ha pronunciato la seguente


                              Sentenza

nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale del combinato disposto
degli  artt. 12,  comma 5, e 18, commi 3 e 4, del decreto legislativo
31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre   1991,   n. 413),   promosso  con  ordinanza  emessa  il
10 ottobre  1998  dalla  Commissione tributaria provinciale di Novara
sui  ricorsi  riuniti proposti da Camporelli Luciano contro l'Ufficio
distrettuale  delle imposte dirette di Novara, iscritta al n. 360 del
registro  ordinanze  1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica - prima serie speciale - n. 25 dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.

                          Ritenuto in fatto

    1. - La   Commissione   tributaria  provinciale  di  Novara,  con
ordinanza  emessa  in  data  10 ottobre  1998  (pervenuta  alla Corte
costituzionale  il  4 giugno  1999),  nel  corso  del giudizio su due
ricorsi  riuniti  proposti avverso altrettanti avvisi di accertamento
ai fini IRPEF e ILOR, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24,
primo   comma,   della   Costituzione,   questione   di  legittimita'
costituzionale  del combinato disposto degli artt. 12, comma 5, e 18,
commi  3  e  4,  del  decreto  legislativo  31 dicembre  1992, n. 546
(Disposizioni  sul  processo tributario in attuazione della delega al
Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413).
    Secondo  la Commissione tributaria, in base a tale normativa, gli
atti   di   accertamento  dovrebbero  essere  impugnati,  a  pena  di
inammissibilita',    dinanzi    alle   commissioni   tributarie   con
l'assistenza  di un difensore abilitato, qualora l'importo della lite
sia superiore ai cinque milioni di lire.
    Ad avviso del collegio rimettente, tale discriminazione, la quale
potrebbe  determinare  gravi  conseguenze a carico del contribuente -
avuto  riguardo  alla circostanza che l'azione da proporre in sede di
giurisdizione  tributaria,  diversamente  da quella ordinaria in sede
civile,  ove  dichiarata  inammissibile, non potrebbe essere di nuovo
validamente  proposta,  stante  la  brevita' del termine di decadenza
entro  il quale l'atto impositivo puo' essere impugnato - sarebbe del
tutto  irrazionale  e,  come  tale,  si  porrebbe in contrasto con il
principio  di  uguaglianza.  Essa,  inoltre, comporterebbe violazione
dell'art. 24,  primo  comma,  della Costituzione, in quanto, rendendo
eccessivamente  breve  detto  termine  di decadenza, intralcerebbe in
modo  ingiustificato  la  concreta  possibilita'  di  ottenere tutela
giurisdizionale.   La   mancanza,  nell'atto  di  accertamento,  che,
peraltro,  reca  la  indicazione  di termini e modalita' del ricorso,
della  specifica  avvertenza  che, ove il valore della lite ecceda la
predetta  cifra,  il ricorso stesso deve, a pena di inammissibilita',
essere  sottoscritto  da  un  difensore  abilitato,  come  la  stessa
denominazione  dell'organo  competente  a  decidere  la  impugnazione
dell'atto (commissione, e non giudice o tribunale), sarebbe idonea ad
indurre l'interessato a ritenere che, come, del resto, previsto dalla
normativa  previgente,  il  ricorso possa essere validamente proposto
direttamente.
    Il  lamentato  sacrificio  del  diritto di agire del contribuente
appare  alla commissione rimettente ancora piu' ingiustificato ove si
considerino le modalita' di svolgimento del procedimento innanzi alle
commissioni  tributarie,  nel  quale  le decisioni sono adottate, tra
l'altro,  da  giudici  non professionali, ordinariamente in camera di
consiglio,  senza intervento delle parti, e sulla base, oltre che dei
documenti  prodotti,  delle  istanze  e  delle  memorie formulate per
iscritto,  mentre  sarebbe  conforme  ai  principi  costituzionali un
diverso  sistema  normativo in cui, in caso di mancata sottoscrizione
del  ricorso  da  parte  di  un  difensore abilitato, anziche' essere
stabilita,  per  liti  di valore superiore ai cinque milioni di lire,
l'inammissibilita'  dell'azione,  fosse consentito al ricorrente, che
abbia  agito  personalmente,  come  avviene  per  le  liti  di valore
inferiore,  di  nominare  il  difensore  anche  successivamente  alla
proposizione   del  ricorso  stesso,  eventualmente  per  ordine  del
Presidente di commissione o di sezione, o del collegio.

    2. - Nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
Ministri  con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che
ha concluso per la infondatezza della questione sollevata, escludendo
anzitutto  che  l'onere  imposto  al ricorrente di farsi assistere in
giudizio   renda  l'esercizio  del  diritto  di  difesa  estremamente
gravoso,  costituendo,  anzi, esso il presupposto fondamentale per la
sua  effettiva tutela, dettato dalla esigenza di garantire una idonea
difesa  alle  parti  piu'  deboli attraverso l'assistenza da parte di
soggetti  in possesso di una preparazione specialistica adeguata. Una
scelta,  quella  adottata  dal  legislatore  nell'esercizio della sua
discrezionalita',  che  avrebbe  potuto  essere  sostituita da altre,
quale  quella  di prevedere, anziche' la inammissibilita' del ricorso
non sottoscritto da difensore abilitato, la possibilita' di sanatoria
durante  il  procedimento,  attraverso la costituzione del difensore,
scelta  che  avrebbe  comportato una normativa complessa, che avrebbe
finito  per vanificare il sistema dei termini perentori. Il valore di
cinque  milioni  indicato  dalla  normativa  impugnata,  si  osserva,
costituisce  il  limite oltre il quale il legislatore ha ritenuto che
l'esigenza di una corretta difesa tecnica prevale sul risparmio delle
spese di lite.
    Quanto alla ipotesi, adombrata dal giudice a quo di attribuire al
collegio  giudicante  la  valutazione  della complessita' della lite,
obbligando  la  parte  a  munirsi di difensore, l'Avvocatura generale
dello  Stato  sottolinea  che,  a  parte  la  considerazione che tale
soluzione  comporterebbe  la  necessita'  di  una ampia rimessione in
termini del contribuente per quanto non proposto con il ricorso, essa
e' comunque rimessa alla discrezionalita' del legislatore.

                       Considerato in diritto

    1. - La questione di legittimita' costituzionale, proposta in via
incidentale,  all'esame  della  Corte  riguarda il combinato disposto
degli  artt. 12,  comma 5, e 18, commi 3 e 4, del decreto legislativo
31 dicembre  1992,  n. 546  (Disposizioni  sul processo tributario in
attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge
30 dicembre  1991,  n. 413),  nella parte in cui, nei giudizi innanzi
alle commissioni tributarie, il cui valore ecceda i cinque milioni di
lire, sanzionerebbe, con la inammissibilita', il ricorso sottoscritto
dal   solo  contribuente,  senza  prevedere  che  quest'ultimo  possa
nominare  un  difensore  in  un  momento successivo, eventualmente su
disposizione  del  presidente di commissione o di sezione, ovvero del
collegio.
    Secondo  il giudice a quo vi sarebbe violazione dell'art. 3 della
Costituzione,  per il carattere ingiustificato della discriminazione,
fondata  sull'importo  della lite, nonche' dell'art. 24, primo comma,
della  Costituzione, intralciandosi in modo egualmente ingiustificato
la   concreta   possibilita'   dei   singoli   di   ottenere   tutela
giurisdizionale,   in   quanto   l'azione   da   proporre   in   sede
giurisdizionale  tributaria, diversamente da quella ordinaria in sede
civile, ove dichiarata inammissibile, non potrebbe essere validamente
proposta  stante  la brevita' del termine di decadenza entro il quale
l'atto impositivo puo' essere impugnato.

    2. - La  questione  e'  priva  di  fondamento, in quanto la norma
denunciata   e'  suscettibile  di  essere  interpretata  in  modo  da
escludere  in  radice  i  dubbi  sollevati  dal  giudice  a  quo  con
eliminazione  dei  paventati  ostacoli  all'esercizio  del diritto di
difesa  e  all'esercizio  dell'azione avanti al giudice tributario di
primo grado (commissione provinciale).
    Infatti,  la  previsione  dell'art. 18,  commi  3  e 4, del d.lgs
31 dicembre  1992,  n. 546  deve  essere  interpretata  unitariamente
all'art. 14,  comma  2,  cui viene fatto espresso rinvio di salvezza,
alla  fine  del  comma  3 dello stesso art. 18, e alla luce anche dei
criteri direttivi contenuti nella legge di delega.
    La   inammissibilita'   del   ricorso  dinanzi  alla  commissione
tributaria  provinciale  e'  prevista  (art. 18,  comma  4) quando il
ricorso stesso manca di uno degli elementi considerati essenziali dal
legislatore,  ovvero quando non vi sia la sottoscrizione "a norma del
comma"  3:  tuttavia  il  comma 3 prevede che "il ricorso deve essere
sottoscritto  dal  difensore del ricorrente e contenere l'indicazione
dell'incarico  a  norma  dell'art. 12,  comma  3"  (con modalita' del
conferimento   dell'incarico:   atto   pubblico,   scrittura  privata
autenticata,  sottoscrizione  autografa  certificata  in  calce  o  a
margine   dell'atto  processuale,  ovvero  oralmente  e  verbalizzata
all'udienza  pubblica),  salvo  che  il  ricorso non sia sottoscritto
personalmente.  Nel  quale  caso  vale  quanto disposto dall'art. 12,
comma 6, cioe' la possibilita' di stare in giudizio personalmente per
chi e' in possesso dei requisiti richiesti.
    Tuttavia,  tale norma di rinvio, contenuta nell'art. 18, comma 3,
del d.lgs. n. 546 del 1992 e' stata modificata dall'art. 69, comma 2,
lettera  c),  del  d.-l.  30 agosto 1993, n. 331 (convertito in legge
29 ottobre  1993,  n. 427),  che ha sostituito il richiamo al comma 6
con quello al comma 5 dell'art. 12 del d.lgs. n. 546 del 1992.
    A  seguito di tale modifica, il riferimento al disposto del comma
5  dell'art. 12  assume un significato logico (con interpretazione in
armonia con un sistema processuale che deve garantire la tutela delle
parti  in  posizione  di  parita', evitando irragionevoli sanzioni di
inammissibilita' che si risolvano a danno del soggetto che si intende
tutelare)  di  richiamo complessivo all'intero comma 5 e quindi anche
al meccanismo dell'ordine da parte del Presidente della commissione o
della  sezione  o  del  collegio  di  "munirsi  di assistenza tecnica
fissando  un  termine  entro  il quale la stessa (parte) e' tenuta, a
pena  di  inammissibilita',  a  conferire  l'incarico ad un difensore
abilitato".
    La  conseguenza e' che l'inammissibilita' scatta - per scelta del
legislatore  tutt'altro  che irragionevole - solo a seguito di ordine
ineseguito  nei  termini  fissati  e  non per il semplice fatto della
mancata  sottoscrizione  del  ricorso  da  parte di un professionista
abilitato.
    Tale  soluzione  appare maggiormente  in linea con il principio e
criterio  direttivo  della  delega [art. 30, comma 1, lettera i), che
contempla  il potere di disciplinare l'assistenza tecnica solo per le
parti  diverse dall'Amministrazione, mentre prevede espressamente che
vi deve essere l'assistenza tecnica per i procedimenti ai sensi della
lettera  b),  del  citato art. 30 della delega (procedimenti speciali
preventivi collegati a reati per i quali sia ammessa l'oblazione)].
    D'altro  canto, deve essere sottolineato che trattasi di semplice
assistenza  tecnica  (e non anche di rappresentanza), il cui incarico
puo'  essere  conferito  anche  in sede di udienza pubblica (art. 12,
comma  3, ultima parte). Il legislatore, nell'esercizio di una scelta
discrezionale,    ha    voluto    introdurre   l'assistenza   tecnica
generalizzata  per  le parti diverse dall'amministrazione finanziaria
(art. 12,  comma 1), ma ha anche previsto, in ipotesi di controversia
di valore inferiore a un milione, poi elevato a cinque milioni, e nei
casi  di  cui  all'art. 10  del  d.P.R.  28 novembre 1980, n. 787, la
proponibilita'  diretta  dei ricorsi ad opera delle parti interessate
senza  esigenza  di  assistenza  tecnica,  non incidendo, di per se',
l'esercizio  personale  delle  proprie  ragioni,  anche  da parte del
contribuente  non iscritto ad un albo, sul diritto di difesa (art. 24
della Costituzione, ordinanza n. 685 del 1988).
    Rientra  nella discrezionalita' del legislatore la disciplina del
diritto   di  difesa,  non  essendovi  in  via  generale  una  scelta
costituzionalmente  obbligata  di  assistenza di difensore abilitato,
soprattutto  in  relazione alla tenuita' del valore della lite o alla
natura della controversia.

    3. - D'altra  parte,  non  osta alla anzidetta interpretazione la
considerazione  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  secondo cui
questa  soluzione  comporterebbe la necessita' di un'ampia rimessione
in  termini  del  contribuente,  in quanto il tema del decidere resta
circoscritto  dal  ricorso  introduttivo,  mentre  la possibilita' di
"motivi  aggiunti"  e'  dal  legislatore  limitata  alle sole ipotesi
tassative di integrazione dei motivi del ricorso, resa necessaria dal
deposito  di  documenti ad opera delle altre parti o per ordine della
commissione  tributaria, ed entro termini tassativi dalla notizia del
deposito (art. 24 del d.lgs. n. 546 del 1992).