo  avere in prima battuta affidato alla regione il compito
 di individuare tali funzioni esclusivamente locali, si  "sostituisca"
 a  quella  regione che non vi abbia provveduto:  ma tale sostituzione
 dovrebbe  essere  appunto   limitata,   per   rispettare   la   norma
 costituzionale, a quelle ben circoscritte funzioni.
   La  disposizione  di  delega  (l'art.  4,  comma  5, della legge n.
 59/1997 che il Governo ha inteso attuare con  il  decreto  impugnato,
 consente   invece   la  sostituzione  alla  Regione  nel  compito  di
 individuare  le  funzioni  che  "richiedono  l'unitario  esercizio  a
 livello regionale", per attribuire tutte le rimanenti agli altri enti
 locali:  ma  e'  chiaro  che  le funzioni di interesse esclusivamente
 locale non sono tutte quelle che non richiedono  di  per  se'  stesse
 l'unitario  esercizio a livello regionale, e che tra i due insiemi ve
 ne e' un terzo, riempito di funzioni sicuramente "regionali".
   L'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997  e'  dunque,  ad  avviso  della
 ricorrente,  costituzionalmente  illegittimo,  per  violazione  degli
 artt. 117 e 118 Cost., nella parte in cui  consente  la  sostituzione
 della  Regione  nella  individuazione  e  nel  conferimento agli enti
 locali di funzioni diverse  da  quelle  di  interesse  esclusivamente
 locale";  e da cio' deriva la illegittimita' del decreto delegato qui
 impugnato.
   E'  appena  da aggiungere che l'illegittimita' non deriva dal fatto
 che il Governo ha conferito questa o  quella  singola  funzione  alle
 province   o   ai   comuni:   non  e'  una  questione  di  quantita';
 l'illegittimita' deriva dal fatto che il  Governo  si  e'  sostituito
 alla  Regione nel compito politico di - individuare tolte le funzioni
 di interesse esclusivamente locale - quali altre  funzioni  dovessero
 per  loro natura essere esercitate a livello regionale, e quali altre
 invece  andassero  svolte  per  mezzo  di  delega.   L'illegittimita'
 riguarda  dunque tutte le disposizioni del d.lgs. che toccano materie
 regionali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione  (con  esclusione
 degli artt. 4 e 10), e non puo' essere negata, per quanto si e' detto
 e  si  dira',  in  considerazione  della (presunta) cedevolezza delle
 disposizioni adottate in via sostitutiva.
   7. - Sull'esistenza dell' interesse regionale all'impugnazione.
   Le norme recate dal decreto impugnato vogliono avere  un  carattere
 cedevole,  applicandosi  "fino  alla  data  di  entrata  in vigore di
 ciascuna legge regionale" di recepimento del d.lgs. n. 112/1998 (art.
 1).
   In vista di cio', potrebbe sorgere il dubbio  che  la  Regione  del
 Veneto  non abbia interesse ad impugnare il decreto, potendo disporre
 sin d'ora una diversa allocazione  delle  funzioni.  L'insieme  delle
 considerazioni che precedono dimostra pero' che cosi' non e'.
   Innanzitutto,  il decreto n. 96 presuppone una omissione in realta'
 insussistente; ed e' attualmente idoneo ad incidere -  come  gia'  ha
 inciso - sull'autonomia politico-rappresentativa della Regione.
   In  secondo  luogo,  la  cedevolezza  delle  disposizioni  e'  solo
 apparente:   se il decreto ha,  come  dovrebbe  avere,  un  contenuto
 normativo (di attribuzione di funzioni), il contenuto e' illegittimo,
 per  i  motivi che si sono esposti, e la Regione non e' in condizione
 di rimuoverlo, ne' prima ne'  dopo  il  l  luglio  1999,  perche'  la
 riallocazione   reale  ed  efficace  delle  funzioni  presuppone  una
 disponibilita' di risorse che a tutt'oggi  -  ed  illegittimamente  -
 manca.
   Ma  cedevole il decreto non e', nemmeno se esso si considerasse non
 attributivo di funzioni e compiti, ne' da ora, ne' dal 1 luglio (come
 si sussurra in ambienti governativi: insomma, ... si  tratterebbe  di
 uno  scherzo):  non  sarebbe  cedevole,  perche'  definitivo  sarebbe
 l'effetto  gia'  raggiunto,  di  avere  "sanzionato"  un  illegittimo
 comportamento omissivo della Regione.