ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 2, comma 4,
 lettera c), del d.lgs. 27  gennaio  1992,  n.  80  (Attuazione  della
 direttiva  80/1987/CEE in materia di tutela di lavoratori subordinati
 in caso di insolvenza del datore di lavoro), promosso  con  ordinanza
 emessa  il  23  luglio  1997  dal  tribunale  di  Firenze sul ricorso
 proposto da G.  Z.  ed  altre  contro  l'istituto  nazionale  per  la
 previdenza  sociale (Inps), iscritta al n. 676 del registro ordinanze
 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti  gli  atti  di  costituzione  di  R. N. ed altre e dell'Inps,
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica dell'11 maggio 1999 il giudice relatore
 Piero Alberto Capotosti;
   Uditi gli avvocati Gabriella Del Rosso per R. N. ed altre e Antonio
 Todaro per l'Inps.
   Ritenuto  che il tribunale di Firenze, sezione lavoro, nel corso di
 un giudizio di appello avverso la sentenza di rigetto  delle  domande
 proposte    da   alcune   lavoratrici   subordinate   nei   confronti
 dell'istituto nazionale per la previdenza sociale (Inps), allo  scopo
 di  ottenere  il pagamento da parte del Fondo di garanzia di cui alla
 legge 29 maggio 1982, n. 297  (Disciplina  del  trattamento  di  fine
 rapporto   e  norme  in  materia  pensionistica)  delle  retribuzioni
 inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di  lavoro,  con  ordinanza
 del   23   luglio   1997,  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art.   2, comma 4,  lettera  c),  del  d.lgs.  27
 gennaio  1992,  n.  80  (Attuazione  della  direttiva  80/1987/CEE in
 materia di tutela di lavoratori subordinati in caso di insolvenza del
 datore  di  lavoro),  in  riferimento  agli  artt.  3  e   38   della
 Costituzione;
     che nel giudizio principale e' stato accertato che le ricorrenti,
 nei  tre  mesi  successivi  alla  risoluzione del rapporto di lavoro,
 hanno percepito l'indennita' di mobilita'  prevista  dalla  legge  23
 luglio  1991,  n.  223,  e  tale  circostanza,  secondo il tribunale,
 sarebbe prevista dalla  norma  impugnata  quale  condizione  ostativa
 all'accoglimento delle domande;
     che,  ad  avviso  del  rimettente,  la disposizione, in parte qua
 sarebbe conforme ai principi ed ai criteri direttivi stabiliti  nella
 legge delega 29 dicembre 1990, n. 428 e nella direttiva del Consiglio
 80/1987/CEE,  ma  si porrebbe in contrasto con gli artt. 3 e 38 della
 Costituzione, in  quanto  le  due  prestazioni  da  essa  contemplate
 tutelano beni diversi ed assolvono scopi pure diversi;
     che,  secondo  il tribunale, il divieto di cumulo stabilito dalla
 norma  censurata  realizzerebbe  una  irragionevole   disparita'   di
 trattamento  rispetto  sia  ai lavoratori subordinati i quali, avendo
 prestato la loro  opera  alle  dipendenze  di  un  datore  di  lavoro
 solvibile, percepiscono la retribuzione e l'indennita' di mobilita' -
 in caso di licenziamento collettivo - sia a quelli di essi che non ne
 godono,  in caso di licenziamento individuale; inoltre, la disparita'
 di trattamento sarebbe  ulteriormente  ravvisabile  sia  rispetto  ai
 lavoratori  che non fruiscono dell'indennita' in esame, ma "ottengono
 altrove il reimpiego" e, in tal modo, beneficiano di una  limitazione
 del danno; sia, infine, rispetto ai lavoratori ai quali e' attribuita
 l'indennita'    di   disoccupazione,   dato   che   quest'ultima   e'
 sostanzialmente assimilabile a quella di mobilita';
     che nel giudizio e' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, il quale  ha  eccepito  che  la  questione  e'  irrilevante  o
 inammissibile,  in  quanto  la  Corte  di  giustizia  delle comunita'
 europee, adita in  via  pregiudiziale,  a  norma  dell'art.  177  del
 Trattato  CEE, dal pretore circondariale di Venezia, con sentenza del
 10 luglio 1997, in causa n. 373/1995, ha deciso che gli artt.  4,  n.
 3,  e 10 della direttiva 80/1987/CEE vanno interpretati nel senso che
 uno Stato membro non puo' vietare il cumulo degli  importi  garantiti
 dalla  direttiva con l'indennita' di mobilita' prevista dagli artt. 4
 e 16 della legge 23 luglio 1991, n. 223 e, conseguentemente, la norma
 censurata non e' piu' applicabile nel giudizio a quo;
     che si e' altresi' costituito in giudizio  l'Inps,  il  quale  ha
 eccepito  l'inammissibilita'  per  irrilevanza  della questione sulla
 scorta delle stesse argomentazioni svolte dall'interveniente;
     che, infine, si sono costituite nel giudizio innanzi  alla  Corte
 anche  quattro  delle  cinque  ricorrenti  nel  processo  principale,
 facendo proprie le argomentazioni del tribunale e  chiedendo  che  la
 norma sia dichiarata costituzionalmente illegittima.
   Considerato  che la Corte di giustizia delle comunita' europee, con
 la citata sentenza interpretativa 10 luglio  1997,  ha  statuito  che
 "gli   artt.  4,  n.  3,  e  10  della  direttiva  80/1987/CEE  vanno
 interpretati nel senso che uno  Stato  membro  non  puo'  vietare  il
 cumulo  degli  importi  garantiti dalla direttiva con una indennita',
 quale l'indennita' di mobilita' prevista dagli artt.  4  e  16  della
 legge  23  luglio 1991, n. 223, che e' diretta a sovvenire ai bisogni
 di un lavoratore  licenziato  durante  i  tre  mesi  successivi  alla
 cessazione del rapporto di lavoro";
     che,  secondo  la  giurisprudenza  di questa Corte, "la normativa
 comunitaria (...) entra e permane in  vigore  nel  nostro  territorio
 senza  che i suoi effetti siano intaccati dalla legge ordinaria dello
 Stato" e questo  principio  vale  "anche  per  le  statuizioni  (...)
 risultanti  dalle  sentenze  interpretative della Corte di giustizia"
 (sentenza n. 113 del 1985);
     che per effetto della predetta sentenza interpretativa 10  luglio
 1997  della  Corte  di  giustizia  e' dunque entrata nell'ordinamento
 interno la statuizione relativa all'inapplicabilita' del  divieto  di
 cumulo  tra  la  indennita'  di mobilita' prevista dagli artt. 4 e 16
 della legge n. 223 del 1991 e quella disposta,  in  attuazione  della
 citata direttiva 80/1987/CEE, dalle norme censurate;
     che  ricadendo  in  questo modo la fattispecie in esame "sotto il
 disposto del diritto comunitario destinato  a  ricevere  immediata  e
 necessaria   applicazione   nell'ambito   territoriale  dello  Stato"
 (sentenza n. 113 del 1985), si impone la restituzione degli  atti  al
 giudice  a  quo,  affinche'  valuti  se  permanga  la rilevanza della
 sollevata questione di legittimita' costituzionale.