LA CORTE D'APPELLO Ha pronunicato la seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione promosso da tutti gli imputati e dai loro difensori nel processo penale d'appello n. 1235/97 r.g. c. app., a carico di Agui' Bruno + 5, tutti appellanti, con il pubblico ministero, avverso la sentenza del G.i.p. presso il tribunale di Torino in data 21 ottobre 1996; Letta la dichiarazione in data 17 febbraio 1999, depositata il 18 febbraio 1999, con la quale tutti gli imputati appellanti ed i rispettivi difensori hanno ricusato l'intero collegio giudicante della sezione prima di questa Corte (composto dai sigg.ri dott. Emilio Giribaldi, presidente, e dottori Filippo Russo e Brunella Rosso, consiglieri), ai sensi dell'art 37, comma 1, lett. a) in relazione all'art. 36, comma 1, lett. c) c.p.p. e, in via di subordine, hanno formulato eccezione di illegittimita' costituzionale del citato art. 37 c.p.p., in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto non prevede, neppure per il tramite del riferimento all'art. 36 c.p.p, che costituisca causa di ricusazione il fatto che il giudice abbia gia' manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento nell'esercizio di funzioni giudiziarie nel corso di un diverso procedimento; Udita la relazione del consigliere relatore, sentiti il procuratore generale ed i difensori dei ricusanti, che hanno concluso nell'odierna udienza in camera di consiglio come da relativo verbale, ed esaminati gli atti; O s s e r v a 1. - A seguito di impugnazioni proposte, sia dagli imputati che erano stati condannati per taluni dei reati loro ascritti, sia dal pubblico ministero con riferimento ai fatti ed agli imputati per i quali vi era stata assoluzione, contro la sentenza emessa in data 21 ottobre 1996 dal G.i.p. presso il tribunale di Torino nel procedimento a carico di Agui' Bruno, Dezzani Livio, Gibello Alessandro, Jacob Romano, Joannas Giuseppe e Maggiora Pierpaolo, relativo a varie ipotesi di reati che sarebbero stati commessi in occasione di vicende concernenti valutazioni ed acquisti di terreni, rilascio di concessioni e costruzioni di immobili eseguite e da eseguirsi in localita' "Campo Smith" del comune di Bardonecchia, nelle quali i predetti imputati risultavano coinvolti a vario titolo (Agui' quale amministratore della immobiliare Marina di Alessandro S.r.l.; Dezzani quale consulente urbanistico e Gibello quale sindaco del comune di Bardonecchia; Jacob quale perito estimatore nominato dal medesimo comune; Joannas quale segretario comunale; e, infine, Maggiora quale progettista dell'opera e direttore dei lavori), il processo ed il conseguente giudizio di appello erano assegnati alla prima sezione della Corte d'appello di Torino. 2. - La medesima sezione, come osservano le difese degli imputati appellanti nei motivi addotti a sostegno della dichiarazione di ricusazione, gia' si era dovuta occupare in precedenza della "vicenda Campo Smith", quale giudice di ricorsi proposti da altri soggetti avverso misure di prevenzione disposte nei loro confronti ed inerenti, fra l'altro, anche alla citata vicenda. 2.1. - In particolare, nel decreto del 10 gennaio 1995, la Corte - composta dal presidente dott. Emilio Giribaldi e dai consiglieri dottori Filippo Russo e Mario Griffey -, pronunciando a seguito di ricorsi presentati da Careglio Luciano e Dente Francesco contro i decreti emessi il 4 ed il 17 ottobre 1994 dal tribunale di Torino, sezione misure di prevenzione, con i quali i due ricorrenti, gia amministratori delegati della Immobiliare Marina di Alessandro S.r.l, erano stati sospesi da tale incarico, nell'inquadrare la posizione dei due ricorrenti nell'ambito del piu' vasto procedimento di prevenzione in cui la stessa era inserita, aveva affermato fra l'altro, con riferimento alle aree site in localita' "Campo Smith", sulle quali doveva sorgere il complesso immobiliare ad opera della societa' sopra indicata, che si trattava di "aree la cui acquisizione e' stata ottenuta attraverso pressioni illecite ed anche minacce nei confronti di alcuni amininistratori del comune di Bardonecchia, in relazione ad una permuta di terreni di proprieta' dello stesso comune; altre pressioni illecite risultano essere avvenute in vista della stipula della convenzione edilizia 3 giugno 1993 tra il comune e la immobiliare Marina" (p. 1); aveva osservato inoltre, facendo proprie le parole del primo giudice, che "le indagini sin qui svolte fanno sorgere - allo stato - un quadro di condizionamento di tipo mafioso nell'esercizio della ''immobiliare Marina''" (p. 2), ribadendo poi ancora che "anche la immobiliare Marina e' da considerare strumento di attivita' mafiosa; strumento utilzzato... per l'acquisizione di aree fabbricabili con denaro di piu' che dubbia provenienza" (p. 3). 2.2. - Con il successivo decreto in data 27 gennaio 1997 con il quale vennero decisi i ricorsi proposti da Lo Presti Rocco ed altri avverso il decreto applicativo di misure di prevenzione emesso dal medesimo tribunale il 23 maggio 1996 la prima sezione della Corte d'appello di Torino - composta dallo stesso presidente e dai consiglieri dottori Brunella Rosso ed Onofrio Ruffino - era scesa ancor piu' addentro nell'esame della vicenda relativa al "Campo Smith", pronunciandosi anche sulle specifiche posizioni di alcuni soggetti imputati nel procedimento conclusosi con la ricordata sentenza del g.i.p. In particolare, aveva affermato la Corte in quel provvedimento che "l'esistenza di influenze di tipo mafioso sull'amministrazione comunale di Bardonecchia emergeva dagli anomali rapporti intercorsi tra detto comune e la S.r.l. Marina D'Alessandro. Non solo infatti il sindaco Gibello aveva rilasciato a detta societa' in data 24 giugno 1993 una concessione illegittima per la costruzione di un fabbricato residenziale... ma gia' nel 1990 la S.r.l. Marina D'Alessandro aveva acquistato dal comune parte dei terreni in localita' Campo Smith permutandoli con altri terreni di sua proprieta' siti in localita' Horres sulla base di una perizia redatta dal geom. Jacob Romano il quale - attenendosi ad indicazioni fornitegli dal sindaco, dal tecnico comunale geom. Rossetti e dal consulente del comune ing. Dezzani - aveva attribuito un valore esiguo agli immobili appartenenti al comune..." (p. 8-9). Inoltre, dopo avere ancora fatto riferimento alle citate vicende in altre pagine in cui descriveva le ragioni addotte dal primo giudice a sostegno del provvedimento impugnato, la Corte, nel motivare la propria decisione e nel descrivere i rapporti tra il comune di Bardonecchia e la immobiliare Marina Di Alessandro S.r.l., aveva affermato testualmente che tali rapporti "si collocano in un contesto di illiceita' per le ragioni dettagliatamente esposte nell'impugnato decreto, quali l'approvazione da parte del consiglio comunale di un piano particolareggiato illegittimo onde consentire alla S.r.l. Marina d'Alessandro l'edificazione in localita' Campo Smith nel modo da essa voluto, l'incongruita' dei valori attribuiti agli immobili oggetto di permuta tra il comune e la stessa S.r.l. Marina d'Alessandro" (p. 27); ed aveva fatto altresi' espresso richiamo al dispositivo della sentenza del 21 ottobre 1996 del g.i.p. presso il tribunale di Torino, la cui motivazione ancora non era stata all'epoca depositata, esprimendo un giudizio sulla "disponibilita' manifestata dal Gibello e da altri organi dell'amministrazione comunale ad assecondare i progetti e gli interessi della S.r.l. Marina d'Alessandro anche se in contrasto con quelli del comune" ed affermando che la stessa "non e' interpretabile come semplice trascuratezza dei pubblici interessi", pur escludendo che vi fossero "elementi per ricondurla ad attivita' corruttive" (p. 27-28). 2.3. - I componenti dei due collegi sopra ricordati, quindi, svolgendo le funzioni di giudice del gravame in procedimenti di prevenzione a carico di persone diverse dagli attuali imputati, avevano espresso, ad avviso dei ricusanti, valutazioni e giudizi riguardanti l'intera vicenda e quantomeno taluni dei soggetti che, a seguito dell'impugnazione proposta contro la sentenza del 21 ottobre 1996 del g.i.p. presso il tribunale di Torino ed in conseguenza dell'assegnazione del procedimento e del giudizio di appello alla sezione di cui essi fanno parte, nonche' della formazione del collegio nella composizione risultante dagli atti (presidente il dott. Emilio Giribaldi e consiglieri i dottori Filippo Russo e Brunella Rosso), alcuni di essi dovrebbero ora giudicare e valutare nell'ambito del processo penale. 3. - Sulla base di tali circostanze la stessa prima sezione della Corte d'appello di Torino, in un precedente collegio composto dal presidente dott. Emilio Giribaldi e dai consiglieri dottori Filippo Russo e Pietro Capello, gia' aveva in data 19 ottobre 1998 presentato dichiarazione di astensione, ritenendo ricorrere il motivo di cui all'art. 36 primo comma lett. g) con riferimento all'art. 34 c.p.p., e cio' anche alla luce della sentenza costituzionale n. 346/1997. La dichiarazione era stata peraltro respinta dal Presidente della Corte d'appello di Torino con decreto del 26 ottobre 1998, in quanto non apparivano ravvisabili i presupposti di cui alla norma invocata, dal momento che i giudici che intendevano astenersi si erano pronunciati in procedimenti diversi da quello in cui erano chiamati a giudicare in sede di appello, sicche' si era "fuori dal modello di incompatibilita' delineato dall'art. 34 c.p.p. alla luce delle pronunce della Corte costituzionale nn. 306, 307, 308/1997". Gli atti erano pertanto rimessi alla medesima sezione per il prosieguo del giudizio. 4. - L'udienza fissata in camera di consiglio per tale giudizio veniva peraltro presentata contro il nuovo collegio (composto, come si e' ricordato in premessa, dal presidente dott. Emilio Giribaldi e dai consiglieri dottori Filippo Russo e Brunella Rosso), da tutti gli imputati e dai loro difensori, in data 18 febbraio 1999, tempestiva dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. a) in relazione all'art. 36, comma 1, lett. c) c.p.p., formulando in via di subordine, nel caso che non fosse ritenuto riconducibile alle norme sopra indicate o ad altre ipotesi di ricusazione il caso di specie, eccezione di illegittimita' costituzionale del citato art. 37 c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Il collegio ricusato, sentito il procuratore generale che chiedeva trasmettersi gli atti al primo presidente per la designazione della sezione competente a decidere sulla ricusazione, ritenuta non manifestamente infondata la dichiarazione presentata contro i propri componenti, disponeva pertanto in conformita' di tale richiesta formulata dal rappresentante dell'accusa, rimettendo gli atti al Presidente della Corte d'appello di Torino per le sue determinazioni. Ed a seguito della designazione di questa sezione per decidere sulla dichiarazione di ricusazione presentata dagli imputati e dai loro difensori, si e' pertanto qui proceduto con le forme della camera di consiglio, alla presenza dei difensori degli imputati e del procuratore generale. I primi richiamavano quanto scritto nella memoria a suo tempo depositata a sostegno della dichiarazione di ricusazione ed anche il secondo faceva riferimento alle osservazioni scritte, redatte in data 8 marzo 1999, con cui, associandosi agli argomenti addotti a sostegno della richiesta principale degli imputati e dei loro difensori, esprimeva parere favorevole all'accoglimento della dichiarazione di ricusazione ai sensi degli artt. 37, comma 1, lett. a) e 36, comma 1, lett. c) c.p.p. 5. - Cio' premesso circa lo svolgimento della presente procedura, si osserva che, nella memoria depositata a sostegno delle proprie richieste, gli imputati appellanti ed i loro difensori, dopo avere ripercorso le vicende che si sono sopra ricordate ed avere evidenziato come nel caso di specie tutti i componenti del collegio avessero gia' espresso valutazioni di merito inerenti agli stessi fatti ed agli stessi soggetti che avrebbero dovuto essere da loro giudicati nel procedimento d'appello pendente innanzi a loro, sottolineano come cio' comporti il pericolo che la nuova valutazione sia o possa apparire condizionata dalla "forza di prevenzione" fisiologicamente scaturente dalle valutazioni gia' compiute. Ne conseguirebbe quindi un grave pregiudizio all'imparzialita' del giudice ed al principio del giusto processo. Principio che, secondo il piu' recente insegnamento della Corte costituzionale - vengono richiamate al riguardo le sentenze n. 306, n. 307 e n. 308, tutte del 1 ottobre 1977 -, non puo' e non deve subire alcun affievolimento per il solo fatto che le valutazioni pregiudicanti provengano da diverso procedimento e persino da procedimento extrapenale. Viene ricordato nella memoria difensiva come le tre pronunce della Consulta sopra menzionate abbiano individuato, a tutela del principio del giusto processo in relazione alla imparzialita' del giudice quale persona fisica, un duplice sistema normativo composto di due istituti: quello delle incompatibilita', determinata da atti compiuti nel medesimo procedimento (art. 34 c.p.p.), e quello dell'astensione (art. 36 c.p.p.) e della ricusazione (art. 37 c.p.p.), cui deve necessariamente farsi riferimento in tutti quei casi in cui l'atto o la valutazione "pregiudicante" provenga da diverso procedimento. Da tale univoco insegnamento delle citate sentenze emergerebbe dunque chiaro un indirizzo: quando la "fonte di prevenzione" scaturisca non dal medesimo procedimento, ma da procedimento diverso da quello in cui lo stesso giudice e' chiamato alla nuova valutazione, non significa affatto che per cio' solo la sua imparzialita' non risulti o non appaia violata, ma significa semplicemente che per la tutela della stessa non e' possibile invocare il sistema di incompatibilita' (art. 34 c.p.p.) ed occorre, invece, fare riferimento agli istituti dell'astensione e della ricusazione. E secondo la difesa - che afferma di ricollegarsi alla ripartizione dei casi di astensione e ricusazione individuata dalla stessa Corte costituzionale nella sentenza n. 308/97 al punto 6.2 - poiche' l'unico caso in cui l'astensione, e per relationem la ricusazione, puo' derivare (come nel caso di specie) da un pregresso convincimento espresso legittimamente dal giudice e' quello di cui all'art. 36, lett. c) c.p.p., e' appunto sotto tale profilo che, ai sensi dell'art. 37, comma 1, lett. a) c.p.p. che espressamente richiama anche la lett. c) del precedente articolo, viene avanzata la dichiarazione di ricusazione nei confronti dei componenti del collegio giudicante, per avere ciascuno di essi fatto parte di uno o piu' dei collegi che, in sede di decisione su gravame contro provvedimenti in materia di misure di prevenzione, ebbero a pronunziarsi in precedenza sui fatti oggetto delle imputazioni nel presente processo. 5.1. - In via di subordine, qualora questa Corte ritenga che, pur sussistendo nel caso di specie violazione del principio del giusto processo e della garanzia di imparzialita' del giudice, l'ipotesi in questione non sia comunque prevista e riconducibile al caso tipizzato dall'art. 36, comma 1, lett. c) c.p.p., i medesimi difensori dichiarano, come gia' sopra si e' detto, di volere proporre eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 37 c.p.p. in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto tale norma non prevede, neppure per il tramite del riferimento all'art. 36 c.p.p., che costituisca causa di ricusazione il fatto che il giudice abbia gia' manifestato il suo parere sull'oggetto del procedimento nell'esercizio di funzioni giudiziarie nel corso di un diverso procedimento. Ed a tale fine richiamano, quanto alla violazione dell'art. 24 Cost., i rilievi gia' svolti per sostenere la dichiarazione di ricusazione, nonche' tutti gli argomenti contenuti nelle citate sentenze della Corte costituzionale. Quanto alla violazione dell'art. 3 Cost., viene evidenziato nella memoria difensiva come, una volta stabilito che il principio del giusto processo, sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice, subisce una lesione tutte le volte che la valutazione ad esso demandata su di un determinato oggetto sia preceduta da altra valutazione da lui resa sulla stessa materia e che cio' e' conseguenza della naturale ed umana "forza di prevenzione", sarebbe contrario al principio di uguaglianza negare all'imputato la facolta' di ricusare il giudice che tali valutazioni di merito abbia espresso legittimamente in un diverso procedimento, mentre tale possibilita' gli viene riconosciuta nei confronti del giudice che abbia manifestato il proprio parere di merito nel medesimo procedimento o addirittura da privato. D'altro canto, evidenzia ancora la difesa, la prospettazione dell'eccezione di incostituzionalita' in esame altro non costituisce se non l'accoglimento dell'implicito invito finale, contenuto in tutte e tre le richiamate sentenze della Corte costituzionale (nn. 306, 307 e 308/97), all'eventuale richiesta di successivo intervento della Corte stessa per la piena attuazione del principio di garanzia in parola. 6. - Questo collegio ritiene inammissibile, in quanto proposta al di fuori dei casi tassativamente previsti dall'art. 37 c.p.p., la dichiarazione di ricusazione degli imputati e dei loro difensori avverso tutti i componenti del collegio giudicante nel procedimento in esame e ritiene, invece, rilevante e non manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., della norma sopra indicata per la mancata previsione dell'ipotesi in esame, cosi' come sostenuto dai difensori. Va quindi sospeso il giudizio in corso e gli atti debbono essere trasmessi alla Corte costituzionale per la decisione della questione. 7. - Il primo problema da affontare, al fine di pervenire alle conclusioni che si sono appena sopra anticipate, e' quello di merito circa la sussistenza o meno, nel caso di specie della situazione di fatto su cui gli imputati ed i loro difensori hanno fondato la dichiarazione di ricusazione dell'intero collegio chiamato a giudicarli in sede di giudizio d'appello: l'avere, cioe', tutti i componenti di tale collegio gia' manifestato, nei sopra ricordati procedimenti in materia di misure di prevenzione, il proprio convincimento con riguardo ai fatti attualmente sottoposti alla loro valutazione nel processo penale nei confronti degli imputati ricusanti e l'avere anticipato, in tale modo, il giudizio con riferimento a tali imputati, si' che ne possa essere o, comunque, apparire in concreto pregiudicata l'imparzialita' e, sotto tale profilo, ne derivi un possibile pregiudizio al principio del giusto processo. 7.1. - Una premessa e' peraltro ancora necessaria sul piano teorico. Quella secondo cui non pare a questo collegio che la piu' volte affermata e ribadita autonomia del procedimento di prevenzione rispetto a quello penale debba di per se' comportare l'assoluta impossibilita' di ipotizzare, in concreto, una situazione come quella prospettata in questa sede dagli imputati e dai loro difensori: una situazione, cioe', nella quale legittimamente il giudice della prevenzione abbia comunque anticipato il proprio convincimento su cio' che e' destinato a formare oggetto della sua successiva valutazione quale giudice del processo penale concernente, almeno in parte e sia pure per altri scopi, i medesimi fatti e gli stessi soggetti di cui egli gia' si era dovuto occupare in occasione del procedimento per l'applicazione di misure di prevenzione. Non sembra, in particolare, che ad escludere in modo assoluto tale possibilita', sul piano di fatto, valga la certamente esatta e condivisibile affermazione in diritto, ancora recentemente confermata in sede di giurisprudenza di legittimita', secondo cui "tra il procedimento di prevenzione e quello penale sussiste piena autonomia e diversita' assoluta di scopo, sicche' elementi probatori idonei ad essere utilizzati nel primo non possono avere alcuna valenza nel secondo, dal momento che il procedimento penale ha lo scopo di verificare se sussista responsabilita' penale in ordine a una determinata imputazione, mentre quello di prevenzione comporta una valutazione, a carattere essenzialmente sintomatico, circa la pericolosita' sociale del proposto, che si fonda su indizi di qualsiasi specie idonei a sorreggere il convincimento del giudice" (cosi', da ultimo, Cass. sez. VI, 29 gennaio 1998 - 5 marzo 1998, n. 326, Iamonte ed altro; ed analogamente, sulla autonomia fra i due procedimenti, fra le molte cfr. id. sez. I, 20 novembre 1997 - 28 gennaio 1998, n. 6521, Perreca; id. sez. II, 19 dicembre 1996, Di Muro; id. ss.uu., 3 luglio 1996, Simonelli: sez. I, 25 giugno 1996, Giocondo; id. sez. II, 15 gennaio 1996, Anzelmo; id. sez. I, 3 novembre 1995, Repaci; id. sez. I, 20 marzo 1995, Cervino; id. sez. I, 11 aprile 1994, Musumeci). La decisione di cui sopra si e' riportata la massima e gran parte delle altre pronunce del S.C., infatti, hanno correttamente escluso, in base al principio sopra affermato, che sia possibile sostenere l'esistenza di una ipotesi di incompatibilita', ai sensi dell'art. 34 c.p.p., del giudice di un processo penale che abbia in precedenza fatto parte di un collegio che, nell'ambito di un procedimento di prevenzione, si sia dovuto occupare delle medesime vicende poi sottoposte alla sua valutazione in sede penale. E tali pronunce appaiono, seppure motivate secondo un procedimento logico differente e sotto certi aspetti inverso rispetto a quello dei giudici della Consulta, perfettamente in linea con l'insegnamento contenuto nelle gia' ricordate sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997 della Corte costituzionale. Con tali sentenze, infatti, distinguendo l'istituto della incompatibilita' da quelli dell'astensione e della ricusazione, sebbene finalizzati tutti a garantire il giusto processo sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice, il giudice costituzionale ha evidenziato come tra essi esista una "differenza categoriale". E, in estrema-sintesi, si puo' qui ricordare come, secondo la distinzione operata dalla Corte, l'incompatibilita' opera in astratto ed e' determinata dal solo fatto di avere svolto determinate attivita' nel corso del medesimo procedimento penale, sicche' le cause che potrebbero provocarla sono tali da potere essere evitate preventivamente attraverso idonei atti di organizzazione dello svolgimento del processo e, quando tali atti non siano stati posti in essere, si trasformano in motivi di astensione ai sensi dell'art. 36 comma 1, lett. g) c.p.p. o di ricusazione ex art. 37, comma 1, lett. a) c.p.p. Invece, le cause di astensione e ricusazione (diverse da quelle appena menzionate) si collocano su un piano diverso: esse non operano in astratto, ma in concreto e non hanno strutturalmente a che vedere con l'articolazione del processo, ma si fondano su comportamenti del giudice che, siano essi tenuti entro o fuori del processo stesso, per il loro concreto contenuto sono tali da poter fare ritenere sussistente un pregiudizio in capo al medesimo rispetto alla causa da decidere. Conseguenza della distinzione operata dalla Consulta e' che, mentre appare pacifico che non potrebbe neppure porsi, sul piano teorico - essendosi al di fuori dell'ipotesi di attivita' compiute all'interno del medesimo procedimento e tenuto anche conto delle differenze, quanto a presupposti e finalita', che separano il procedimento penale da quello di prevenzione -, un problema di incompatibilita' con riferimento ad un giudice che sia stato chiamato a partecipare al procedimento penale ed a quello di prevenzione relativi ad una medesima vicenda, lo stesso non sembra possa dirsi, invece, ove la posizione e l'imparzialita' di quel giudice debbano essere valutate in concreto, con riferimento alla sussistenza di una possibile causa di astensione o di ricusazione del medesimo, per avere - in concreto appunto e, quindi, con valutazione da farsi caso per caso - espresso il proprio convincimento nell'ambito del procedimento di prevenzione, mentre si occupava dei medesimi fatti e degli stessi soggetti successivamente sottoposti al suo giudizio in sede penale. Cio' comporta quindi che, ove venga prospettata dalle parti interessate, come e' accaduto nel caso di specie, una causa di ricusazione del giudice chiamato ad esaminare la posizione delle stesse nel processo penale a loro carico, in conseguenza dell'attivita' dal medesimo giudice svolta in un precedente procedimento di prevenzione, pur non potendosi prescindere nel compiere tale valutazione dal considerare l'autonomia che vi e' sul piano teorico tra i due tipi di procedimento e le differenze che li separano quanto a presupposti e finalita', non ci si possa tuttavia sottrarre alla verifica se, in concreto, il giudice ricusato abbia nel procedimento di prevenzione manifestato il proprio convincimento sull'oggetto del successivo processo penale, si' che ne possa apparire pregiudicata l'imparzialita' nei confronti degli imputati ricusanti, per poi procedere, in caso affermativo, all'ulteriore accertamento se tale situazione sia o meno riconducibile sotto taluna delle ipotesi previste dalle norme che regolano gli istituti della astensione e della ricusazione. 7.2. - Ai fini della prima verifica da compiere appare opportuno rifarsi all'elaborazione giurisprudenziale conseguente alla sentenza costituzionale n. 371 del 1996. Infatti, sebbene con tale pronuncia la Corte abbia inserito una nuova causa di incompatibilita' e non, quindi, "solamente" di astensione o ricusazione, cio' ha fatto introducendo una eccezione ("apparente", come viene precisato nelle ricordate sentenze nn. 306, 307 e 308 del 1997) al principio secondo cui l'incompatibilita' opera solo all'interno del medesimo procedimento, in quanto ha previsto quale causa di incompatibilita' proprio un'ipotesi in cui il giudice, in altro processo e con sentenza, abbia valutato la posizione di un soggetto relativamente ad un fatto poi sottoposto al suo giudizio. Ed invero, proprio le precisazioni fornite dalla stessa Corte costituzionale circa l'ambito di operativita' di tale pronuncia, nonche' l'interpretazione data della portata della stessa dalla giurisprudenza di legittimita' pare che forniscano le corrette linee direttrici entro le quali e' opportuno valutare, caso per caso, se un giudice abbia o meno manifestato il proprio convincimento nei confronti di un determinato fatto integrante estremi di reato di un soggetto che ne sarebbe responsabile, si' che possa apparire pregiudicata la sua imparzialita' e messo quindi in pericolo il principio del giusto processo. Al riguardo e sulla base di tale elaborazione giurisprudenziale, puo' ritenersi assodato che, al fine sopra indicato, occorre ovviamente che oggetto della precedente valutazione sia lo stesso fatto storico e che essa sia riferita al soggetto che dovra' poi essere giudicato. Inoltre, pur dovendo tale valutazione, secondo una recente decisione della Corte di cassazione, condurre ad una precisa ascrivibilita' del fatto a quel soggetto, tanto sotto l'aspetto materiale quanto sotto quello psicologico, non si richiede tuttavia che cio' avvenga necessariamente in forma diretta ed approfondita, mediante la prospettazione e l'esame di tutti gli elementi di prova a carico del medesimo, ma e' sufficiente che avvenga anche attraverso "una delibazione di merito in via incidentale sia pure in modo superficiale e sommario" (cosi' Cass. sez. VI, 14 maggio-11 giugno 1998, Cerciello, in Gazz. giur. Giuffre' Italia Oggi, n. 30/98, p. 58). E con la medesima pronuncia si e' altresi' precisato che la rapportabilita' di tale valutazione alla posizione dell'estraneo puo' avvenire "esplicitamente o implicitamente" e si sono delimitati i contorni entro i quali puo' essere desunta, in assenza di ulteriori indicazioni relative al soggetto estraneo, una valutazione implicita della sua condotta con riferimento ai fatti descritti in imputazione. 7.3. - Cosi' individuati i criteri alla luce dei quali va condotto l'accertamento, si puo osservare che se talune delle espressioni contenute nei due decreti menzionati dai ricusanti, e che si sono sopra ricordate, sembrano costituire semplici richiami a quanto era stato scritto dal tribunale e non risultava sottoposto a specifiche censure da parte dei ricorrenti, sicche' potrebbe anche apparire dubbia l'esistenza di una situazione di vero e proprio pregiudizio da parte di chi fece uso di tali espressioni, non ci si puo' peraltro nascondere che altre, invece, nelle quali sono contenuti giudizi che la Corte dichiara espressamente di fare propri, ponendoli inoltre a fondamento della propria decisione sia pure relativa ad altri soggetti, proprio perche' attengono specificamente ai fatti oggetto delle imputazioni su cui si e' pronunciato il g.i.p. in primo grado con la sopra ricordata sentenza, nonche' alle condotte che sarebbero state tenute in occasione di quei fatti da taluni degli attuali imputati appellanti o contro i quali e' stato proposto appello dal pubblico ministero, costituiscano la manifestazione di un convincimento gia' espresso, sia pure in forma alquanto generica e sommaria, ma con riferimento comunque agli elementi essenziali di quei fatti integranti reato e del relativo giudizio di responsabilita' nei confronti dei soggetti imputati di averli commessi, da parte di coloro che sono ora chiamati a giudicarli in sede di appello. Quanto si e' appena sostenuto trova conforto anche nel conforme parere espresso in questa sede dal procuratore generale e non pare, d'altronde, che possa assumere particolare rilievo la circostanza che non tutti i nomi degli attuali imputati risultino indicati nelle motivazioni dei decreti di cui si discute, posto che comunque, per alcuni di essi (come Gibello Alessandro, Dezzani Livio o Jacob Romano), il riferimento alle condotte integranti gli estremi dei reati contestati nei capi di imputazione del processo penale e' esplicito e che, d'altro canto, per altri, tale riferimento discende implicitamente dalla posizione che essi rivestivano nell'ambito dell'ente pubblico territoriale o della societa' immobiliare coinvolti nella vicenda, la quale e' stata valutata e ritenuta caratterizzata da quelle condotte criminose oggetto di specifiche imputazioni in sede penale, nell'ambito nei procedimenti di prevenzione decisi da collegi di cui facevano parte i giudici ora ricusati. Sarebbe d'altronde sufficiente che fosse stata espressa anche in uno solo dei decreti in esame, e quindi da almeno due dei giudici chiamati oggi a comporre il collegio ricusato, una valutazione di merito nei confronti anche di uno solo degli attuali imputati, con riferimento ai fatti ascritti a suo carico, perche' possa ritenersi sussistente, relativamente a quei giudici ed a quell'imputato, la situazione di fatto su cui e' stata fondata la dichiarazione di ricusazione formulata da quest'ultimo e dal suo difensore e si renda, percio', necessario passare all'esame delle osservazioni prospettate in diritto e, in primo luogo, alla verifica se l'ipotesi in esame rientri fra le cause di astensione o ricusazione previste dal codice di rito. 8. - Ritenuto, pertanto, alla luce delle considerazioni svolte nel precedente paragrafo che effettivamente tutti i giudici componenti il collegio ricusato, in quanto facenti parte dell'uno o dell'altro ovvero di entrambi i collegi che emisero i decreti nei procedimenti di prevenzione sopra ricordati, gia' si sono incidentalmente pronunciati sulla posizione degli odierni appellanti in relazione ai fatti ai medesimi attribuiti in imputazione, occorre ora domandarsi se tale manifestazione del proprio convincimento possa o meno integrare l'ipotesi di ricusazione invocata dagli stessi imputati e dai loro difensori o, comunque, una qualsiasi delle altre ipotesi previste dal legislatore quali cause di ricusazione del giudice. 8.1. - Va premesso che correttamente e' gia' stata respinta dal presidente di questa Corte d'appello la dichiarazione di astensione che era stata presentata, in base alle medesime ragioni, il 19 ottobre 1998 da altro collegio sotto il profilo di una asserita situazione di incompatibilita' ai sensi dell'art. 36, comma 1, lett. g), con riferimento all'art. 34 c.p.p., sulla base dell'assorbente rilievo che, dal momento che quei giudici si erano pronunciati in procedimenti diversi da quello in cui erano chiamati a giudicare in sede di appello, si era "fuori dal modello di incompatibilita' delineato dall'art. 34 c.p.p. alla luce delle pronunce della Corte costituzionale nn. 306, 307, 308/1997". Si puo' solamente aggiungere, in questa sede, che neppure alla luce della gia' ricordata sentenza n. 371 del 1996 potrebbe sostenersi nel caso di specie, e con riguardo all'attuale collegio giudicante, l'esistenza di una situazione di incompatibilita' rilevante ex art 36, comma 1, lett. g) c.p.p. e tale, quindi, da giustificare una eventuale dichiarazione di ricusazione ai sensi dell'art. 37, primo comma, lett. a) c.p.p., dal momento che le valutazioni espresse incidentalmente, nei confronti degli attuali appellanti e dei fatti agli stessi attribuiti, dai componenti del collegio chiamato oggi a giudicarli a seguito delle impugnazioni dagli stessi o contro di essi proposte non erano, comunque, contenute in una sentenza, bensi' in un provvedimento avente natura di decreto. 8.2. - Neppure, com'e' ovvio, potrebbe farsi riferimento nel caso di specie, per affermare l'esistenza di un dovere di astensione e giustificare una conseguente dichiarazione di ricusazione, alle cause previste nel primo comma dell'art. 36 c.p.p. alle lett. a), b), d), e) e f) e, per relationem, nel primo comma, lett. a) dell'art. 37 c.p.p., trattandosi di ipotesi assolutamente diverse, nelle quali il dovere di astensione ed il correlativo diritto della parte di ricusazione del giudice discendono non gia' dalla manifestazione di un convincimento da parte del medesimo, ma dall'esistenza di un suo possibile interesse nel procedimento. 8.3. - Del pari inipotizzabile appare nel caso in esame, secondo la stessa difesa, una dichiarazione di ricusazione che si fondi sulla causa di cui alla lett. b) del primo comma dell'art. 37 c.p.p., dal momento che presupposto per l'esercizio del diritto di ricusazione e', ai sensi della disposizione in esame, che la manifestazione del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione sia effetto di una condotta "indebita" del giudice, la quale sia stata posta in essere nell'esercizio delle proprie funzioni e prima che su quei fatti sia stata pronunciata sentenza. Invece i giudici oggi ricusati dagli imputati, formulando in occasione della decisione sui ricorsi in materia di misure di prevenzione relative ad altri soggetti le valutazioni di merito che si sono sopra ricordate, con riguardo ai fatti costituenti oggetto del procedimento successivamente ad essi assegnato a seguito delle impugnazioni proposte da e contro quegli imputati, non puo' certo ritenersi che abbiano agito "indebitamente", potendo comunque apparire opportuna anche in quella sede una globale valutazione della vicenda sottoposta al loro giudizio, ivi compresi i fatti sopra menzionati, sia pure ai limitati fini della decisione in materia di misure di prevenzione che era in quel contesto a loro richiesta. 8.4. - Ed infine, non sembra adattarsi al caso di specie neppure l'ipotesi su cui i ricusanti, con il parere favorevole del procuratore generale, hanno fondato la loro richiesta, attraverso il richiamo alla causa di astensione di cui all'art. 36, lett. c) c.p.p. ed alla conseguente possibilita' di ricusazione ai sensi dell'art. 37, lett. a) c.p.p. E' vero, infatti, come si sostiene nella memoria difensiva, che quello previsto dal combinato disposto delle norme indicate e' l'unico caso in cui l'obbligo di astensione ed il correlativo diritto della parte di ricusazione possono derivare da un pregresso convincimento espresso legittimamente dal giudice. Ma e' altresi' vero che il tenore letterale della norma invocata dalla difesa e le caratteristiche degli istituti in esame, che non pare possano consentire interpretazioni estensive od analogiche a causa del loro carattere eccezionale, sembrano escludere che possa farsi rientrare fra le ipotesi di cui al primo comma, lett. c) dell'art. 36 c.p.p., che appunto prevede il caso in cui il giudice abbia dato consigli o manifestato il proprio parere sull'oggetto del procedimento "fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie", un caso come quello in esame, nel quale il giudice invece, proprio nell'esercizio di tali funzioni e sia pure nell'ambito di un procedimento diverso anche quanto agli scopi con esso perseguiti, abbia espresso il proprio convincimento sui fatti che dovranno successivamente formare oggetto della sua valutazione in un processo penale a lui assegnato. D'altro canto, l'interpretazione restrittiva che qui si accoglie sembra trovare un ulteriore argomento di sostegno, sempre sul piano letterale e sistematico, nel rilievo che, come sopra si e' ricordato, il legislatore ha espressamente previsto, quale causa di ricusazione del giudice (nella gia' ricordata lett. b) del primo comma dell'art. 37 c.p.p.), la manifestazione da parte del medesimo del proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione che si sia verificata "nell'esercizio delle funzioni" solo nell'ipotesi in cui cio' avvenga "indebitamente", cosi' implicitamente escludendo che, ove tale manifestazione avvenga invece legittimamente, nell'ambito di funzioni svolte nello stesso ovvero anche in altro procedimento, la stessa possa comunque giustificare una dichiarazione di ricusazione. Anche ammesso quindi che, a fronte di quanto e' dato desumere in via interpretativa dal combinato disposto delle due norme in esame, si possa sostenere che l'avere il giudice, nell'esercizio delle proprie funzioni, manifestato legittimamente il proprio convincimento sull'oggetto del procedimento possa costituire causa di astensione del medesimo, tale possibilita' deriverebbe non gia' dalla previsione di cui alla lett. c), ma al piu' dalla norma residuale di cui alla lett. h) del primo comma dell'art. 36 c.p.p., quale ipotesi in cui potrebbe ritenersi ricorrere una "grave ragione di convenienza" per il giudice di astenersi. Il che, ovviamente, comporta che, non essendo richiamata, per evidenti ragioni, tale residuale ipotesi di astensione, prevista dalla lett. h) dell'art. 36 c.p.p., dal successivo art. 37 c.p.p. e non potendo, quindi, tale situazione essere fatta valere dalla parte interessata quale causa di ricusazione, dovrebbe essere comunque rigettata perche' inammissibile anche sotto tale profilo la dichiarazione di ricusazione presentata dagli imputati contro il collegio chiamato a giudicarli. 8.5. - A conclusione di quanto sin qui si e' detto, confrontando il caso di specie con le ipotesi astrattamente previste dal legislatore quali cause di astensione e, per quanto in particolare interessa in questa sede, quali cause di ricusazione del giudice, ritiene pertanto questo collegio che debba escludersi che la situazione in cui versano i giudici ricusati sia riconducibile ad uno dei casi previsti dal combinato disposto degli artt. 37 e 36 c.p.p., sicche' dovrebbe essere rigettata perche' inammissibile la dichiarazione di ricusazione in esame. 9. - Tale conclusione impone, peraltro, che ci si faccia carico della eccezione di illegittimita' costituzionale proposta in via subordinata dagli imputati e dai loro difensori, dal momento che la stessa e' stata sollevata proprio sul presupposto che questa Corte ritenesse non rientrare nella previsione dell'art. 37 c.p.p., quale causa di ricusazione, un'ipotesi come quella in esame, in cui il giudice abbia manifestato legittimamente il proprio parere sull'oggetto del processo nell'esercizio di funzioni giudiziarie nel corso di un diverso procedimento. 10. - La rilevanza della questione appare del resto evidente, alla luce di tutto quanto sin qui si e' detto. Infatti se la stessa, ove ritenuta non manifestamente infondata da questo giudice, venisse poi accolta dalla Corte costituzionale, il conseguente ampliamento delle ipotesi di ricusazione non potrebbe non produrre effetti diretti ed immediati sull'esito della presente procedura, dal momento che, come gia' si e' detto, sussistono nel caso di specie i presupposti di fatto per ritenere compromessa l'imparzialita' del collegio giudicante, per avere tutti i suoi componenti gia' manifestato il proprio convincimento sui fatti oggetto delle imputazioni sottoposte ora al loro giudizio in sede di appello. Sarebbe percio' sicura la riconducibilita' di tale concreta fattispecie fra quelle atte a giustificare l'accoglimento della dichiarazione di ricusazione, ove venisse ampliato il contenuto della norma di cui all'art. 37 c.p.p. nel senso indicato nella memoria difensiva, in conseguenza di una eventuale declaratoria di incostituzionalita' di tale norma da parte della Corte costituzionale, e ne conseguirebbe, quindi, una decisione opposta rispetto a quella che al momento impone, ad avviso di questo collegio, l'attuale formulazione della norma che, proprio per tale ragione, e' stata impugnata come costituzionalmente illegittima. 11. - Passando all'esame del profilo concernente la non manifesta infondatezza dell'eccezione di incostituzionalita' proposta dagli imputati e dai loro difensori, si puo' osservare come, a tale riguardo, particolarmente illuminanti siano le sentenze della Corte costituzionale nn. 306, 307 e 308 del 1997, richiamate nella memoria difensiva ed alle motivazioni delle quali - unitamente a quella della successiva sentenza n. 351 del 1997 della stessa Corte - anche questo collegio ritiene opportuno operare un integrale rinvio. 11.1. - Con tali pronunce infatti, dopo aver chiarito ormai definitivamente - come gia' sopra si e' ricordato - il diverso ambito di applicazione degli istituti della incompatibilita', da un lato, e dell'astensione e della ricusazione, dall'altro, sebbene gli stessi siano accomunati dall'identica esigenza di garantire il principio del giusto processo sotto il profilo dell'imparzialita' del giudice e sebbene anche le ipotesi di incompatibilita' possano e debbano essere fatte valere quali cause di astensione e ricusazione, i giudici della Consulta sembrano volere indirizzare, attraverso quanto e' stato scritto nella motivazione di ciascuna delle sentenze sopra richiamate, due inviti ai giudici rimettenti e ad ogni altro giudice che si trovi a dovere affrontare questioni analoghe a quelle esaminate in quelle occasioni dalla Corte. Il primo e' che venga abbandonata, in ipotesi analoghe a quella ora in esame, nelle quali il parere del giudice sia stato manifestato in un diverso procedimento, la via fino a quel momento percorsa dell'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 34 c.p.p. Il secondo e' che venga invece seguita altra via: quella, cioe', di verificare se la fattispecie, nella quale a causa del convincimento espresso in altro procedimento vi sia ragione per dubitare dell'imparzialita' del giudice e, quindi, del rispetto del principio del giusto processo, possa ritenersi ricompresa fra le ipotesi di astensione e ricusazione previste dal codice di rito e, in caso contrario, di sottoporre le relative norme al vaglio di costituzionalita'. Si possono in proposito qui ricordare i passi piu' significativi delle motivazioni delle sentenze sopra richiamate, nelle quali, dopo avere dichiarato inammissibili tutte le questioni sottoposte al proprio vaglio dai giudici rimettenti, in quanto prospettate con riferimento alla norma dell'art. 34 c.p.p. in situazioni nelle quali le manifestazioni di pre-giudizio si erano verificate in procedimenti diversi e non, quindi, nell'ambito del medesimo processo - che e' quello in cui possono esclusivamente operare le cause di incompatibilita' (salva l'eccezione "apparente" di cui alla gia' ricordata sentenza n. 371 del 1996 della Corte costituzionale) -, i giudici della Consulta hanno affermato, con riferimento a tali situazioni e, ovviamente, a quelle ad esse simili: "qualora una situazione carente dal punto di vista dell'imparzialita' non potesse trovare soluzione alla stregua degli artt. 36 e 37 c.p.p., quali attualmente vigenti, potrebbe aprirsi la via per un'ulteriore, ma diversamente impostata questione di legittimita' costituzionale" (sentenza n. 306 del 1997); "cio' non vuol dire che il principio del giusto processo sia destinato a restare inappagato di fronte a situazioni come quella nella quale si trova il giudice remittente. Vuol dire solo che lo strumento di tutela non puo' che essere ricercato nell'area degli istituti della astensione e ricusazione, anch'essi preordinati alla salvaguardia della terzieta' del giudice. Ed e' guardando a quest'area ed alle potenzialita' interpretative che essa esprime, che il giudice ..., eventualmente anche richiedendo un successivo intervento di questa Corte, dovra' dare attuazione al principio costituzionale ..." (sentenza n. 307 del 1997); "emerge, peraltro, una situazione di fatto che potrebbe determinare un pregiudizio per l'imparzialita' del giudice chiamato a decidere in sede penale sulla responsabilita' dell'imputato. Spettera' al giudice rimettente valutare se nella specie il dedotto pregiudizio sia riconducibile ad alcuna delle ipotesi di astensione o ricusazione gia' previste dall'ordinamento, o se invece le esigenze di tutela del valore dell'imparzialita' postulino un intervento di questa Corte sulla disciplina di tali istituti, al fine di garantire comunque la tutela del giusto processo" (sentenza n. 308 del 1998); "spettera' all'autorita' giudiziaria accertare se esiste una situazione di pregiudizio per l'imparzialita' del giudice riconducibile ad alcuna delle ipotesi di astensione o ricusazione gia' previste dall'ordinamento, ovvero se la tutela del principio di imparzialita' possa essere assicurata solo mediante un intervento di questa Corte sull'art. 36 c.p.p., tale da garantire comunque l'irrinunciabile esigenza che la funzione di giudizio sia esercitata da un giudice terzo e imparziale" (sentenza n. 351 del 1997). 11.2. - D'altro canto, formulando il secondo invito sopra ricordato e, soprattutto, con l'affermazione ad esso sottostante e ribadita in tutte le motivazioni qui richiamate, secondo cui e' identico, e ad essi comune, il fondamento degli istituti della incompatibilita', da un lato, e della astensione e ricusazione, dall'altro, in quanto entrambi sono finalizzati a garantire la terzieta' del giudice e, sotto tale profilo, il giusto processo e sono differenziati da mere ragioni d'ordine sistematico e strutturale, la Corte costituzionale sembra avere ormai abbandonato definitivamente il precedente orientamento, formatosi sotto la vigenza del codice di rito del 1930. Non sembra infatti piu' possibile, senza che ne risulti violato il diritto di ogni imputato a vedere valutata la propria posizione da un giudice imparziale ed all'interno di un giusto processo, una volta ritenuta ineludibile l'esigenza di garantire l'esercizio di tale diritto attraverso il ricorso, sulla base di mere ragioni d'ordine pratico e strutturale, ora all'uno ora agli altri istituti sopra ricordati, consentire poi che restino affidate in qualche modo all'arbitrio dello stesso giudice procedente la valutazione e la decisione circa la necessita' di astenersi, in tutte quelle ipotesi in cui la sua imparzialita' potrebbe apparire pregiudicata dall'opinione gia' espressa sull'oggetto del processo a lui affidato. E sarebbe, d'altra parte, irragionevole e ingiustificatamente discriminante una scelta del legislatore che finisca per adottare una simile soluzione solamente per talune di dette ipotesi, omettendo quindi di prevedere le stesse, cosi' come e' stato invece fatto per tutte le altre ad esse sostanzialmente analoghe, quali possibili cause di ricusazione. Cio' non significa, ovviamente, che debba necessariamente esservi una piena corrispondenza fra i due istituti dell'astensione e della ricusazione ed esservi, in particolare, una totale sovrapponibilita' delle ipotesi dagli stessi previste, dal momento che appare invece necessaria una regolamentazione piu' ampia dell'istituto della astensione rispetto a quello della ricusazione, si da consentire il ricorso al primo anche in ipotesi in cui la sostituzione del giudice cui e' stato affidato il processo sia solamente opportuna (ad esempio nell'interesse dello stesso giudice), ma non resa necessaria da un apprezzabile ragione di sospetto circa la sua terzieta'. Quando, peraltro, quella di astenersi si configura non gia' come una scelta dettata da ragioni di opportunita', ma come un vero e proprio obbligo per il giudice, in quanto cio' che viene messo in discussione e' la sua imparzialita' in conseguenza di un convincimento gia' espresso sui fatti di causa e, quindi, il rispetto del principio del giusto processo costituzionalmente garantito, occorre che vi sia invece piena coincidenza fra i due istituti - quello dell'astensione e quello della ricusazione -, onde non porre ingiustificati ed irragionevoli limiti alla possibilita' per l'imputato di fare valere, appunto, il proprio diritto ad essere giudicato da un giudice terzo, nell'ambito di un giusto processo. Occorre cioe', come in dottrina si e' affermato, "che al catalogo dei ''doveri di imparzialita''', i quali sostanziano il substrato del congegno dell'astensione, corrisponda ... un compiuto catalogo di ''diritti all'imparzialita''', che garantisca alle parti un esaustivo esercizio dell'iniziativa di ricusazione del iudex suspectus". Puo' dunque, come sopra si e' detto, ritenersi ormai superato dalle decisioni costituzionali sopra ricordate l'orientamento (v. sentenza n. 210 del 1976 della Corte costituzionale) che, vigente il precedente codice di rito, in una ipotesi nella quale non era previsto il potere dell'imputato di ricusare il giudice che pure poteva apparire sospetto sotto il profilo della terzieta' a causa dell'opinione gia' precedentemente espressa, aveva tuttavia ritenuto che potesse costituire sufficiente garanzia per l'imputato il potere-dovere di astensione dello stesso giudice, qualora il medesimo non fosse certo della propria soggettiva liberta' nel determinarsi a causa delle proprie precedenti decisioni, sulla base dell'ampia dizione dell'art. 63 c.p.p. 1930: norma che, individuando quale causa residuale di astensione quella costituita da "gravi ragioni di convenienza per astenersi non annoverate alla legge tra i motivi di ricusazione", appare sostanzialmente identica al disposto della lett. h) del primo comma dell'art. 36 c.p.p. che, per l'appunto, non e' richiamato dall'articolo successivo che elenca i possibili motivi di ricusazione. 11.3. - Passando, quindi, alla valutazione del caso concreto sottoposto a questo collegio, si osserva come esso ben si inquadri in quanto sin qui si e' detto sul piano teorico e debba, pertanto, essere risolto alla luce delle considerazioni di carattere generale fin qui svolte. L'ipotesi in esame, infatti, per le ragioni che sopra gia' si sono esposte, non sembra possa farsi rientrare sotto alcuna delle cause di ricusazione tassativamente previste dall'art. 37 c.p.p., pur potendo astrattamente valere quale causa di astensione, ai sensi dell'art. 36, primo comma, lett. h) c.p.p. D'altro canto nel caso di specie sussiste, come gia' si e' detto, una situazione di possibile pregiudizio al principio del giusto processo, in quanto tutti i componenti del collegio giudicante potrebbero apparire condizionati dalle precedenti valutazioni che essi hanno legittimamente espresso, nei confronti dei fatti oggetto del processo e degli attuali imputati, in occasione della loro partecipazione ad altri collegi che ebbero a pronunciarsi, in differenti procedimenti in materia di applicazione di misure di prevenzione. Non essendosi gli stessi astenuti e non potendo valere nei loro confronti la dichiarazione di ricusazione proposta dagli imputati interessati si verifica, pertanto, in forza della lacuna contenuta nell'art. 37 c.p.p. e non colmabile in via interpretativa, un'indebita compressione del diritto di difesa di questi ultimi e, quindi, una violazione della norma costituzionale contenuta nel secondo comma dell'art. 24 Cost., secondo l'ampia definizione che del diritto in essa sancito e' stata fatta propria dalla stessa Corte costituzionale, individuandolo anzitutto quale diritto ad avere un processo giusto, da parte di un giudice terzo ed imparziale. D'altra parte, l'omessa previsione quale causa di ricusazione dell'ipotesi in esame, cosi' come di ogni altra ipotesi in cui il giudice sia stato chiamato a manifestare il proprio convincimento sui fatti oggetto dell'imputazione nell'esercizio delle proprie funzioni nel corso di un diverso procedimento, finisce per penalizzare l'imputato di quei fatti che di cio' intenda dolersi sotto il profilo del possibile pregiudizio arrecato all'imparzialita' di colui che e' chiamato a giudicarlo nel processo penale, trovandosi tale soggetto sfornito di strumenti propulsivi idonei ad ottenere la sostituzione di quel giudice "sospetto". Cio' integra, in violazione del principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., una ingiustificata ed irragionevole disparita' di trattamento rispetto all'imputato nei cui confronti il giudice abbia manifestato, con riferimento ai fatti oggetto dell'imputazione, il proprio parere come privato ovvero cio' abbia fatto, indebitamente, nell'esercizio delle proprie funzioni. Ed in tale senso, del resto, sembra essersi gia' incidentalmente espressa la stessa Corte costituzionale nella motivazione della sentenza n. 308 del 1997. In essa, infatti, dopo l'osservazione secondo cui sono oggettivamente identiche le ragioni del pregiudizio nel caso in cui il giudice abbia manifestato il proprio convincimento come privato ed in quello in cui il convincimento sia stato manifestato indebitamente nell'ambito di funzioni svolte, operando in entrambi i casi la cosiddetta "forza della prevenzione", vi e' l'esplicita affermazione che "identica ragione di pregiudizio ricorre, poi, nei casi in cui il giudice abbia espresso legittimamente il proprio convincimento sull'oggetto del procedimento nell'ambito di un diverso procedimento, penale o anche non penale". 12. - Ritenuta pertanto, per le ragioni sin qui esposte, la rilevanza e la non manifesta infondatezza dell'eccezione formulata in via di subordine dagli imputati e dai loro difensori, non resta che affidare al giudizio della Corte costituzionale, con tutte le conseguenze di rito, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37 c.p.p., per contrasto di tale norma con il principio del giusto processo desumibile dagli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, Cost., in quanto, individuando quale causa di ricusazione del giudice la manifestazione del proprio convincimento sull'oggetto del processo a lui affidato nelle sole ipotesi in cui cio sia avvenuto "fuori dell'esercizio delle funzioni giudiziarie" (art. 36, primo comma, lett. c), richiamato dall'art. 37, primo comma, lett. a) c.p.p.), ovvero sia avvenuto "indebitamente", ove si collochi invece "nell'esercizio delle funzioni" (art. 37, lett. b) c.p.p.), la stessa implicitamente esclude che possa assumere rilevanza, quale causa di ricusazione del giudice il fatto che egli abbia legittimamente manifestato il proprio parere sull'oggetto del processo nell'esercizio di funzioni giudiziarie nel corso di un diverso procedimento.