ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, commi primo
e  terzo,  del  r.d.l.  27 novembre  1933, n. 1578 (Ordinamento della
professione  di  avvocato  e  procuratore),  convertito  nella  legge
22 gennaio  1934, n. 36 (Conversione in legge, con modificazioni, del
r.d.l.  27 novembre  1933,  n. 1578,  riguardante l'ordinamento della
professione di avvocato e procuratore), promosso con ordinanza emessa
il  23 marzo  1999  dal  pretore di Venezia nel procedimento penale a
carico di Maffei Vito, iscritta al n. 363 del registro ordinanze 1999
e  pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25 - prima
serie speciale - dell'anno 1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 22 marzo 2000 il giudice
relatore Francesco Guizzi.
    Ritenuto  che  nel  corso del procedimento penale per il reato di
cui all'art. 498 del codice penale, richiamato dall'art. 1 del r.d.l.
27 novembre  1933, n. 1578 (Ordinamento della professione di avvocato
e   procuratore),  convertito  nella  legge  22 gennaio  1934,  n. 36
(Conversione  in  legge,  con  modificazioni,  del r.d.l. 27 novembre
1933,   n. 1578,   riguardante  l'ordinamento  della  professione  di
avvocato  e  procuratore),  il  pretore  di Venezia, ha sollevato, in
riferimento  agli  artt. 33,  quinto  comma,  e 3 della Costituzione,
questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 1, primo e terzo
comma, del citato regio decreto-legge;
        che   l'imputato,   cancelliere   dirigente   di  un  ufficio
giudiziario,  era accusato di utilizzare, nella formazione degli atti
sottoscritti  per  ragioni  del proprio ufficio, un timbro recante il
titolo di procuratore legale (titolo ora soppresso e corrispondente a
quello  di avvocato), pur non essendo mai stato iscritto nel relativo
albo professionale;
        che l'imputato aveva ottenuto l'idoneita' all'esercizio della
professione  legale  in  data  5 febbraio  1990, superando l'esame di
abilitazione;
        che  l'art. 498 del codice penale, richiamato dall'art. 1 del
r.d.l.  n. 1578  del  1933,  convertito  nella  legge n. 36 del 1934,
punisce  chiunque  assuma  il  titolo  di  procuratore legale (ora di
avvocato) se non e' iscritto nell'albo corrispondente;
        che nel giudizio a quo la difesa ha eccepito l'illegittimita'
costituzionale   dell'art. 1  del  citato  regio  decreto-legge,  per
lesione degli artt. 33, quinto comma, e 3 della Costituzione;
        che  sussisterebbero  i  presupposti per l'accoglimento della
questione,  perche'  il  giudice  a  quo  ha  osservato,  quanto alla
rilevanza, che il capo di imputazione richiama il suddetto art. 1; e,
con  riguardo  alla non manifesta infondatezza, che l'art. 33, quinto
comma,  della  Costituzione,  prescrive il superamento di un esame di
Stato  senza  far  menzione  dell'iscrizione  all'albo professionale,
quale condizione per l'esercizio professionale;
        che,  a maggior  ragione,  sarebbe in contrasto con l'art. 33
della Costituzione la previsione di una sanzione penale per colui che
utilizzi   il   titolo,   avendo  superato  l'esame  di  abilitazione
professionale senza essere iscritto all'albo;
        che  cio'  emergerebbe, altresi', dal fatto che l'iscrizione,
intervenuta  dopo  il  superamento  dell'esame,  costituisce  un atto
dovuto, meramente ricognitivo, e l'esame il presupposto sostanziale e
costitutivo dell'abilitazione;
        che   analogo   obbligo   non   e'  previsto  per  i  dottori
commercialisti,  i  quali  possono avvalersi del titolo professionale
dopo  aver  superato  l'esame  di  abilitazione,  pur se non iscritti
all'albo;
        che  tale  disparita' di trattamento fra procuratori legali e
dottori   commercialisti   sarebbe  ingiustificata  e  violerebbe  il
principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione;
        che,  inoltre, agli avvocati (in passato anche ai procuratori
legali) cancellati dall'albo e' consentito l'uso del titolo;
        che  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  dello Stato, chiedendo una
pronuncia d'inammissibilita' o di infondatezza;
        che, secondo l'Avvocatura, la disposizione di cui all'art. 1,
primo  e  terzo  comma,  del  citato  r.d.l.  n. 1578  del  1933  non
violerebbe  l'art. 33 della Costituzione, per il quale l'abilitazione
all'esercizio   della   professione   non   e'   necessariamente  una
conseguenza  automatica  del  superamento  dell'esame  di  Stato; ne'
lederebbe  l'art. 3, attesa la differenza tra le situazioni invocate,
in  quanto  gli  avvocati svolgono un servizio pubblico, cio' che non
puo' dirsi per i dottori commercialisti.

    Considerato che, dopo la proposizione della questione, e' entrato
in   vigore   il   decreto   legislativo   30 dicembre  1999,  n. 507
(Depenalizzazione   dei   reati   minori   e   riforma   del  sistema
sanzionatorio,  ai  sensi  dell'art.  1  della  legge 25 giugno 1999,
n. 205),  il  quale, all'art. 43, ha modificato l'art. 498 del codice
penale,  stabilendo  per  le violazioni, ivi previste, l'applicazione
della sanzione amministrativa pecuniaria;
        che,  pertanto,  gli  atti  vanno restituiti al giudice a quo
perche'  riesamini  la  rilevanza  della  questione alla luce del ius
superveniens.