IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n.  98/1999  r.g.,
 proposto  dal  dott. Verga Gianfranco, titolare dell'omonima farmacia
 con sede in Palermo, via Eugenio l'Emiro n.  34/36,  rappresentato  e
 difeso  dall'avv.  Alessandro  Siagura,  presso  il  cui  studio,  in
 Palermo, via Liberta' n. 108/B, e' elettivamente domiciliato;
   Contro l'Azienda Unita'  sanitaria  locale  n.  6  di  Palermo,  in
 persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore,  per  stabilire  i
 criteri in base ai quali l'Azienda U.S.L. in persona del  suo  legale
 rappresentante  pro-tempore,  deve proporre in favore del dott. Verga
 Gianfranco  il  pagamento  della  somma  di  L.  354.780.801  per  le
 prestazioni  professionali  da  lui  eseguite  in favore del Servizio
 sanitario nazionale, dovuti per i mesi di luglio-novembre 1998, oltre
 agli ulteriori interessi nella misura dell'8,25%, pari al tasso degli
 interessi passivi  pagati  dalla  farmacia  ricorrente  al  Banco  di
 Sicilia, a causa del ritardo del pagamento delle predette, a far data
 delle singole costituzioni in mora.
   Visto il ricorso con i relativi allegati;
   Visti gli atti tutti della causa;
   Designato relatore il referendario dott. Giovanni Iannini;
   Udito  alla Camera di consiglio del 9 marzo 1999, l'avv. Alessandro
 Siagura per il ricorrente;
   Ritenuto in fatto e considerato in diritto;
                               F a t t o
   Con  ricorso notificato il 30 dicembre il dr. Verga Giovanni espone
 di essere titolare di farmacia sita in Palermo e di aver  provveduto,
 in  forza  dell'accordo nazionale stipulato con il Servizio sanitario
 nazionale per  la  disciplia  dei  rapporti  relativi  all'assistenza
 farmceutica,  ad  effettuare  secondo  la  normativa  in  vigore,  la
 fornitura delle prestazioni relativamente ai mesi di luglio,  agosto,
 settembre,  ottobre  e  novembre  1998;  come  risulta dalle distinte
 contabili riepilogative, per complessive L. 354.780.801.
   A norma dell'art. 9 del predetto accordo,  precisa  il  ricorrente,
 ogni  farmacia  consegna  le  ricetta  all'ufficio indicato dall'Ente
 erogatore,  con  cadenza  mensile,  entro  il  giorno  14  del   mese
 successivo  al  mese di spedizione. L'Ente erogatore deve provvedere,
 entro il 25 di ciascun mese, al pagamento alle farmacie  dell'importo
 a saldo delle ricette spedite il mese precedente..
   L'Azienda  U.S.L.  n.  6  di Palermo non ha provveduto al pagamento
 dell'importo dovuto in relazione ai periodi sopra specificati, pari a
 complessive L. 354.780.801. Le somme dovute sono, non  solo  certe  e
 liquidi, ma anche esigibili.
   L'omesso  pagamento  di  quanto dovuto, soggiunge il ricorrente, e'
 inoltre produttivo delle conseguenze di cui agli artt. 1218  e  1219,
 giacche'  l'amministrazione debitrice e' stata ritualmente costituita
 in mora. La stessa e'  inoltre  responsabile  dell'ulteriore  maggior
 danno ex art. 1224 c.c.
   Al riguardo lo stesso sottolinea che l'Azienda deve essere ritenuta
 responsabile  del  ritardo  e condannata al pagamento degli interessi
 nella misura dell'8,25%, pari al tasso degli interessi passivi pagati
 al Banco di Sicilia, come dagli estratti conto.
   Il ricorrente quindi, premesso che, nella fattispecie, si verte  in
 tema di giurisdizione esclusiva ai sensi dell'art. 33, comma 21 lett.
 b) ed f) d.lgs. n. 80/1998, rileva che il secondo comma dell'art.  35
 di   tale  decreto  legislativo  prevede  uno  speciale  procedimento
 attraverso il quale il giudice amministrativo stabilisce i criteri in
 base ai quali la  p.a.  deve  proporre  il  pagamento  nei  confronti
 dell'avente  titolo,  spirato  il quale, col ricorso ex art. 27 n. 4,
 r.d. 1054/24, puo' essere richiesta dal creditore  la  determinazione
 della somma dovuta.
   Parte  ricorrente  chiede, quindi, che sia accolto il ricorso e che
 siano stabiliti i criteri in base ai quali la Azienda U.S.L. n. 6, in
 persona del suo legale rappresentante pro-tempore  deve  proporre  in
 favore  del  dr.  Verga  Gianfranco  il  pagamento  della somma di L.
 354.780.801 per le  prestazioni  professionali  da  lui  eseguite  in
 favore   del   Servizio   sanitario  nazionale,  dovuti  per  i  mesi
 luglio-novembre 1998, oltre agli  ulteriori  interessi  nella  misura
 dell'8,25%,  pari  al  tasso  degli  interessi  passivi  pagati dalla
 farmacia ricorrente al Banco di Sicilia,  a  causa  del  ritardo  del
 pagamento  delle  predette,  a far data dalle singole costituzioni in
 mora, entro il termine di giorni  venti  o  entro  quello  che  sara'
 ritenuto congruo.
   Alla  camera  di consiglio del 9 marzo 1999 la causa e' stata posta
 in decisione.
                             D i r i t t o
   1.  -  Va  preliminarmente  ritenuta  la  giurisdizione  di  questo
 tribunale  nel giudizio promosso col ricorso in esame. Ed invero, con
 l'art.   11 comma 4, della legge  15  marzo  1997,  n.  59  e'  stata
 conferita  delega  al  Governo per emanare, entro il 31 gennaio 1999,
 uno o piu' decreti legislativi diretti tra  l'altro  a  "l'estensione
 della  giurisdizione  del  giudice  amministrativo  alle controversie
 aventi ad oggetto diritti patrimoniali conseguenziali,  ivi  comprese
 quelle  relative  al  risarcimento  del  danno  in  materia edilizia,
 urbanistica e di servizi  pubblici,  prevedendo  altresi'  un  regime
 processuale   transitorio   per  i  procedimenti  pendenti  ...".  In
 attuazione di tale delega e' stato emanato il d.lgs.  31 marzo  1998,
 n.  80 (recante "Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di
 rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di  giurisdizione
 nelle  controversie  di lavoro e di giurisdizione amministrativa.."),
 il cui art. 33 tra l'altro, dispone che:
     1)  sono  devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del   giudice
 amministrativo  tutte le controversie in materia di pubblici servizi,
 ivi compresi  quelli  afferenti  al  credito,  alla  vigilanza  sulle
 assicurazioni,  al  mercato  mobiliare,  al servizio farmaceutico, ai
 trasporti, alle telecomunicazioni e ai servizi di cui alla  legge  14
 novembre 1995,
  n.    481   (ossia   per   l'energia   elettrica   il   gas   e   le
 telecomunicazioni.).
     2) tali controversie sono, in particolare, quelle:... b)  tra  le
 amministrazioni pubbliche e i gestori comunque denominati di pubblici
 servizi;...    f)  riguardanti  le attivita' e le prestazioni di ogni
 genere,  anche  di  natura  patrimoniale  rese  nell'espletamento  di
 pubblici  servizi,  ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio
 sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con  esclusione  dei
 rapporti   individuali   di   utenza   con  soggetti  privati,  delle
 controversie meramente risarcitorie  che  riguardano  il  danno  alla
 persona e delle controversie in materia di invalidita'.
    Nella  specie  trattasi  di  controversia patrimoniale inerente ad
 attivita' di farmacista convenzionata svolta dall'odierno  ricorrente
 nei mesi di luglio, agosto, settembre, ottobre e novembre 1998 (ossia
 in  epoca successiva all'entrata in vigore del d.lgs. sopra citato in
 favore della Azienda  U.S.L.  n.  6  di  Palermo;  controversia  che,
 all'evidenza, rientra nella previsione normativa surrichiamata e che,
 allo  stato,  appare  pienamente  suffragata  dai documenti contabili
 depositati in atti dallo stesso ricorrente  (le  "distinte  contabili
 riepilogative mensili" di cui in narrativa).
   2.  - Il ricorso del dr. Verga risulta essere diretto a stabilire i
 criteri in base ai quali l'Azienda U.S.L.,  n.  6  deve  proporre  il
 pagamento   della   somma  di  L.  354.780.801,  per  le  prestazioni
 professionali eseguite in favore del  Servizio  sanitario  nazionale,
 nel  periodo  sopra specificato, oltre agli ulteriori interessi nella
 misura dell'8,25%, a far data dalle singole costituzioni in mora sino
 alla data dell'effettivo pagamento, entro il termine di venti  giorni
 ovvero entro quello che tribunale riterra' congruo.
   Come risulta in modo esplicito dal ricorso si e' inteso in tal modo
 avvalersi  dello speciale procedimento previsto dal comma 2 dell'art.
 35 del decreto legislativo n. 80 del 1998,  attraverso  il  quale  il
 giudice  amministrativo stabilisce i criteri in base ai quali la p.a.
 deve proporre il pagamento nei confronti dell'avente  titolo  di  una
 somma  entro  un  congruo termine, decorso il quale il creditore puo'
 chiedere la determinazione della somma dovuta,  mediante  il  ricorso
 previsto dall'art. 27 n. 4 del r.d. 1054/24.
   Il  riferimento  al  secondo  comma  dell'art. 35 e', a giudizio di
 questo  tribunale,  inappropriato,  giacche'  il   procedimento   ivi
 contemplato, come si desume agevolmente anche dal riferimento ai casi
 di  cui  al  primo  comma, puo' essere attivato solo nei casi in cui,
 nelle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del  giudice
 amministrativo  ai  sensi  dei precedenti artt. 33 e 34, si tratti di
 disporre il risarcimento del danno ingiusto.
   Nel caso di specie, invece, si tende ad ottenere  il  pagamento  di
 una somma capitale, maggiorata degli interessi nella misura indicata.
   Cio'  posto,  non si puo' prescindere pero' dalla constatazione che
 il ricorrente chiede  che,  in  accoglimento  del  ricorso,  inaudita
 altera parte, ovvero convocate le parti in camera di consiglio, siano
 stabiliti  i criteri in base ai quali l'amministrazione deve proporre
 il pagamento della somma sopra indicata.
   Orbene, nonostante si chieda  la  determinazione  di  criteri,  non
 sembra  dubbio che, volendosi ottenere dall'amministrazione una somma
 ben determinata a titolo  di  capitale,  la  domanda  del  ricorrente
 risulti,   nella  sostanza,  diretta  ad  ottenere  un  provvedimento
 giurisdizionale che disponga il  pagamento  della  somma  stessa,  da
 emettersi  o  inaudita  altera  parte,  e  quindi  secondo uno schema
 corrispondente,  nella  sostanza  e  nella  forma,  al   procedimento
 monitorio  e  sommario previsto nell'ambito del rito civile, ovvero a
 seguito di convocazione  delle  parti  in  Camera  di  consiglio,  in
 aderenza  alle regole procedurali della tutela cautelare nel giudizio
 innanzi al giudice amministrativo.
   Cio' posto, la  questione  pregiudiziale  che  si  pone  e'  quella
 dell'ammissibilita' dell'istanza formulata dal ricorrente, secondo la
 lettura  che  ne  fa  il tribunale, in base all'analisi del contenuto
 della domanda.
    E' da ritenere che, sebbene le norme  del  processo  civile  siano
 dotate  di una particolare vis espansiva tale da renderle applicabili
 analogicamente in tutti i casi in cui manchi una  regola  processuale
 ben  definita,  esse  incontrano inevitabilmente il limite costituito
 dalla struttura propria del processo amministrativo, entro  il  quale
 non  puo' operarsi la trasposizione, di peso, del sistema processuale
 civilistico,  per  ragioni  di  ordine  dogmaticosistematico  e  (non
 ultime)  per ragioni pratiche ed organizzative, che non consentono al
 giudice amministrativo, come oggi strutturato, di operare (nel  campo
 delle  nuove  materie affidate alla sua giurisdizione esclusiva) allo
 stesso modo di quanto in precedenza operato dal giudice ordinario.
    D'altronde, la non immediata applicabilita' delle norme del codice
 di rito risulta evidente dallo stesso  d.lgs.  n.  80/1998  che,  pur
 nella  rilevante  novella  costituita  dall'attribuzione  al  giudice
 amministrativo  di  nuova  giurisdizione  esclusiva  per  blocchi  di
 materie  (che  coprono  l'area intera dei pubblici servizi), richiama
 espressamente, all'art.  35, le norme del codice  di  rito  solo  per
 cio'  che  concerne  i mezzi istruttori, demandando, per il resto, ad
 opportune future modifiche del regio decreto  n.  642  del  1907  gli
 eventuali  adattamenti  suggeriti  dalla  "specificita'  del processo
 amministrativo  in   relazione   alle   esigenze   di   celerita'   e
 concentrazione del giudizio".
   Per   cogliere  la  complessita'  e  la  delicatezza  dei  problemi
 dogmatici  ed  organizzativi  suddetti,  basta  solo  considerare  la
 difficolta'  pratica  e  concettuale di definire la natura (sommaria,
 cautelare, monitoria) di provvedimenti adottati  da  altri  tribunali
 amministrativi,  quale  l'ordinanza  n. 3444 del 10 dicembre 1998 del
 t.a.r. Lazio  emessa  in  fattispecie  sostanzialmente  analoga  alla
 presente,  sulla  base  del  richiamo  tanto  all'art. 33 del decreto
 legislativo n. 80/1998 quanto all'art. 186-ter  c.p.c.  ed  il  porsi
 dell'ordinanza  stessa con riguardo alla formazione del giudicato (ed
 alla  definizione  o  meno  del  giudizio)  ed   al   sistema   delle
 impugnazioni (opposizione, reclamo, appello); un'ordinanza che appare
 come un vero e proprio ibrido tra l'ordinanza-ingiunzione in corso di
 causa  ex  art.  186-ter  c.p.c.,  il  decreto ingiuntivo ex art. 633
 c.p.c., il provvedimento cautelare innominato ex 669-sexies c.p.c.  e
 forse  anche  il  provvedimento  urgente  ex  art.  700 c.p.c.. Ed e'
 proprio  un  tale  ibrido  processuale  che   sostanzialmente   viene
 richiesto col ricorso oggi in esame.
   3.  -  Ne' puo' ritenersi che, per effetto stesso dell'attribuzione
 della  giurisdizione  al  giudice  amministrativo  nelle  materie  in
 argomento,   il   sistema   processo  civile  sia  stato  interamente
 richiamato implicitamente nell'ambito  del  processo  amministrativo.
 Tale  tesi,  infatti,  appare  a  questo collegio come una innaturale
 forzatura dei dati normativi sopra richiamati, nei quali il  richiamo
 agli  strumenti  processuali  del  codice di rito e' operato solo con
 riguardo  ai  mezzi  di  prova,  segno  questo  della  volonta'   del
 legislatore  delegato  di  operare  un  richiamo  normativo  de tutto
 limitato.  L'ipotesi  inversa,  ossia  quella  di  un   implicito   e
 generalizzato  richiamo  da parte del legislatore delegato alle norme
 processualcivilistiche,  si  rivela,   inoltre,   intrinsecamente   e
 tecnicamente   insufficiente   e   sperequata,  posto  che  una  tale
 innovazione  processuale  (implicante  anche  -  come  gia'  detto  -
 rilevantissimi     aspetti     riorganizzativi     della    giustizia
 amministrativa) avrebbe dovuto essere disposta expressis verbis e non
 semplicemente "presumersi", o  ricavarsi  da  una  implicita,  quanto
 incerta, voluntas legis.
   Alla  stregua  di  tali  premesse,  pertanto,  l'esigenza di tutela
 immediata e sommaria di cui al ricorso in  esame,  non  puo'  trovare
 accoglimento.
    4. - Peraltro, proprio la chiesta adozione di un provvedimento non
 meramente  cautelare,  ma anche di cognizione sommaria del diritto di
 credito pecuniario fatto valere,  impedisce  al  collegio  di  potere
 satisfattivamente  applicare  alla fattispecie il principio enunciato
 dalla Corte costituzionale, con sentenza  25  giugno  1985,  n.  190,
 secondo   cui   il   giudice   amministrativo,   nelle   controversie
 patrimoniali sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva  (allora  in
 materia  di  pubblico  impiego),  puo' adottare tutti i provvedimenti
 urgenti che appaiano piu' idonei ad assicurare  provvisoriamente  gli
 effetti  della decisione sul merito, tutte le volte che il ricorrente
 deduca un pregiudizio imminente e irreparabile.
   Difatti,  nell'ambito  del  processo,  di  qualunque  processo,  la
 "tutela  cautelare"  e la "cognizione sommaria" del diritto sono cose
 assolutamente diverse, sicche' l'astratta applicabilita' al  caso  di
 specie  di  una  misura  cautelare  atipica,  ai  sensi del principio
 costituzionale  sopra   ricordato,   non   puo'   dirsi   interamente
 satisfattiva  della  domanda proposta in ricorso; domanda che ricalca
 l'impostazione data al problema  dal  t.a.r.  Lazio  con  l'ordinanza
 sopra  ricordata  e  che nel richiamare espressamente gli istituti di
 cui  agli  artt.  669-sexies  e  700  del  c.p.c. intende chiaramente
 alludere ai procedimenti sommari di cui al libro IV,  titolo  I,  del
 c.p.c.
   5.  -  Nemmeno  puo'  pervenirsi  all'affermazione  di  un parziale
 difetto di giurisdizione del giudice  amministrativo,  nel  senso  di
 ritenere  che  per  le  materie  di  cui  all'art.  33,  le questioni
 risolvibili con  "cognizione  sommaria"  o  "cautelare"  (decreti  ed
 ordinanze  ingiuntive,  ordinanze cautelari ed urgenti) siano rimaste
 devolute alla giurisdizione del giudice  ordinario,  in  quanto  cio'
 implicherebbe   una   sostanziale   riduzione   della  portata  della
 legge-delega, che, viceversa, ha chiaramente sancito  e  previsto  la
 piena  attribuzione  al  giudice  amministrativo  della giurisdizione
 esclusiva nell'amplissima e variegata materia dei "servizi pubblici".
   Ne segue che, allo stato, le  controversie  a  cognizione  sommaria
 sopra  indicate  sfuggono alla giurisdizione di qualunque giudice:  a
 quella del  giudice  ordinario  in  forza  delle  norme  deleganti  e
 delegate prima citate; a quella del giudice amministrativo in difetto
 della  puntuale  indicazione  normativa  degli  strumenti processuali
 all'uopo necessari (e di quel minimo di  necessaria  ristrutturazione
 interna del relativo apparato).
   6.   -   Non   va  trascurato,  peraltro,  che  questo  t.a.r.  con
 recentissimo  decreto  presidenziale  n.   113/1999   ha   dichiarato
 l'improcedibilita'-inammissibilita'    del    ricorso   per   decreto
 ingiuntivo, proposto da un farmacista convenzionato col S.S.N. per la
 corresponsione  di  somme  dovute  a  fornitura  di  medicinali,  nel
 presupposto che:
     "il procedimento speciale di cui al libro quarto del c.p.c. ed in
 particolare  a  quello  di ingiunzione di cui ai ripetuti artt. 633 e
 segg., non e' adattabile al processo amministrativo nel  quale  manca
 istituzionalmente la figura e le funzioni del giudice monocratico";
     "non  e'  peraltro  possibile ritenere trasponibile agli istituti
 del processo amministrativo il ricorso  di  cui  trattasi  attesa  la
 particolare natura formale e sostanziale dello stesso";
     "la   parte   ricorrente  non  ha  consumato  i  suoi  poteri  di
 impugnativa potendo svolgerli ex art. 33 d.lgs. 31 marzo 1988, n.  80
 secondo i normali strumenti del vigente processo amministrativo".
   7.  -  La superiore conclusione, tuttavia, che all'evidenza postula
 la necessita' per il creditore di  attivare  un  processo  cognitorio
 ordinario sostanzialmente inutile rispetto al procedimento monitorio,
 induce  il  collegio  a sollevare d'ufficio questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 33 del d.lgs.n. 80/1998, nella parte in  cui
 non  rende espressamente applicabili al giudizio amministrativo tutti
 gli strumenti processuali previsti al codice  di  rito  con  riguardo
 alle  controversie  rientranti nei blocchi di materie innovativamente
 attribuite alla giurisdizione esclusiva del  giudice  amministrativo,
 atteso  che,  alla  stregua  della  legge  di  delega, la tutela oggi
 erogabile dal detto giudice non puo' e non deve  essere  inferiore  a
 quella  che  in  precedenza  gli stessi soggetti potevano chiedere ed
 ottenere dal giudice ordinario (ed e' un dato  di  comune  esperienza
 che,  nel  settore  delle  farmacie  convenzionate  col S.S.N., vi e'
 stato, fino ad oggi, un uso  amplissimo  dell'agile  e  ben  definito
 procedimento  sommario  di  tipo  monitorio  finalizzato  proprio  ad
 evitare quell'ordinario processo cognitorio  di  cui  alla  decisione
 presidenziale sopra citata).
   Opinare  diversamente  significherebbe  ammettere  che  il semplice
 spostamento della giurisdizione, a seguito dell'art. 33  cit.,  abbia
 determinato, in palese violazione dei limiti della legge delega e dei
 precetti  di  logica  e  razionalita',  (che  debbono presiedere alle
 scelte  del  legislatore),  anche  una  sostanziale  riduzione  della
 consistenza stessa dei diritti soggettivi rientranti nelle materie di
 nuova  giurisdizione  esclusiva,  quanto  meno  con  riferimento alle
 possibili azioni sommarie (e non meramente  cautelari)  esperibili  a
 tutela degli stessi.
   Come insegna la migliore dottrina, i procedimenti sommari delineati
 dal  titolo  I  del  libro  IV  del  codice  di  rito (tra cui quello
 monitorio ex art. 633 c.p.c., quello cautelare  ed  urgente  ex  art.
 669-sexies,  art.  700  c.p.c.)  sono  il  riflesso  processuale  del
 contenuto sostanziale  dei  diritti  soggettivi  di  volta  in  volta
 azionati,  segnando  la  gamma  di tutte le possibili forme di tutela
 degli  stessi.  In  particolare,  tali  procedimenti,  e  le   azioni
 correlate,  connotano  il  diritto  soggettivo  di credito liquido ed
 esigibile di somme di  denaro  (basato  su  prova  scritta)  come  un
 diritto  tutelabile  senza  una  vera  fase  processuale "cognitoria"
 (ossia senza la formale postulazione di un giudizio), e  non  possono
 essere  menomate  (ne'  in  tutto,  ne'  in  parte)  da  un  semplice
 spostamento della giurisdizione. I procedimenti sommari,  in  genere,
 altro  non  sono  che  il riflesso processuale di talune peculiarita'
 sostanziali dei connessi diritti e cio'  avrebbe  richiesto,  secondo
 evidenti  parametri  costituzionali  di razionalita' e buon andamento
 dell'Amministrazione  lato  sensu  giudiziaria,  che  il  legislatore
 delegato  se  ne  facesse  carico dettando nell'art. 33 del d.lgs. n.
 80/1998, o una norma espressa di richiamo degli strumenti processuali
 civilistici, ovvero una compiuta e chiara discipljna dei procedimenti
 sommari, urgenti  e/o  cautelari,  sia  di  ordine  sistematico,  che
 pratico.
   Si  consideri  l'istanza  di  decreto ingiuntivo ex art. 633 (ed in
 parte anche quella di ordinanza ingiuntiva ex art. 186-ter): come  e'
 noto  si  tratta  di  procedimento  in  cui  si  e'  di  fronte  alla
 rivendicazione di un diritto  (credito  di  somme  di  denaro)  senza
 giudizio.  L'ordinamento  riconosce  al  creditore  un'azione  che ha
 caratteristiche sue proprie, che  non  si  basa  su  prove  in  senso
 proprio,  richiede  solo  l'esistenza  di  certe condizioni (somme di
 denaro  liquide  ed  esigibili),  si   connota   per   l'attenuazione
 dell'esigenza  del  contraddittorio.  Il  giudizio  di cognizione sul
 diritto fatto  valere  in  via  monitoria  o  sommaria  e'  meramente
 eventuale  ed  e'  affidato  all'iniziativa  del  debitore attraverso
 l'opposizione. L'azione sommaria, in tali  casi,  deve  competere  al
 creditore  in  forza  delle  caratteristiche proprie del suo diritto,
 quale che sia il giudice chiamato a decidere.
   Orbene, ipotizzare che una  tale  azione  (riflesso  del  contenuto
 sostanziale  del  diritto  di  credito liquido esigibile e fondato su
 prova scritta) possa, oggi, ritenersi priva di giudice legittimato  a
 (sommariamente) conoscerla solo per effetto della nuova giurisdizione
 disegnata  dall'art. 33 d.lgs. n. 80/1998, appare come apertamente in
 contrasto, non solo con lo  spirito  e  la  lettera  della  legge  di
 delega,  ma anche con quei principi di logica e di imparzialita' alla
 cui violazione la Corte costituzionale ha sempre saputo  riconnettere
 la figura dell'eccesso di potere legislativo.
   8.  -  La  verita'  e' che, ammettendo, come sembra necessario fare
 alla stregua del decreto presidenziale n. 113/1999 sopra citato,  una
 riduzione  dei  mezzi di tutela da parte del legislatore delegato, si
 incappa, inevitabilmente, nella violazione dei limiti della delega  e
 nella  irragionevole  quanto  ingiustificata riduzione delle garanzie
 apprestate ai cittadini nei settori di  giurisdizione  esclusiva  cui
 all'art. 33.
   Al  giudice  amministrativo  si  attribuisce  -  si - giurisdizione
 esclusiva in certe materie, ma questa sfera di  tutela,  allo  stato,
 non   e'  (perche'?)    la  medesima,  sotto  il  profilo  dei  mezzi
 processuali (che poi fanno la sostanza stessa del diritto), di quella
 che  era  riconosciuta  in  precedenza.  E  tale  reductio   non   e'
 giustificata  da  ragioni riorganizzative degli apparati giudicanti o
 dei  servizi  ad  essi  connessi  (il  che,  forse,  avrebbe   potuto
 consentire  di  parlare  dell'esercizio  di un'ampia discrezionalita'
 legislativa  costituzionalmente  insindacabile),  ma   e'   solo   ed
 esclusivamente   l'automatica  conseguenza  dello  spostamento  della
 giurisdizione.
   Tanto che si potrebbe dire, con una iperbole,  che  il  diritto  di
 azione,  nelle materie indicate dall'art. 33, ha subito - per effetto
 di tale articolo - una significante riduzione,  non  in  correlazione
 alla  legittimazione  al  giudizio,  ossia  all'ampiezza  del  potere
 cognitorio attribuito al nuovo organo giudicante  (che  e'  piena  ed
 incondizionata,  sia  nella  legge delega che in quella delegata), ma
 (irrazionalmente)  all'aspetto  puramente   "topico"   dell'aula   di
 giustizia  entro  cui  il  medesimo  diritto viene oggi fatto valere:
 quella del giudice amministrativo, anziche' quella  dell'A.G.O.
   In tal modo, risulta perpetrata anche la violazione dell'art.  3  e
 113  Cost.,  sia  perche' situazioni giuridiche identiche (il diritto
 soggettivo di credito  di  somme  di  denaro  liquide  ed  esigibili)
 vengono  ad  essere  tutelate, nel tempo, con strumenti di cognizione
 sommaria diversi in conseguenza del  diverso  giudice  legittimato  a
 conoscerle;  sia  perche'  non  viene assicurata, anche attraverso il
 processo amministrativo, quella effettivita' della "tutela  sommaria"
 connessa al diritto fatto valere dinanzi al nuovo giudice.
   9.  -Sotto  altro  profilo, non puo' non rilevarsi che la acclarata
 inaccoglibilita' delle  azioni  sommarie  formulate  col  ricorso  in
 esame,  rientrante in una delle materie di giurisdizione esclusiva ex
 art.  33, non solo implica una sostanziale  riduzione  dei  mezzi  di
 tutela  per  le  medesime materie, non solo finisce col proiettare la
 normazione delegata ben oltre il mero  spostamento  di  giurisdizione
 prefigurato  dalla  norma  delegante,  ma  significa anche privare il
 creditore  della  possibilita'  di  esperire   l'agile   procedimento
 "sommario"  del ricorso per decreto ingiuntivo (ossia la richiesta di
 una statuizione senza processo, salva l'opposizione ad iniziativa del
 debitore  ingiunto).    Ed  ognuno  ben  vede  come  sia  irrazionale
 costringere il cittadino a proporre azioni cognitorie quando esistono
 mezzi  di  tutela  rapidi ed efficienti gia' ampiamente praticati col
 giudice precedentemente legittimato.
   Ed una prova della palese irrazionalita' del sistema che comincia a
 delinearsi balza evidente proprio dal ricorso in esame, nel quale  la
 ricorrente,  nonostante  risulti  essere in possesso di prova scritta
 del credito pecuniario vantato nei confronti dell'Azienda U.S.L.   di
 Palermo,  per  ottenere  una  tutela  agile  ed immediata, assicurata
 innanzi  al giudice ordinario dal procedimento monitorio, ha ritenuto
 di poter fare  riferimento  allo  speciale  procedimento  di  cui  al
 secondo comma dell'art. 35.
   La  verita'  e'  che  il processo amministrativo conosce l'istituto
 della  "decisione  cautelare"  (e  nelle  materie  di   giurisdizione
 esclusiva anche nelle forme atipiche di cui alla sentenza n. 190/1985
 della  Corte  cost.),  ma non quello della "decisione sommaria" della
 controversia, sicche' la devoluzione di nuova giurisdizione esclusiva
 al giudice amministrativo nelle materie (e nell'amplissima casistica)
 dell'art.  33 d.lgs. n. 80/1998 avrebbe dovuto indurre il legislatore
 delegato a farsene carico.  Ma  cosi'  non  e'  stato  ed  il  totale
 silenzio  dell'art.   33 cit., mentre esclude l'applicabilita' di ben
 conosciuti  e  consolidati  procedimenti  giurisdizionali  di  pronta
 definizione  del  giudizio  (come  quello monitorio), finisce col far
 sorgere una variegata  tipologia  di  "domande  incidentali"  ed  una
 correlativa    giurisprudenza   praetoria   il   cui   "assestamento"
 richiedera',  se  non  interverra'   -   da   subito   -   la   Corte
 costituzionale,  un  lunghissimo  periodo di tempo, a tutto discapito
 della efficienza e razionalita' della nuova giurisdizione.
   In siffatto modo viene seriamente menomata,  ad  avviso  di  questo
 collegio,  anche la pienezza del diritto di azione costituzionalmente
 garantito (art. 24 Cost.), nonche' il principio di economia dei mezzi
 giuridici, che costituisce un ineludibile  corollario  del  principio
 del  buon  andamento  e dell'efficienza dell'apparato giurisdizionale
 inteso come parte della p.a.