ha pronunciato la seguente


                              Ordinanza

nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 509, comma 5,
del  decreto  legislativo  16 aprile  1994,  n. 297 (Approvazione del
testo  unico  delle  disposizioni  legislative  vigenti in materia di
istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado), promosso con
ordinanza  emessa  il  7 novembre  1996  dal Tribunale amministrativo
regionale  della  Campania  sul  ricorso proposto da Capriglione Anna
contro  il  Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al
n. 73  del  registro  ordinanze  1999  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale  della  Repubblica  - prima serie speciale - n. 8 dell'anno
1999.
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 aprile 2000 il giudice
relatore Riccardo Chieppa.
    Ritenuto  che nel corso di un giudizio promosso da una preside di
Scuola media statale avverso il provvedimento con cui il provveditore
agli studi di Napoli aveva disposto, per raggiunti limiti di eta', il
collocamento   a   riposo   dell'interessata,   con   decorrenza  dal
1o settembre  1996, l'adi'to Tribunale amministrativo regionale della
Campania, con ordinanza del 7 novembre 1996 (r.o. n. 73 del 1999), ha
sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 509,
comma  5,  del  d.lgs.  16 aprile 1994, n. 297, per contrasto con gli
artt. 3,  4,  38,  secondo  comma, e 97, terzo comma - rectius: primo
comma  -  della  Costituzione e con i principi della delega contenuta
nell'art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;
        che, giova premettere, la ricorrente era in servizio di ruolo
alla data del 1o ottobre 1974 ed era stata destinataria del beneficio
del  trattenimento  in  servizio  oltre il sessantacinquesimo anno di
eta'  previsto  dall'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503; con
istanza  del  1o settembre 1993 aveva chiesto di essere trattenuta in
servizio,  fino  e  non  oltre il compimento del settantesimo anno di
eta', ai sensi dell'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477;
        che   tale   richiesta  aveva  dato  luogo  al  provvedimento
impugnato  avanti  al  Tribunale  amministrativo  regionale, motivato
essenzialmente   sulla  circostanza  secondo  cui  l'interessata  non
avrebbe titolo a fruire anche del beneficio da ultimo richiesto;
        che il giudice a quo prende le mosse dal tenore dell'articolo
unico della legge 7 giugno 1951, n. 500 (per il personale direttivo e
docente  degli  istituti  secondari  e d'istruzione artistica di ogni
ordine  e  grado  ove e' previsto il collocamento a riposo al termine
dell'anno  scolastico  in cui compiono il settantesimo anno di eta'),
dall'art. 15,  primo  comma,  della legge 30 luglio 1973, n. 477 (con
unificazione  sostanziale  delle  regole  del  rapporto di impiego in
tutte le categorie dei docenti statali, con la fissazione del termine
al    1o ottobre    successivo    alla   data   di   compimento   del
sessantacinquesimo  anno  di eta' per il collocamento a riposo) e dal
secondo  e  terzo  comma dell'articolo anzidetto (con mantenimento in
servizio  fino al compimento del settantesimo anno di eta' per coloro
che  non avessero, alla data di cui al precedente comma, raggiunto il
massimo o il minimo richiesto per la pensione);
        che  l'ordinanza  di  rimessione ricostruisce la sopravvenuta
norma contenuta nell'art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992 (con facolta'
per  i  dipendenti  civili  dello  Stato  e  degli  enti pubblici non
economici  di  permanere  in  servizio,  con decorrenza dalla data di
entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo
massimo  di  un  biennio oltre i limiti di eta' per il collocamento a
riposo)  desumendone  un  mero  diritto  potestativo, con conseguente
nascita  di  obblighi  specifici in capo al datore di lavoro, sia nel
caso  in  cui il dipendente abbia raggiunto il limite di eta' fissato
dalla  legge,  sia  nel  caso in cui il termine sia stabilito in anni
settanta,  sia, infine, in relazione a situazioni inerenti al computo
del  periodo  lavorativo pensionabile, ove sia possibile, nel caso in
cui  il  limite  di sessantacinque anni sia prorogato fino e comunque
non  oltre  i  70 anni, come sarebbe confermato anche dai principi di
delega  fissati  dall'art. 3,  comma  1,  della legge n. 421 del 1992
(salvaguardia dei diritti acquisiti dai lavoratori);
        che  nel  giudizio incidentale di legittimita' costituzionale
e'  intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri, con il
patrocinio  dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per
la   inammissibilita'   o   la  infondatezza  della  questione,  tesi
sviluppata  nella  successiva memoria depositata nell'imminenza della
data fissata per la camera di consiglio.

    Considerato   che   l'eccezione   di  inammissibilita'  sollevata
dall'Avvocatura  generale  dello Stato e' superabile sulla base della
considerazione   che  il  giudice  a  quo  ha  dato  una  motivazione
plausibile   della   rilevanza   della  questione  sulla  base  della
considerazione  che  la  ricorrente  (nata  il  17 marzo 1929) avesse
raggiunto il 1o settembre 1996 il limite (ordinario per la categoria)
per  il  collocamento  a  riposo  e che l'interpretazione restrittiva
(accolta  e motivamente fatta propria dal giudice a quo) del rapporto
tra  comma  2  e 3 del denunciato art. 509 del d.lgs. 16 aprile 1994,
n. 297,  intesa  come  diritto  vivente  in  relazione  alla costante
applicazione del giudice di appello, sarebbe decisiva e pregiudiziale
ai fini della definizione della domanda di sospensiva;
        che,   in   sostanza,   il  giudice  rimettente  sostiene  la
incostituzionalita'  dell'art. 509  citato "nella parte in cui non e'
consentito  al  personale scolastico statale di fruire, oltreche' dei
benefici  ex  art. 15,  secondo  comma,  della legge  30 luglio 1973,
n. 477,  anche  della facolta' spettante a tutti gli impiegati civili
dello  Stato  e  degli  Enti  pubblici  non economici, ex art. 16 del
d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503", per violazione degli artt. 3, 4, 38
e  97,  primo  comma,  della Costituzione e dei principi della delega
contenuta nell'art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;
        che essenzialmente il giudice rimettente vuole pervenire alla
soluzione,    per    effetto   della   richiesta   dichiarazione   di
incostituzionalita'  in parte qua della norma denunciata, secondo cui
"il  dies  a  quo  per  il  computo  del  biennio"  (di permanenza in
servizio,  ex  art. 16 del d.lgs n. 503 del 1992 e art. 509, comma 5,
del   d.lgs  n. 297  del 1994)  "non  sara'  sic  et  simpliciter  il
sessantacinquesimo  anno d'eta' dell'interessato, bensi' il giorno in
cui  egli  avrebbe  dovuto  essere collocato a riposo per effetto dei
benefici  di  trattenimento  in  servizio di cui ai commi 2 e 3 dello
stesso art. 509";
        che  questa  Corte ha gia' affermato, a proposito dell'art. 1
del  d.lgs.  n. 503  del  1992,  che "la prosecuzione del rapporto di
impiego  oltre il limite di eta' e' stata configurata dal legislatore
come  eccezione  alla  regola  posta in tema di limiti di eta' per il
servizio  ...  prevedendosi  una prosecuzione del rapporto su domanda
dell'interessato  "per  un  periodo  massimo  di un biennio" e che il
carattere  eccezionale della disposizione non e' incompatibile con le
disposizioni  normative che prevedono la sussistenza di requisiti per
la  continuazione  del  rapporto  di pubblico impiego" e nello stesso
tempo  non  sussiste  un  principio  fondamentale  della legislazione
statale in ordine ad un preteso diritto incondizionato del dipendente
pubblico  al mantenimento in servizio per un biennio (sentenza n. 162
del 1997);
        che  relativamente  all'eta'  pensionabile  deve riconoscersi
un'ampia discrezionalita' al legislatore, con il solo limite negativo
della  manifesta  arbitrarieta'  (sentenze nn. 422 del 1994 e 162 del
1997;  ordinanza  n. 380 del 1994) che qui non ricorre e, allo stesso
modo,  con  facolta' di deroghe, a fini assicurativi e previdenziali,
al   limite   massimo  dell'attivita'  lavorativa,  a  seconda  delle
categorie (da ultimo, sentenza n. 327 del 1999);
        che,  sotto il profilo costituzionale, diversa deve essere la
valutazione  rispetto  al  prolungamento  del  servizio attivo per il
conseguimento  del  minimo  della  pensione  (ipotesi connessa con la
garanzia  dei  diritti previdenziali, completamente al di fuori della
fattispecie),  rispetto  alla pretesa di prolungare il servizio anche
quando  si  e'  in  condizione  di conseguire pienamente il diritto a
pensione  ed  anzi  si  mira  al  semplice prolungamento del servizio
attivo,  senza  alcun  riflesso diretto sulla pensione in presenza di
periodo   massimo   (quaranta   anni)   suscettibile  di  valutazione
(l'Avvocatura  sottolinea  l'intento  di  rinunciare  a  periodi gia'
riscattati);
        che  questa Corte ha avuto occasione di affermare (da ultimo,
v.  sentenza  n. 227  del  1997)  che  i  principi della legislazione
prevedono  che  il  trattenimento  in servizio oltre i limiti di eta'
stabiliti  in  via generale per determinati settori o per particolari
categorie   di   dipendenti,   possa   effettuarsi   solo  a  domanda
dell'interessato  e  non  di ufficio, e nei soli casi e per i periodi
previsti  dal  legislatore,  che  non  e'  tenuto  ad  una estensione
generalizzata;  che  sul  piano  costituzionale  il  bene protetto e'
rappresentato  dal  conseguimento  della pensione al "minimo", mentre
non   gode   eguale  protezione  il  raggiungimento  del  trattamento
pensionistico  massimo;  e  che  in  particolare  la  disciplina  del
trattenimento  in  servizio, al di la' del limite di eta' fissato per
il  collocamento  a  riposo,  rientra  nella  sfera discrezionale del
legislatore, sempre che non sia violato il canone di ragionevolezza;
        che la facolta' di permanere in servizio per un biennio oltre
i  limiti  di  eta'  previsti per il collocamento a riposo (art. 509,
comma  5,  del  d.lgs.  16 aprile  1994,  n. 297 e art. 16 del d.lgs.
30 dicembre  1992,  n. 503) si riferisce ad un biennio oltre i limiti
di  eta' per il collocamento in pensione, previsti in via normale per
la  determinata categoria di personale e non in riferimento ai limiti
derivanti  da  ulteriori  benefici  di  proroga o di trattenimento in
servizio  per  conseguire  il  minimo  pensionabile  o il massimo del
servizio  valutabile,  come risulta evidente dalla formulazione della
norma   che   adotta  l'espressione  limite  di  eta',  con  evidente
riferimento  a  quelli ordinari per ciascuna categoria e non a quelli
di  prolungamento  del  servizio oltre i limiti in base a particolari
benefici previsti da altre disposizioni di favore;
        che quanto alla pretesa violazione dell'art. 97, primo comma,
della Costituzione e dei principi della delega contenuta nell'art. 3,
comma   1,  della  legge  23 ottobre  1992,  n. 421,  e'  sufficiente
osservare,  ai fini della manifesta infondatezza, che la disposizione
denunciata  e'  di  carattere eccezionale soprattutto alla luce della
stessa delega, che - seppure introdotta con finalita' di contenimento
della  spesa  pubblica  in  ordine  a  trattamenti  di  quiescenza  e
previdenza  - comporta tuttavia il carico del trattamento di servizio
attivo  e  degli  oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori
(per  la  normale  anzianita'  e  livello  del  personale  che  abbia
raggiunto  i  limiti  di  eta')  rispetto  a  quelli connessi a nuove
assunzioni  (per  livelli  e anzianita' iniziale), peraltro meramente
eventuali  anche  in  relazione a ricorrenti blocchi (sentenza n. 162
del   1997);   che  trattasi  di  disposizione  non  suscettibile  di
interpretazione  estensiva,  che  porterebbe ad aumentare il divario,
anche  per  i  limiti di eta', tra i sistemi pensionistici pubblici e
privati,  che  invece  il  legislatore  delegante voleva contrastare,
nell'obiettivo  finale  di riordino e di sostanziale omogeneita'; che
il buon andamento dell'amministrazione non puo' dipendere affatto dal
mantenimento  in  servizio  di personale che ha raggiunto i limiti di
eta',  subordinato  esclusivamente  alla domanda del dipendente, come
diritto  potestativo  assoluto,  laddove  il prolungarsi del servizio
oltre  i limiti non e' sempre indice di accrescimento dell'efficienza
organizzativa.

    Visti  gli  artt. 26,  secondo  comma, della legge 11 marzo 1953,
n. 87,  e  9,  secondo  comma,  delle norme integrative per i giudizi
davanti alla Corte costituzionale.