IL GIUDICE DI PACE Ricorso della regione Veneto in persona del vice presidente pro-tempore della Giunta regionale, avv. Bruno Canella, in assenza del Presidente, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 1312 del 27 aprile 1999, rappresentata e difesa, come da mandato a margine del presente atto, dall'avv. prof. Mario Bertolissi di Padova, con domicilio eletto in Roma, presso lo studio dell'avv. Luigi Manzi, in via F.. Confalonieri, 5; Contro il Presidente del Consiglio dei Ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, presso la quale e' domiciliato ex lege, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale per violazione degli artt. 3, 76, 115, 117, 118, 119, 121, 122, 123 Cost., e del principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni del d.lgs. 30 marzo 1999, n. 96, recante "Intervento sostitutivo del Governo per la ripartizione di funzioni amministrative tra regioni ed enti locali a norma dell'art. 4, comma 5, della legge 15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni" (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 90 del 19 aprile 1999). F a t t o In dichiarata attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59, con il d.lgs. del 31 marzo 1998, n. 112, il Governo ha inteso operare una serie di "conferimenti" di funzioni e compiti amministrativi alle regioni ed agli enti locali. A giudizio del1a regione del Veneto, il decreto n. 112 presenta diversi vizi di incostituzionalita', e per tale motivo ha presentato contro di esso ricorso in via principale innanzi a codesta Ecc.ma Corte. Essendo rilevante anche ai fini del giudizio instaurato con il presente atto, di quel decreto va qui ricordato in particolare l'art. 7, per il quale doveva essere il presidente del Consiglio dei Ministri, con propri provvedimenti amministrativi (gia' contemplati dall'art. 7 della legge n. 59/1997) a determinare: a) la decorrenza degli effetti dei conferimenti; b) la decorrenza dell'abrogazione delle corrispondenti norme stabilite dal decreto legislativo; c) il trasferimento dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali ed organizzative. Tale disposizione e' stata sospettata di incostituzionalita', in quanto rende incerti i conferimenti, ed e' in violazione delle norme della legge di delega n. 59 del 1997, che imponevano la contestualita' tra la attribuizione (sia pur graduale) delle funzioni e la attribuzione delle necessarie risorse, anche per garantire il principio della copertura finanziaria dei nuovi compiti. E va pure qui ricordato che la attribuzione delle risorse da parte dello Stato - a tutt'oggi - non e' ancora avvenuta. Secondo quanto dispone 1'art. 4 della legge n. 59, e 1'art. 3 del d.lgs. n. 112/1998, la regione deve determinare le funzioni amministrative che richiedono l'unitario esercizio a livello regionale, provvedendo nello stesso tempo a conferire tutte le altre agli enti locali, cui vanno - sempre contestualmente - attribuite le necessarie risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali. Il Veneto ha prontamente avviato il processo di recepimento, e cio' si e' tradotto in una corposa iniziativa legislativa (p.d.l. 462), della quale vanno qui evidenziati due aspetti. Il primo e' che si sono individuate analiticamente le singole funzioni amministrative: cio' era ed e' imposto dall'art. 4, comma 5, della legge n. 59, anche in vista delle eventuale "soppressione delle funzioni e dei compiti divenuti superflui" (come stabilito dall'art. 4, comma 3, lett. c). E' evidente che questa operazione ha richiesto la previa ricognizione delle funzioni amministrative, cosi' come disciplinate dalla legislazione statale e regionale: compito arduo in se' stesso, e reso ancora piu' difficoltoso dal fatto che il Governo - contravvenendo a quanto ad esso imposto dall'art. 3, comma 1, lettere a-b, legge n. 59 - con il d.lgs. n. 112 non ha affatto individuato le funzioni amministrative in modo preciso, ma si e' quasi sempre riferito a "blocchi innominati", di compiti attinenti ad intere materie. Il secondo aspetto e' che - come meglio si precisera' in seguito - la regione ha comunque dovuto prevedere che il concreto conferimento dell'esercizio delle funzioni e' subordinato alla attuazione, da parte dello Stato, del dovere che su di essa grava di trasferire le risorse economiche necessarie. Nel caso, il procedimento legislativo regionale si e' rivelato necessariamente lungo: alle inadempienze dello Stato, si sono aggiunti sia la "necessita'" di tutti i passaggi consiliari (come insegna la Corte costituzionale, e a differenza del Governo, la Giunta regionale non puo' farsi delegare dal Consiglio l'esercizio della funzione legislativa), sia il vincolo a precise norme della Statuto (art. 55), che impongono la consultazione degli enti locali destinatari delle deleghe. Nelle more del procedimento regionale, il Governo ha inteso sostituirsi alla regione, attuando - con il d.lgs. 30 marzo 1999, n. 96 - la delega conferita dall'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997; per il vero, al 30 marzo 1999 la delega era abbondantemente scaduta, ma il Governo aveva ben provveduto a far prorogare a se' stesso il termine, con 1'art. 9, comma 7, legge 8 marzo 1999, n. 50. Con riferimento ad interi blocchi di materie (ma non a tutte quelle considerate dal precedente d.-lgs. n. 112/1998), il decreto n. 96 stabilisce quali funzioni "sono esercitate" (all'indicativo) dalla regione o dai minori enti locali, prevedendo - all'art. 49 - che "le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dal 1 luglio 1999". Ad avviso della regione del Veneto, il d.lgs. n. 96/1999 presenta vizi di incostituzionalita', per i seguenti motivi di D i r i t t o Il d.lgs. n. 96 del 1999 risulta affetto sia da vizi propri, sia da vizi che ad esso derivano dalla incostituzionalita' della legge di delega (dei quali, per ragioni di chiarezza espositiva, si trattera' sola dopo l'esame dei primi). 1. - Violazione del principio costituzionale di leale collaborazione tra Stato e regioni. Violazione dell'art. 76 della Costituzione per non essere stata sentita la regione Veneto "inadempiente". L'art. 4, comma 5, della legge n. 59 del 1997, prevede che il decreto delegato "in sostituzione" sia adottato dal Governo "sentite le regioni inadempienti". Nel caso, quindi, il dovere di instaurare il contraddittorio con le regioni, prima di "sanzionare" quelle che si reputano inadempienti, rappresenta il contenuto di un "1imite ulteriore" della legge delega, oltre che essere espressione del principio di leale collaborazione, che secondo la nota e costante giurisprudenza costituzionale deve informare i rapporti tra Stato e regioni (e per una applicazione "forte" del principio cooperativo, estesa al procedimento legislativo statale, si puo' richiamare la recentissima sent. n. 398/1998). Trattandosi di un elemento del procedimento di formazione del decreto delegato, alla regione Veneto doveva essere sottoposto, per l'espressione di un parere, almeno uno schema dell'atto che il Governo si accingeva ad adottare; inoltre, stante il carattere "sanzionatorio" della sostituzione, la regione doveva essere posta in grado di rappresentare le ragioni del "presunto" inadempimento. Nulla di tutto questo e' avvenuto, nonostante il preambolo del decreto affermi che sono state, "sentite le regioni inadempienti" (e si chiede sin d'ora che la Corte utilizzi i propri poteri istruttori per verificare in qual modo la regione sarebbe intervenuta). Cio' vale senz'altro per quanto riguarda il Veneto come tale: alla regione mai e' stato sottoposto un qualunque articolato governativo (che del resto non risulta approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri), ed essa mai e' stata messa in condizione di assumere una qualche deliberazione in ordine al procedimento di sostituzione avviato dalla Stato. Di certo non puo' essere considerato adempimento dell'obbligo di consultazione la lettera che il Ministro per gli Affari regionali ha inviato al Presidente della regione il pomeriggio del 24 marzo 1999 (e quindi solo due giorni prima della adozione del decreto, avvenuta il 26 marzo): essa si limita a comunicare l'intendimento del Governo di procedere alla sostituzione, senza sottoporre ad esame alcun testo, e senza chiedere alcun parere in ordine ad alcunche'. La consultazione della singola regione (supposta) inadempiente - e' poi appena il caso di ricordare - non potrebbe comunque essere sostituita da una qualche consultazione della conferenza Stato-regioni (alla quale, ad ogni modo, non e' stato sottoposto alcun testo): innanzitutto, perche' la legge n. 59 del 1997 e' chiara nel distinguere - richiedendo il parere ora dell'una ora delle altre - la conferenza permanente dalle singole regioni (v. ad esempio l'art. 6 e l'art. 8, comma 1, oltre che lo stesso art. 4, comma 5, che sta a fondamento del decreto impugnato); in secondo luogo, perche' il d.lgs. n. 281 del 1997 non prevede affatto che la conferenza sia chiamata a pronunciarsi nell'ambito del procedimento di sostituzione delle regioni "inadempienti"; da ultimo, perche' la necessita' di sentire la singola regione deriva proprio dalla natura dell'intervento sostitutivo, che non riguarda la generalita' degli enti autonomi, ma solamente quelli che si ritiene non abbiano attuato i trasferimenti previsti dalla legge. 2. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione, attraverso la violazione dei principi e criteri direttivi stabiliti dalla legge-delega; conseguente violazione degli artt. 3 e 119 della Costituzione. 2.1. - Codesta Corte costituzionale, con la recente sentenza n. 408 del 1998, ha stabilito che la legge delega n. 59 del 1997 ha fissato al Governo, in relazione ai decreti delegati in sostituzione, sufficienti principi e criteri direttivi: "essi sono quegli stessi che l'art. 4 indica al comma 2 per i conferimenti di funzioni operati in via normale e definitiva dalla legge regionale, o, fuori delle materie dell'art. 117, dai decreti legislativi delegati". Si tratta - e' vero - in taluni casi di principi e criteri cosi' indeterminati, che il disattenderli risulta quasi impossibile; tuttavia, in relazione ad alcuni di essi, la violazione operata dal d.lgs. n. 96 e' palese, in quanto il Governo ha operato assolutamente al di fuori delle tante possibilita' lasciate aperte dalla delega. Cio' e' da dirsi anzitutto per il "principio di differenziazione nell'allocazione delle funzioni, in considerazione delle diverse caratteristiche anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi": il principio e' fissato dalla lett. h) dell'art. 4, legge n. 59/1997, ed e' confermato dalle disposizioni recate dalla lett. a) per cui il conferimento deve essere operato tenendo conto delle "rispettive dimensioni territoriali" degli enti interessati, e dalla lett. g), a mente della quale va rispettato il "principio di adeguatezza, in relazione all'idoneita' organizzativa dell'amministrazione ricevente a garantire ... l'esercizio delle funzioni". Questo comprensivo "principio di differenziazione" - il cui valore centrale nell'impianto della legge n. 59 e' stata sottolineata dalla stessa Corte nella sent. n. 408/1998 - e' stato del tutto non osservato dal d.lgs. n. 96: gli enti locali sono trattati tutti allo stesso modo, sia all'interno della regione, sia tra regioni diverse; a tutte le amministrazioni regionali permangono in capo gli identici compiti. Che in tal modo si violassero principi della legge di delega era chiaro anche al Governo, il quale in varie sedi aveva dichiarato - attraverso l'on. Bassanini - che, nel caso in cui si fossero esercitati i poteri sostitutivi, sarebbero stati adottati decreti legislativi differenziati da regione a regione, sostanzialmente recependo le proposte di attuazione del d.lgs. n. 112/1998 elaborate dalle singole regioni. La soluzione e' stata invece radicalmente diversa, ed e' consistita, nell'adottare una disciplina uniforme, in qualche caso ricalcata da leggi regionali (e segnatamente dalla legge reg. Umbria 2 marzo 1999, n. 3, e dalla legge reg. Basilicata 8 marzo 1999, n. 7). L'uniforme trattamento che il d.lgs. riserva a tutti gli enti autonomi di diverso livello, oltre alla violazione dell'art. 76 della Costituzione, integra pure una violazione dell'art. 3 della Costituzione, in quanto non tiene conto della diversita' delle situazioni esistenti: basti riflettere sul fatto che le funzioni da esercitare unitariamente a livello regionale non possono essere le stesse in tutte le regioni interessate, assai diverse tra di loro per popolazione, distribuzione geografica di essa; dimensione degli enti locali e cosi' via. 2.2 - L'art. 4, comma 3, lett. i), 1egge n. 59/1997 fissa quale criterio direttivo "ll principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l'esercizio delle funzioni amministrative conferite": a ben vedere, il principio altro non e' che la traduzione dell'art. 119, primo e secondo comma della Costituzione, per il quale, come ha insegnato la giurisprudenza costituzionale, vi deve essere corrispondenza tra funzioni assegnate e concreta disponibilita' di mezzi materiali e finanziari. Il d.lgs. impugnato attribuisce alla regione funzioni e compiti, piu' o meno puntualmente indicati, e stabilisce, all'art. 49, che le disposizioni di esso "si applicano a decorrere dal 1 luglio 1999": se la decorrenza ha un senso, funzioni e compiti dovrebbero essere svolti, appunto, dal prossimo 1 luglio. Senonche', il decreto n. 96 non opera alcuna attribuzione di risorse - di alcun tipo - ne' alla regione ne' agli enti locali infraregionali; ne' queste risorse risultano comunque disponibili, in quanto a tutt'oggi mancano i provvedimenti dell'Esecutivo previsti dell'art. 7 della legge n. 59. Il Governo - che con il provvedimento impugnato pretende di sostituirsi alla regione "inadempiente", (... dopo aver chiesto ed ottenuto dalla propria maggioranza parlamentare una proroga del termine inizialmente previsto|) - e' esso inadempiente rispetto alla attribuzione delle risorse, la quale, come stabilisce la legge di delega, deve essere contestuale ai conferimenti, ed e' in ogni caso necessaria per l'effettivo esercizio delle funzioni. La violazione dell'art. 119 della Costituzione e dell'art. 76 della Costituzione, attraverso la violazione dell'art. 4, terzo comma, lettera i), legge n. 59, non potrebbe essere piu' macroscopica; ed essa riguarda - anche questo e' palese - il d.lgs. n. 96 nella sua interezza. 3. - Violazione degli articoli 76, 117 e 118 della Costituzione per mancanza del presupposto della sostituzione. Il d.lgs. n. 96 del 1999, di cui qui si contesta la legittimita', interviene sul presupposto dell'inadempimento da parte della regione del compito di adottare, nel termine di sei mesi dal decreto n. 112 del 1998, la legge regionale "di puntuale individuazione delle funzioni trasferite o delegate agli enti locali e di quelle mantenute in capo alla regione stessa". A parte la congruita' del termine assegnato, e' pero' da chiedersi se il dovere dell'attuazione sorga, per la regione, in presenza di un qualunque d.lgs. statale di "conferimento", ovvero soltanto - come qui sostiene la ricorrente - in presenza di un d.lgs. il quale, in conformita' alla legge di delega, ponga tutte le condizioni per essere tradotto nell'ordinamento regionale. Qui e' necessario ricordare ancora una volta che il d.lgs. n. 112 del 1998 subordina l'effettivita' dei conferimenti di funzioni al trasferimento delle risorse, da disporsi con provvedimenti amministrativi statali, che mancavano al momento della emanazione del decreto, e che continuano ancor oggi a mancare. Come si e' detto nella parte in fatto, secondo la regione del Veneto, cio' determina l'illegittimita' del decreto n. 112. Ma la mancanza delle risorse determina anche l'illegittimita' dell'intervento sostitutivo, in quanto la regione non era e non e' in condizione di poter adempiere l'obbligo ad essa imposto dalla legge. Come dispone espressamente 1'art. 4, comma 3, lett. i), legge n. 59/1997, la regione e' tenuta ad operare il conferimento di funzioni agli enti locali rispettando "il principio della copertura finanziaria e patrimoniale dei costi" relativi; in senso analogo - e correttamente, da questo punto di vista - il d.lgs. n. 112/1998 dispone non solo che ciascuna Regione determini quali funzioni trattenere a livello regionale, conferendo tutte le altre agli enti locali (art. 3, comma 1), ma anche che - con la stessa legge di cui al comma 1 (contestualmente, quindi, al conferimento delle funzioni) - si attribuiscano agli enti locali le risorse umane, finanziarie, organizzative e strumentali in misura tale da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti dall'esercizio delle funzioni e dei compiti trasferiti (comma 3); la contestualita' fra trasferimento di funzioni e attribuzione di risorse e' poi imposta alla regione del Veneto dall'art. 55, comma 1, del proprio Statuto. Tali principi - vincolanti per la regione - sono pero' di impossibile osservanza, in quanto lo Stato non ha a sua volta trasferito - e nemmeno addirittura indicato - le risorse necessarie. Questo rilievo incontrovertibile non e' sminuito dal fatto che anche la regione Veneto ha avviato il procedimento legislativo avente ad oggetto il "Conferimento di funzioni e compiti amministrativi alle autonomie locali in attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112" (v. il p.d.l. n. 462): il progetto di legge, infatti, non puo' non condizionare "il termine di decorrenza dell'esercizio da parte della regione e degli enti locali delle funzioni amministrative conferite" alla individuazione delle risorse finanziarie necessarie (art. 13, comma 1), la quale - a sua volta - sara' operata dalla regione unicamente dopo gli "effettivi trasferimenti di risorse operate ai sensi dell'art. 7, comma 1, della legge n. 59/1997 e dell'art. 7 del d.lgs. n. 112/1998" (art. 8, comma 1); ed e' solo dalla decorrenza dell'esercizio effettivo delle funzioni, che il progetto di legge prevede "l'abrogazione di ogni disposizione in contrasto", precedentemente regolante le materie interessate dai conferimenti (art. 13, comma 2; dello stesso progetto di legge, si vedano anche gli artt. 9 e 10). A ben vedere, dunque, nemmeno l'approvazione definitiva della legge regionale avrebbe potuto impedire il decreto sostitutivo, in quanto con essa non si ripartono tra regione ed enti locali funzioni attualmente esercitabili; cosi' come essa non riuscira' a sostituire le disposizioni "cedevoli" del decreto n. 96 qui impugnato, se esso e' da intendere come effettivo riparto di compiti. Ma tale esito paradossale altro non fa che confermare che la regione non e' in condizione di adempiere al dovere di conferimento cosi' come esso risulta strutturato dalla legge di delega n. 59/1997, in quanto lo Stato non ha provveduto - ne' con il decreto da attuare, ne' successivamente - agli adempimenti di propria competenza. Da cio', deriva allora che non si e' verificato il presupposto dell'inadempimento, al quale l'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997 subordina l'esercizio del potere sostitutivo: e di qui discende l'incostituzionalita', per violazione indiretta dell'art. 76 Cost., dell'intero d.lgs. n. 96/1999. Mancando il presupposto della sostituzione, del d.lgs. rimane la semplice invasione delle aree di competenza legislativa ed amministrativa, con conseguente violazione degli artt. 117 e 118 della Costituzione. 4. - Violazione del carattere politico-rappresentativo dell'autonomia della regione del Veneto, risultante dagli articoli 115, 117, 118, 121, 122, 123 della Costituzione. E' indubbio che le disposizioni costituzionali appena citate configurino la regione come ente datato di autonomia politica: nonostante i numerosi e penetranti limiti, derivanti sia dalla Costituzione, sia - sulla base di essa - da atti legislativi statali ordinari, la regione e' chiamata ad operare scelte politiche in ordine alla cura degli interessi dell'intera collettivita' locale, e di tali scelte essa risponde direttamente innanzi al proprio corpo elettorale. Tale posizione costituzionale e' lesa dal d.lgs. impugnato. Esso e' - come dicono titolo e fondamento - un provvedimento sostitutivo: lo Stato cura direttamente interessi attribuiti in via primaria alla regione, in quanto la stessa regione si e' rivelata incapace di curarli; inoltre, esso presuppone una valutazione "negativa" dell'operato della regione, la quale si e' dimostrata - appunto - "inadempiente". Non e' solo il carattere oggettivo dell'intervento ad essere sanzionatorio: sanzionatoria, e' stata anche, in concreto, la motivazione - che ha indotto il Governo ad agire. Nella relazione al decreto si legge che il Governo ha varie volte sollecitato le regioni a provvedere; che queste, "nonostante l'imminenza della scadenza del termine", "non hanno ancora ripartito, con legge, le competenze"; che "il Governo" pur potendo esercitare il potere sostitutivo gia' dalla scorso settembre, ha voluto attendere" (bonta' sua|) le arrancanti regioni; infine, che "l'intervento normativo del Governo si configura come necessario strumento di garanzia per l'effettivo concorso di tutte le autonomie locali alla riorganizzazione dell'amministrazione centrale e periferica". E' chiaro - dunque - che un intervento sostitutivo di cosi' ampia portata e' idoneo ad incidere sul rapporto di rappresentanza politica, inducendo nel corpo elettorale veneta la convinzione dell'inadempimento della regione. Senonche', come si e' sopra argomentato, la regione si e' trovata nell'impossibilita' di operare conferimenti effettivi; ma allora, la mancanza del presupposto giustificativo della sostituzione si traduce - oltre che nella violazione dell'art. 76 della Costituzione - nella lesione dell'autonomia politico-rappresentativa della regione. Tale lesione, poi, sarebbe ancora piu' macroscopica se si dovesse ritenere che il d.lgs. impugnato non opera alcuna attribuzione concreta di compiti e funzioni, proprio perche' essi sono subordinati all'effettiva operativita' del decreto n. 112 del 1998, a sua volta condizionata dagli atti amministrativi statali di individuazione ed attribuzione delle risorse: in tal caso, quale altro significato avrebbe il decreto n. 96, se non quello di imputare alla regione - di fronte agli enti locali ed al corpo elettorale - la responsabilita' politica della mancata realizzazione del processo di decentramento amministrativo? 5. - Violazione dell'art. 76 della Costituzione ad opera dell'art. 49 d.lgs. n. 96/1999. Si e' gia' ricordato che l'art. 49 del decreto stabilisce che le disposizioni da esso recate si applicano a decorrere dal 1 luglio 1999: cosi' disponendo, pero', il Governo ha ecceduto dai limiti della delega, in quanto non spetta ad un decreto delegato stabilire circa la propria entrata in vigore e circa la decorrenza dei propri effetti, in assenza di una specifica norma abilitante. A ritenere il contrario, si arriverebbe all'assurdo di consentire al Governo di eludere il termine previsto: se il Parlamento ha fissato (e deve costituzionalmente fissare) un termine per la delega, cio' che vuole e' che entro quel termine (o comunque subito dopo il tempo strettamente necessario per la pubblicazione e per la vacatio legis ex art. 73, comma 3, della Costituzione), la normativa delegata dispieghi i propri effetti. Certo il Parlamento puo' stabilire diversamente, come in effetti talora e' accaduto: ad esempio, nella legge 16 febbraio 1987, n. 81, di delega per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, si era fissato sia il termine per la adozione del d.lgs. (art. 8), sia il successivo termine massimo, entro il quale il Governo era delegato a stabilire la data di entrata in vigore del codice (art. 4). Ma appunto - al di fuori di tale delega specifica - il Governo non puo' procastinare gli effetti del decreto delegato. L'art. 49 e' dunque illegittimo; e l'illegittimita' - eludendo il termine costituzionalmente indicato per l'esercizio della delega - si estende al decreto n. 96 nella sua interezza. 6. - Violazione degli artt. 76, 117 e 118 della Costituzione, per illegittimita' della legge di delega. La regione ricorrente ritiene che altri motivi di illegittimita' del decreto n. 96 derivino dalla incostituzionalita' - da far valere qui in via incidentale - della specifica norma delegante, contenuta nell'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997. 6.1. - Va premesso che, secondo 1'art. 118, primo comma della Costituzione, alla regione spetta la titolarita' di tutte le funzioni amministrative relative alle materie sulle quali essa ha competenza legislativa; e' vero che tali funzioni sono "normalmente" esercitate attraverso la delega ai minori enti locali (art. 118, terzo comma), ma in ordine alla scelta sul modo di esercizio delle funzioni non puo' non spettare alla regione un ampio potere discrezionale. Cio' deriva dal fatto che lo stesso art. 118 prevede la delega - appunto - come norma, lasciando aperta la possibilita' ad altre soluzioni; dalla circostanza che numerose disposizioni costituzionali lasciano supporre l'esistenza di consistenti apparati organizzativi regionali (v. ad es. gli artt. 117, primo alinea, e 129, primo e secondo comma, oltre che la VIII disp. trans.); dal rilievo che l'individuazione del livello ottimale dell'esercizio delle funzioni implica la ponderazione politica di fattori diversi (dal territorio alla dimensione degli enti riceventi, dalla distribuzione del personale al grado di uniformita'-eguaglianza che si vuole garantire...). Ora, in presenza di funzioni che spettano sicuramente alla regione (qui infatti non vengono in rilievo funzioni che piu' o meno legittimamente lo Stato si sia riservato), non puo' costituzionalmente ammettersi una possibilita' di sostituzione statale nella individuazione del modo di esercizio - diretto o attraverso delega - dei singoli compiti amministrativi. Il potere di sostituzione non puo' essere fondato sulla sola previsione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione, sia per il carattere elastico e politico della scelta che esso presuppone (come si e' sopra detto), sia per il fatto che - a ritenere in contrario - dovrebbe consentirsi sempre e comunque che lo Stato si possa sostituire a qualunque compito regionale, di qualsiasi natura, indipendentemente dalla ricorrenza di specifici, puntuali, dimostrati titoli giustificativi risultanti dalla Costituzione. Ammettere un tale potere di sostituzione significherebbe ledere la posizione di autonomia politica della regione, ed il carattere rappresentativo di essa: che senso avrebbe la norma per la quale i consiglieri regionali non rispondono - se non al momento delle elezioni - dei voti dati e delle opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni (e quindi anche delle omissioni che ne derivano)? Qua1e significato si dovrebbe attribuire all'art. 126 della Costituzione - ed alle relative garanzie procedimentali - se gli "atti contrari alla Costituzione" o le "gravi violazioni di legge" (ammesso, naturalmente, che di cio' si tratti|) consentissero sempre e comunque la sostituzione statale nello svolgimento del singolo compito? A quanto detto non puo' utilmente obiettarsi che l'art. 118, primo comma, della Costituzione consente allo Stato di attribuire direttamente funzioni "regionali", alle province, ai comuni o ad altri enti locali. Dalla stessa disposizione costituzionale deriva che tale potere e' limitato alle funzioni "di interesse esclusivamente locale"; ed allora, si potrebbe consentire (come ha rilevato la Corte nella recente sentenza n. 408 del 1998) che lo Stato, dopo avere in prima battuta affidato alla regione il compito di individuare tali funzioni esclusivamente locali, si "sostituisca" a quella regione che non vi abbia provveduto: ma tale sostituzione dovrebbe essere appunto limitata, per rispettare la norma costituzionale, a quelle ben circoscritte funzioni. La disposizione di delega (l'art. 4, comma 5, della legge n. 59/1997 che il Governo ha inteso attuare con il decreto impugnato, consente invece la sostituzione alla Regione nel compito di individuare le funzioni che "richiedono l'unitario esercizio a livello regionale", per attribuire tutte le rimanenti agli altri enti locali: ma e' chiaro che le funzioni di interesse esclusivamente locale non sono tutte quelle che non richiedono di per se' stesse l'unitario esercizio a livello regionale, e che tra i due insiemi ve ne e' un terzo, riempito di funzioni sicuramente "regionali". L'art. 4, comma 5, legge n. 59/1997 e' dunque, ad avviso della ricorrente, costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost., nella parte in cui consente la sostituzione della Regione nella individuazione e nel conferimento agli enti locali di funzioni diverse da quelle di interesse esclusivamente locale"; e da cio' deriva la illegittimita' del decreto delegato qui impugnato. E' appena da aggiungere che l'illegittimita' non deriva dal fatto che il Governo ha conferito questa o quella singola funzione alle province o ai comuni: non e' una questione di quantita'; l'illegittimita' deriva dal fatto che il Governo si e' sostituito alla Regione nel compito politico di - individuare tolte le funzioni di interesse esclusivamente locale - quali altre funzioni dovessero per loro natura essere esercitate a livello regionale, e quali altre invece andassero svolte per mezzo di delega. L'illegittimita' riguarda dunque tutte le disposizioni del d.lgs. che toccano materie regionali ai sensi dell'art. 117 della Costituzione (con esclusione degli artt. 4 e 10), e non puo' essere negata, per quanto si e' detto e si dira', in considerazione della (presunta) cedevolezza delle disposizioni adottate in via sostitutiva. 7. - Sull'esistenza dell' interesse regionale all'impugnazione. Le norme recate dal decreto impugnato vogliono avere un carattere cedevole, applicandosi "fino alla data di entrata in vigore di ciascuna legge regionale" di recepimento del d.lgs. n. 112/1998 (art. 1). In vista di cio', potrebbe sorgere il dubbio che la Regione del Veneto non abbia interesse ad impugnare il decreto, potendo disporre sin d'ora una diversa allocazione delle funzioni. L'insieme delle considerazioni che precedono dimostra pero' che cosi' non e'. Innanzitutto, il decreto n. 96 presuppone una omissione in realta' insussistente; ed e' attualmente idoneo ad incidere - come gia' ha inciso - sull'autonomia politico-rappresentativa della Regione. In secondo luogo, la cedevolezza delle disposizioni e' solo apparente: se il decreto ha, come dovrebbe avere, un contenuto normativo (di attribuzione di funzioni), il contenuto e' illegittimo, per i motivi che si sono esposti, e la Regione non e' in condizione di rimuoverlo, ne' prima ne' dopo il l luglio 1999, perche' la riallocazione reale ed efficace delle funzioni presuppone una disponibilita' di risorse che a tutt'oggi - ed illegittimamente - manca. Ma cedevole il decreto non e', nemmeno se esso si considerasse non attributivo di funzioni e compiti, ne' da ora, ne' dal 1 luglio (come si sussurra in ambienti governativi: insomma, ... si tratterebbe di uno scherzo): non sarebbe cedevole, perche' definitivo sarebbe l'effetto gia' raggiunto, di avere "sanzionato" un illegittimo comportamento omissivo della Regione.